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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.03 (1876) n.124, 17 settembre

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SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Anno I li - Yol. Yì

D om enica 17 settem b re 1876

N. 124

RIFORME AMMINISTRATIVE E RIFORME POLITICHE

Chiunque, scendendo per un poco dalle alte sfere sociali e togliendosi di mezzo a quelle classi che oggi si dicono dirigenti, volesse con animo spassionato e tranquillo mescolarsi con la folla delle moltitudini che insieme unite formano questa nazione italiana, e senza preconcetti di partiti politici avesse la pazienza di scandagliarne le intenzioni a proposito delle pub­ bliche faccende, si accorgerebbe agevolmente della differenza notevole che passa fra le idee di coloro che, indossata la veste di uomini politici, si arrogano il diritto di parlare a nome e per conto delle masse popolari e quelle delle generalità degli individui dei quali coleste masse si compongono. E di conse­ guenza si persuaderebbe con facilità come molte di quelle innovazioni che da cotesti maggiorenti del mondo politico si predicano come la sodisfazione di vivi bisogni e di irrefrenabili desiderii delle popola­ zioni, non sieno il di più. delle volte che 1’ obietto delle aspirazioni personali di coloro che, col capo nascosto nelle nebulose regioni delle astruserie po­ litiche e filosofiche, si sognano il rimanente degli uomini foggiati a loro immagine e similitudine, quando pure coteste declamazioni non sieno segre­ tamente preordinate, come qualche volta accade, alla sodisfazione di ambizioni e di interessi per­ sonali,

Chi vive in mezzo al popolo ben sa come certe dispute bizantine su talune questioni politiche più di moda, e per le quali si vorrebbero interessare le masse popolari, non facciano invece nessuna breccia negli animi della massima parte di coloro, e sono i più, che travagliano giornalmente per l’onesto man­ tenimento di sè e delle proprie famiglie e per con­ tribuire ai carichi della pubblica azienda, giacché, preoccupati vivamente dal pensiero di provvedere alle prime necessità, chiedono dall’intimo del cuore a chi ci governa quelle misure e quelle leg.p sol­ tanto che sieno direttamente preordinate a farli stare un po’ meglio rendendo loro più facile la vita.

Vero è che l’uomo non vive solamente di pane, ma è pur vero, con buona pace degli idealisti poli­

tici, che prima di tutto abbisogna di cotesto e con esso, di tutto ciò che occorre alla sodisfazione dei primi e più urgenti bisogni della vita materiale. Quando coteste prime necessità non sono sodisfatte i bisogni intellettuali e politici tacciono o divengono di un ordine affatto secondario, e tuttociò che tende ad appagarli non interessa di troppo chi languisce per miseria o per fame. Si manifestano è vero nella vita dei popoli dei momenti nei quali alcune aspi­ razioni di un genere più elevato, come il desiderio di libertà e d’ indipendenza nazionale, possono far dimenticare quelle primarie preoccupazioni dell’uomo che, nascenti dall’ istinto della conservazione indivi­ duale, sono inerenti all’umana natura, ma cotesto è uno stato eccezionale che poco dura, ed il voler pascere un popolo per un tempo troppo lungo di teorie e di idee, il volerlo tenere troppo a lungo in uno stato di convulsione sarebbe un sistema di go­ verno tanto insensato quanto pericoloso per la vita della civile società.

E se cotesto è giù per su vero per tutti i popoli della terra tanto più lo è per questo nostro popolo d’Italia, popolo positivo per eccellenza e dotato di una gran dose di buon senso pratico, che ha dimo­ strato con l’esperienza come sappia distinguere l’ideale dal reale, e come certe questioni oggi non valgano a commuoverlo, avvezzo a riguardarle con occhio indifferente, dopo quindici anni trascorsi in piena politica e stanco ormai dell’emozioni causategli dalle tante straordinarie vicende che hanno accompagnato la formazione di questo bel regno d’Italia.

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al-largamente delle sue franchigie politiche ed a sotto­ scriversi in massa al programma radicale del suf­ fragio universale non ha risposto all’ invito, ed ha ricompensato col sorriso dell’inditlerenza se non del disprezzo lo arrabattarsi fanatico di cotesti suoi se­ dicenti maestri.

Cotesti idealisti politici possono questionare fra loro se cotesta indifferenza sia bene o sia male, ma è giuocoforza che ne riconoscano la esistenza e ne facciano il conto che si merita prendendo il mondo com’è, e l’uomo con gli istinti e le passioni con le quali è stato creato.

Per altro non sempre coloro che sono stati chia­ mati in Italia al Governo della cosa pubblica si sono fatti un concetto adeguato di cotesto stato di cose e delle intenzioni della gran maggioranza degli ita­ liani ; e spesso li abbiamo veduti occupati più a studiare l’attuazione di certe teorie astratte d’impor­ tazione straniera, non divise e non comprese dalla maggioranza dei governati, che alla ricerca di quelle riforme che più direttamente corrispondono ai veri bisogni di quella gran massa di cittadini che lavo­ rano e pagano e che ai nostri occhi costituiscono il vero popolo italiano. Ed anche oggidì alle masse operaie ed industriali che chiedono pane e lavoro, e facilitazioni all’industrie ed al commercio, dai no­ stri politici idealisti si risponde con l’ offerta del suffragio universale e A&W istruzione obbligatoria, ed ai Comuni che chiedono mezzi per provvedere ai bisogni locali si da in cambio il Sindaco elettivo.

Ma se cotesto modo di sentire degli animi della maggioranza delle popolazioni nostre è stato disco­ nosciuto, senza troppo pericolo e senza serii disturbi finché le aspirazioni nazionali e le emozioni politiche potevano far sentire meno vivamente il bisogno di un assetto amministrativo meglio corrispondente alla sodisfazione di cotesti più reali bisogni, sarebbe og- gimai un’ arrischiare troppo ed un far troppo a fi­ danza con la natura umana il voler continuare sulla stessa strada, dando la preferenza alle questioni poli­ tiche su quelle amministrative. Se si vuole con coscienza ricercare la causa vera di quel malcontento che oggi ci affligge si trova che cotesto non trae la sua origine dalla presunta imperfezione dell’ assetto politico ma sibbene dal cattivo ordinamento ammi­ nistrativo. Cotesto malcontento può manifestarsi ma­ scherato ora di nero ed ora di rosso, ma la sua natura intrinseca è sempre la stessa. — Una maggior sicurezza della persona e degli averi, una giustizia pronta, di facile accesso ed a buon mercato, una sem- plicizzazione ed un decentramento dell’ amministra­ zione pubblica nel senso che il cittadino possa con poche formalità, nel più breve tempo possibile e senza muoversi troppo da casa sua sbrigare le sue faccende con le pubbliche autorità, una più equa distribuzione dei pubblici carichi, una ben’ intesa economia di Go­

verno che renda possibile una riduzione dei pubblici balzelli, il ritorno della moneta metallica, l’abolizione di tutto ciò che può impedire lo svolgimento dell’in­ dustria ed in specie dell’agricoltura, una maggiore possibilità di sodisfare ai bisogni locali, e dopo tutto una seria garanzia della stabilità di tutti cotesti mi­ glioramenti, ecco le vere aspirazioni della generalità delle nostre popolazioni, ecco i problemi che i bi­ sogni veri dei cittadini italiani impongono allo studio del Governo e del Parlamento.

Al confronto con cotesti bisogni a che si riducono, in specie di fronte ai contribuenti, le astruserie della politica, e il suffragio universale, e i giurati, e la istru­ zione obbligatoria, e le relazioni fra la Chiesa e lo Stato, e tutte le microscopiche questioni di destre, di centri, di sinistre giovani e vecchie, storiche e senza storia, nelle quali oggi tanto si sciupa la pubblica stampa? Cosa importa ai contribuenti che i loro rappresen­ tanti vadano al Parlamento con mille anziché con cento suffrngii, che seggano alla destra piuttostochè alla sinistra del Presidente, quando cotesti per ora non danno segno di volersi occupare sul serio di quanto tocca ai vitali interessi del paese? Che van­ taggio possono risentire, le amministrazioni -locali dalla concessione del privilegio di nominarsi il loro capo quando il legislatore si ostina a negare loro i mezzi di sodisfare ai bisogni locali, quando una scon­ solante uniformità di misure legislative inceppa lo svolgimento naturale della vita del Comune?

