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COLLEGIO DI ROMA. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa. dei clienti FATTO

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(1)

COLLEGIO DI ROMA

composto dai signori:

(RM) SIRENA Presidente

(RM) POZZOLO Membro designato dalla Banca d'Italia

(RM) SCIUTO Membro designato dalla Banca d'Italia

(RM) RUPERTO Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(RM) CHERTI Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore SCIUTO MAURIZIO

Seduta del 19/01/2018

FATTO

1. La ricorrente afferma di essere l’unica erede del signor D.L., deceduto in data 25.6.2010, già titolare di un rapporto di conto corrente bancario presso la banca convenuta. In tale sua qualità di erede ha più volte chiesto all’intermediario, senza esito, di chiudere il conto del de cuius e di liquidare a suo favore il saldo su di esso presente alla data del decesso. Con ricorso a quest’Arbitro, chiede quindi che la banca chiuda il conto e le accrediti il saldo residuo alla data di decesso del defunto.

2. Nelle sue controdeduzioni l’intermediario rappresenta che alla data del decesso (25.6.2010) del signor D. L., la ricorrente era titolare di procura a valere sul di lui conto corrente. Tale conto è stato infine estinto in data 1.3.2017, con saldo di euro 0,00, come da rendicontazione allegata in atti già inviata alla ricorrente, così informata dell’estinzione.

Ciò, peraltro, in quanto medio tempore si verificavano i seguenti fatti.

La notifica dell'avvenuto decesso del correntista perveniva alla banca undici giorni dopo, e cioè in data 6.7.2010 mediante una comunicazione telematica da parte dell'INPS. In tale periodo, la giacenza sul conto, che alla data del decesso era di € 1.580,35, era peraltro stata ridotta - per effetto di talune operazioni sul conto medesimi, compresi alcuni prelievi (come documentato) - ad € 72,38, come da saldo al 30.6.2010.

A partire da un anno dopo circa, pervenivano alla banca talune missive della ricorrente (in data 12.5.2011, 13.5.2011, 12.7.2011, 2.9.2011) con le quali, tramite un legale, veniva richiesta alla banca la liquidazione degli eventuali importi spettanti a definizione della pratica di successione.

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Le richieste venivano riscontrate dalla banca a circa cinque mesi di distanza dalla prima delle suddette richieste, con una comunicazione del 5.10.2011 nella quale si informava la ricorrente che, per poter procedere alla regolarizzazione della pratica di successione, era necessaria la presentazione dell'atto notorio comprensivo del dato riferito al decesso del signor D. L.

3. Passati circa altri quattro anni, la ricorrente, con lettera del 7.12.2015, chiedeva nuovamente l'estinzione del conto ed il contestuale riconoscimento del saldo alla data del decesso del signor D. L., allegando ulteriore documentazione al fine del perfezionamento della pratica successoria. Ciononostante – rappresenta la resistente - la dichiarazione di successione che in tale occasione le veniva fornita dalla ricorrente era irregolare, poiché priva dell'indicazione del saldo del conto corrente intrattenuto dal de cuius presso il resistente, così che per questa ragione non era possibile emettere la quietanza liberatoria.

4. In definitiva, conclude la resistente, il protrarsi dei tempi della pratica successoria sono imputabili all’incompleta documentazione presentata dalla ricorrente e ai lunghi intervalli con i quali quest’ultima ha dato corso alle richieste di integrazione documentale della banca. Nel frattempo, tuttavia, le spese di gestione del conto, come documentate, hanno determinato il formarsi di un saldo negativo, che comunque è stato azzerato dalla banca al momento dell'estinzione.

In ragione di tutto ciò, la banca resistente chiede il rigetto del ricorso.

DIRITTO

5. Dalla incompleta documentazione presente in atti, si ricava che dopo la morte del signor D.L., titolare di un conto corrente con un saldo attivo di € 1.580,35, il conto subì dei prelievi – non contestati dalla ricorrente - che determinarono la riduzione del saldo ad € 72,38 al 30.6.2017, per poi progressivamente azzerarsi sino alla data della sua estinzione operata dalla banca, in ragione dei periodici addebiti operati dalla banca sul conto stesso delle sue spese di gestione. Inoltre, non è contestato dalla resistente, e può quindi darsi per pacifico e provato, che la ricorrente sia unica erede del titolare del conto corrente de quo.6. Non consta prova invece che la ricorrente avesse una procura ad operare sul conto;

né che la banca abbia avuto notizia del decesso prima del 6.7.2010, come da essa stessa documentato; né di quale documentazione la ricorrente avesse inizialmente allegato alla sua richiesta di chiusura del conto e la liquidazione del saldo. Solo risultano in atti, piuttosto, alcune comunicazioni successive (a partire dal 12.5.2011) nelle quali, peraltro, il legale della ricorrente rappresenta di aver già prodotto copia del testamento olografo del de cuius e l’atto notorio, ed inoltre che la banca aveva già precedentemente comunicato

“l’estinzione del contratto di conto corrente a far data dal 15.11.2010” (così, in particolare, nella comunicazione del 12.5.2017).

