COLLEGIO DI BARI
composto dai signori:
(BA) DE CAROLIS Presidente
(BA) TUCCI Membro designato dalla Banca d'Italia
(BA) SEMERARO Membro designato dalla Banca d'Italia
(BA) DI RIENZO Membro di designazione rappresentativa
degli intermediari
(BA) CATERINO Membro di designazione rappresentativa
dei clienti
Relatore ESTERNI - ANDREA TUCCI
Seduta del 10/10/2019
FATTO
Il ricorrente riferisce di aver sottoscritto con l’intermediario, in data 13.04.2004, un contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di un’autovettura, per un importo complessivo di € 2.995,85.
Al riguardo, rappresenta che tra il 17 giugno 2003 e il 3 aprile 2017 è risultato sussistente, in violazione dell’art. 101 TFUE, un’intesa restrittiva della concorrenza tra numerosi gruppi automobilistici operanti sul mercato italiano e le rispettive società finanziarie, in conformità con quanto accertato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con provvedimento del 20.12.2018.
L’intesa in questione aveva riguardato “anche tutti i contratti di leasing o altri tipi di finanziamenti sottoscritti da professionisti (persone fisiche o giuridiche) per l’acquisto di una o più automobili delle marche sopraindicate” e prevedeva uno scambio sistematico di informazioni rilevanti per la definizione delle rispettive politiche commerciali e, in particolare, dell’importo delle commissioni, delle spese di istruttoria nonché del tasso di interesse applicabile ai finanziamenti.
Ad avviso del ricorrente, la riscontrata violazione dell’art. 101 comporta le conseguenze disciplinate dal d.lgs. 3/2017, di attuazione della direttiva 104/2014/UE, trattandosi di intesa cessata soltanto il 3.04.2017, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs.
3/2017. In particolare, dall’accertamento della violazione dell’art. 101 TFUE discenderebbe la nullità dei contratti “a valle” e, conseguentemente, il proprio diritto alla ripetizione di interessi, commissioni e spese pagate e/o alla liberazione dall’obbligo di eseguire le
prestazioni previste, ovvero, quanto meno, all’applicazione del tasso sostitutivo previsto dall’art. 117, comma 7, TUB.
Il ricorrente ritiene, inoltre, di avere diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione della disciplina sulla concorrenza, parametrato al sovrapprezzo pagato a causa della violazione o, in caso di impossibilità di definire tale sovrapprezzo, quantificato secondo equità. Sostiene, infatti, che, in assenza del cartello, “la pressione concorrenziale avrebbe indotto (le imprese condannate) a offrire un numero molto maggiore di finanziamenti c.d. a tasso zero”.
In ogni caso, il risarcimento a cui avrebbe diritto dovrebbe essere almeno pari al 20% di tutte le commissioni, spese e interessi applicati, così come statuito al par. 143 della “Guida pratica sulla quantificazione del danno nelle azioni di risarcimento fondate sulla violazione dell’art. 101 o 102 TFUE”.
Il ricorrente afferma, inoltre, che la decisione dell’AGCM, seppur non ancora divenuta definitiva – in quanto impugnata dinanzi al TAR Lazio da parte delle imprese condannate-, accerterebbe gli avvenuti scambi delle suddette informazioni tra imprese e società finanziarie, non più contestabili nella loro materialità.
Tanto premesso, il ricorrente chiede “1. in via principale, la restituzione di tutte le commissioni, spese e interessi pagati in esecuzione del contratto di finanziamento sottoscritto, previa dichiarazione di nullità delle relative clausole contrattuali, ovvero la liberazione dall’obbligo di pagare queste commissioni, spese e interessi, nella misura in cui essi non siano ancora stati pagati;
2. in via alternativa, il risarcimento dell’intero danno subito a causa della violazione, in misura pari all’intero importo delle commissioni, spese e interessi pagati o dovuti in base al contratto di finanziamento; 3. in via subordinata, il ricalcolo dei tassi applicati al tasso sostitutivo di cui all’art. 117 TUB con eventuale rimborso della differenza per i finanziamenti già estinti; 4. in via ulteriormente subordinata il risarcimento di un danno almeno pari al 20% di tutte le commissioni, spese e interessi previsti dal contratto o nella diversa misura ritenuta equa dal Collegio; 5. in ogni caso, con rivalutazione e interessi”.
L’intermediario, nelle controdeduzioni, lamenta l’incompetenza ratione materiae dell’Arbitro, chiamato a pronunciarsi sull’eventuale partecipazione del resistente all’intesa anticoncorrenziale, in violazione della l. 287/1990 e/o delle disposizioni del TFUE, nonché
“sulle eventuali ed ipotetiche conseguenze” dell’illecito, non potendo l’ABF pronunciarsi su questioni che attengono a pretese violazioni della normativa a tutela della concorrenza (richiama, ex multis, Coll. di Bari, dec. n. 20088/2018).
Aggiunge, inoltre, che la competenza dell’Arbitro dovrebbe escludersi anche in ragione
“della natura squisitamente aquiliana della responsabilità”, di cui all’art. 2043 c.c., che il ricorrente attribuisce allo stesso intermediario.