Sono appunto coteste considerazioni, delle quali difficilmente potrebbe negarsi la giustizia, che ci spingono a desiderare vivamente che, lasciate da parte le questioni politiche, si provveda seriamente ed effi­ cacemente alla soluzione di quelle amministrative. La manìa politica di alcuni, oltre ad essere oggi una cosa fuori di tempo, pare a noi che in ultima analisi non serva ad altro che a screditare nell’ opinione delle maggioranze popolari quella stessa libertà di Governo di cui godiamo e che cotesti politicanti si affannano ad additare al popolo come troppo ristretta e non proporzionata ai suoi diritti. Quest’ abuso di politica non è forse 1’ ultima causa della profonda confusione che si lamenta nel corpo elettorale, ed è naturale che nell’esercizio dei loro diritti manchi agli elettori un criterio chiaro e sicuro che ne determini la volontà. Nei candidati che ambiscono i suffragii degli elettori, sieno cotesti di destra o di sinistra, il paese vede uomini troppo politici e troppo poco am­ ministrativi per appassionarsi legittimamente alla lotta d Jl’urna, e, mancato così uno scopo legittimo, cotesta lotta spesso si converte in una miserabile guerricciuola di interessi e di ambizioni personali combattuta anche qualche volta con armi proibite.

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ferenza delle questioni amministrative sulle politiche non può essere dubbia. 11 riordinamento ammini­ strativo è oggi il supremo desiderio della gran massa dei cittadini italiani, e perciò principalissimo compito di coloro che sono o saranno chiamati a dirigere le sorti di questo nostro paese dovrebbe essere lo studio pratico dell’attuazione di tutte quelle misure che valgano a conseguire cotesto riordina mento, senza lasciarsi divagare nel difficile lavoro dalla mesco­ lanza di studii di riforme politiche che, non essendo oggi chieste dalla maggioranza della popolazione, possono senza inconvenienti, aggiornarsi ad altro tempo. E tanto più insistiamo nel manifestare questi nostri voti quando riflettiamo che oggi non corre più il tempo propizio per la politica, e che il periodo delle agitazioni e delle emozioni politiche può dirsi chiuso per noi con l’acquisto di Roma capitale. Gli entusiasmi politici sono svaniti da un pezzo, ed oggi, se vuol parlarsi chiaro, bisogna dire che la massima questione che ci tiene agitati è questione di denaro. Anche gli Stati sono in conclusione come le famiglie, dalle quali sparisce il buon accordo e la pace quando mancano i mezzi per provvedere al pane quotidiano.

Noi ci lusinghiamo che queste stesse idee oggi da noi manifestate si sieno già fatta larga strada an­ che nelle più alte sfere governative, e cotesta no­ stra lusinga venne or sono pochi giorni avvalorata da una parola autorevolissima che giovò potente- mente a confortarci nella speranza che non sia lontano il tempo delle serie riforme che valgano a diminuire quel malcontento che può mettere in pericolo la sta­ bilità delle nostre istituzioni.

DELLA COLONIZZAZIONE NEL BRASILE

Nella varietà dei sistemi seguiti per colonizzare il Brasile, quello che ebbe sempre la preferenza fu quello di fondare colonie dello Stato e di sovvenire quelle private, agevolando poi con opportune dispo­ sizioni il trasporto e lo installamento degli immi­ granti.

Quantunque il compito che ci siamo prefissi sia quello di essere piuttosto espositori dei fatti che giudici dei medesimi ; tuttavia non possiamo a meno dal notare che, sotto qualsivoglia plaga di cielo, lo Stato è destinato sempre ad aver poca fortuna nelle imprese economiche. E se ne ha ancora una riprova nello Stato brasiliano, il quale, mentre sul grande mercato di Londra trova a prestito denari a condi­ zioni quasi pari a quelle del! Inghilterra, ben diffi­ cilmente gli è riuscito per l’addietro di moltiplicare e rendere prospere con rapidità le colonie che isti­ tuisce. E i milioni spesi per tale scopo furono pa­ recchi, tantoché più volte se ne mosse lamento; ma

pure non si è riusciti ancora a rompere la cerchia delle abitudini, nè a limitare l’ intervento dello Stato, il quale, d’altra parte è tanto invocato dai cittadini che quasi è trascinato ad imprese che altrimenti non sarebbero tentate neppure. Di modo che, men­ tre dall’un canto è massima per noi incontestata che l’opera dello Stato è più difettosa e più costosa, dall’altro dobbiamo pure ammettere che, dove il pri­ vato non farebbe nulla o poco, è meno male che faccia lo Stato là dove il bisogno stringe, poiché per quei paesi d’oltremare la necessità di braccia è la più urgente, è quella che s’ impone come arduo problema da risolversi ad ogni costo il più presto possibile, perchè, come elegantemente scrisse il Gal- liani nel suo trattato Della Moneta « la ricchezza principale e la condizione delle altre sono gli stessi uomini. »

Quantunque da lunga pezza vadano emigranti al Brasile, però non è che dall’ultima legge abolitiva della schiavitù (1871) che si stabili una vera cor­ rente immigratoria che ogni anno si aumenta, atti­ rata dai favori di una colonizzazione quasi intera­ mente ufficiale. Non entreremo nei più minuti par­ ticolari di tali favori, ma accenneremo ai principali. All’immigrante viene pagata gratuitamente la dif­ ferenza fra la spesa di viaggio dall’Europa agli Stati Uniti e quella che si paga per il trasporto al Bra­ sile. Per quelle famiglie che vogliono andarsi a sta­ bilire nelle colonie dello Stato, parecchi consoli e specialmente quelli di Londra, di Liverpool, di Sviz­ zera, di Marsiglia e di Hamburgo, sono autorizzati ad anticipare il prezzo intero del passaggio ed a concedere altri vantaggi. Sono esenti da tassa sulla importazione gli oggetti che gli immigranti portano con sé, cioè: ornamenti ed abiti di uso giornaliero; letti proporzionati alla condizione degli immigranti ; utensili ordinari di uso; strumenti proprii all’agri­ coltura o alla professione esercitata; mobili di ogni specie in quantità indispensabile all’uso di ciascuno; un fucile da caccia per ogni adulto. Gli immigranti al loro sbarco hanno diritto all’alloggio e vitto nella hospedarla governativa della capitale mediante il prezzo di 2 franchi e 25 cent, al giorno per ogni adulto, e di 1, 42 per ogni fanciullo dai 9 ai 12 anni; possono poi pretendere tutte le informazioni ufficiali delle quali abbisognano ed il trasporto alle colonie dello Stato, nel caso che siano coloni spontanei, capi di famiglia ed agricoltori.

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genere d’uffici. E così questa come parecchie altre istituzioni attinenti all’emigrazione non hanno pur anco avuto quell’esperienza di molti anni che fa cor­ reggere i difetti e adattare i regolamenti ai bisogni locali.

Dal porto di sbarco, che ordinariamente è quello di Rio di Janeiro, gl’immigranti agricoltori sono trasportati alle colonie sia dello Stato, sia dei pri­ vati a norma delle rispettive convenzioni; gli altri immigranti non agricoltori che vanno alla ventura si spargono ordinariamente nelle città cercando alla meglio di locare i loro servigi. Quest' ultimi però costituiscono per solito la parte più dolorosa della emigrazione, e non è a loro che gli Stati transatlantici sogliono concedere i loro favori.

Il concetto fondamentale della colonizzazione agri­ cola è di moltiplicare la popolazione mediante la piccola proprietà, mezzo questo ritenuto sempre il più efficace e vantaggioso poiché, come scrisse il Niehbur « dovunque si trovano piccoli proprietari, si trova l’industria e l’onestà, e con essa la sicurezza maggiore negli averi e nella vita. »

Per invogliare all’emigrazione non vi è altro mezzo che l’idea della proprietà. L’ agricoltore che, dopo aver sospirato indarno di possedere un campicello sulla terra dove visse l’uno e l’altro suo parente, emigra a remotissimi lidi, porta sempre con sè lo stesso desiderio, quello di diventarlo, e quando lo è, la sua patria è colà dove rompendo. coll’aratro il suolo, può dire: questo è mio.

Vediamo ora per quali procedimenti cotesto de­ siderio dell’emigrante sia soddisfatto nelle colonie dello Stato e nelle colonie private del Brasile.