7. Peraltro, è dato notare che entrambe le parti hanno mostrato una sorprendente inerzia nei reciproci scambi (fermo restando comunque che la tempestività, nei carteggi come quello esaminato, rileva come onere per il cliente e come obbligo per l’intermediario):

- così, dunque, la banca, nel riscontrare soltanto a circa cinque mesi (ma verosimilmente ancor di più) di distanza, nell’ottobre 2011, la prime delle richieste della ricorrente prodotte in atti (quella del 12.5.2011 che tuttavia, come visto, menzionava una richiesta ancora precedente al novembre 2010);

- così, dal canto suo, la ricorrente, che (almeno da quanto risulta in atti) solo a distanza di quattro anni, nel dicembre 2015, riscontrò le richieste di integrazione documentale comunicate dalla banca nell’ottobre 2011;

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- e così, di nuovo, la banca, che a quest’ultima comunicazione della ricorrente risalente al 2015 non sembra aver dato più seguito; salvo poi chiudere il conto, il cui saldo frattanto era divenuto passivo in ragione delle spese che essa via via addebitava unilateralmente, nel marzo 2017; e salvo adesso motivare – nelle sue controdeduzioni, ma giammai in alcun riscontro alla ricorrente – che la documentazione integrativa ricevuta da quest’ultima doveva ritenersi in realtà incompleta, poiché la dichiarazione di successione trasmessa risultava “priva dell'indicazione del saldo del conto corrente” già intestato al de cuius.

8. Tanto precisato, per meglio definire i termini di quanto in questa sede occorre decidere, occorre innanzitutto rilevare come:

- ad oggi, il conto corrente in discorso sia stato comunque chiuso: sicché, da questo punto di vista, risulta assorbita la domanda di chiusura proposta dalla ricorrente, oramai esaudita (seppure con ritardo rispetto a quando venne inizialmente richiesto);

- il saldo potenzialmente oggetto di rimborso alla ricorrente non può in ogni caso essere, come da essa richiesto, quello giacente sul conto corrente del de cuius alla data del suo decesso.

Difatti, prima che la banca ricevesse notizia della morte del signor D.L., il conto subì dei prelievi, apparentemente compiuti da persona legittimata a disporne (verosimilmente la stessa ricorrente, se munita di procura come affermato ma non provato dalla resistente;

ma in ogni non contestati dalla ricorrente) che pertanto la banca non avrebbe potuto e dovuto in ogni caso impedire. Così che, avendo tali prelievi determinato una riduzione del saldo ad € 72,38, è a tale importo che, al massimo, può commisurarsi la richiesta di rimborso della ricorrente.

9. Tanto ulteriormente definito, e prendendo atto che la prima richiesta di chiusura del conto della ricorrente che risulta in atti porta la data del 12.5.2011 (seppure menzioni una non meglio precisata richiesta precedente seguita da un riscontro della banca del 15.11.2010, delle quali tuttavia non consta alcuna evidenza in atti), la questione centrale, in punto di diritto, diviene quella di stabilire a quale data il conto corrente dedotto in lite avrebbe dovuto considerarsi chiuso, o comunque essere chiuso dalla banca, e quale sia conseguentemente l’eventuale connesso credito della ricorrente alla liquidazione del saldo, se attivo, risultante al momento della chiusura.

10. Rispetto ad una tale questione giuridica, vengono rappresentate – così in dottrina come nella stessa giurisprudenza di quest’Arbitro – due contrapposte posizioni:

a) l’una - rappresentata anche da parte della dottrina commercialistica (G. Ferri, Conto corrente di corrispondenza, Enc. dir., IX, 1961; Porzio, Il conto corrente bancario, in Angelici-Belli-Greco-Porzio-Rispoli Farina, I contratti delle banche, Torino, p. 98, nt. 202) e condivisa da questo Collegio (decisioni nn. 5442/2016; 3410/2015; 7726/2014) - secondo la quale, analogamente a quanto desumibile dalla disciplina del conto corrente ordinario (art. 1833, c.c., secondo cui che gli eredi possano recedere dal rapporto, che così si sottintende proseguire), in caso di morte del correntista il rapporto prosegue in capo agli eredi;

b) e un’altra invece - affermata invece da altre decisioni di quest’Arbitro (Coll. Milano, n. 1931/2014, Coll. Napoli, n. 2189/2016; Coll. Roma, n. 1931/2014; Coll. Napoli, n.

