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Capitolo 3

Materiali e metodi

Esistono numerosi metodi analitici applicabili allo studio delle malte antiche. Il protocollo viene calibrato di volta in volta a seconda delle caratteristiche dei materiali e delle domande archeologiche che stanno alla base della ricerca. Diversi tipi di analisi conducono a focalizzare l'attenzione su diversi aspetti di questi prodotti dell’attività edilizia (Dufournier, 1972).

Lo studio chimico e mineralogico delle malte antiche può dare informazioni sulla natura di legante e aggregati, sulle caratteristiche del composto, e sulla sua eventuale alterazione. I test di compressione provano la resistenza meccanica dei campioni, è inoltre possibile misurare la capacità di assorbimento d'acqua e la porosità.

Lo studio dei materiali provenienti dal sito di Massaciuccoli ci ha indotto a valutare attentamente il protocollo di indagine da attuare. A una prima osservazione appare chiaro che la percentuale di calce contenuta in queste malte è estremamente bassa se non addirittura nulla. Questo rende pressoché obsoleto condurre una serie di analisi che normalmente vengono effettuate quando si tratta di malte di calce, occorreva orientarsi verso un protocollo di indagine differente.

Si è rivelato necessario rivedere la prassi operativa, cercando di focalizzare gli aspetti preponderanti di questi materiali al fine di ricavare informazioni utili al complesso della ricerca.

La definizione del tipo di analisi da condurre comporta una riflessione metodologica approfondita. In primo luogo è stato fondamentale individuare con chiarezza le problematiche di natura archeologica. L’impiego della terra cruda come legante architetturale in questa parte del complesso appare pratica particolare soprattutto alla luce dell’osservazione delle malte della zona residenziale e dell’edificio con mosaico. Inoltre affioramenti di calcare si trovano nelle vicinanze del sito rendendo ipoteticamente semplice e veloce l’approvvigionamento di questo tipo di materiale. L’impiego della terra

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in edilizia è dunque legato a una particolare tecnologia? In che cosa consisteva esattamente? Quali materiali erano privilegiati e come venivano selezionati?

Un altro nodo problematico si individua nell’impiego misto di calce e terra. Solitamente le frazioni più fini vengono eliminate nella selezione degli aggregati da miscelare alla calce poiché limi e argille provocano la diminuzione del potere legante del materiale dopo l’indurimento. Perché la calce è stata utilizzata e in quale percentuale?

Le malte del cantiere di Massaciuccoli non sono assimilabili al modello tradizionale legante+aggregato, la loro stessa natura impone di utilizzare metodi normalmente applicati allo studio dei terreni. Va definito un modello che contenga i principi che governano il funzionamento delle tecnologie a base di terra quando questa rappresenti una componente significativa se non la totalità del manufatto. Il modello va poi applicato, adattandolo, a casi di studio particolari (Fieni 1999).

Una volta svincolati dalla procedura binaria che conduce a considerare legante e aggregato separatamente, le malte di Massaciuccoli potrebbero essere considerate come un sistema unico e complesso in cui non esistono funzioni di legante-aggregato. Lo studio di questo sistema è legato allo studio del sistema “suolo” e alle sue proprietà di coesione e compattezza.

In un suolo le componenti più coerenti sono quelle più fini ovvero la frazione argillosa, tra queste particelle si instaurano legami ionici e di Van der Walls, legami idrogeno e relazioni gravitazionali. Le particelle di dimensioni maggiori si dispongono in un suolo secondo un arrangiamento spaziale particolare definito packing che conferisce loro adesione. Questa sistemazione è condizionata dalla forma delle particelle, dalla loro distribuzione granulometrica e dalla porosità di insieme del materiale, fattori che concorrono a determinare lo stato di addensamento. Inoltre per frazioni granulometriche sabbiose può verificarsi il fenomeno di bulking, cioè di coesione apparente causata da piccole percentuali di acqua infiltrate nei pori che integrano il materiale pur impedendone la compattazione. La fuoriuscita dell’acqua comporta l’arresto del fenomeno. Permeabilità e capillarità dei materiali sono fortemente legate alla distribuzione e alla granulometria delle particelle e non solamente alla porosità complessiva. Ad esempio depositi naturali di argille o limi sono estremamente impermeabili pur avendo una porosità percentuale elevata. Queste particelle hanno un’ampia superficie e le cariche presenti determinano fenomeni di assorbimento superficiale e conseguente trattenimento dell’acqua, diminuendo la percolatività del materiale (Testini 1989; Trombino, 2000).