L’intermediario chiede, altresì, di dichiarare irricevibile il ricorso, ai sensi dell’art. 4, comma 5, delle Disposizioni ABF in quanto il provvedimento dell’AGCM, posto a fondamento delle richieste del ricorrente, è stato impugnato davanti al TAR Lazio, il quale con decreti adottati nell’aprile del 2019 ha disposto la sospensione cautelare delle sanzioni imposte dall’Autorità Garante (richiama, sul punto, diversi Collegi territoriali).
Nel merito, l’intermediario afferma che il ricorrente non ha fornito alcuna prova idonea a dimostrare l’esistenza dell’intesa restrittiva e la partecipazione dell’intermediario all’intesa medesima. Precisa che nel procedimento ABF “nessun valore può assumere […] il Provvedimento AGCM”, non essendo sufficiente la produzione di un provvedimento dell’Autorità la cui efficacia è stata, tra l’altro, sospesa da TAR Lazio.
L’intermediario aggiunge che, anche qualora il suddetto provvedimento fosse definitivo, l’Arbitro “non sarebbe comunque vincolato dagli eventuali accertamenti ivi contenuti”.
Anche a volere ammettere un ipotetico accertamento di un illecito anticoncorrenziale nei
suoi confronti, peraltro, da tale condotta non potrebbe conseguire alcuna nullità del contratto di finanziamento stipulato dal ricorrente. La normativa di settore, infatti, commina la nullità per l’intesa in sé, non per i contratti conclusi con terzi dalle imprese ad essa partecipanti. Sul punto, richiama giurisprudenza di legittimità e di merito; ritiene inconferenti i precedenti richiamati dal ricorrente, in contrasto con la consolidata giurisprudenza e con la recente legislazione in tema di rimedi per violazioni antitrust.
Aggiunge che, dalle allegazioni del ricorrente, non si comprende l’incidenza dell’intesa sul prezzo del finanziamento concesso. Per contro, lo stesso provvedimento dell’AGCM specifica che l’intesa contestata non era diretta a determinare un prezzo finale, bensì allo scambio di informazioni tra i partecipanti.
In ogni caso, il diritto alla ripetizione dei costi sostenuti dal ricorrente sarebbe prescritto (richiama le SS.UU., pronuncia n. 24418/2010), perché il contratto di finanziamento, di durata biennale, è stato sottoscritto il 13.04.2004.
Da ultimo, l’intermediario lamenta l’infondatezza della richiesta risarcitoria, non avendo il ricorrente prodotto alcuna dimostrazione circa l’an, il quantum e il nesso causale tra la presunta intesa e il danno.
Tanto premesso, l’intermediario chiede “(i) In via pregiudiziale, di accertare l’incompetenza per materia dell’Arbitro adito […] e, per l’effetto, dichiarare inammissibile il ricorso presentato dal (ricorrente); (ii) In subordine, sempre in via pregiudiziale, dato atto della pendenza avanti all’autorità giudiziaria amministrativa del giudizio di impugnazione avverso il Provvedimento AGCM [...], per l’effetto dichiarare irricevibile il ricorso presentato; (iii) Nel merito, rigettare tutte le domande ed eccezioni formulate”.
DIRITTO
La questione sottoposta al Collegio ha ad oggetto un contratto di finanziamento finalizzato all’acquisto di un’autovettura, concluso dal ricorrente con l’intermediario resistente, il quale sarebbe risultato parte di un’intesa restrittiva della concorrenza. In relazione al predetto contratto, il ricorrente formula domanda di nullità, restituzione di oneri sostenuti e risarcimento del danno.
La disciplina applicabile è contenuta nella l. 10 ottobre 1990 n. 287, per la tutela della concorrenza e del mercato, e nel d.lgs. n. 3/2017, attuativo della Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle azioni per il risarcimento del danno per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea.
Nel caso di specie, il provvedimento da cui trae origine la controversia è una decisione dell’AGCM del 20 dicembre 2018, con cui è stato accertato che una serie di case automobilistiche e intermediari (tra i quali l’odierno resistente), nel periodo tra giugno 2003 e aprile 2017, hanno “posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza contraria all’articolo 101 TFUE, e consistente in un’intesa unica, complessa e articolata, continuata nel tempo, sorretta da una pluralità di condotte funzionali ad alterare fortemente le dinamiche concorrenziali nell’ambito del mercato della vendita di automobili dei Gruppi di appartenenza attraverso finanziamenti erogati dalle rispettive captive banks” (pag. 112 del provvedimento). Nel provvedimento si evidenzia che lo scambio di informazioni, reputato idoneo ad alterare la concorrenza (par. 309 ss., pag. 75 ss.), aveva ad oggetto “prezzi applicati, ovvero TAN minimo, medio e massimo e TAEG, spese di istruttoria e di apertura pratica, importo minimo e massimo del finanziamento, entry rate, durata minima e massima del rimborso, garanzie richieste, provvigioni ai dealer, valori residui in caso in leasing” (par. 85, pag. 22). Si precisa che l’oggetto del cartello “non è relativo alla determinazione di un prezzo finale ma … è volto a rendere artificiosamente trasparente il
mercato, in maniera tale da escludere o ridurre fortemente l’incertezza in merito alle politiche e strategie commerciali applicate dai propri concorrenti” (par. 408, pag. 96).
