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CORRELAZIONE TRA ADOZIONI E PRESENZA DI PROFESSIONISTI IN CANILE

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Academic year: 2022

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE MEDICO – VETERINARIE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE A CICLO UNICO IN MEDICINA VETERINARIA

Laureanda:

STIPPI ELISA

Anno Accademico 2018 / 2019

Relatore:

Prof. QUINTAVALLA FAUSTO Correlatore:

Dott.ssa CAO SIMONA

CORRELAZIONE TRA ADOZIONI E PRESENZA DI PROFESSIONISTI IN CANILE

CORRELATION BETWEEN ADOPTIONS AND PROFESSIONAL

FIGURES IN KENNEL

(2)

1

... 3

... 4

... 5

1.1. LE ORIGINI DEL Canis Lupus Familiaris ... 5

1.2. IL RAPPORTO UOMO-CANE NEL XX E XI SECOLO... 6

1.3. DA DARWIN ALL’APPROCCIO COGNITIVO ZOOANTROPOLOGICO ... 8

1.3.1. TEORIA DELL’EVOLUZIONE, ETOLOGIA CLASSICA E COMPORTAMENTISMO ...8

1.3.2. SCIENZA COGNITIVA ...10

1.3.3. PSICOLOGIA POST-RAZIONALISTA E PSICOTERAPIA SISTEMICO-RELAZIONALE ...15

1.3.4. ZOOANTROPOLOGIA ...16

1.3.5. APPROCCIO COGNITIVO ...18

1.3.6. APPROCCIO ZOOANTROPOLOGICO O RELAZIONALE ...29

... 32

2.1. NORMATIVA DI RIFERIMENTO... 32

2.1.1. NORMATIVA DI RIFERIMENTO NAZIONALE...32

2.1.2. NORMATIVA DI RIFERIMENTO REGIONALE: EMILIA-ROMAGNA ...34

2.2. CANILE CENNI STORICI... 35

2.3. I PUNTI CRITICI DEL CANILE TRADIZIONALE ... 40

2.4. ANALISI STRUTTURALE: REQUISITI DI BASE ... 44

2.5.IL POLO ZOOANTROPOLOGICO ... 50

2.5.1. TRASFORMAZIONE STRUTTURALE DEL CANILE ...51

2.5.2. TRASFORMAZIONE GESTIONALE DEL CANILE ...65

2.5.3. IL PROCESSO DI ADOZIONE NEL CANILE DI NUOVA GENERAZIONE ...70

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2

... 87

3.1. MEDICO VETERINARIO ... 88

3.1.1. MEDICO VETERINARIO SANITARIO ...89

3.1.2. LA MEDICINA COMPORTAMENTALE ...90

3.1.3. MEDICO VETERINARIO ESPERTO IN COMPORTAMENTO ...92

3.1.4. IL RUOLO DEL MEDICO VETERINARIO ESPERTO IN COMPORTAMENTO IN CANILE ...93

3.2. EDUCATORE ED ISTRUTTORE CINOFILO ... 94

3.2.1. CHI SONO L’EDUCATORE E L’ISTRUTTORE CINOFILO? ...94

3.2.2. ADDESTRAMENTO vs PEDAGOGIA ...96

3.2.3. IL RUOLO DELL’EDUCATORE E DELL’ISTRUTTORE CINOFILO IN CANILE ...97

3.3. OPERATORI E VOLONTARI ... 98

3.4.ALTRE FIGURE ... 101

... 102

4.1. MATERIALI E METODI ... 102

4.2. RISULTATI ... 103

4.3. DISCUSSIONE ... 124

4.3.1. FIGURE PROFESSIONALI ...124

4.3.2. ATTIVITÀ SVOLTE IN CANILE ...125

4.3.3. PARAMETRI FUNZIONALI DEL CANILE ...133

4.3.4. CORRELAZIONI ...138

... 143

... 145

ALLEGATO 1: QUESTIONARIO ...157

ALLEGATO 2: ELENCO CANILI ...158

ALLEGATO 3: POLO ZOOANTROPOLOGICO ...159

ALLEGATO 4: PIANTA LEGENDA ...160

ALLEGATO 5: LEGENDA I...161

ALLEGATO 6: LEGENDA II ...162

(4)

3

Traditional kennel shows a series of structural and managerial critical points (lack of re- sources, degradation, lack of training, professionalism and services) which affect negative- ly the adoption process, increase the risk of dog abandonment or returns and reinforce an incorrect representation of the dog and the kennel structure.

From all this comes the need for a transition from traditional kennel to zooanthropological kennel, which has the focus on the relationship between man and dog.

In order for this change to take place the infrastructure must be restructured and the kennel have to switch from an amateur management to a business management, ensure the crea- tion of multidisciplinary teams, ensure continuous internal education and become the cen- tre of dog culture.

Starting from these premises, the objective of this research was to assess whether there is a correlation between the professional figures present in kennel, the activities that are con- sidered fundamental for the correct functioning of the structure (and by whom they are car- ried out) and the functional parameters of the kennel.

The thesis is composed of a first descriptive part in which the man-dog relationship, the kennel and the professional figures are presented from a cognitive-zooanthropological per- spective, while the second part is reserved for data collection, the presentation of results and their description.

Despite the fact that no significant relationships between professional figures or activities and the functional parameters have been highlighted, the research has shown a tendency to change, but in the perspective of transformation, the work inside the Italian kennels have a long way to go.

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Il canile tradizionale presenta una serie di punti critici di natura strutturale e gestionale (as- senza di risorse, degrado, assenza di formazione, professionalità e servizi) che si ripercuo- tono negativamente sul processo di adozione, aumentano il rischio di abbandoni/rientri e rafforzano una rappresentazione errata del cane e della struttura canile.

Da tutto questo nasce l’esigenza di una transizione verso il canile zooantropologico, che ha come focus la relazione uomo-cane.

Affinché questo cambiamento possa avvenire occorre adeguare le infrastrutture, passare da una gestione amatoriale ad una gestione aziendale, garantire la creazione di una équipe multidisciplinare, garantire la formazione e l’aggiornamento continuo e diventare il centro della cultura cinofila.

Partendo da queste premesse l’obiettivo della ricerca è quello di valutare se esistono corre- lazioni tra le figure professionali presenti in canile, le attività che si ritengono fondamentali per il corretto funzionamento della struttura (e da chi vengono svolte) e i parametri funzio- nali del canile.

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5

1.1. LE ORIGINI DEL Canis lupus familiaris

Negli ultimi 20 anni si assiste ad una “riscoperta” del cane da parte del mondo scientifico (Pescini Marshall, 2018).

Innanzitutto l'analisi del genoma del Canis lupus familiaris (cane domestico) e del Canis lupus (lupo) ha permesso di dimostrare che il primo non deriva direttamente dal secondo, ma che entrambi hanno un progenitore in comune da cui si sono originati (Vilà, et al., 1997; Lindblad-Toh, et al., 2005).

Una domanda sorge spontanea: quando è avvenuta la differenziazione del cane domestico?

Questo quesito è ancora oggi argomento di dibattito all’interno della comunità scientifica.

Diversi studi genetici (Axelsson, et al., 2013; Freedman, et al., 2014; Wang, et al., 2013;

Larson, et al., 2014; Gray, et al., 2009) stimano la differenziazione cane-lupo tra gli 11.000 e i 16.000 anni fa.

Al contrario gli studi paleontologici (Germonpre, et al., 2006; Ovodov, et al., 2011;

Druzhkova, et al., 2013; Thalmann, et al., 2013) collocano la comparsa dei primi cani in- torno al 36.000 a.C. e comunque prima dell’Ultimo Massimo Glaciale (Last Glacial Ma- ximum 20.000 a. C. circa).

Un nuovo studio genetico (Skoglund, et al., 2015) basato su un fossile di lupo datato 35.000 anni fa, proveniente dalla penisola di Taimyr nel nord della Siberia, ha permesso di dimostrare che:

- la comparsa del cane domestico può essere avvenuta prima di quanto stabilito dai precedenti studi genetici (inoltre questa datazione è coerente con i precedenti rilievi paleontologici);

- l’iniziale differenziazione tra cane e lupo non deve per forza coincidere con la do- mesticazione perpetuata dall’uomo;

- l’antenato delle razze canine odierne discende da più eventi di domesticazione.