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L’acqua presente, sotto forma di sottili films o all’interno di capillari, è sottoposta a forze energiche di ritenzione correlate alla tessitura del sedimento, si ritiene perciò che anche le malte di terra vengano influenzate nel loro comportamento dall’acqua nella loro tessitura, come i suoli (Fieni 1999). La frazione organica nel terreno agisce come ritentore d’acqua, contrastando essiccazioni e fessurazioni e combinandosi coi minerali argillosi, stabilizzando la fabric della frazione fine ed influenzando la permeabilità dell’intero sistema (Bidini 1991).

Tutte le caratteristiche dei suoli vengono alterate e modificate nel momento in cui i sedimenti vengono maneggiati dall’uomo per la posa in opera. Vi può essere selezione di alcune frazioni granulometriche tramite lavaggio o setacciatura e aggiunta di componenti che alterano le proprietà originali del materiale in natura.

3.1 Campionamento

Le operazioni di campionamento sono state effettuate a più riprese tra la primavera e l'estate del 2012. La strategia operativa è stata discussa assieme al Professor Lezzerini e al Dottor Luca Parodi1, ritenendo opportuno, in ultima analisi, prelevare campioni da ogni USM individuata, e rimandando a un secondo momento la selezione a un numero più ridotto. Si è dunque proceduto passando in rassegna ogni paramento, mirando a raccogliere un campione che fosse rappresentativo di tutti o quasi gli interventi edilizi, per un totale complessivo di 99 prelievi.

Una volta trasportati i campioni in laboratorio si è potuto procedere alla schedatura.

3.2 Schedatura

Per la classificazione delle malte esiste un sistema di schedatura che si basa sul codice UNI-NorMaL per i beni culturali.

La Commissione Normativa Manufatti Lapidei nacque nel 1977 per iniziativa di ICR e CNR con lo scopo di stabilire metodi unificati per lo studio delle alterazioni dei materiali lapidei e per il controllo dell’efficacia dei trattamenti conservativi di manufatti di interesse storico. L’obiettivo è l’elaborazione di norme tecniche, valide a livello nazionale ed idonee ad essere proposte a livello europeo.

1 Come già segnalato, il Dott. L. Parodi si è occupato dello studio sistematico delle murature sull'intera area di scavo.

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Partecipano ai gruppi di lavoro oltre 200 specialisti tra ricercatori del CNR, esperti, funzionari del Ministero per i Beni Culturali, docenti universitari, liberi professionisti e rappresentanti delle industrie interessate.

Nell’ambito del settore delle malte le raccomandazioni NorMaL pubblicate sono le seguenti:

NORMAL 23/86 Terminologia Tecnica: Definizione e Descrizione delle Malte. Definizioni

relative alle malte per intonaci.

NORMAL 23/87 Terminologia Tecnica: Definizione e Descrizione delle Malte. Definizioni

relative alle malte per decorazioni.

NORMAL 26/87 Caratterizzazione delle Malte da Restauro.

NORMAL 27/88 Caratterizzazione di una Malta. Criteri generali e metodologie di misura

per la caratterizzazione fisica, mineralogica, petrografica e chimica delle malte in opera.

NORMAL 31/89 Determinazione della calce e della magnesia residue NORMAL 32/89 Determinazione Gas volumetrica della CO 2

NORMAL 36/92 Glossario per l'Edilizia storica nei Trattati dal XV al XIX sec .

Vi sono altre norme, inerenti le malte, da consultare qualora si proceda a una caratterizzazione. Una norma codificata si riferisce alle operazioni di campionamento:

NORMAL 3/80 Materiali Lapidei, Campionamento.

Una volta campionato il materiale, si passa ad una descrizione preliminare e macroscopica facendo riferimento per la terminologia al già citato NORMAL 23/86 e considerando anche:

NORMAL 12/83 Aggregati Artificiali di Clasti a Matrice Legante non Argillosa: Schema di

Descrizione che si riferisce a malte a matrice non argillosa.

NORMAL 15/84 Manufatti e Aggregati a Matrice Argillosa: Schema di Descrizione che si

riferisce a malte a matrice argillosa.