Norma fondamentale che presiede alla istituzione delle colonie dello Stato, è il regolamento del 1867. Per esso ogni colonia è creata dal Governo, il quale designa il nome rispettivo ed il distretto co­ loniale scelto in precedenza, misurato e demarcato (art. 1). Ogni distretto coloniale deve avere un’area di quattro leghe quadrate, per lo meno, corrispon­ denti a 171,240, mila metri quadrati, (art. . 2). Il territorio coloniale è diviso in lotti rustici di tre classi; qnelli della prima hanno un area di 606,000 metri quadrati; quelli della seconda di 302,500; e quelli della terza di 151,250. I lotti urbani possono essere divisi in varie classi potendo variare le loro fronti fra i 22 e 44 metri, e la profondità da 44 a 66 metri.

Il valore dei terreni rustici è da i l franchi e 72 centesimi a 46 franchi e 88 centesimi l’ ettaro, a norma della classe cui appartengono.

Il valore dei terreni urbani è da franchi 53 e 60 centesimi a 468, 80 per ettaro (art. 4 5).

I coloni al loro arrivo possono scegliere libera­ mente il lotto al quale ' dessero la preferenza, pa­ gando a vista il prezzo fissato. Se la vendita è fatta

a termine, il prezzo è aumentato del 20 per cento ed il pagamento si deve fare in quattro prestazioni annuali, di cui la prima è esigibile due anni dopo l’immissione in possesso del compratore. E accor­ dato uno sconto del 6 per cento a quei coloni che pagassero le loro quote prima del termine fissato (art. 6). A seconda che il lotto sia stato pagato o no, vengono rilasciati ai coloni titoli definitivi o prov­ visori della loro proprietè (art. 9).

Se dentro due anni dalla immissione in possesso il colono non fissa la sua dimora nella colonia e non si dia al lavoro, perde il diritto al proprio lotto, il quale è posto all’incanto. Cosi pure succede se per due anni il colono abbandona il suo terreno (art. 12.)

L’ amministrazione della colonia è affidata ad un direttore, nominato dal Governo, e ad una Giunta composta di 8 membri, di cui sei sono scelti fra i coloni che hanno pagato tutto il loro debito verso lo Stato. Il direttore è quello che propone al pre­ sidente della provincia la scelta dei membri della Giunta. Le funzioni di questa durano un triennio. In quelle colonie però in cui non vi è un numero sufficiente di coloni, nò nelle condizioni volute per la formazione della Giunta, il direttore esercita al­ lora tutte le funzioni.

La Giunta coloniale delibera sulla distribuzione delle rendite della colonia, ma al solo scopo di co­ struire edifici, vie e ponti necessari alla medesima, di dar sussidii ai coloni e di acquistare buone razze di animali, e strumenti. Le rendite poi della colo­ nia si compongono: delle somme accordate dal Go­ verno; dal prodotto della vendita dei terreni, dalle multe pagate dai coloni e dallo sconto del 5 0[0 fatto sul salario dei lavoranti.

Il ricevimento degli immigranti nella colonia è così regolato:

Ogni colono, appena arrivato, è raccolto provvi­ soriamente in un edificio speciale (art. 28); dove durante i primi 10 giorni è mantenuto, nel caso che lo chiegga, a spese della colonia, ma a patto del rimborso all'epoca in cui deve pagare gli altri debiti derivati dalle anticipazioni avute,

Entrato nel possesso del suo lotto, il colono riceve a titolo di dono la somma di 56 franchi e 80 cen­ tesimi (20,000 r é ) , che è parimenti distribuita ad ogni persona della sua famiglia maggiore dei dieci anni e minore dei 50 ; egli riceve ancora le sementi necessarie per le prime piantagioni, gli strumenti rurali indispensabili e una abitazione provvisoria ; ma queste ultime anticipazioni sono segnate a suo debito e quindi le dovrà rimborsare (art. 30 e 31).

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colonie maggiori di 500 abitanti, dal salario degli operai si deduce il 5 per cento a profitto della cassa coloniale.

Quando ì coloni vogliono inviare denaro fuori del Brasile, lo possono consegnare, dietro ricevuta, al direttore, il quale lo trasmette alla tesoreria gover­ nativa che alla sua volta lo spedisce a destino senza alcuna spesa del colono (art. 39).

A maggior tutela del lavoro libero è proibito ehe per qualsivoglia pretesto risiedano schiavi nelle co­ lonie (art. 40).

In tutte le colonie vi sono scuole primarie pei fanciulli d’ambo i sessi e ministri del culto cui ap­ partengono i coloni.

Non mancano pure le misure disciplinari per punire i coloni riottosi e scioperati; dapprima si impiega l’ammonizione che vien data dal direttore della colonia; ma se questa non fa effetto si può procedere all’espulsione che, dietro proposta del di­ rettore, è ordinata dal presidente della provincia.

Nel loro complesso queste disposizioni sono buone ed offrono vantaggi reali agli immigranti, tanto per la modicità del prezzo dei terreni quanto per le an­ ticipazioni di denaro e strumenti che altrimenti non avrebbero potuto avere.

Riguardo ai terreni forse sarebbe bene che si aumentassero le concessioni gratuite; però ogni altro incoraggiamento che si potrebbe offrire sarebbe di un vantaggio molto incerto e problematico. « Poiché, nota il Roscher (Traité d'Economie Politique § 256), non si deve mai dimenticare non esservi profitto alcuno ad accogliere uomini che non possiedono capitali o che non siano buoni operai; e per l’or­ dinario non è la parte migliore della popolazione quella che si decide ad emigrare. Troppo sovente si danno a tal partito gli uomini che per loro colpa a nulla riuscirono nella patria loro e portano seco in un nuovo mondo le loro cattive inclinazioni. » Come va che nel Brasile ed in altri Stati l’emigrante te­ desco è quello che riesce meglio, mentre per emi­ granti di altre razze i favori non sarebbero mai suffi­ cienti? Gli è appunto pel motivo che dalla Germania partono, per solito famiglie laboriose, e fornite di strumenti e di qualche capitale; mentre da altri paesi emigrano piuttosto coloro che lottano colla fame e che hanno la sola illusióne di andar a far fortuna.

Muove certo a compassione, ma non a meraviglia il leggere che sui mari americani veleggiano molte volte dall’uno all’altro lido poveri emigranti che abbandonano un luogo per andare ad un altro e, così errando, sperano trovare una sorte migliore. Gli in­ felici non sanno che per tal modo la loro povertà giunge alla disperazione, che il loro corpo si svigo­ risce e che finiscono per lo più vittime degli stenti e dei malori.

E vero che talvolta sono le turbolenze dei paesi

dove andarono per la prima volta che lì spingono a riemigrare; ma nella maggior parte dei casi è per colpa dell’emigrante medesimo che, predisposto più ad illudersi che a calcolare, schiva il sacrificio e la fatica attuale per correr dietro ad un sognato be­ nessere conquistato senza pena. Non di rado poi succede che l’emigrazione vagabonda è una specu­ lazione. Si va ad un paese non per lavorare, ma per godere dei vantaggi promessi agli emigranti che ar­ rivano, e poi andarsene con altri agenti di emigra­ zione, i quali sono sempre intenti a raccogliere gente senza badare alla qualità degli emigranti.

Così avvenne pure in Russia ed in Prussia. Molti di coloro che furono chiamati da Federigo il Grande a colonizzare la Prussia meridionale andarono solo per ricevere le distribuzioni che erano fatte, ma quando furono consumate non si diedero alcun pen­ siero di lavorare. Si è calcolata così che ogni fa­ miglia di coloni nella Prussia meridionale e nella nuova Prussia abbia costato al tesoro non meno di 1500 talleri (6000 franchi). Noi crediamo che il Brasile non ¡spenda meno e fors’anche con profitto minore.

Se però è vero che il buon esito della coloniz­ zazione dipenda essenzialmente dalla qualità degli emigranti, bisogna tuttavia por mente al sistema adottato nella fondazione delle colonie, e al modo

con cui funzionano i regolamenti.