4402/2014) nonché sottintesa da Cass., sez. I, 21.4.2000, n. 526 – secondo la quale la morte del correntista, ad instar di quella del mandante (art. 1722, c.c.), determinerebbe l’estinzione del rapporto (salvo sovente soggiungersi e specificarsi che una tale estinzione si produrrà solamente dal momento in cui la banca-mandataria abbia effettiva contezza del decesso del correntista-mandante, e non al momento della morte di quest’ultimo, se precedente).

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Tanto si argomenta - dalla giurisprudenza sopra citata nonché da altra dottrina rispetto a quella sopra citata (Molle, I contratti bancari, Milano, 1981, p. 561; Salanitro, Le banche e i contratti bancari, Torino, 1983, 176 ss.; Perassi, La banca: L’impresa e i contratti, Padova, 2001, p. 526) - da una parte segnalando come il citato art.1833, c.c., in tema di conto corrente ordinario, non sia compreso fra quelli espressamente richiamati dalla disciplina del conto corrente bancario (art. 1857, c.c.); e d’altra parte reputando a tale contratto applicabile, piuttosto, la disciplina del mandato, alla cui causa in effetti sarebbe assimilabile, almeno in parte qua, quella del contratto di conto corrente bancario.

11. Tanto osservato, ritiene questo Collegio di confermare la tesi sopra ricordata sub a), secondo la quale la morte del correntista non determina l’estinzione automatica del rapporto di conto corrente bancario, bensì la sua prosecuzione con subentro nel rapporto dei suoi eredi, e salva ovviamente la facoltà di entrambe le parti di recedere successivamente dal rapporto contrattuale così proseguito.

12. In effetti, da questo punto di vista, non pare che nel rapporto di conto corrente bancario come tale (al netto cioè delle eventuali ulteriori condizioni derivanti da altri rapporti contrattuali regolati su quel conto) - attesa la tendenziale ed equivalente affidabilità della controparte bancaria, almeno in principio assicurata dalla disciplina pubblicistica che regola l’attività di qualsiasi banca - possa ravvisarsi quell’intuitus personae normalmente sotteso alla scelta del mandatario e che allora, secondo l’art. 1722, c.c., giustifica la normale estinzione del contratto di mandato in caso di morte del mandante.

13. D’altra parte, il dato letterale per cui l’art. 1833, c.c. – come visto dettato in materia di conto corrente ordinario e che sottintende, al suo secondo comma, la normale prosecuzione del contratto con gli eredi – non risulta citato fra le norme del conto corrente ordinario richiamate dalla disciplina del conto corrente bancario (art. 1857, c.c.), sembra dipendere piuttosto dalla circostanza, da questo punto di vista neutrale, che nella disciplina del conto corrente bancario già viene dettata un’espressa disciplina in tema di recesso, così che non avrebbe avuto senso richiamare l’art. 1833, c.c. (che infatti, in tema di conto corrente ordinario, è volto a regolare prevalentemente, già nella sua rubrica, il recesso dal contratto), anziché trovare fondamento in qualche insanabile scarto causale fra i due tipi di conto corrente, tale per cui non potrebbe in nessun caso ammettersi l’applicazione al conto corrente bancario della norma - dettata dal secondo comma dell’art.

1833, secondo comma, c.c. - volta a disciplinare la sorte del contratto in caso di morte del correntista (fattispecie che invece non viene regolata nella disciplina del conto corrente bancario).

14. Ed infatti - pure al netto delle discussioni, peraltro oramai superate, che all’indomani dell’emanazione del Codice Civile indussero a dubitare della autonoma natura contrattuale del regolamento delle “operazioni bancarie in conto corrente” di cui agli artt. 1852 e ss., c.c. - in altra parte della legislazione commercialistica emerge chiara, piuttosto, un’assimilazione funzionale del contratto di conto corrente ordinario al contratto di conto corrente bancario.

Si fa riferimento, in particolare, all’art. 72 della legge fallimentare, ove trova unitaria disciplina l’incidenza dell’apertura di fallimento su “i contratti di conto corrente, anche bancario, (…)”: contratti che in tal modo vengono perfettamente assimilati (con una regola che, peraltro, deroga allo stesso art. 1833, c.c., secondo cui la mera insolvenza di una delle parti, al pari della loro morte, non determinerebbe l’estinzione del contratto).

E non solo: la stessa disciplina dell’art. 72, l.f., distingue poi gli effetti del fallimento sul contratto di conto corrente, “anche bancario” come detto, da quelli sul contratto di mandato. Il quale invece, secondo l’art. 72 l.f., si scioglierà solamente per il fallimento del mandatario, ma non del mandante. Ove allora solo per tale tipo di contratto si riconosce

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rilevanza determinante al profilo dell’intuitus personae (riferibile solo al mandatario);

mentre per i contratti di conto corrente ordinario e bancario pare essersi riconosciuta, piuttosto, un’autonoma importanza ai rischi, nel fallimento, di una prosecuzione dei normali rapporti di dare/avere incompatibili con la cristallizzazione della massa passiva, a prescindere da ogni rilevanza della persona dei contraenti.