I due documenti raccolgono sistematicamente i dati utili alla determinazione delle componenti e delle tecniche di fabbricazione, alla individuazione della provenienza delle materie prime e alla valutazione dello stato di conservazione di malte e intonaci. I dati raccolti contribuiscono anche ad effettuare il riconoscimento delle diverse fasi costruttive di un manufatto.

Per la descrizione durante il protocollo analitico sono state redatte:

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NORMAL 7/81 Assorbimento d'Acqua per Immersione Totale - Capacità di Imbibizione NORMAL 8/81 Esame delle Caratteristiche Morfologiche al Microscopio Elettronico a

Scansione (SEM)

NORMAL 14/83 Sezioni Sottili e Lucide di Materiali Lapidei: Tecnica di Allestimento NORMAL 11/85 Assorbimento d'Acqua per Capillarità - Coefficiente di Assorbimento

Capillare

NORMAL 21/85 Permeabilità al Vapor d'Acqua

Nel 1996 l’attività normativa, e non più di raccomandazione, passò in ambito UNI.

Alcune nuove norme vennero a sostituire le vecchie raccomandazioni per un totale di 6 norme pubblicate inerenti le malte, 1 pronta per la stampa, 6 in revisione, 3 in elaborazione.

Nello specifico si tratta di:

UNI 10924 Elaborata dal G.L. 11 Beni culturali. Malte per elementi costruttivi e

decorativi: classificazione e terminologia. La norma stabilisce la classificazione e la

terminologia per le malte e per gli elementi costruttivi e decorativi realizzati con malte,

nell’ambito dei Beni Culturali; è applicabile anche alle costruzioni e agli edifici di interesse culturale e ambientale inoltre può essere estesa alle costruzioni antiche non vincolate.

UNI 11088 Elaborata dal G.L. 11 Beni culturali Malte storiche e da restauro:

Caratterizzazione chimica di una malta. Determinazione del contenuto di aggregato siliceo e di alcune specie solubili La norma descrive un metodo chimico per la determinazione del contenuto di aggregato siliceo e/o silicatico di una malta, del contenuto di alcune specie chimiche caratteristiche (SiO2, CaO, MgO, Al2O3, Fe2O3, SO3, K2O, Na2O), solubilizzate da un attacco acido. I risultati vengono espressi come ossidi.

UNI 11139 G.L. 11 Beni culturali Malte storiche: Determinazione del contenuto di calce

libera e di magnesia libera (sostituisce NORMAL 31/89). Viene descritto il metodo per dosare nelle malte e nei calcestruzzi, il contenuto di calce e magnesia residue secondo il metodo di Francke. Nel documento sono descritte:

a) determinazione della somma di calce e magnesia residue (titolazione acidimetrica) b) determinazione differenziata della calce e magnesia residua (titolazione complessometrica).

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UNI 11140 G.L. 11 Beni culturali Malte storiche: Determinazione del contenuto di anidride

carbonica (sostituisce NORMAL 32/89) La norma descrive il metodo per valutare il contenuto in carbonati di un materiale lapideo naturale ed artificiale mediante un attacco con acido cloridrico, del campione e della successiva misura della CO2 sviluppata (Calcimetria) secondo il metodo Dietrich-Fruhling.

UNI 11089 G.L. 11 Beni culturali Malte storiche e da restauro: Stima della composizione

di alcune tipologie di malte La presente norma riporta alcune procedure di calcolo per la stima del tenore dei principali costituenti merceologici (leganti e aggregati) delle malte. In particolare il contenuto di legante idraulico, il contenuto di calce aerea, il contenuto di legante aereo solfatico, il contenuto di aggregato calcareo, il contenuto di aggregato siliceo, la composizione complessiva della malta.

UNI 11060 G.L. 11 Beni Culturali Materiali lapidei naturali ed artificiali: Determinazione

della massa volumica e della percentuale dei vuoti In questa norma vengono descritti alcuni metodi per la determinazione della massa volumica e della percentuale dei vuoti dei materiali lapidei naturali ed artificiali, macinati in polvere, granulari o in pezzatura. In particolare, per la determinazione della massa volumica assoluta vengono descritti il metodo volumetrico di Le Chatelier e il metodo picnometrico.

I materiali da schedare, ad una prima osservazione, non sembravano rientrare in nessuna delle categorie definite dalle normative vigenti. Si rendeva dunque necessario decidere come procedere per costruire un sistema di schedatura che permettesse la catalogazione e il confronto tra i campioni.