A tal riguardo leggendo relazioni ufficiali e rela­ zioni private, opuscoli e giornali, vediamo i più svariati giudizi sui sistemi seguiti dal Governo brasiliano per colonizzare il paese. Tutti propongono i loro metodi e, come si suol dire, non si lascia tempo al tempo, ciò che produce quella incostanza nei provvedimenti peggiore di ogni difetto. Però un vero errore com­ messo per l’addietro, e a cui ora si pone riparo, si fu quello di fondare le colonie in luoghi troppo appartati da ogni consorzio sociale. Colà dove ster­ minato spazio di suolo e foreste vergini e fiumi larghissimi e profondi formano una delle più vaste regioni del mondo si può dire che la immensità fu l’origine di questo errore, perchè si volle che d’un tratto l’uomo conquistasse la solitudine. Si era pensato che, disseminandovi tanti piccoli gruppi di abitanti fosse mezzo più spiccio per distendere l’opera dell’uomo; mentre nel fatto avveniva che quelle piccole colonie, a guisa del grano caduto in terreno non preparato, non ¡sviluppavano che a stento, nè potevano dare buon frutto.

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una casa per la direzione. In appresso si designava a ciascun colono il suo appezzamento di terreno ed il luogo dove doveva costruire il suo ricovero, em­ brione della sua casa. Ma niuna via agevole menava a quella colonia o solo veniva costruita a rilento con ingentissima spesa. Lontano era il mare e lon­ tano ogni mercato. Se quindi avveniva che uno vo-' lesse vendere i suoi prodotti al più vicino mercato, era costretto allontanarsi per cinque o sei giorni dal suo campo per recarvisi e colà vendere ad ogni costo la sua merce. Per tal modo il colono sentiva danno e come produttore e come consumatore; imperocché mentre viaggiava non poteva lavorare; sul mercato poi doveva vendere a qualunque prezzo la sua merce per non essere costretto a ricaricarla e correre il rischio di un nuovo viaggio e il prezzo che ne ricavava non doveva essergli vantaggioso, sia per la concorrenza dei prodotti venuti da luoghi più vicini al mercato, sia perchè le spese del tra­ sporto glie lo scemavano di molto. Se poi un com­ pratore qualunque si fosse recato alla colonia era naturale che dovesse dedurre dal valore tutte le spese che incontrava. Come consumatore soffriva per la ragione che se egli avesse voluto comperare oggetti che non erano nella colonia doveva pagarli rincariti pure di tutte le spese di trasporto. Era perciò inevitabile che in tali circostanze le colonie, ben lungi dal prosperare, tirassero innanzi a grave stento e solo con sussidii del Governo. Anzi alcune colonie furono del tutto abbandonate, nella stessa guisa che nelle profonde viscere della terra si ab­ bandona un filone d’oro quando le spese dell’estra­ zione e del trasporto sono sproporzionate all’utile che se ne potrebbe cavare.

All’errore commesso ora però è portato rimedio col costruire molte vie di comunicazione e princi­ palmente col fondare i nuovi gruppi coloniali presso alle ferrovie e ai fiumi navigabili. Così si fece per la colonia di Porto Reai fondata di recente presso alla ferrovia Don Pedro II, e dove si sono stabiliti alcune centinaia di italiani trasportativi per conto dello Stato.

In quanto alla applicazione dei regolamenti, sic­ come le facoltà attribuite al direttore della colonia sono amplissime, così si può dire che dalla mag­ giore o minore capacità di costui dipenda l’esatta osservanza dei medesimi e il prosperare della colo­ nia stessa. Quindi gli stessi regolamenti che fanno buona prova in un luogo falliscono in un altro senza che perciò si possa dir nulla contro i medesimi. È avvenuto, ad esempio, che alcuni direttori fossero presi dalla classe degli impiegati posti a riposo, e allorà è accaduto che costoro, cresciuti fra proto­ colli e scritture, non disimpegnassero bene le loro funzioni.

Però il maggior difetto delle colonie brasiliane è

che non abbiano vita indipendente dai sussidii dello Stato, e tale condizione di cose non è certo favo­ revole allo sviluppo della energia individuale ; ma ciò deriva dalla qualità della maggior parte degli emigranti che, bisognevoli di tutto, arrivano colle sovvenzioni governative, ottengono i poderi e gli strumenti a credito e, se non ci fosse continuamente il Governo a sovvenirli tutto andrebbe a rovina. Il seguente brano del Rélatorio ministeriale del 1871 sta a prova del continuo intervento del Governo a scopo di bene, senza che però vi corrispondano sem­ pre i buoni risultati:

« Poco disposti (gli emigranti) generalmente al lavoro e perduti d’animo alla vista delle grandi dif­ ficoltà contro le quali devono lottare, vedo aumen­ tare ancora di più il loro ozio ed il loro scorag­ giamento col soccorso del Governo, al quale cor­ reva l’obbligo, trovandosi i coloni sotto la tutela amministrativa, di provvedere a tutto le loro neces­ sità cominciando dal primo giorno del loro arrivo e accompagnandoli ad ogni passo per un tempo illi­ mitato, qualunque siano le cagioni del loro disagio » (pag. 27).

Nello stesso Rélatorio ministeriale si riconoscono gli inconvenienti della tutela amministrativa anche per la scelta dei direttori delle colonie dicendo che « non contribuì a diminuire gli inconvenienti della tutela amministrativa la quasi impossibilità di trovar uomini che possiedano i requisiti necessarii al buon disimpegno del difficile incarico di dirigere le co­ lonie. » Per cui ognuno vede come lo stesso Go­ verno brasiliano per primo riconosce che i privati farebbero assai meglio di lui se si mettessero di lena a colonizzare il paese, ma se ancora per lo scarso intervento di costoro il Governo prosegue nella dispendiosa via in cui si è messo, non deve essere ciò motivo per dire che gli immigranti vi sono male trattati, quando invece è forse pei troppi fa­ vori a loro concessi se costoro si abituano a fare piuttosto assegnamento sui sussidii governativi che nel loro lavoro.

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La

Questione del movimento

della

popolazione

in Francia

Mentre noi pubblicavamo nelle nostre colonne un notevole articolo tratto da una celebre rivista tedesca intorno alla statistica della Francia (1) il signor Leonce de Lavergne dirigeva all’Economiste fra n ­ çais una lettera intorno al movimento della popo­ lazione francese, che cagionava in Francia ed all’estero un’emozione assai viva. Questo scrittore attenendosi ai dati attinti dall'Annuario dell’Economia politica si mostrava tristamente impressionato dal fatto del len­ tissimo accrescimento della popolazione francese per l’eccedenza del numero dei nati sopra quello dei morti; questa eccedenza che era stata nel 1872 di 172,936 era d’un tratto discesa nel 1873 a 101,776.

In un solo anno le nascite avevano diminuito di 19,636 ed i decessi si erano accresciuti di 51,524

« Io non voglio entrare qui, diceva il signor de Lavergne nell’esame delle cause. La principale ha dovuto essere la cattiva raccolta del 1873 ma essa non è la sola perchè la riduzione è permanente e sembra prendere il carattere d’una legge. Questa ricerca sarà necessariamente molto lunga e molto complessa. Essa deve essere costante, locale e generale ad un tempo, come lo stesso male. Io mi limito per ora a provocarla. Sembra che il pubblico francese si sia accomodato alla riduzione della popolazione come si è accomodato a veder accrescere il bilancio dello Stato, due fatti che non sono forse estranei l’uno all’al­ tro tanto quanto sembrano. Questa noncuranza deve avere un termine. Essa compromette l’esistenza stessa della nostra nazione perchè non vi è, come diceva Rousseau fino dal XVIIIo sècolo, peggior carestia per uno Stato che la carestia di uomini. Mentre che noi restiamo stazionari o retrocediamo l’Inghilterra e la Germania si accrescono ciascuna di più di 400 mila anime ogni anno ciò che produce loro quattro milioni in 10 anni. »

A queste parole faceva seguito un quadro del movimento della popolazione francese in ogni singolo dipartimento, il quale, benché sfornito di un dato che sarebbe stato utilissimo, il numero cioè degli abitanti di ciascuno di essi, basta per altro a dimostrare che in alcuni l’eccedenza delle nascite sopra i decessi è del tutto insignificante, mentre in venticinque dipar­ timenti è il numero dei morti che supera quello delle nascite.