In questo processo evolutivo quando si colloca l’incontro tra uomo e cane?

Probabilmente non si avrà mai una risposta definitiva a questo quesito.

Le prime testimonianze della presenza del cane arcaico nelle comunità umane si collocano a cavallo tra il Paleolitico superiore e il Neolitico, ovvero nel momento di passaggio da nomadismo a sedentarietà (Bigozzi, 2018).

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6

Nonostante l’incertezza storica, si possono fare due ipotesi circa l’avvicinamento di queste specie:

- i cani arcaici condividevano con l’uomo le stesse prede e soprattutto erano attratti dagli scarti prodotti dalle comunità (l’avvicinamento tra uomo e cane permise an- che il differenziamento della nicchia ecologica tra cani e lupi arcaici);

- gli uomini osservando le capacità di questi animali presero dei cuccioli e iniziarono i primi processi di domesticazione, al fine di sfruttarne le doti di cacciatori e guar- diani.

Lo studioso Jared Diamond ha proposto un elenco di caratteristiche che hanno reso possi- bile la domesticazione (Spennacchio, 2016):

- Abitudini alimentari: il 50-80% della dieta del cane è costituita da rifiuti prodotti dall’uomo (Pescini Marshall, 2018).

- Tasso di crescita (periodo necessario per il raggiungimento della maturità sessuale;

cane 6-12 mesi).

- Riproduzione in cattività (determinata da etogramma di accoppiamento e rituali an- nessi).

- Carattere.

- Tendenza al panico (o distanza di fuga).

- Struttura sociale (per il cane simile a quella umana).

Tutte queste caratteristiche rendono il cane la specie tra le più facilmente domesticabili e hanno consentito all’uomo di integrare questo animale all’interno della società.

1.2. IL RAPPORTO UOMO-CANE NEL XX E XXI SECOLO

Cane e uomo si sono incontrati diverse migliaia di anni fa e da allora hanno condiviso un percorso di co-evoluzione, fino ad oggi.

Ma come è cambiato il rapporto uomo-cane negli ultimi due secoli?

Nel XX secolo la relazione uomo-animali domestici è stata profondamente influenzata da fenomeni socio-culturali che hanno alterato sia il modo di considerare l’animale, sia il mo- do di collocarlo all’interno della società.

Innanzitutto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo si assiste ad un rapido e imponente sviluppo tecnologico, che porta progressivamente alla sostituzione degli animali da parte delle macchine.

Il Novecento è anche il secolo caratterizzato dalla urbanizzazione.

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Il passaggio dalla cultura rurale alla cultura urbana causa il depauperamento della relazione uomo-animale, la perdita delle interazioni con gli animali e la sostituzione di quest’ultimi con modelli socio-culturali più accettabili.

A questo contribuiscono anche i mass-media che presentano gli animali sottoforma di ste- reotipi: l’animale antropomorfo o bambino, l’animale super-eroe, l’animale chimera, l’animale metafora o simbolo.

Inoltre durante gli stessi anni si fa sempre più strada la moda dell’animale da copertina:

bello esteticamente ma inodore e asettico.

Tutto questo non solo contribuisce a ignorare l’alterità animale, ma paradossalmente de- termina anche lo sviluppo di un eccessivo interesse nei confronti degli animali stessi che si affianca a stati di paura e intolleranza.

La principale conseguenza che ne deriva è l’ambiguità nell’approccio all’animale.

All’interno di questo panorama, a partire dagli anni ’70, nasce l’animalismo.

Secondo il pensiero animalista l’animale va liberato dal dominio umano.

Se da un lato questo pensiero mette in discussione il modo di considerare l’animale fino a quel momento, dall’altro favorisce lo sviluppo dell’atteggiamento pietistico: l’animale vie- ne visto come minus habens e quindi da proteggere, tutelare, aiutare, compatire, ecc.

La visione pietistica dell’animale, l’antropomorfizzazione, l’infantilizzazione, la strumen- talizzazione e la trasformazione stereotipica dell’animale concludono il processo di bana- lizzazione che caratterizza il XX secolo.

Tuttavia gli anni ’70 sono anche gli anni in cui inizia la divulgazione etologica che pone l’animale in primo piano nella sua diversità e complessità, conferendogli una identità pre- cisa.

Gli anni ’90 sono il decennio in cui la visione pietistico-antropomorfica entra in crisi e av- viene il riconoscimento della Zooantropologia.

Quest’ultima da inizio ad un nuovo modo di interagire con l’animale domestico enfatiz- zando la partnership uomo-animale e valorizzando il ruolo attivo, specie-specifico, nella relazione e nella società.

Concludendo si può affermare che le criticità del XX secolo hanno dato vita nel XXI seco- lo ad un contradditorio: l’uomo pare essere affascinato dalla diversità animale, ma contem- poraneamente incapace di interagire a causa della perdita di familiarità con essa.

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8

1.3. DA DARWIN ALL’APPROCCIO COGNITIVO ZOOANTROPO- LOGICO (CZ)

1.3.1. TEORIA DELL’EVOLUZIONE, ETOLOGIA CLASSICA E COMPORTAMEN- TISMO

Lo studio del comportamento inizia con Charles Darwin.

Nel 1859 lo studioso naturalista pubblicò “Sull’Origine delle Specie”.

Questo libro contribuì a dare una nuova visione del pensiero biologico basandolo su un punto di vista evoluzionistico.

La teoria dell’evoluzione sostiene che le specie animali si sono evolute da un antenato comune e le differenze tra di esse derivano da un processo detto selezione naturale.

Da questa teoria si sono tratte due conclusioni:

- specie che hanno antenati comuni presentano una continuità del comportamen- to e dei processi biologici, per cui i moduli comportamentali sono soggetti alla selezione ed hanno una storia evolutiva come le strutture anatomiche;

- le strutture anatomiche e i moduli comportamentali si sono evoluti come con- seguenza dell’adattamento ad ambienti diversi.

A partire dagli studi di Darwin, nel XX secolo, nascono due scuole di pensiero per quanto riguarda lo studio del comportamento animale:

- la scuola degli etologi europei (esponenti di maggior spicco: Konrad Lorenz, Nico Timberger, Karl Von Frisch, ecc.);

- la scuola behaviorista (esponenti di maggior spicco: John B. Watson, Burrhus F. Skinner, Edward Tolman, Edward Lee Thorndike, Ivan P. Pavolv, ecc.).

L’etologia è lo studio del comportamento degli animali nel loro ambiente naturale.

Essa ha il compito di descrivere e spiegare il comportamento dal punto di vista funziona- le, causale, ontogenetico (sviluppo individuale del comportamento durante la crescita) e filogenetico (sviluppo evolutivo del comportamento).

L’etologia classica si basa sul modello psicoenergetico: ogni specie animale è dotata di un repertorio di comportamenti unico, adatto all’ambiente in cui si è evoluta.

“The repertoire […] is dependent upon innate releasing mechanisms in its central nerv- ous system which are primed to become active when appropriate stimuli — called 'sign stimuli' — are encountered in the environment. When these stimuli are met, the innate

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mechanism is released, and the animal responds with a 'pattern of behaviour' which is adapted, through evolution, to the situation.”, (Papadopoulos, et al., 2006).

Nel modello psicoenergetico:

- l’apprendimento avviene a priori (innato): la mente contiene tutte le informa- zioni necessarie all’animale (schema predefinito), per cui l’apprendimento si riduce a ricordare ciò che si è dimenticato con la nascita (istinto);

- la risposta comportamentale è consumatoria: il soggetto ha delle pulsioni (per es. fame), se incontra lo stimolo chiave nell’ambiente (per es. cibo) avviene l’atto consumatorio (per es. mangiare) e il soggetto è appagato.

Quindi secondo il modello psicoenergetico si può affermare che: “l’animale è un buratti- no, i fili sono rappresentati dagli istinti, il processo di definizione dei fili è la filogenesi, il burattinaio sono le pulsioni e l’attività del burattino è una risposta consumatoria.”, (Marchesini, 2013).

A questo pensiero si contrappone la scuola behaviorista o comportamentista.