Poiché nel nostro caso si trattava di malte di terra con qualche aggiunta di calce si è optato per una schedatura ibrida, con campi da NORMAL 12/83 e NORMAL 15/84.

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Tipologia: Malta di allettamento, rivestimento;

Adesione Al supporto (buona, scarsa);

Aspetto dimensionale Conglomeratico, microconglomeratico, arenaceo, siltoso;

Colore di insieme Definito con codice Munsell;

Coesione Assai tenace (non si spezza), tenace (si spezza senza sbriciolarsi), friablile (si spezza per pressione delle dita, incoerente (risulta incoerente al tocco);

Descrizione sintetica clasti/porosità Caratteristiche (forma e misura) degli elementi di dimensioni maggiori; caratteristiche (forma e misura) dei pori visibili;

Descrizione sintetica della frazione fine Abbondanza di argille, limi e sabbie fini; presenza/assenza di calce;

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3.3 Preparazione dei campioni per le analisi in laboratorio

Una volta schedati i campioni sono stati suddivisi in categorie secondo le caratteristiche macroscopiche preponderanti (specificate nel capitolo 4). In seguito è stata operata una selezione di 27 campioni su 99 totali da sottoporre ad analisi più accurate2.

I materiali sono stati lasciati essiccare per qualche giorno, una volta asciugati è stato possibile procedere con le operazioni preparatorie. Ogni campione è stato sottoposto a quartatura, cioè disposto su un piano orizzontale, mescolato uniformemente, suddiviso in 4 parti una delle quali prelevata in maniera casuale. Questa operazione è stata ripetuta fino ad ottenere una quantità uniforme (circa 40 gr).

Il materiale è stato tritato per ridurre le dimensioni della frazione grossolana e in seguito polverizzato tramite mulino planetario a sfere

3.4 Determinazione del contenuto di CO

2

tramite gasometrie

Questo metodo si basa sulla misurazione della liberazione di CO2 dopo attacco acido.

Il procedimento, descritto da Leone et al. (1988), si basa sull’apparato di Skewes (Piper, 1942) come modificato da Schink et al. (1979). L’apparato strumentale è composto da un contenitore cilindrico di materiale inerte di forma cilindrica e da un barometro di precisione che misura la pressione di CO2 sviluppata nella camera di reazione.

La procedura di analisi è la seguente:

1. Viene prelevata una piccola quantità dal campione da analizzare (circa 600 mg), che viene inserita nel cilindro

2. È disposto, sempre nel cilindro, un piccolo becker di plastica contenente circa 10 cc di HCl 6N assieme a una bacchetta magnetica.

3. Viene apposto il coperchio chiudendo ermeticamente il contenitore.

4. Avendo cura di chiudere la valvola di sfogo, si pone sotto il reattore un agitatore magnetico, che una volta avviato fa muovere la bacchetta all’interno del contenitore fino a rovesciare il becker e dare inizio alla reazione

5. Si procede l’agitazione

6. Si effettua una registrazione del livello di pressione di CO2 dopo 1’30’’ dal

rovesciamento dell’acido, una seconda misurazione avviene dopo circa 5’.

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Alle analisi sui campioni si alternano misurazioni su quantità note di calcite pura per permettere di determinare la retta di taratura dello strumento. Utilizzando il metodo dei minimi quadrati sui valori della pressione di CO2 sviluppata si ottiene la retta:

CaCO3=a•pCO2+b

Di conseguenza si calcola la percentuale di CO2 incognita di ogni campione :

CO2 (%)= (a•pCO2+b)•k/m

Dove k indica la massa di polvere reagente, espressa in mg

K= 44.01/100.09

3.5 Analisi dei minerali delle argille

Considerato il ruolo importante della frazione fine all’interno delle malte di terra di Massciuccoli si è ritenuto opportuno procedere a analisi che potessero aiutare a chiarire la natura dei materiali.

Lo studio dei minerali argillosi e delle argille assume un ruolo fondamentale nella comprensione dei processi genetici che stanno alla base della costituzione di un suolo, essi infatti hanno un ruolo fondamentale nei processi pedogenetici, nel chimismo nutrizionale e nella struttura dei suoli.