Il grido di allarme gettato dall’illus.re economista, variamente accolto e commentato dalla stampa se­ condo l’indole dei temperamenti dei varii organi e delle credenze economiche a cui prestano -omaggio, ha indubbiamente per altro prodotto un’impressione profonda e suscitato un movimento notevole affine

di rendersi conto delle principali cagioni del feno­ meno segnalato. Non sono mancati alcuni i quali lungi dall’accuorarsene, lo hanno considerato come

U H f c U l U L 'Ilo ^ U l i u v / U u u . u a m u c ^ g l u i u v l j f f u o l v u u v i i

benessere in seno alla massa della popolazione ed una migliore repartizione della ricchezza nazionale, in conseguenza dell’adeguata proporzione fra l’aumento della popolazione e l’aumento della ricchezza. Ma all’attenzione dei più giudiziosi non è sfuggita una particolarità che risulta dal quadro pubblicato dal signor di Lavergne, che cioè, l’aumento della popo­ lazioni si è mantenuto in condizioni soddisfacenti in alcuni dipartimenti più specialmente dediti alle in­ dustrie, non che in tutti quelli che or sono ancora pochi anni possedevano una grande quantità di terreni incolti ed i cui progressi agricoli sono i piu recenti; in queste località in cui un aumento considerevole di benessere si è realizzato negli anni più recenti si è anche manifestato, come resultato immediato, un au­ mento parallelo nel numero delle nascite. Ma all’in­ contro quelle parti del paese in cui la prosperità agricola rimonta ad un epoca più lontana, nelle quali i progressi da realizzare sono necessariamente meno numerosi e più lenti, e che mancano per altro lato di risorse industriali sono appunto quelle nelle quali si riscontra un’eccedenza nel numero dei morti sopra il numero dei nati.

Questa osservazione che basta a persuadere che vi sono al lento aumento della popolazione cagioni tali da essere riguardate come gravi ostacoli allo svi­ luppo della prosperità nazionale, non basta per altro a darci di esse una completa spiegazione. Un feno­ meno di questa natura ha ordinariamente origine da un numero di cause svariate e complesse che devono rintracciarsi in pari tempo nell’ordine economico e nell’ordine morale. La Francia infatti non ha in nessun punto del suo territorio, confrontata con altre nazioni di Europa, una popolazione tanto densa da j non lasciar posto ai nuovi venuti di stabilirsi e tro­

vare alimento sullo stesso suolo. E se pure l’avesse; come avviene che questa popolazione non tende a dira­ darsi staccandosi dal luogo ove è nata, e cercando fuori del proprio paese i mezzi necessari per la propria sussistenza ? Sebbene non siano le sole ca­ gioni del male notato dal signor di Lavergne, sono per altro indubitatamente due fra le principali quelle citate dal Times, la mancanza cioè di colonie, ed il principio della legge sulle successioni che limita nel padre la facoltà di testare. Il giornale inglese ha ragione vi è un rapporto costante fra il movimento dell’emigrazione e quello della popolazione, che è il resultato di una legge naturale in virtù della quale, l’aumento annuale maggiore della popolazione ed il periodo minore di raddoppiamento si riscontrano presso quelle nazioni che presentono una corrente più forte di emigrazione.

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Consultando le statistiche dell’emigrazione europea si trovano in capo lista fra i paesi che hanno una emigrazione maggiore in relazione al numero degli n l i ì t o n t ì , la lM A m rn 0 ¡n / 1* I n ^ l u l t o o K a o l a G o r m a n i a o l i o sono quelli stessi in cui l’accrescersi della popolazione è più rapido.

Non è più adesso il tempo in cui 1’ emigrazione veniva indistintamente considerata come una grande piaga per la nazione ove essa si riscontrava, da cui dicevasi, allontanare gli uomini i più attivi, ed i ca­ pitali. L’ emigrazione è generalmente un indizio di grande vitalità, ed è al tempo stesso sorgente di grande prosperità commerciale per una nazione. Gli uomini, che escono sarebbero in patria facinorosi mal­ contenti, ma divengono attivi ed intraprendenti al di fuori, essi conservano sempre dei legami con la me­ tropoli , e se anche non ritornano in seno ad essa arrichiti, ne diffondono all’estero le abitudini, i gusti, le idee, e la influenza, ed aprono nuove vie ai suoi prodotti ed al suo commercio.

Il principio della divisione forzata fra i figli dei beni paterni che vige nella legislazione francese ha pure un’influenza considerevole [sopra la sterilità si­ stematica dei matrimoni.

« Dopo di aver scongiurato, dice il signor Le Play, con l’acquisto d’una dote lo smembramento della casa paterna il nuovo capo di famiglia desidera naturalmente di sottrarre suo figlio agl’imbarazzi della stessa prova. Ma dinanzi alla prescrizione della legge egli non ha altro mezzo per raggiungere questo scopo indicato dalla previdenza, che quello di restringere la sua po­ sterità. »

Oltre queste cagioni del lento sviluppo della po­ polazione francese che il Times era fra i primi a segnalare, altre ne sono state enumerate da coloro, e non sono stati pochi, che hanno voluto emettere la loro opinione sopra questo argomento. Lo esami­ narle tutte ci condurehbe assai in lungo, ci conten­ teremo di enunciarne qualcuna delle principali.

Fra le cagioni di ordine morale, si è posto in prima linea l’indebolimento del sentimento religioso che fa riguardare come un peso una numerosa fa­ miglia, considerata altravolta come un titolo di onore e di orgoglio. Senza esagerare di troppo l’importanza di questa osservazione non devesi per altro sdegnare di accordarle un certo peso, specialmente in quanto il sentimento religioso forma parte dei costumi e giova a preservarli dalla corruzione. Egli è certo che le idee ed i profondi convincimenti religiosi contri­ buivano non poco a mantenere alla donna in seno alla famiglia il posto ed il culto che le spettano, essi invitavano l’ uomo a piegarsi più volentieri ai legami matrimoniali, riguardati adesso come insopportabile giogo, e lo inducevano a cercare nei rapporti col sesso più debole una sorgente di doveri da compiere

e di ricompense da sperare, non già di sterili e mo­ mentanei piaceri.

Un’azione diretta a rallentare la fecondità delle famiglie francesi, può affermarsi con molta probabi­ lità di certezza essere anche quella a cui accenna nella sua lettera il signor de Lavergne; cioè la cifra esor­ bitante del pubblico bilancio. Ogni spesa pubblica ha infatti necessariamente per effetto di restringere la rendita su cui può contare ciascuna famiglia, ed im­ poverisce, come giustamente osserva il signor Garnier la popolazione, di cui, una parte, obbligata a maggiori privazioni, soffre anche maggiormente e muore più presto, e l’altra parte si trova costretta a riflettere di più, a limitare volontariamente le nascite, in pre­ visione delle sofferenze, delle privazioni e delle morti. Come ben si vede, queste cause non sono tali che si possano tutte con misure legislative e con prov­ vedimenti amministrativi facilmente remuovere; si tratta di trasformare le tendenze, i sentimenti e le abitudini di una intiera nazione, cosa che può spe­ rarsi soltanto dall’opera di un lunghissimo periodo dì tempo.

Giova frattanto che il male venga avvertito ch’esso sia reso sensibile, che si studi, si analizzi, ed a questo scopo servirà mirabilmente il censimento generale della popolazione che dovrà aver luogo alla fine deil’anno corrente, e che è stato affrettato di un anno con lo scopo appunto di dar soddisfazione ai voti espressi in questa circostanza dalle società di stati­ stica e di economia politica, desiderose di ottenere ragguagli esatti intorno al movimento della popola­ zione francese nel 1876.

Il Socialismo Contemporaneo in Germania

Nel fascicolo del 1° settembre della Revue des Deux Mondes si trova un articolo di Umile di La- veleye intorno al socialismo contemporaneo in Ger­ mania, e a noi pare non senza interesse il riassu­ merne brevemente i punti principali.

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Per arrestare questi progressi inquietanti si propose un articolo di aggiunta al Codice Penale, così con­ cepito: « Colui che eccita pubblicamente le diverse classi della popolazione le une contro le altre in modo da turbare l'ordine pubblico, o che nello stesso modo attacca l’istituzione del matrimonio, della fa­ miglia o della proprietà con discorsi o scritti pub­ blici, sarà punito colla pena del carcere. » Però mal­ grado gli sforzi del ministro dell’ interno e l’ inter­ vento personale di Bismark l’articolo venne respinto alla unanimità, il che prova che il Parlamento del­ l’impero ha più fede nella libera discussione che nei mezzi repressivi. Il ministro dell’ interno in quella occasione espose le idee del partito socialista in Ger­ mania e siccome non fu contradetto dai membri socialisti del Parlamento, pare si possa concludere non avere egli peccato di esagerazione.