Essa si basa sul modello della psicologia comparata in cui l’oggetto di studio è il compor- tamento, in quanto esso è una variabile osservabile e controllabile scientificamente in la- boratorio.

Nel modello comportamentista:

- l’apprendimento avviene a posteriori: la mente è una “tabula rasa”, l’esperienza consente di “riempire la tabula”;

- il comportamento è un riflesso automatico che si realizza attraverso un’associazione.

L’apprendimento behaviorista si fonda sul condizionamento classico e sul condiziona- mento operante.

Il condizionamento classico si basa su uno stimolo condizionato:

- stimolo incondizionato: bocconcino verso terra  il cane si corica;

- stimolo neutro: comando vocale  nessuna risposta;

- condizionamento: ogni somministrazione di cibo viene associata al comando vocale  il cane si corica;

- stimolo condizionato: comando vocale  il cane si corica.

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Il condizionamento operante, invece si basa su rinforzi (aumentano un comportamento) e punizioni (riducono un comportamento):

- rinforzo positivo: do uno stimolo appetitivo per es. il cane si corica  do il bocconcino;

- rinforzo negativo: tolgo uno stimolo avversativo per es. il cane si corica  tol- go la scossa elettrica;

- punizione positiva: tolgo uno stimolo appetitivo per es. il cane abbaia  tolgo la pallina;

- punizione negativa: do uno stimolo avversativo per es. il cane abbaia  do la scossa elettrica.

Quindi secondo il modello behaviorista si può affermare che: “l’animale è un burattino, i fili sono rappresentati dai condizionamenti, il processo di definizione dei fili è la ontoge- nesi, il burattinaio è l’ambiente che fornisce gli stimoli e l’attività del burattino è una ri- sposta ad uno stimolo.”, (Marchesini, 2013).

1.3.2. SCIENZA COGNITIVA

Nella seconda metà degli anni ’50 la “rivoluzione cognitivista” modifica il panorama del- la psicologia sperimentale.

La psicologia cognitiva computazionale nasce come critica al behaviorismo ed è caratte- rizzata da una impostazione interdisciplinare (ad essa contribuiscono: psicologia cogniti- va, informatica, linguistica e successivamente cibernetica).

Questa nuova disciplina in cosa si differenzia rispetto al comportamentismo?

Innanzitutto si interessa dei processi cognitivi: percezione, attenzione, memoria, linguag- gio, pensiero e creatività, liquidati dal precedente modello come parte del processo di ap- prendimento.

In secondo luogo introduce il concetto di mente come “elaboratore di informazioni” e non più “scatola nera”.

Nei primi modelli cognitivistici la mente viene assimilata ad un computer: il flusso di in- formazioni in entrata viene elaborato attraverso diverse unità, fino a giungere ad una ri- sposta complessa.

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Negli anni '70 furono presentati nuovi modelli che mettevano in evidenza sia la possibili- tà di feedback di uno stadio successivo su quelli precedenti (nozione mutuata dalla ciber- netica), sia la possibilità che si attivassero le operazioni di uno stadio successivo senza che quelli precedenti avessero già elaborato l'informazione.

Il comportamento veniva ora concepito come una serie di atti guidati dai processi cogni- tivi ai fini della soluzione di un problema, con continui aggiustamenti per garantire la mi- gliore soluzione.

Nella seconda metà degli anni '80 la scienza cognitiva computazionale entra in crisi e si diversifica lungo due filoni:

- la prospettiva ecologica;

- la scienza cognitiva neurale.

PROSPETTIVA ECOLOGICA

La prospettiva ecologica trova in Ulrich Neisser il suo principale fondatore. Secondo lo psicologo le informazioni che l’individuo elabora vanno viste nell’ambiente, perché è l’ambiente che le offre. In questa nuova concezione l’individuo possiede nella sua struttu- ra cognitiva degli “schemi” che gli consentono di cogliere le informazioni, senza che il soggetto debba ricorrere a sistemi computazionali, flussi informazionali e strutture rap- presentazionali.

SCIENZA COGNITIVA NEURALE

La comparsa delle reti neurali (modelli matematici/informatici di calcolo basati sulle reti neurali biologiche, a loro volta rappresentate da gruppi di neuroni) e i primi successi otte- nuti usando questi modelli nello studio di alcuni aspetti elementari del comportamento hanno portato a interrogarsi sui principi che erano alla base della scienza cognitiva com- putazionale, in questo modo inizia ad emergere la scienza cognitiva neurale.

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La scienza cognitiva neurale beneficia dell’apporto di psicologia (tendenzialmente non cognitiva), neuroscienze, fisica, matematica, informatica, filosofia, fisica, biologia e intel- ligenza artificiale.

I principi fondamentali della scienza cognitiva neurale sono:

- la mente non è un “elaboratore di informazioni” (mente ≠ computer): aprendo la “scatola nera” non si trova un computer, ma il cervello;

- la mente è un sistema complesso.

Quest’ultimo è formato da un grande numero di elementi (set neurali) i quali interagiscono tra loro localmente e in modo non lineare, con la conseguenza che da questo grande numero di interazioni locali emergono proprietà globali dell'intero sistema che non sono deducibili o prevedibili anche disponendo di una conoscenza perfetta degli elementi e delle leggi che regolano le loro intera- zioni.

Inoltre i sistemi complessi:

o cambiano nel tempo in modi imprevedibili;

o sono estremamente sensibili nella loro evoluzione temporale a diffe- renze anche molto piccole nelle condizioni iniziali;

o reagiscono alle perturbazioni esterne in modo non proporzionale all'entità delle stesse, ad esempio perturbazioni forti vengono rias- sorbite dal sistema senza conseguenze, mentre perturbazioni molto lievi possono avere conseguenze catastrofiche;

o non possono essere isolati dall''ambiente in quanto lo influenzano costantemente e ne sono a loro volta influenzati;

- la mente non è una macchina, se per macchina si intende: “un sistema prevedi- bile, affidabile, controllabile e costituito da parti il cui ruolo nel suo funziona- mento complessivo può essere chiaramente identificato e descritto.”, (Parisi, 2003).

Un apporto fondamentale alla scienza cognitiva neurale è stato dato dalle neuroscienze.

Con questo termine si intende un insieme di discipline (biologia, medicina, genetica, fisi- ca, psicologia e robotica) volte a comprendere i meccanismi che operano nel sistema ner- voso.

Attualmente la psicologia biologica è fortemente influenzata dall’impostazione utilizzata dallo psicologo canadese Donald O. Hebb, che nel suo libro “The organization of beha-

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viour” (1949) indicò teoricamente come un comportamento cognitivo complesso potreb- be essere realizzato da reti di neuroni attivi.

L’interazione reciproca tra cervello e comportamento è oggi un assunto fondamentale delle neuroscienze: l’uno influenza l’altro e viceversa. Le facoltà cognitive sono il risulta- to dell’interazione di molti meccanismi e circuiti neurali semplici distribuiti nelle diverse parti del cervello. Complesse interconnessioni tra le regioni nervose e meccanismi di tra- smissione innescati dalla varietà di stimoli a cui siamo sottoposti, ci portano alla costru- zione di processi mentali complessi fino ad arrivare, alla costruzione della coscienza (Torromino, 2012).

Queste affermazioni sono state rese possibili anche dallo sviluppo di nuovi strumenti dia- gnostici (Tomografia ad Emissione di Positroni, Risonanza Magnetica funzionale), che hanno consentito di osservare le parti del sistema nervoso centrale che si attivano durante una performance cognitivo-comportamentale.

Va sottolineato che negli ultimi 10-15 anni, all’interno della scienza cognitiva e delle neuroscienze si è sviluppata una nuova prospettiva teorica: l’Embodied Cognition (Co- gnizione Incarnata).

Essa sostiene che la cognizione dipende anche da caratteristiche di tipo corporeo, in par- ticolar modo dai sistemi percettivo e motorio.

In altre parole, il modo in cui giudichiamo, ragioniamo, pensiamo, costruiamo concetti, parliamo, ecc., dipende anche dal modo in cui percepiamo, dalle azioni che compiamo e dalle interazioni che il nostro corpo intrattiene con l’ambiente circostante.

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Gli anni ’50 non sono stati solo fonte della “rivoluzione cognitivista”, ma hanno visto an- che lo sviluppo del costruttivismo e la ripresa della Gestalt.