Il termine argille ha un duplice significato. In senso generico con argille di indica le particelle con diametro inferiore a 2 μ eterogenee nella loro natura chimica. Questa definizione comprende quarzo, feldspati, carbonati, ossidi, idrossidi, ossidi idrati di ferro, di alluminio, di manganese e la sostanza organica (Mirabella, 1991)

Per l’analisi mineralogica dei minerali delle argille generalmente viene adottata la tecnica della diffrazione ai raggi X. Anche la spettrofotometria nell’infrarosso ha avuto un notevole sviluppo negli ultimi anni senza trovare piena diffusione nell’abito delle argille. La microscopia elettronica a scansione e a trasmissione elettronica e le tecniche microanalitiche, infine, sono utili per l’osservazioni di singole porzioni di suolo in sezione sottile.

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La diffratometria ai raggi X è spesso associata alle analisi termiche, specie per minerali a basso grado di cristallinità.

I minerali argillosi sono suddivisi in diversi gruppi a seconda delle loro caratteristiche chimico-fisiche3.

Figura 1_Strutture cristalline dei principali minerali silicatici nei suoli (Bailey, 1980)

Gruppo della caolinite

Minerali argillosi che presentano uno strato di ottaedrico nel pacchetto silicatico 1:1 con spessore di circa 7 Ǻ. Sono rappresentativi caolinite, dickite e nacrite, con formula chimica approssimativamente: Al4Si4O10(OH)8. La maggior parte dei minerali appartenenti a questo

gruppo sono associati ad altre specie come anatasio, rutilo, feldspati, ossidi di ferro, mica, montmorillonite e quarzo.

Gruppo dei minerali del serpentino

Possono essere considerati gli analoghi triottaedrici dei minerali del gruppo della caolinite. Presentano lo stesso spessore ma hanno differente formula chimica: (R62+)(Si4)O10(OH)8

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doveR può essere Mg2+, Fe2+, Mn2+, Ni 2+.

I principali rappresentanti del gruppo sono crisotilo, lizardite, antigorite e berthierina.

Gruppo talco-pirofillite

È il gruppo più semplice tra quelli con pacchetto cristallino 2:1. Teoricamente questi pacchetti dovrebbero essere elettrostaticamente neutri ma si verificano piccole sostituzioni isomorfe che vanno ad incrementare i legami di Van der Walls tra pacchetti cristallini adiacenti.

Il talco è triottaedrico e ha formula: Mg6Si8O20(OH)4

La pirofillite è di ottaedrica e ha formula: Al4Si8O20(OH)4. Gruppo delle miche

Si tratta di un gruppo complesso con un gran numero di sostituzioni isomorfe, hanno una struttura a pacchetti minerali 2:1 diottaedrici e triottaedrici con spessore di 10 Ǻ circa. La formula generale è:

X2Y4-6Z8O20(OH,F)4 dove X rappresenta i cationi nell’interstrato, Y i cationi di ottaedrici e

Z quelli triottaedrici. I principali rappresentanti del gruppo sono: i minerali dell’illite, le miche muscovite/plengite, la biotite, glauconite e celdonite.

Gruppo delle cloriti

Hanno strutture triottaedrica con pacchetti 2:1 con carica negativa a causa di sostituzioni isomorfe, intervallati e bilanciati da interstrati di idrossidi a coordinazione ottaedrica con carica positiva. Lo spessore è di crica 14 Ǻ. Ne esistono 3 tipi principali:

Cloriti ricche di magnesio (Sig-xAlx)(Mg12-yAly)O20(OH)16;

Cloriti ricche di ferro (Sig-xAlx)(Fe12-yAly)O20(OH)16;

Cloriti ricche di alluminio (Sig-xAlx)(Al10-yMgy)O20(OH)8; Gruppo delle vermiculiti

Costituiti da pacchetti 2:1 con sostituzioni isomorfe che producono una carica negativa bilanciata da cationi interscambiabili negli interstrati. Lo spessore dei pacchetti varia da 10 a 15 Ǻ. La fromula generale è: MxH2O(Si8-xAlx)(Mg,Fe)6O20(OH)4 dove M rappresenta il

catione scambiabile.

Gruppo delle smectiti

Anche le smectiti presentano una carica negativa, le distanze tre i pacchetti cristallini variano da 10 a 15 Ǻ. Si possono avere smectiti diottaedriche:

motmorillonite MxSi8(Al4-XMg)O20(OH)4

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nontronite Mx(Si8-xAlx)Fe4O20(OH)4

e smectiti triottaedriche:

hectorite MxSi8(Mg6-xLix)O20(OH,F)4

saponite Mx(Si8-xAlx)Mg6O20(OH)4

Gruppo dei minerali interstatificati o a strati misti

Si tratta di minerali argillosi caratterizzati dalla combinazione di unità strutturali differenti che si alternano. Rectorite, corrensite e tosudite sono minerali interstratificati ordinati a due componenti. Nel caso di interstratificati casuali o parzialmente ordinati il nome viene composto dai nomi dei due minerali, facendo precedere quello del componente presente in maggior quantità. Esistono anche minerali interstratificati a tre componenti.