Prima del 1875 esistevano in Germania due po­ tenti associazioni socialiste. La prima si chiamava Associazione generale degli operai tedeschi (Allge- meine deutsche Arbeiterverein), fondata nel 1863 dal Lassalle, e il suo principale centro di azione era la Germania del Nord ; la seconda era YAssociazione democratica degli operai ( Democratische Arbeiter­ verein) diretta da Bebel e Liebknecht, e i suoi ade­ renti si trovavano specialmente in Sassonia e nella Germania del Sud.

Mentre la prima, tenendo conto della nazionalità, reclamava l’intervento dello Stato per arrivare gra­ dualmente a una trasformazione della Società, la seconda al contrario si fondava su carattere inter­ nazionale degli interessi della classe operaia e spe­ rava in un movimento rivoluzionario. Ostili dapprima, queste due Società fra loro, in un Congresso tenuto a Gotha nel maggio del 1875, si sono fuse sotto il nome di Partito socialista degli operai tedeschi (Socialistische Arbeiterpartei Deutschlands). L’ u- nione non durò lungamente perchè nel mese di agosto l’Associazione generale degli operai tedeschi tenne una riunione separata a Hambourg.

Il Congresso di Gotha aveva adottato un pro­ gramma che riassume assai nettamente le aspirazioni del socialismo tedesco. Secondo questo programma il lavoro è la sorgente di ogni ricchezza e civiltà, e il suo prodotto totale appartiene alla società che lo rende possibile, cioè a tutti i suoi membri se­ condo i loro ragionevoli bisogni, tutti essendo tenuti a lavorare. Oggi gli strumenti del lavoro sono un monopolio del capitalista ; di qui la servitù delle classi operaie. Per emancipare il lavoro, quegli stru­ menti debbono diventare proprietà collettiva della società, i lavori devono essere governati da regola­ menti sociali, l’impiego in vista della utilità comune, 1 prodotti giustamente repartiti. Quest’opera di eman­ cipazione spetta alla classe operaia, le altre essendo reazionarie. Si tratta di giungere coi mezzi legali a

sopprimere il salariato e le disuguaglianze politiche e sociali, operando dapprima nei limiti della nazio­ nalità, ma senza disconoscere il carattere internazio­ nale della questione operaia, e per parte sua, il partito socialista tèdesco si dichiara pronto ad adem­ pire a tutti i doveri imposti agli operai per attuare la fratellanza degli uomini.

Questo programma somiglia quello formulato in Francia nel 1848 sotto l’influenza delle idee di Louis Blanc. Siccome il partito socialista tedesco entra nella vita politica e manda i suoi rappresentanti al Parla­ mento, esso tiene a far conoscere i mezzi di giungere alla realizzazione delle riforme che prosegue.

A questo proposito domanda la creazione di asso­ ciazioni socialiste di produzione coll’aiuto dello Stato, sotto il sindacato democratico della moltitudine dei lavoranti. Le società di produzione per l’industria e per l’agricoltura debbono essere create sopra una scala assai vasta perchè possa uscirne 1’ organizza­ zione socialista del lavoro generale. Vuole il suffragio universale e diretto per tutte le elezioni e per tutti i cittadini in età di 20 anni ; la legislazione diretta e la decisione popolare della pace e della guerra ; servizio militare universale e milizie cittadine ; abo­ lizione di ogni legge restrittiva dei diritti di riunione, associazione, e delia libera espressione delle opinioni; giustizia gratuita e resa dal popolo, 'istruzione obbli­ gatoria, educazione eguale pei cittadini dallo Stato ; la religione dichiarata oggetto d’interesse privato.

Questo programma di politica pratica non ha nulla di sovversivo perchè ciò che vi è indicato si trova, attuato o in Germania o in Svizzera, tolti i soccorsi alle società di produzione. Ma lo scopo finale è {’or­ ganizzazione socialista del lavoro generale. L’espres­ sione è vaga e non può ricevere qualche determi­ nazione che dall’esame degli scritti da cui è uscita, e questo si propone di fare il Lavaleye.

Il popolo tedesco per l’indole speculativa della sua intelligenza ha accolto le idee socialiste in modo di cui altrove non si ha l’ idea. La borghesia stessa non resiste al movimento e sembra disposta a fare una prova. Il socialismo è penetrato nelle classi su­ periori, nelle accademie, nelle cattedre, e vi sono scien­ ziati che hanno attaccato il mammonismo e il capi­ talismo. « Altrove, dice il Laveleye, non si vede nulla di simile. Esaminiamo i libri eh. hanno pre­ parato questo strano movimento. »

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e che lavorò per diffonderle in Svizzera e nella Ger­ mania del Sud. Nel 1855 pubblicò il primo scritto l ì umanità, ciò che è e ciò che dovrebbe essere (Die Menschheit wie sie ist und sein soll). Nel secondo garanzie e armonie della libertà (Garantien und Harmonien der Freiheit) predica il comuniSmo affa maniera di Baboeuf e di Rousseau.

Quando ai movimenti rivoluzionari del 1818 suc­ cesse un periodo di reazione, 1’ evoluzione delle idee socialiste completamente arrestate in Francia, almeno nelle pubblicazioni, cominciò a prendere un carat­ tere scientifico in Germania. Il prof. Winhelblech, sotto il nome di Mario, pubblicò in fascicoli un’ o- pera importante, che la morte gl’ impedì di com­ pletare — Ricerche sull’ organizzazione del lavoro o sistema di economia politica universale. (Untersu­ chungen über die Organisation der Arbeit oder S y ­

stem der Weltökonomie). — Questo scrittore spinto dalla benevolenza per le classi povere a studiare le cause di tante miserie e che vi dedicò 15 anni, cre­ de che esse risiedano non già nella natura, ma nelle istituzioni e nelle leggi umane. Secondo lui il principio cristiano mano a mano che penetrerà nei costumi e nelle leggi farà regnare 1' equità e rial­ zerà le classi diseredate.

A detta di Mario il diritto di proprietà deve es­ sere stabilito in modo da assicurare l’ impiego più fruttuoso delle forze naturali e da far godere dei frutti del lavoro individuale colui che li ha creati. Quindi la proprietà, quale si è costituita nella società anonima moderna, è il tipo che più conviene alla pro­ duzioneintensiva. Ella congiunge i vantaggi della per­ manenza e della potenza di produzione e della pro­ prietà corporativa a quelli della divisibilità, della mobi­ lità e della individualità della proprietà divisa e privata. Egli ne spera un gran vantaggio pei lavoranti, ma non vede gli ostacoli che, nella condizione pre­ sente, si oppongono a che questa forma divenga così generale quanto potrebbe sperarsi. Del resto egli non disconosce mai i principii della scienza e ripete con Mill che la questione della popolazione domina tutte le altre, e dice come lui o come Garnier che le migliori riforme e i maggiori sforzi non riescono a nulla se la popolazione aumenta più rapidamente delle sussistenze. Ha torto però di attendere troppo dai regolamenti preventivi, di cui 1’ esperienza ha mostrato i danni.

I socialisti tedeschi che hanno una certa fama non hanno immaginato una società nuova e perfetta. Essi conoscono 1’ economia, la statistica, il diritto, le lingue antiche e le letterature straniere e appar­ tengono alle classi agiate, Criticano 1’ ordine presente e mettono in rilievo i mali della società e ci vuole un’ attenzione ben sostenuta per guardarsi dai loro errori.

Dopo Mario viene uno scrittore poco conosciuto e

quasi mai citato anche in Germania, ma i cui scritti brevi e poco numerosi contengono tutte le idee svi­ luppate più tardi da Marx e da Lassalle. Questo scrittore è Rodbertus-Jagetzon, ministro di agricol­ tura in Prussia nel 1818. Il suo sistema è esposto in alcune lettere ripubblicate nel 1875. — Schiarimenti intorno alla questione sociale (Z u r Beleuclitung der socìalen Frage). Egli non è un vero socialista, ma ha fornito le armi al socialismo.