COSTRUTTIVISMO

Il costruttivismo nasce dal bisogno di superare il paradigma empirista. Quest’ultimo pre- vedeva una realtà unica e universale, uguale per tutti ed esistente indipendentemente dall'osservatore. In quest’ottica:

- l'individuo è passivo nel processo di conoscenza;

- il sapere esiste indipendentemente dal soggetto;

- la mente umana si comporta come mero “recettore”.

Al contrario secondo il pensiero costruttivista la conoscenza è:

- il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto.

Il sapere non esiste indipendentemente dal soggetto che conosce e non viene ri- cevuto in modo passivo, ma nasce dall’esperienza individuale (relazione sog- getto-mondo). Il soggetto costruisce la propria interpretazione della realtà, a partire dalla rielaborazione interna di sensazioni, conoscenze, credenze, emo- zioni;

- strettamente collegata alla situazione concreta in cui avviene l'apprendimento;

- nascente dalla collaborazione sociale e dalla comunicazione interpersonale.

GESTALTPSYCHOLOGIE E GESTALT THERAPY

Col termine Gestalt si definiscono due correnti diverse: la Gestaltpsychologie o Psicolo- gia della Forma corrente di impostazione teorica che nasce negli anni ‘20 in Germania, e la Gestalt Therapy teoria clinica che nasce in ambito psicoanalitico, formatasi in America intorno agli ’50.

- Teoria Della Forma

“Il tutto è più della somma delle singole parti”, ovvero la totalità del percepito è caratterizzata non solo dalla somma dalle singole attivazioni sensoriali, ma da qualcosa di più che permette di comprendere la forma nella sua totalità.

La percezione è un processo regolato da leggi innate e non è preceduta da una sensazione.

Il percepito non è una immagine che si forma sulla retina, ma rientra in un si- stema più complesso che coinvolge il SNC. Da ogni esperienza percettiva si ot- tiene una immagine complessiva a cui la mente attribuisce un significato, deri-

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vante da singoli dettagli che fungono da sfondo; di conseguenza la percezione avviene in due fasi:

o Analisi della forma o Elaborazione cognitiva - Terapia della Gestalt

La Terapia della Gestalt è un approccio terapeutico che prende spunto dal mo- vimento tedesco, ma il focus del suo intervento riguarda la clinica. La terapia della Gestalt sostiene che l’esperienza percettiva si manifesta al confine tra l’individuo e l’ambiente. Tutto ciò che si trova all’interno di questo confine merita di essere percepito, conosciuto e deve diventare il campo dell’intervento terapeutico.

1.3.3. PSICOLOGIA POST-RAZIONALISTA E PSICOTERAPIA SISTEMICO-RELAZIONALE

Negli anni ’80 si assiste al passaggio dalla psicologia cognitivista alla psicologia post- razionalista.

Il termine post-razionalismo fu coniato da Vittorio Guidano alla fine degli anni ’80 per indicare un nuovo modo di concepire la psicologia caratterizzato dal riconoscimento dell’individuo come generatore di significato.

La psicologia post-razionalista, riprendendo alcuni concetti chiave del costruttivismo, formula tre principi di base:

- la teoria della mente: la mente non è un semplice elaboratore passivo di infor- mazioni, ma costruisce attivamente la realtà attraverso l'interazione con gli sti- moli che l'ambiente offre ed attraverso l'interpretazione e la classificazione di tali stimoli;

- soggetto come generatore di significato: se si pensa il soggetto a partire da “chi è”, cioè dalla sua storia evolutiva ed ontologica, e non da “cosa è”, cioè da un supposto universale valido per tutti. Ci si rende conto come la definizione di soggetto circoscriva una molteplicità di modi di esperire il mondo che esistono sia sincronicamente che diacronicamente e che sono inconcepibili se non all’interno di una dimensione sociale;

- principio di autorganizzazione: gli individui organizzano sé stessi, attribuisco- no un senso alla realtà ed agiscono con lo scopo di preservare la propria identi- tà e integrità.

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A differenza della prassi terapeutica cognitivista, che vede nel pensiero il centro dell’agire terapeutico, la psicologia post-razionalista pone il suo fulcro terapeutico sulla soggettività e in particolare sulle attivazioni emozionali: il soggetto è visto come un’entità, un sistema, che evolve in equilibrio dinamico e progressivo e che si organizza continuamente attraverso momenti di disequilibrio.

In Italia negli anni ’80, accanto alla psicologia post-razionalista si diffonde la psicoterapia sistemico-relazionale.

Quest’ultima spiega il comportamento dell’individuo focalizzando l’attenzione sull’ambiente in cui il soggetto vive, sulla rete di relazioni significative di cui egli è parte e considera la famiglia come sistema transazionale soggetto a cambiamenti.

L’identità individuale viene considerata come frutto delle relazioni significative che la persona ha intrattenuto nel corso della sua vita, di conseguenza una eventuale problemati- ca non viene trattata come caratteristica insita nell’individuo, ma come esito di esperienze relazionali.

L’approccio sistemico rivoluziona il modo di considerare le categorie cliniche:

- il sintomo non è più considerato un problema del singolo, ma indica una di- sfunzione dell’intero sistema familiare;

- la diagnosi fa riferimento al singolo e al suo gruppo di appartenenza, collocati all’interno dell’ambiente in cui vivono;

- l’intervento terapeutico si basa sull’osservazione delle modalità di relazione tra il paziente e la sua famiglia e mira a modificare, attraverso un processo di co- costruzione tra terapeuta ed individuo/famiglia, i modelli disfunzionali presenti nel contesto entro il quale il disagio del paziente è emerso, stimolando le risor- se familiari e rafforzando sia il funzionamento individuale sia quello familiare.

1.3.4. ZOOANTROPOLOGIA

“La zooantropologia nasce per descrivere e interpretare con metodo scientifico le basi dell’interazione uomo-animale, investigando i pattern comportamentali di relazione, le evenienze rilevabili durante la fase interattiva, attraverso il metodo osservativo, speri- mentale e clinico, le tipologie di rapporto e il complesso motivazionale che sostiene la relazione uomo-animale.”, (Marchesini, 2014).

L’evoluzione dello studio del comportamento in ambito scientifico, la trasformazione del rapporto uomo-animale e l’interesse etico-sociale nei confronti dell’animale che hanno caratterizzato il XX secolo ha consentito lo sviluppo della Zooantropologia.

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Dagli anni ’80 fino all’inizio degli anni ’90 essa viene considerata come un campo di stu- di multidisciplinare condiviso con: antropologia, etologia, bioetica, pedagogia e psicolo- gia.

Perché si possa parlare di disciplina vera e propria occorre attendere fino alla seconda metà degli anni ’90 quando viene definita la struttura epistemologica della zooantropolo- gia.

Con struttura epistemologica si intende la definizione delle aree di indagine, dei principi fondanti la disciplina, della metodologia di ricerca e degli obiettivi.

La zooantropologia si propone di indagare la relazione come evento dialogico e come evento referenziale, cioè capace di dar luogo ad un contributo di cambiamento.

I principi fondanti sono:

- Processo dialogico con soggetti di altre specie e realizzazione di strutture di re- lazione tra umano ed eterospecifico non sovrapponibili ai modelli relazionali interumani. L’eterospecifico non è più considerato oggetto (di studio, di uso, di proiezione) ma diventa un interlocutore capace di reciprocare e negoziare un ruolo e di trasmettere nuovi contenuti.

- Multidimensionalità dei piani di relazione (incontro/confronto/scambio). Ad esempio l’affermazione “Ho un cane da caccia”, sotto il profilo relazionale e dell’offerta referenziale è riduttivo perché il cane assolve ad una pluralità di bi- sogni (compagnia, affettività, sostegno…) e lo può fare grazie ad una moltepli- cità di piani di relazione.

- Singolarità di ogni relazione: si valuta la relazione non più in base alla dicoto- mia corretto vs scorretto, ma secondo le diverse dimensioni di relazione.

- Offerta referenziale. Per referenza si intende l’insieme dei contributi di cam- biamento che l’incontro/confronto con l’eterospecifico mette a disposizione.