Gruppo della sepiolite-palygorskite

Questo gruppo è caratterizzato da morfologia fibrosa e struttura cristallina 2:1. La formula ideale della sepiolite è: Si12Mg8O30(OH)4(OH2)4•8H2O

La formula della palygorskite è: Si8(Mg2Al2)O20(OH)2(OH2)4•H2O Gruppo delle allofane e dell’imogolite

Alluminosilicati idrati non propriamente cristallini, rilevanti in grande quantità nei suoli che derivano dall’alterazione di vetri vulcanici. La imogolite è formata dall’insieme di unità strutturali ordinate lungo una dimensione. Le allofane sono formate da particelle cave di forma sferica le cui pareti sono formate da uno strato di alluminio in coordinazione ottaedrica e da uno strato di silicio in coordinazione tetraedrica.

Minerali associati ai minerali argillosi

I più importanti sono gli ossidi del suolo. In un profilo possono fornire informazioni sulle condizioni pedoclimatiche di formazione, sono inoltre fonte di reazioni di adsorbimento e rilascio di elementi nutritivi, metalli pesanti e sostanze organiche. Il gruppo comprende idrossidi, ossi-idrossidi, ossidi idrati di ferro, alluminio, manganese e titanio.

Proprietà dei minerali argillosi

Le argille hanno la caratteristica di interagire con l’acqua, passando dallo stato fluido quando sono imbevute d’acqua a quello solido da asciutte.

Un’altra proprietà delle argille è quella di reagire chimicamente con i composti organici, influenzando la permeabilità e la struttura dei suoli.

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- Ambiente di alterazione. Si suddividono in processi fisici (gelo/disgelo), chimici (dissoluzione/riprecipitazione, ossido-riduzione) e biologici che avvengono all’interfaccia tra la superficie della terra e l’atmosfera, comprendente anche rocce affioranti e suoli; - Ambiente di sedimentazione. Si verificano sul fondo di laghi, mari e delta dei fiumi, le particelle erose vengono trasportate e depositate in sedimenti in cui sono soggette a scambi ionici.

- Ambienti diagenetici/idrotermali. I materiali di alterazione deposti nei mari vanno incontro a reazioni di dissoluzione e riprecipitazione chimica o biochimica e a processi di indurimento, diagenesi e litificazione. La formazione dei minerali avviene a temperature e pressioni superiori a quelle degli altri ambienti;

3.6 Analisi termogravimetriche simultanee TG/DSC

TG indica l’analisi TermoGravimetrica in cui si effettua la registrazione continua delle variazioni di massa di un campione in atmosfera controllata e in funzione della temperatura e del tempo. Il risultato si esprime tramite un termogravigramma che riporta in ascissa la variazione di temperatura o di tempo, in ordinata la variazione di massa. Questo grafico è denominato anche curva di decomposizione termica.

DSC è l’acronimo di Differential Scanning Calorimetry e indica una tecnica di analisi termica basata sulla determinazione del flusso termico differenziale, ossia la variazione di entalpia in funzione del tempo, di un campione sottoposto a un programma di riscaldamento controllato.

L’apparecchiatura si compone di una termobilancia per la misurazione, di un sistema di controllo e acquisizione dati, un’unità di alimentazione elettrica, un criotermostato ad acqua e un computer di output.

La variazione di massa del campione durante il riscaldamento frazionato è registrata da una bilancia analitica ad elevata sensibilità (0,0001μm). Quest’apparecchiatura è posizionata in un vano a tenuta, spurgato costantemente da un flusso di azoto al fine di impedire l’ingresso di gas di degradazione del campione. Sopra il vano bilancia si trova il forno contenente i sensori porta campione e l’elemento riscaldante.