15. Ribadita dunque la regola, affermata già in altre pronunce di questo Collegio, per cui la morte del correntista non è causa di automatica estinzione del contratto di conto corrente bancario, ed affermato quindi - per tornare al caso di specie - che la morte del signor D.L., anche dopo la sua notizia pervenuta alla banca, non determinò l’estinzione automatica del rapporto dedotto in lite, proseguito piuttosto in capo alla ricorrente, sua unica erede; pure bisogna considerare, poi, che - come sopra ricordato - la ricorrente, quantomeno al 12.5.2011 (se non prima), aveva comunque richiesto alla banca convenuta la liquidazione del saldo residuo del conto, assumendo, e comunque con ciò confermando la volontà, che il conto fosse già stato estinto al 15.11.2010, come a suo dire già comunicatole dalla banca; ed anzi proprio sulla base di tale assunto la ricorrente lamentava quanto fosse ingiustificata la renitenza dalla banca a provvedere alla liquidazione.

16. Se così è, in definitiva, deve affermarsi che quantomeno alla data dal 12.5.2011 la banca avrebbe dovuto prendere atto della chiusura del conto corrente e che quindi il relativo saldo, se ancora attivo, costituisse oramai un credito liquido dell’erede. Senza che pertanto, da allora in poi, la banca potesse legittimamente continuare ad addebitare sul saldo residuo le ulteriori spese di gestione di un rapporto contrattuale oramai chiuso.

17. Per inciso, si osservi che altro, rispetto al profilo qui rilevante della liquidità del credito dell’erede, potrebbe essere il profilo della sua esigibilità: per il quale normalmente la banca presso cui il conto è aperto non dovrebbe “pagare” quanto di spettanza degli eredi prima di avere ottenuto, anche a fini antielusivi perseguiti dalla normativa speciale, l’invio della dichiarazione di successione dell’erede.

Secondo il Testo Unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni (d.lgs 31/10/1990 n. 346), infatti “La dichiarazione della successione deve essere presentata all’ufficio del registro competente, che ne rilascia ricevuta (…) Sono obbligati a presentare la dichiarazione: i chiamati all’eredità e i legatari (…)” (così i commi 1 e 2 dell’art. 28 – “Dichiarazione della successione”); mentre d’altra parte “I debitori del defunto ed i detentori di beni che gli appartenevano non possono pagare le somme dovute o consegnare i beni detenuti agli eredi, ai legatari e ai loro aventi causa, se non è stata fornita la prova della presentazione, anche dopo il termine di cinque anni di cui all’art. 27, comma 4, della dichiarazione della successione o integrativa con l’indicazione dei crediti e dei beni suddetti, o dell’intervenuto accertamento in rettifica o d’ufficio, e non è stato dichiarato per iscritto dall’interessato che non vi era obbligo di presentare la dichiarazione.

(…)” (così il comma 3 dell’art. 48 – “Divieti e obblighi a carico di terzi”).

Peraltro, nel caso di specie, risultando dalla documentazione in atti che la ricorrente era la moglie del defunto, andrebbe anche ricordato che essa non sarebbe stata tenuta a presentare la dichiarazione di successione, atteso che secondo l’art 28 del citato d.lgs. n.

346/1990: “non vi è obbligo di dichiarazione se l’eredità è devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta del defunto e l’attivo ereditario ha un valore non superiore a lire cinquantamilioni e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari, salvo che per effetto di sopravvenienze ereditarie queste condizioni vengano a mancare”. Sennonché, come sopra visto, sarebbe stato onere della ricorrente quello di dichiarare per iscritto alla banca che, nel caso di specie, “non vi era obbligo di presentare la dichiarazione”.

18. In ogni caso, constando in atti come la dichiarazione di successione della ricorrente sia infine pervenuta alla banca nel dicembre 2015 (senza che al riguardo assuma alcuna

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rilevanza normativa, per l’esigibilità del credito, che il relativo importo venga dichiarato nella dichiarazione, come invece eccepito dalla resistente), non residuava a quel punto alcuna ragione perché la banca non regolasse finalmente il saldo, se positivo, risultante alla data della chiusura del conto.

Chiusura che in questa sede viene quindi accertata, per quanto sopra detto, al 12.5.2011:

così che la banca sarà tenuta a corrispondere alla ricorrente il saldo a tale data risultante dal conto corrente di cui al ricorso, oltre ad interessi legali.

PER QUESTI MOTIVI

Il Collegio dispone che l’intermediario corrisponda alla ricorrente il saldo risultante alla data del 12 maggio 2011.

Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla parte ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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