Essa nasce dal coinvolgimento dell’eterospecifico quale soggetto che dà e rice- ve, non come oggetto/strumento.

- Contributo di cambiamento dato alla persona dal tipo di relazione che si instau- ra con il non umano e sulla base della dimensione di relazione attivata. Ammet- tendo la multidimensionalità di relazione va indagato non solo il ruolo referen- ziale dell’eterospecifico, ma anche i contributi che ogni dimensione di relazio- ne mette a disposizione.

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18

La zooantropologia è una disciplina scientifica e come tale si basa sul metodo scientifico attraverso:

- la descrizione in modo analitico delle attività;

- la definizione delle condizioni in cui si realizza il fenomeno e delle variabili che intervengono nel processo;

- la formulazione di ipotesi chiare, sottoponibili a valutazione e confutazione.

Infine per quanto riguarda gli obbiettivi la zooantropologia s’interroga soprattutto sul ruolo che l’eterospecifico ha giocato/gioca nell’ontologia umana: “cosa ha apportato nel processo di costruzione e definizione dell’identità umana?, cosa ha apportato nello svi- luppo delle diverse espressioni culturali?, qual è potenziale di ispirazione che è ancora in grado di metter in campo?, cosa è in grado di apportare alla singola persona? […].”, (Marchesini R., 2014).

Come opera la zooantropologia? Attraverso l’approccio cognitivo-zooantropologico (CZ).

L’approccio CZ prende spunto da diverse componenti (etologia, scienza cognitiva, neuro- scienze, Embodied Cognition, costruttivismo, Gestalt, psicologia post-razionalista, psico- terapia sistemico-relazionale), andando a creare un nuovo modello di visione sia del comportamento animale che della relazione uomo-animale.

1.3.5. APPROCCIO COGNITIVO

Approcciare il comportamento in modo cognitivo significa:

A. considerare il comportamento l’espressione di uno stato mentale;

B. considerare l’animale un soggetto;

C. dare una nuova chiave di lettura all’apprendimento.

A. COMPORTAMENTO: ESPRESSIONE DI UNO STATO MENTALE

L’approccio cognitivo allo studio del comportamento animale parte da un presupposto:

“ciò che un individuo esprime, nelle diverse situazioni in cui si trova, sia in termini di stimoli che di occasioni, è sempre la manifestazione di uno stato mentale”, (Marchesini, 2018).

La mente è un mondo interno che consente all’animale di interfacciarsi con l’esterno.

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19

Essa può esser considerata come un insieme di dotazioni (conoscenze) che fungono sia da filtro (selezionano alcune cose rispetto ad altre), sia da catalizzatore (facilitano alcuni processi rispetto ad altri).

Le dotazioni sono sia pre-esperienziali (innate), che acquisite (apprese).

Tutti gli animali sono provvisti di competenze innate (retaggio specie-specifico di deriva- zione filogenetica) che possono essere paragonate a prodotti semilavorati.

Nell’interazione con l’ambiente, l’animale usa le risorse innate per costruire nuove risor- se ed è questo processo che viene definito apprendimento.

“Di conseguenza si può affermare che nell’ottica dell’approccio cognitivo innato ed ap- preso non sono due entità disgiunte ma, al contrario, sono direttamente proporzionali:

l’innato si realizza attraverso l’appreso e quest’ultimo si compie in virtù e a partire dall’innato”, (Marchesini, 2018).

Le dotazioni sono:

- strumenti polifunzionali che l’individuo utilizza in modo libero e creativo.

“Uno strumento assomiglia alla mappa di una città, che consente di estrarre un itinerario, ma non lo realizza da sola, bensì si presta ad essere interpretata in modo singolare da un soggetto per elaborare l’itinerario che gli è più con- geniale”, (Marchesini, 2018).

Gli strumenti consentono al soggetto:

o di gestire le novità che il contesto propone (il mondo non propone mai due situazioni identiche);

o di utilizzarli sia per affrontare le situazioni per cui sono stati confi- gurati, ma anche come mezzi per scoprire nuove soluzioni (funzione euristica);

o di risparmiare in termini di dotazioni, giacché con un’unica dotazio- ne si possono svolgere più funzioni (canone di parsimonia);

- elementi che assumono valore per composizione e non in modo svincolato;

- elementi plastici che possono essere creati e modificati a partire dalle dotazioni già presenti.

La mente oltre ad essere provvista di interfaccia e dotazioni è munita di posizionalità e questo permette al soggetto di collocarsi nel presente in modo specifico.

La mente da origine ad un “qui ed ora” in funzione degli stati mentali dell’animale (com- ponenti posizionali ed elaborative) e di cosa offre il mondo.

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20

La mente inoltre consente all’individuo di avere una propria storia unica e irripetibile, frutto del retaggio filogenetico (sviluppo evolutivo specie-specifico) e dello sviluppo on- togenetico (sviluppo individuale responsabile della diversità intraspecifica).

Un’ultima funzione della mente è quella di consentire il rimodellamento della propria sto- ria.

Il soggetto, essendo la mente dotata di elementi plastici, ha la possibilità di modificare la propria biografia (insieme delle conoscenze/dotazioni) in fieri, per cui si può affermare che la mente possiede uno stato evolutivo.

Quando si valuta lo stato mentale di un soggetto in un determinato momento, occorre prendere in considerazione i tre stati di base della mente: configurazionale, funzionale ed evolutivo.

STATO CONFIGURAZIONALE

Lo stato configurazionale corrisponde all’insieme delle dotazioni filogenetiche e ontoge- netiche che il soggetto possiede.

STATO FUNZIONALE

Lo stato funzionale corrisponde all’insieme delle componenti cognitive attive nel “qui e ora”.

Innanzitutto occorre chiarire il concetto di attività cognitive e componenti cognitive.

Le attività cognitive corrispondono alle performance complessive della mente. Esse si realizzano con la partecipazione di più componenti posizionali ed elaborative e vengono distinte in:

- attività mnestiche: attività rivolte al passato (ricordare);

- attività riflessive: attività rivolte al presente (giudicare, valutare, decidere, ri- solvere, scegliere);

- attività prefigurative: attività rivolte al futuro (programmare, pianificare, simu- lare).

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21

Al contrario le componenti cognitive corrispondono a singole entità cognitive della mente (Marchesini, 2013).

Le componenti cognitive vengono suddivise in due categorie:

- Componenti posizionali o Motivazioni

L’animale vive oscillando costantemente tra uno stato di desidero e soddisfazione.

“Il desiderio è inteso come: tensione libidica rivolta a determinati target, voglia di partecipare in modo attivo alla tavola imbandita del mondo, poter esprimere la propria natura”, (Marchesini, 2018).

Le motivazioni sono stati mentali di orientamento verso il mondo, ovvero come il soggetto si propone e cosa cerca nel mondo.

Esse definiscono l’animale come presenza proattiva e non passiva nei confronti del mondo, ne definiscono le vocazioni, rappresentano il movente dell’agire (trasformano il target in obbiettivo) e i markers della gratificazione (l’animale trae gratificazione sia dall’azione in sé, sia dal raggiungimento dell’obbiettivo).

Inoltre sono elementi etografici perché sono innescate da key signals ed espresse attraverso azioni codificate; quest’ultimo aspetto è reso possibile dal fatto che le motivazioni hanno un’origine filogenetica.

Esempi: motivazione predatoria, sillegica, territoriale, protettiva, perlustrativa, esplorativa, epimeletica, competitiva, di ricerca, di cor- teggiamento, cinestesica, somestesica, collaborativa, possessiva, comunicativa, et-epimeletica, affiliativa).

o Emozioni (“L’animale è un essere senziente”, Trattato di Lisbona 2007).

Le emozioni sono stati mentali di disposizione, cioè configurano il corpo nei confronti del mondo, dando luogo a reazioni fisiologiche e comportamentali, coerenti con la situazione.

Esse diventano dei markers esperienziali di ciò che l’animale vive, che definiscono l’atteggiamento con cui il soggetto affronta il mon- do.

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22 o Arousal

L’arousal o livello di attivazione è un parametro quantitativo che consente di capire il posizionamento del soggetto nel “qui e ora”.

Esso oscilla tra due estremi: stato di eccitazione o arousal alto e sta- to di apatia o arousal basso.