Egli parte dal principio ammesso da Smith e da Ricardo che le ricchezze sono prodotti del lavoro, economicamente considerate. L’ operaio deve porsi al servizio di coloro che possono impiegarlo. Costoro spinti dalla concorrenza a produrre al miglior mercato possibile non gli daranno nulla al di là di ciò che è strettamente indispensabile. Se l’operaio produrrà di più, i prodotti essendo costati meno lavoro, si vende­ ranno a più basso prezzo, e l’ operaio che vive del consumo di questi oggetti meno cari potrà conten­ tarsi di un salario minore. Così la somma dai salari sarà minore quanto più il lavoro diverrà produttivo, Il che è vero, ma ciò dipende da ciò che il capitale impiegato oggi nelle industrie è molto maggiore che in passato, ed esso deve essere remunerato in pro­ porzione. Ma il campo si allarga e d’ altra parte i lavoranti profittano di questo progresso come con­ sumatori.

Quanto alla rendita, Rodbertus crede che essa nasca dall’aumento della produttività del lavoro, e ci sarebbe la rendita anche quando tutte le terre fossero egualmente fertili. Se un uomo coltivando il suolo, ne trae più di quello che gli bisogna per sussistere, dovrà dare questo soprappiù al proprie­ tario. Questi chiederà più che può; ciò che il loca­ tore potrà pagargli, dipenderà dalla quantità dei prodotti ottenuti, dal prezzo di questi prodotti e dalle spese necessarie per ottenerli. Quindi la ren­ dita aumenterà se si ottiene maggior quantità di der­ rate per ogniettaro, se si vendono più care o si pro­ ducono più economicamente. Ne segue che più il lavoro agricolo diviene produttivo, più la parte del proprietario aumenta, e allora quella del coltivatore restando la stessa, diverrà una frazione minima del prodotto totale.

Rodbertus ha dimenticato che se il lavoro agri­ colo è più produttivo, le derrate si venderanno a meno, e i consumatori ne profitteranno, tantoché la rendita non si eleverà. Mill credeva anzi che in questo caso essa scemerebbe. Ricardo aveva ragione di sostenere che l’aumento di popolazione era la causa dell’accrescimento della rendita. Dove poi la terra non manca, il canone di fitto è quasi nullo, sebbene il lavoro sia molto produttivo, come avviene nei paesi nuovi. Dunque la rendita non è necessariamente in proporzione del lavoro agricolo.

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fa del lavoro la sorgente unica del valore. 1 pro­ dotti dovrebbero scambiarsi sulla base della mano d’opera che hanno richiesta. Partendo da quest’idea egli fa il progetto di una istituzione di credito che richiama molto alla mente la banca di scambio di Proudhon. I prodotti rilasciati al dock centrale dall'operaio ven­ gono stimati in proporzione delle ore di lavoro, ed egli riceve un assegnato corrispondente, col quale può comprare nel magazzino sociale ogni altro og­ getto, di cui il prezzo è stabilito nella stessa ma­ niera. Queste idee furono poi esposte sotto nuova forma da Marx, il socialista più influente della Ger­ mania, di cui terremo parola in un prossimo arti­ colo, pur profittando dell’accurato e dotto studio di Emilio de Laveleye.

Le ferrovie e la difesa dello Stato

(V ed i N u m . 122)

XV

Da Terni passa la ferrovia umbra diretta

a Roma, ma nella direzione di Rieti e del­

l’Abruzzo non esiste nessun ramo ferroviario.

Se si vuole adunque difendere ad oltranza la

parte centrale dell’Italia converrà necessaria­

mente costruire un tronco che, partendo per

Rieti vada a congiungersi ad Aquila alla

linea Aquila-Solmona-Pescara. Detto tronco

servirà a porre in comunicazione le nostre

forze principali colle provincie meridionali

adriatiche le quali, nell’ultima fase della lotta,

sono naturalmente destinate a fornire e ap­

provvigionare l’esercito nostro che manovrerà

precisamente a cavallo della indicata ferrovia

e per essa riceverà soccorsi in uomini, mu­

nizioni e viveri.

Finché le nostre truppe sono in possesso

di Terni o di Rieti il nemico difficilmente

potrà procedere nella valle del Tevere contro

Roma, perchè con una marcia di fianco sopra

Orvieto sarebbe facile il riuscire quasi alle

sue spalle e .¡’effettuare una sema minaccia

sulle sue comunicazioni. L’adottare dunque

la linea Terni-Rieti-Aquila per linea princi­

pale d’operazione, porta il grande vantaggio

di obbligare l’avversario ad agire esso pure

nella medesima direzione e perciò in un ter­

reno difficilissimo nel quale la superiorità

numerica poco gioverebbe e dove la difesa

Può ancora sperare, con molta probabilità, di

ottenere un qualche successo. Finché l’eser­

cito Italiano non sarà cacciato dall’altipiano

di Rieti e il nemico non sarà padrone della

gola di Antrodoco che fanno comunicare tale

altipiano coll’Abruzzo, non sarà possibile che

venga tentato un vigoroso colpo contro la

capitale del regno ammenoché la disparità di

forze fra i belligeranti non sia grandissima,

nel qual caso apparisce a tutti evidente quanto

debba essere inutile il parlare di prolunga­

mento della difesa.

La costruzione della ferrovia Terni-Rieti-

Aquila fu da lungo tempo decretata per legge

dal Parlamento, ma attese le tristi condizioni

in cni versava e versa ancora la società delle

ferrovie Romane che aveva 1’ obbligo di co­

struirla, questa legge restò lettera morta, mal­

grado che molto si insistesse dagli interessati

per la costruzione. Anzi nell’altimo progetto

di legge che venne presentato alla Camera

pel riscatto delle ferrovie meridionali e sul

quale venne anche posta la pietra dell’oblio,

il tronco Terni-Aquila-Rieti era stato decisa­

mente abbandonato per collegare invece di­

rettamente l’Abruzzo con Roma mediante un

tronco che partendo da Solmona si dirigeva

alla capitale passando nei pressi del dissec­

cato lago Fucino.

Economicamente parlando non oppugno

l’utilità di un collegamento diretto delle pro­

vincie Abruzzesi con Roma. Ma se si pretende

di prolungare la difesa dell’Italia dopo la per­

dita di Bologna e delle provincie toscane è

assolutamente indispensabile il provvedere

l’Italia Centrale della linea Terni-Rieti-Aquila

per quanto dispendiosa possa esserne la co­

struzione.

(12)

n e c e ssa rie n e ll’ A lta Ita lia quel ram o sa rà sem pre raccom andabile, quando si disponga dei necessari mezzi finanziari.

N elle provincie p ro p riam en te m erid io n ali del regno le ferrovie non possono a v e re uno scopo stra te g ic o o ta ttic o rile v a n te , essendo difficile che sia te n ta ta u n ’invasione in Ita lia dal Sud, con uno sbarco cioè in C alabria, dopo av e r p rim a rid o tta in soggezione la Si­ cilia. Non è adunque n ecessario fare p e r esse racco m an d azio n i di so rta, esprim endo so lta n to il desiderio che sia finalm ente e se g u ita la lin e a Eboli-R eggio p erchè si possa av ere sul v e rsa n te m e d iterran eo d e ll’A ppennino u n a fe rro v ia che co rrisp o n d a in im p o rta n z a a q u e lla che congiunge A ncona a B rindisi sul litto ra le ad riatico.

Armando Gu a r n is s i.

(Giornale dei Lavori Pubblici)

LA DISTRIBUZIONE DELLE TERRE

NEI

COMUNI RURALI DELLA RUSSIA

11 possessore del suolo gode certo di un mono­ polio avendo a sua disposizione un’utilità, un ¡stru­ mento capace di sodisfare a molti suoi bisogni, il quale in certe particolari condizioni, che sole per­ mettano di ricavarne il vantaggio sperato, si trova in quantità limitata e non può venire somministrato dall’ azione della libera concorrenza ad ognuno che si senta la volontà e la capacità di trarne profitto. È un monopolio naturale e necessario la cui giu­ stificazione trae origini dall’organizzazione indispen­ sabile all’esistenza dell’umano consorzio, e la cui legittimità è stata posta in rilievo e chiaramente di­ mostrata da pubblicisti eminenti sugli argomenti dei quali non ci occorre qui di ritornar sopra.

È noto peraltro come dal fatto dell’essere il pos­ sesso del suolo un monopolio, ne bau tolto ragione alcuni socialisti per attaccare il diritto di proprietà nella sua origine e per qualificarlo come un’usur­ pazione ed un furto.