Un secondo gas viene fatto fluire nel forno assieme a quello di spurgo proveniente appunto dal vano bilancia. La portata globale dei due gas può essere fatta variare tra 5 a 195ml/min. Il flusso dei due gas miscelati passa nella fornace, entrando in contatto col campione, per

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poi essere convogliato nella cappa di aspirazione. Lo strumento impiegato è Netzch STA

449 Jupiter.

Figura 2_Netzsch STA 449 Jupiter (fonte www.mssmat.ecp.fr)

Il controllo e l’acquisizione di dati sono effettuati dall’unità TASC 414/3, in grado di effettuare riscaldamenti e raffreddamenti da 0.1 a 99.9 °C/min e prove isoterme fino a 100 ore di durata, acquisendo 20 dati al secondo.

Questo sistema analitico è in grado di effettuare simultaneamente le prove termogravimetriche TG e le prove di calorimetria differenziale a scansione DSC, ossia può misurare allo stesso tempo le variazioni di massa e gli effetti termici conseguenti al riscaldamento. Il sensore termico per i rilevamenti DSC è costituito da due termocoppie che misurano le temperature e di conseguenza il flusso di calore del crogiolo di riferimento e del crogiolo contenente il campione.

3.7 Diffrattometrie

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mineralogica delle rocce sedimentarie. Si possono determinare, con questa metodologia, non solo le singole specie minerali ma, in qualche caso, è possibile ottenere dati quantitativi dei minerali presenti.

La preparazione dei campioni

I campioni hanno subito un trattamento preparatorio per essere sottoposti all’analisi. In primo luogo le particelle sono state disperse in acqua distillata e separate tramite sedimentazione. Il tempo per la sedimentazione delle particelle di diametro >2μ è stato stimato di 19h. Per identificare i minerali argillosi i campioni vengono trattati chimicamente per provocare delle variazioni nella struttura cristallina. I materiali sono stati trattati con Magnesio e Potassio.

Alla frazione separata si aggiunge una quantità di acetato di magnesio tale da portare la sospensione alla concentrazione di 1N di magnesio. La soluzione viene centrifugata e lavata per eliminare gli ioni di cloruro. Il campione viene infine trasferito su vetrino e lasciato asciugare.

La saturazione con Potassio viene effettuata trattando il materiale con la soluzione di cloruro di potassio 1N. Si centrifuga e il residuo viene lavato e montato su vetrino.

I campioni sono orientati random su vetrino, cioè i cristalli giacciono su tutte le direzioni possibili così che la diffrazione ai raggi x viene interessata da tutti i piani reticolari in seno ai cristalli.

Per ottenere campioni orientati a caso i vetrini sono stati posti sul fondo di un becker di vetro in cui è stato versato il campione disperso in una ridotta quantità di acqua distillata.

I principi della diffrazione

I raggi X seguono la legge di Planck (e=hc/λ, dove e è l’energia, h la costante di Planck, c la velocità di propagazione e λ la lunghezza d’onda), da questa consegue che l’energia delle radiazioni aumenta al diminuire della loro lunghezza d’onda.

Nel rifrattometri i raggi X vengono prodotti in lampade entro cui è stato fatto il vuoto, costituite da due elettrodi. Gli elettroni sono emessi dal catodo al passaggio di corrente e vengono accelerati verso l’anodo con l’applicazione di un alto voltaggio tra gli elettrodi. Quando i cristalli vengono bombardati dai raggi X questi sono rifratti secondo l’equazione di Bragg:

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nλ=2d sen θ

Dove n è un numero intero, λ la lunghezza d’onda dei raggi, d la distanza tra i due piani reticolari e θ l’angolo formato dal piano incidente con il piano reticolare. Poiché non esistono cristalli con le medesima configurazione, ogni minerale presenta angoli di diffrazione caratteristici che ne permettono l’identificazione.

Il difrattometro

Per l’analisi dei campioni è stato utilizzato un difrattometro automatico Philips, modello PW 1730 con radiazione Cuka filtrata con nickel, differenza di potenziale

filamento-anticatodo di 40 kv, intensità di corrente 20 mA, fenditure di divergenza e focalizzazione di ½ °, fenditura di ricezione di 0.2 mm.

Il campione viene posto nel goniometro che lo fa ruotare per variare l’angolo di incidenza delle radiazioni. Queste vengono captate dal contatore che le trasforma in impulsi trasmessi a un registratore che produce un diagramma con una successione di picchi.

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La lettura dei diffrattogrammi è stata condotta con l’ausilio del Prof. Lezzerini attraverso un software per il trattamento dei dati.

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