L’animale si trova in uno stato di benessere ogni volta che riesce a posizionarsi ad un livello di arousal intermedio.

- Componenti elaborative

Sono quegli stati mentali che consentono di processare gli input provenienti dall’interazione con il mondo, si suddividono in:

o Funzioni cognitive

Le funzioni cognitive possono essere considerate delle operazioni logiche che consentono al soggetto di lavorare sugli input interni ed esterni per ottenere un report fruibile e coerente con il proprio orien- tamento. Esempi di funzioni cognitive: addizione (completamento di un input da elaborare), generalizzazione, focalizzazione (concentra- zione su un input specifico), salienza (saper emergere un dettaglio da un input specifico), categorizzazione (classificare), distinzione (sa- per mettere a confronto), correlazione (relazione tra due report), op- posizione (individuare un rapporto di esclusione tra due report), cau- sazione (individuazione di un nesso causale), congiunzione (rappor- to tra enti diversi), ecc.

o Rappresentazioni

Le rappresentazioni sono schemi mentali che il soggetto usa per re- lazionarsi e adattarsi alla realtà esterna.

Mentre le funzioni possono essere paragonate ai tasti della tastiera, le rappresentazioni possono essere assimilate a software di sistema.

Tuttavia a differenza di un software le rappresentazioni sono dota- zioni/strumenti polifunzionali, modificabili a disposizione del sog- getto.

Di conseguenza le rappresentazioni definiscono il piano di interfac- cia tra soggetto e realtà esterna, ovvero il piano prossimale di espe- rienza.

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23

Esso indica il modo che il soggetto ha di stare e di operare nel mon- do, ovvero il suo profilo di interazione.

Il piano prossimale di esperienza si sviluppa in modo più o meno complesso e adeguato (avere molte rappresentazioni del mon- do/avere rappresentazioni adeguate del mondo) in funzione di diver- si fattori:

 poter contare su un buon processo di attaccamento;

 poter contare su un referente;

 poter sfruttare modelli sociali pertinenti e coerenti rispetto a specie e bisogni del soggetto;

 vivere in una realtà ricca di opportunità esperienziali coerenti con l’assetto motivazionale di specie.

o Metacomponenti cognitive

Le metacoponenti cognitive sono rappresentate da: memoria, meta- cognizione e attivazione cognitiva.

 Memoria

La memoria corrisponde alla capacità di recuperare dati in tempo reale al fine di sostenere le attività cognitive.

Questo spiega perché viene chiamata in causa in corso di ogni attività cognitiva e perché lavorare sulla memoria, non solo potenzia la capacità di recupero dei dati, ma potenzia tut- to il sistema cognitivo.

La memoria del soggetto viene suddivisa:

 su base operativa in: memoria a breve termine (opera- tiva) e a lungo termine (banca dati);

 su base funzionale in: memoria biografica, concettua- le, procedurale e cinestesica.

 Metacognizione

La metacognizione corrisponde ad un insieme di funzioni che consentono di realizzare i processi cognitivi stessi: “capacità di apprendere ad apprendere”, (Marchesini R., 2013).

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 Attivazione cognitiva

L’attivazione cognitiva corrisponde alla capacità di mantene- re attenzione (capacità di essere attivato verso il mondo) e/o concentrazione (capacità di mobilitare le risorse di riflessio- ne).

Tanto più robuste sono le metacomponenti maggiore sarà la flessibi- lità cognitiva.

STATO EVOLUTIVO

Corrisponde a quali possibilità di modificazione ha la mente sulla base delle conoscenze maturate.

Un ultimo aspetto che riguarda la mente è la coscienza: mente e coscienza non sono sino- nimi.

La coscienza è una funzione della mente.

I processi cognitivi possono avvenire in modo esplicito o implicito, di conseguenza si può parlare di:

- funzioni esplicitative: capacità di avere consapevolezza nel mettere in atto fun- zioni complesse;

- funzioni implicitative: capacità di mettere in atto funzioni complesse in assenza di consapevolezza.

I processi cognitivi impliciti non sono automatismi ma stati funzionali della mente.

B. SOGGETTIVITA’

Nell’approccio cognitivo l’animale è considerato il protagonista del proprio comporta- mento e non una macchina in balia di pulsioni o stimoli ambientali perché altrimenti il soggetto non sarebbe in grado di interfacciarsi con i contesti dinamici in cui vive.

Le macchine sono oggettive perché nell’interazione con il mondo sono:

- “sensibili al mondo”, ovvero esposte passivamente agli stimoli che il mondo offre;

- “operative sul mondo” sulla base di schemi standardizzati (automatismi).

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25 L’animale al contrario è soggettivo perché è:

- “esperienziale nel mondo”, ovvero ha un proprio pensiero sul mondo e si rap- porta in modo attivo e costruttivo con esso.

L’interazione è differente a seconda delle proprie dotazioni biografiche e a se- conda dello stato in cui si trova nel “qui e ora”.

- “operativo sul mondo” attraverso l’espressione di stati mentali (comportamen- ti).

Affinché l’animale possa essere soggetto occorre che possegga la titolarità delle dotazio- ni.

L’animale, avendo fatte proprie le dotazioni, ne diventa titolare e di conseguenza non ne viene diretto, ma le dirige liberamente.

Il principio di titolarità è un prerequisito fondamentale se si vuole parlare di un protago- nismo dell’animale nella sua interazione con il mondo.

Nel definire la soggettività dell’animale non vanno dimenticati: desideri ed emozioni (ve- di paragrafo A).

Il sentire e il desiderare danno al soggetto degli interessi: l’animale agisce, ricerca, si pre- dispone, valuta, sceglie, preferisce, ecc.

Il fatto di essere un soggetto interessato, a differenza delle macchine, dona all’animale una self-ownership, ovvero una auto appartenenza e un’autonomia di scopi.

C. APPRENDIMENTO

In tema di apprendimento l’approccio cognitivo si differenzia enormemente sia dal mo- dello psicoenergetico, che da quello comportamentista.

A differenza del primo ammette l’esistenza dell’apprendimento e a differenza del secon- do lo considera una evoluzione globale del sistema mente e non una costruzione di asso- ciazioni separate tra loro.

Secondo l’approccio cognitivo l’apprendimento è:

- Produttore di conoscenze (“Apprendere come risolvere un problema”, Mar- chesini, 2018).

Le conoscenze sono strumenti polifunzionali, utili al soggetto per relazionarsi con il mondo con una maggior competenza e capacità discriminativa in funzio- ne della situazione che la realtà gli propone.

Come si verifica l’apprendimento? Attraverso la soluzione di situazioni di scacco.

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26

Un animale non risolve i problemi attraverso approcci casuali, ma attraverso un approccio solutivo basato su diverse tappe.

Il primo step essenziale è la costruzione dell’obbiettivo da raggiungere e per far questo è fondamentale che ci sia un coinvolgimento motivazionale verso il tar- get.

Se l’obbiettivo non è raggiungibile nasce un problema.

Difronte ad una situazione di scacco l’individuo deve comprendere il proble- ma, ovvero collocarlo in una specifica categoria per restringere il campo delle soluzioni utili, e capirne le caratteristiche strutturali, cioè gli elementi che gli impediscono di raggiungere l’obbiettivo.

Affinché l’individuo possa comprendere il problema occorre che:

o sia in uno stato emozionale adeguato;

o abbia un livello di arousal adeguato alla situazione;

o abbia familiarità con il contesto e se possibile con chi pone il pro- blema;

o abbia risorse di interpretazione e valutazione.

A questo punto inizia la fase operativa del processo solutivo: alla soluzione si può giungere per tentativi, mediante simulazione mentale degli step solutivi o per intuizione complessiva.

Questi processi non sono casuali (la casualità esiste ma è poco frequente), ma si basano sugli strumenti (conoscenze/dotazioni/risorse) in dotazione al sogget- to, il quale dovrà scegliere le strategie più adatte e coerenti al problema stesso.

Ogni tentativo è una aggiunta di informazioni, ovvero un apprendimento, che va a riorganizzare l’euristica (aspetto del metodo scientifico che comprende un insieme di strategie, tecniche e procedimenti inventivi per ricercare un argo- mento, un concetto o una teoria adeguati a risolvere un problema dato; Trecca- ni, 2019).