Indipendentemente da tutti gli argomenti che il ragionamento dei filosofi e degli economisti ha svolto per combattere il sofisma posto innanzi da questi socialisti, i quali dimenticano che la terra, come molte altre utilità fornite dalla natura, non si presta alla soddisfazione degli umani bisogni, se non alla condizione di venire modificata mediante il lavoro dell’ uomo ed appropriata a questa soddisfazione coll’opera delle sue braccia e della sua mente; ba­ sta a lavare le origini del diritto di proprietà dalle

accuse di usurpazione e di furto, lo avvertire sem­ plicemente alla immensa superficie di terre incolte, libere all’occupazione dei primi venuti, che esistono tuttora in un gran numero di paesi che non pos­ sono dirsi molto remoti da quelli ove regna la no­ stra civiltà.

Cbe avrehbero detto poi i sostenitori delle teorie socialiste a cui qui accenniamo se avessero saputo che qui nella nostra vecchia Europa, a poca distanza da noi, esistono paesi ove il possesso della terra situata in luoghi perfettamente salubri, viene offerto agli abitanti perchè s’ incarichino di coltivarla, e che essi si mostrano restii ad accettarla, che bisogna forzarli affinchè l’occupino e che questo dono vien da essi considerato come una fortissima gravezza.

Ecco ciò che ci apprende un notevole articolo di una pregiata rivista (Harper’ s Weekly) scritto nel modo brillante che è proprio a quella pubblicazione e che i nostri lettori ci saranno grati di riprodurre perchè ci sembra siugolarmente utile ed istruttivo.

« In tutta la Russia europea, ad eccezione delle provincie vicine alla frontiera, i terreni coltivati di ogni Comune sono divisi in tre grandi campi affin­ chè sia possibile l’applicarvi il sistema di coltura rotatoria triennale che si pratica dai contadini russi. Quando vien bandita una nuova distribuzione di terreni, ognuno dei tre campi vien diviso in un nu­ mero infinito di piccoli scompartimenti, secondo la qualità del terreno, ed ogni scompartimento, o ca­ tegoria di scompartimenti, se ve ne sono diversi della stessa qualità, vien poi suddiviso in tante stri- scie lunghe e strette, corrispondenti al numero delle « anime registrate » ossia individui maschi iscritti nelle note dello stato civile del Comune. Così ad ogni famiglia viene assegnata, in ogni campo almeno una striscia di terreno od anche più d’una, di qualità diverse. Questi pezzi di terreno vengono distribuiti o pel consenso generale o a sorte.

Se i terreni del Comune bastano per l’appunto a sodisfare i bisogni dei membri di esso, i capi delle famiglie giungono facilmente ad intendersi e si accordano sul numero di striscie che ognuno di loro deve addossarsi; ma se il terreno ,è troppo grande in confronto della popolazione; o povero di qualità, ognuno cerca di averne meno che può per pagar meno. In tali occasioni avvengono spesso delle discussioni vivacissime e chi vi si' trovasse presente udrebbe press’ a poco dei dialoghi di questo genere.

« — Andiamo Ivan — dice a uno degli astanti un vecchio contadino che sembra avere una certa autorità, — sei un uomo gagliardo ed hai un figlio che è un bel pezzo di giovane, capace di lavorare per due. Tu devi prendere almeno tre striscie di terreno.

(13)

e la mia vecchia non ne può più, ha appena la forza di mettere il cavolo nella pentola. Per Dio non posso !

« — La tua moglie è vecchia e debole, la tua figliastra, però è forte, forte come un piccolo ca­ vallo!...

« Un bisbiglio che si ode da un lato della folla fa intendere che la fanciulla di cui si parla è fra gli spettatori.

« — Davvero non è possibile — seguita a pro­ testare Ivan.

« — Eppure non c’è rimedio — ripete il vecchio con tuono autorevole. — Bisogna bene che a qual­ cuno vengano aggiudicate le anime (striscie) che rimangono. Voi dovete prenderne tre.

« — Dategliene tre e mezzo — grida una voce fra la folla.

« Questa proposta eccita un mormorio confuso di al e di no finché i no ottengono la maggioranza ed i sì vengono ridotti al silenzio. Un grido generale di « tre, tre » decide la questione.

« — È la volontà del Mir — osserva Ivan grat­ tandosi la testa dalla parte di dietro, mentre ab­ bassa gli occhi in alto di dispiacere e di rassegnazione. « — Ed ora a te, Prascovia; quanta terra ti tocca — chiede il vecchio ad una donna che è presente con un bambino in collo.

« — Io sto agli ordini del Mir — risponde Pra­ scovia abbassando la testa.

« — Benissimo ; tu dovresti avere una striscia e mezzo.

« —- Che dite mai, caro padre? — esclama la donna mettendo a un tratto da banda il suo conte­ gno sommesso. — Avete inteso voialtri ortodossi? Mi vogliono caricare di un’anima e mezzo. S’è mai sentita dire una cosa simile? Dal giorno di S. Pie­ tro in poi ho il marito inchiodato nel letto, pare stregato, perchè nulla riesce a farlo guarire. Non può mettere i piedi in terra; proprio come se fosse morto ; non mangia che del pane.

« — T u dici delle sciocchezze, — mormora al l’orecchio della donna un suo vicino — è stato visto nel kabak (osteria) la settimana passata.

« — E tu — grida irritata Prascovia, deviando dall’argomento trattato fin allora, — che cosa fa­ cesti l’ultimo giorno di festa? Non fosti tu che ti ubriacasti e bastonasti la moglie in modo che le sue grida svegliarono tutto il villaggio? E questo non prima di domenica passata?

« _ Uditemi, — dice il vecchio severamente, arrestando ad un tratto quel torrente d’invettive, e volgendosi alla ionna: — Tu devi prendere almeno una striscia ed un quarto. Se non potrai coltivarla tutta da te prenderai chi t’aiuta.

« — Ma come devo fare? Chi mi dà i denari per pagare un’opra? — grida la donna alterata e i

piangente. — Abbiate pietà, o ortodossi, dei poveri orfani ; Dio ve ne ricompenserà certamente ! — E via di seguito su questo tuono.

« Non stancheremo ulteriormente il lettore con altre descrizioni di simili scene che sono sempre lunghis­ sime e spesso violente; basti il dire che tutti gli astanti hanno grande interesse in quelle discussioni, perchè l’aggiudicazione dei terreni essendo cosa di somma importanza per il contadino russo, egli non finirebbe mai, su questo argomento, di parlare e di discutere. Una volta deciso quanti pezzi di terra debba ricevere ogni famiglia, si passa alla distribu­ zione dei lotti, nuova fonte di difficoltà. Le famiglie che hanno lavorato e coltivato bene le loro terre, desiderano di riaver quelle, e il Comune accoglie gene­ ralmente i loro reclami finché questi sono consentanei al nuovo assetto di cose; ma spesso avviene che le pretensioni dei privati non vanno d’accordo cogli interessi del Comune, ed in tali casi le prime sono sacrificate ai secondi, in un modo che non sarebbe tollerato da nessun’ altra razza europea, che non fosse la russa. »

IL BILANCIO DELLA CITY

Ognuno sa che quella parte della città di Londra conosciuta sotto il nome di City forma una corpo- razione a sè, che ha i suoi propri magistrati, la sua propria amministrazione ed il suo proprio bilancio.

Il lord mayor che è alla testa di questa ammi­ nistrazione e che vi regna quasi come sovrano fa­ cendo a gara con i suoi predecessori di grandezza e di lusso fastoso, rimane in ufficio durante un anno ed all’appressarsi dell’epoca in cui deve lasciare il palazzo municipale (Mansion House) pubblica una specie di rendimento di conti della sua amministra­ zione, che è il bilancio della corporazione della city. Questo documento conserva sempre in molte parti un carattere di antichità singolarissimo ed è tuttora redatto sotto forma di un libro di conti di una corporazione medioevale. Troviamo nel Times un lungo resoconto del bilancio teste presentato dal lord mayor che sarà fra qualche giorno sul punto di lasciare la sua carica e ci asteniamo dal ripro­ durre la lunga serie di cifre componenti questa arida ed intrigata contabilità, che potrebbe presen­ tare un interesse assai modico, ma stimiamo per­ tanto che alcuni pochi dettagli tolti in qua in là da quel resoconto siano meritevoli di essere notati.

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