Inoltre, “l’imponente mole di risultanze in atti evidenzia che i contatti intervenuti tra i concorrenti… sono stati finalizzati all’adozione di politiche commerciali non indipendenti e, per tale via, al raggiungimento di esiti di mercato differenti di quelli che si sarebbero avuti in assenza dell’intesa” (par. 428, pag. 100).
Con particolare riferimento all’intermediario resistente, la durata dell’infrazione è stata accertata per un periodo di 13 anni, 9 mesi e 17 giorni, con comminazione di una sanzione di € 41.525.921,00.
Rispetto all’esame nel merito fattispecie sopra sintetizzata mette conto, innanzi tutto, valutare l’ammissibilità del ricorso, alla luce delle Disposizioni per il funzionamento dell’Arbitro, emanate dalla Banca d’Italia.
Al riguardo rileva, innanzi tutto, la questione della competenza ratione temporis, rispetto alla quale le richiamate Disposizioni prevedono che l’Arbitro possa decidere sulle controversie che riguardano operazioni e servizi bancari e finanziari, purché le operazioni o i comportamenti contestati siano successivi al 1° gennaio 2009 (Sezione I, § 4, 4).
Nel caso di specie, è senz’altro da escludere la competenza dell’Arbitro, rispetto alla domanda di nullità del contratto e alle conseguenti restituzioni di commissioni, spese e interessi pagati, trattandosi di un vizio genetico di un contratto concluso in data 13 aprile 2004 e, dunque, anteriore al 1° gennaio 2009.
L’incompetenza temporale sussiste, a ben vedere, anche rispetto alla domanda risarcitoria, avendo questa pur sempre quale presupposto l’accertamento di un fatto (la conclusione del contratto di finanziamento) posto in essere in data anteriore al 1° gennaio 2009 e i cui effetti giuridici programmati sono cessati con lo spirare del termine finale del di efficacia, nel mese di luglio del 2006.
Con riferimento all’eccezione di incompetenza ratione materiae, sollevata dall’intermediario, si rileva che il ricorrente non richiede al Collegio di procedere ex professo alla “verifica della partecipazione (della resistente) all’intesa anticoncorrenziale”, bensì di provvedere alla restituzione dei costi sostenuti in esecuzione del contratto di finanziamento sottoscritto in esecuzione della predetta intesa, pur se “previa dichiarazione di nullità delle relative clausole contrattuali” o, in via alternativa, al risarcimento del danno patito.
Al riguardo, mette conto precisare che l’accertamento della sussistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza esula senz’altro dalla competenza di questo Arbitro, ferma restando la possibilità di porre a fondamento della decisione l’accertamento definitivo ad opera dell’AGCM, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7, d.lgs. n. 3/2017 (e, in precedenza, del “diritto vivente”, successivo alla nota pronuncia di Cass., 28.5.2014, n.
11904. Cfr., da ultimo, Cass., 12 dicembre 2017, n. 29810).
Sennonché, nel caso di specie, il provvedimento di accertamento dell’AGCM non ha assunto il carattere della definitività, essendo pendente il giudizio di impugnazione dinanzi al Giudice amministrativo, e non può, pertanto, essere posto a fondamento di una decisione di questo Arbitro (cfr. Collegio di Bari, dec. 21951/19).
A ben vedere, infine, la pendenza di un ricorso amministrativo avverso il provvedimento AGCM rileva quale ulteriore e autonoma causa di inammissibilità del ricorso, ai sensi della previsione delle Disposizioni ABF (Sez. I, § 4), che preclude all’Arbitro di pronunciarsi su ricorsi inerenti a controversie già sottoposte all’Autorità Giudiziaria.
Secondo l’orientamento dei Collegi, la richiamata disposizione deve essere interpretata nel senso di ritenere sufficiente anche una connessione impropria, cioè una “comunanza parziale e non una identità delle domande, come insegna la costante giurisprudenza di legittimità”. Non sarebbe pertanto necessaria una piena coincidenza di domande, potendo
la questione sottoposta all’esame dell’Autorità giudiziaria rappresentare un antecedente logico rispetto alla questione sottoposta all’esame dell’ABF (cfr. Coll. Coordinamento, dec.
n. 3961/2012; Collegio di Palermo, decisione n. 20709/19 Coll. Milano, dec. n.7723/ 2019;
Coll. Napoli, dec. n. 2202/2017). Nel caso di specie, l’accertamento operato dall’Autorità antitrust dell’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art. 101 del TFUE sembrerebbe costituire il presupposto su cui il ricorrente fonda la pretesa nullità del contratto concluso con la resistente e le conseguenti domande restitutorie e/o risarcitorie.
Per le suesposte ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Il Collegio dichiara il ricorso inammissibile.
IL PRESIDENTE
firma 1