Alla fine una strategia risulterà vincente, l’individuo raggiungerà il target e contemporaneamente avrà acquisito una nuova dotazione per raggiungere quel determinato obbiettivo.

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27

Nell’apprendimento solutivo un animale deve far affidamento su delle attività cognitive di base, che sono:

o Programmazione: porsi degli obiettivi.

o Valutazione: categorizzare il problema, capirne le caratteristiche strutturali e valutare il gap tra le proprie dotazioni e quelle necessa- rie a raggiungere l’obbiettivo.

o Pianificazione: capacità di individuare una strategia per affrontare il problema e delle strategie alternative.

o Decisionalità: capacità di scegliere le azioni propedeutiche per risol- vere il problema, sulla base della valutazione di quest’ultimo e della pianificazione.

o Giudizio: capacità di capire ciò che si ottiene dalle proprie azioni (ri- scontro).

o Creatività: capacità di utilizzare le dotazioni in modi diversi e creare nuove dotazioni al fine di raggiungere l’obbiettivo.

o Simulazione: capacità di provare mentalmente dei rapporti causali e delle conseguenze operative.

o Prefigurazione (intuizione): capacità di immaginare qualcosa che non è ancora accaduto (Marchesini, 2018).

- Informazione organizzativa delle componenti interne (“Apprendere come co- struire un network”, Marchesini, 2018).

Se consideriamo la mente come una rete di connessioni (network), ogni ap- prendimento può essere considerato come un’aggiunta di informazioni al si- stema, che attiva contemporaneamente una serie di funzioni/stati mentali inter- connessi, (come ad esempio: le componenti posizionali, le componenti elabora- tive e le metacomponenti) e che riorganizza le connessioni tra le componenti interne e quindi l’euristica.

Il network da origine allo stato mentale che si traduce nel comportamento.

- Produttore del differenziale evolutivo tra le componenti (“Apprendere come at- tivare un differenziale evolutivo”, Marchesini, 2018).

Biologicamente il network è rappresentato da neuroni (punti chiave) e sinapsi (connessioni).

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28

La rete sinaptica è soggetta alla legge dell’uso e del disuso: in altre parole maggiore è l’attivazione di un’area nervosa maggiore sarà il suo sviluppo e vi- ceversa, questo processo prende il nome di differenziale evolutivo.

Nella vita di tutti i giorni ci sono componenti mentali che vengono maggior- mente attivate rispetto ad altre, di conseguenza saranno più sviluppate.

Il differenziale evolutivo si configura durante l’ontogenesi e, nei mammiferi, risulta essere più incisivo se il processo di attivazione/sviluppo avviene durante l’età evolutiva (dalla nascita alla maturazione sessuale) perché durante questo periodo il sistema presenta una maggior plasticità.

In questo contesto ogni apprendimento va a sviluppare alcune componenti e opera un’involuzione su altre, andando a produrre una modificazione di tutto il sistema mente.

Concludendo si può affermare che l’approccio cognitivo è sistemico perché coinvolge il sistema mente nella sua totalità. Questo sistema integra in modo dinamico tutte le risorse e deve trovare un nuovo equilibrio ogni volta che si modifica una di esse.

Da tutto questo nasce l’esigenza di un diverso modo di lavorare, che deve essere:

- Riferito: si parte dalle dotazioni in uso al soggetto per costruire nuove dotazio- ni.

- Composizionale: si strutturano dei possibili stati mentali attraverso la combina- zione delle componenti mentali.

- Costruttivo: si cerca di attivare il soggetto e di renderlo partecipe del suo pro- cesso di apprendimento.

- Progressivo: ogni acquisizione facilita lo sviluppo di nuove acquisizioni e porta ad un’evoluzione complessiva della mente.

Lavorare in modo cognitivo significa avere obiettivi diversi:

- avere la capacità di “stare nelle situazioni”;

- costruire una partnership con l’eterospecifico, senza pretendere di averne il controllo.

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29

1.3.6. APPROCCIO ZOOANTROPOLOGICO O RELAZIONALE Il focus della visione zooantropologica è la relazione uomo-animale.

Approcciare il comportamento in modo zooantropologico significa:

- riconoscere che l’animale può avere una relazione;

- riconoscere l’animale come interlocutore all’interno della relazione;

- ritenere l’espressione del soggetto come esito della relazione;

- riconoscere il valore dell’animale attraverso la relazione (dialogo, collabora- zione, condivisione con l’uomo) e attraverso la referenza (fornire all’uomo dei contributi di cambiamento nell’ambito educativo e in quello assistenziale).

Per fare questo la zooantropologia introduce due principi:

- l’animale è riconosciuto come alterità;

- la partnership con l’animale, e ciò che ne deriva, è frutto della relazione.

La produttività della partnership è direttamente proporzionale al riconoscimen- to da parte del pet-owner dei predicati di alterità:

o soggettività: l’animale non è un burattino o una macchina;

o diversità: l’animale non deve essere antropomorfizzato;

o singolarità: l’animale non deve essere interpretato in base a stereoti- pi o categorizzazioni.

Lavorare basandosi sull’approccio zooantropologico significa intervenire:

- sulla relazione;

- attraverso la relazione;

- per la relazione.

La zooantropologia interpreta il processo educativo-istruttivo come frutto della relazione:

essa non è solo il focus (si lavora sulla relazione) ma anche il medium del training (si la- vora attraverso la relazione).

Il training zooantropologico si basa su due fondamenti: il pet non può/deve essere enu- cleato dalla relazione e il processo educativo-istruttivo deve essere applicato alla coppia.

L’obbiettivo dell’approccio zooantropologico è promuovere/valorizzare la relazione (si lavora per la relazione), attraverso:

- Costruzione della coppia.

Avviene mediante la centripetazione, ovvero il reciproco orientamento tra pet e persona.

Il pet-owner deve: osservare il cane, interessarsi ai suoi bisogni, assumere un atteggiamento empatico e pensarsi in coppia.

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Per quanto riguarda il pet invece occorre che veda il proprietario come fidato, interessante, piacevole, competente, coerente (accreditamento), inoltre deve orientarsi verso la persona (poter raggiungere gli obbiettivi attraverso il pro- prietario) e accettare regole di convivenza (disciplina).

- Soddisfazione dei parametri di adeguatezza della relazione di pet-ownership (Marchesini, 2013):

o Congruità: il proprietario deve conoscere i bisogni e le caratteristi- che specie-specifiche dell’animale, in modo tale da non dare inter- pretazioni errate al comportamento o attribuire al pet aspetti o biso- gni che non gli appartengono.

In altre parole il pet-owner deve riconoscere i predicati di alterità.

o Consapevolezza: il proprietario deve riconoscere il valore della rela- zione e impegnarsi nella relazione.

o Equilibrio: dipende dall’ampiezza dell’orizzonte di relazione, ovvero quante dimensioni di relazione (piano di incontro-confronto) vengo- no attivate tra animale e uomo (le dimensioni di relazione sono: lu- dica, sociale, affiliativa, epistemica, collaborativa, edonica e affetti- va).

o Responsabilità: il proprietario deve prendersi la responsabilità del pet, non solo per quanto concerne i bisogni primari, ma anche per quanto riguarda i bisogni cognitivi, relazionali e gli oneri civili, ov- vero deve assumersi la responsabilità della pet-ownership anche ver- so il mondo esterno.

- Potenziamento dell’interscambio tra i due partner.

Avviene andando a lavorare sull’equilibrio di relazione.

Il training consente di attivare nuove dimensioni di relazione o cambiare le di- mensioni di relazione prevalenti, laddove non siano coerenti.

Questo permette di ampliare il campo espressivo del pet o modificarlo e poten- ziare l’interscambio della coppia.

- Interazione della coppia con il contesto in cui vive.

Tutti questi processi consentono di instaurare una corretta relazione tra uomo e animale, aperta al cambiamento educativo e capace di trasmissione educativa.

In queste condizioni la relazione diventa referenza, in grado di offrire valori unici e speci- fici.

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Secondo l’approccio zooantropologico il referente è un mediatore, ovvero opera una me- diazione tra il soggetto (pet) e il mondo.

Il grado di mediazione dipende:

- dalla profondità di relazione: legame che unisce sotto il profilo affettivo, affi- liativo, accreditativo;

- dal tempo di relazione: quantità di tempo trascorso insieme;

- dall’orizzonte di relazione: quantità di attività condivise.

Il pet-owner diventa referente quando si instaura una relazione: congrua, consapevole, equilibrata e responsabile.

Essere referente significa diventare:

- Base sicura, ovvero dare sicurezza e sostegno.

- Guida/Alleato, ovvero orientare e sostenere i processi di apprendimento.

- Elemento accreditativo, ovvero fidato, interessante, piacevole, competente, coerente, ecc.

- Modello (genitoriale, di scacco), ovvero favorire nel pet l’immagine del refe- rente come focus di trasmissione di modelli di apprendimento.

- Promotore/Controparte, ovvero essere in grado di coinvolgere il pet in molte- plici attività diverse, coerenti con l’assetto motivazionale di specie, che favori- scano un arricchimento del piano prossimale di esperienza.

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2.1. NORMATIVA DI RIFERIMENTO

2.1.1. NORMATIVA DI RIFERIMENTO NAZIONALE

- Decreto del Presidente della Repubblica 8 febbraio 1954, n. 320, “Regolamen- to di Polizia Veterinaria”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 142 del 24 giugno 1954.

- Legge 14 Agosto 1991, n. 281, “Legge quadro in materia di animali di affezio- ne e prevenzione del randagismo”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 30 Agosto 1991.

- Decreto del Ministero della Salute del 14 ottobre 1996, “Norme in materia di affidamento dei cani randagi”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre del 1996; annullato con il Decreto del 19 novembre del 1998.

- Circolare del 14 maggio del 2001, n. 5, emanata dal Ministero della Salute in merito all’attuazione della Legge n.281 del 14 Agosto del 1991, pubblicata sul- la Gazzetta Ufficiale n. 144 del 23 giugno 2001.

- Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 febbraio 2003 in meri- to al recepimento dell’accordo del 6 febbraio 2003, “Disposizioni in materia di benessere degli animali da compagnia e da pet therapy”, pubblicato sulla Gaz- zetta Ufficiale n.52 del 4 marzo 2003.

- Legge 20 luglio 2004, n.189, “Disposizioni concernenti il divieto di maltratta- mento degli animali, nonché l’impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.178 del 31 luglio 2004.

- Decreto del 13 maggio 2005 del Ministero della Salute, “Determinazione dei criteri per la ripartizione dei fondi per la prevenzione e lotta al randagismo”

previsti dalla legge del 29 dicembre 2003 n. 376, pubblicato nella Gazzetta Uf- ficiale n.169 del 22 luglio 2005.

- Decreto del 6 maggio del 2008 emesso dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali – Ministero dell’Economia e delle Finanze, “Determina- zione dei criteri per la ripartizione tra le Regioni e le Province autonome della disponibilità del fondo per l’attuazione della legge 14 Agosto 1991 n.281”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.185 dell’8 Agosto 2008.

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- Ordinanza del 6 Agosto 2008: il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Poli- tiche Sociali emana “Ordinanza contingibile e urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 del 20 Agosto 2008.

- Decreto del 28 luglio del 2009 emessa dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali recante “Disciplina dell’utilizzo e della detenzione di medicinali ad uso esclusivo del veterinario”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.320 del 3 ottobre 2009, in merito al provvedimento n.181 del 17 Settembre 2009, a sua volta pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.223 del 25 Settembre 2009.

- Decreto del 26 novembre 2009 pubblicato dal Ministero del Lavoro, della Salu- te e delle Politiche Sociali recante “Percorsi formativi per i proprietari dei ca- ni”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.19 del 25 gennaio 2010.

- Ordinanza n.21 del 21 luglio 2010 del Ministero della Salute in proroga dell’Ordinanza del 6 Agosto del 2008 recante “Misure urgenti per l’identificazione e registrazione della popolazione canina”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.199 del 26 Agosto 2010.

- Legge del 4 novembre 2010 n. 201, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.283 del 3-12-2010.

- Ordinanza del 22 marzo 2011 emessa dal Ministero della Salute in merito al

“Differimento del termine di efficacia e modificazioni, dell’Ordinanza del Mi- nistero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 3 marzo 2009 con- cernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani”, pubblica- ta sulla Gazzetta Ufficiale n.110 del 13 maggio 2011.

- Ordinanza del 4 Agosto 2011 del Ministero della Salute, “Integrazione all’Ordinanza del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 3 marzo 2009, concernente la tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani come modificata dall’Ordinanza del Ministro della Salute il 22 marzo 2011”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.209 dell’8 Set- tembre 2011.

- Dichiarazione del parlamento Europeo del 13 ottobre 2011 sulla gestione della popolazione canina nell’Unione Europea.

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- Ordinanza 19 luglio 2012 del Ministero della Salute, proroga dell'Ordinanza del 21 luglio 2010 recante “Misure per l'identificazione e la registrazione della popolazione canina”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 198 del 25 Agosto 2012.

- Ordinanza del 14 febbraio 2013 del Ministero della Salute, proroga dell’Ordinanza 19 luglio 2012 recante: “Misure per l’identificazione e la regi- strazione della popolazione canina”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.51 del 1° marzo 2013.

2.1.2. NORMATIVA DI RIFERIMENTO REGIONALE: EMILIA-ROMAGNA

- Circolare n.7 del 20 aprile 1999 della Regione Emilia Romagna Oggetto:

“Legge regionale 5/88 modificata dalla Legge regionale 41/94 riguardante norme per il controllo della popolazione canina: requisiti strutturali e gestionali delle strutture di ricovero”.

- Legge regionale n.27 del 7 aprile 2000, “Nuove norme per la tutela e il control- lo della popolazione canina e felina”, pubblicata sul Bollettino Ufficiale Re- gione Emilia Romagna n.61 del 10 aprile 2000.

- Delibera di Giunta n.2000/1608 del 3 ottobre 2000, Oggetto: “Definizione dei criteri, procedure e modalità per l’identificazione dei cani mediante micro- chips”.

- Legge regionale n.5 del 17 febbraio 2005,” Norme a tutela del benessere ani- male”, pubblicata sul Bollettino Ufficiale Regione Emilia Romagna n.30 del 18 febbraio 2005.

- Legge regionale n.3 del 29 marzo 2013, modifica la legge regionale 17 feb- braio 2005, n.5, pubblicata sul Bollettino Ufficiale Regione Emilia Romagna n.

3 del 29 marzo 2013.

- Delibera regionale n.212/2006, “Piani di risanamento e costruzione strutture di ricovero per cani e gatti. Linee di indirizzo per la definizione dei programmi provinciali”.

- Decreto Giunta Regionale regione Emilia Romagna n.1302/2013 del 16 Set- tembre 2013, “Approvazione dei requisiti strutturali e gestionali per le strutture di ricovero e custodia di cani e gatti, oasi e colonie feline”.

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- Legge regionale n. 11 del 27 luglio 2018, “Disposizioni per la tutela ed il con- trollo della popolazione canina e felina e per il benessere animale”, pubblicata sul Bollettino Ufficiale n. 232 del 27 luglio 2018.

2.2. CANILE: CENNI STORICI

Il canile nasce a metà degli anni ’50 a seguito della pubblicazione del Regolamento di Po- lizia Veterinaria (D.P.R. 8 febbraio 1954, n. 320).

In origine lo scopo della struttura era di natura esclusivamente sanitaria, ovvero il canile era volto a prevenire/controllare la diffusione di zoonosi come la rabbia.

I cani vaganti recuperati sul territorio se non venivano reclamati entro sette giorni erano sottoposti ad eutanasia, eccezion fatta per i cani morsicatori per i quali era previsto un pe- riodo di osservazione di 10 giorni, al fine di valutare l’insorgenza della sintomatologia cli- nica riconducibile a rabbia.

Art. 24 Regolamento di Polizia Veterinaria

“Sono sottoposti a vigilanza veterinaria i seguenti impianti speciali adibiti al concentra- mento di animali e che possono costituire pericolo per la diffusione di malattie infettive e diffusive:

a) ricoveri animali degli istituti per la preparazione di prodotti biologici;

b) scuderie e annesse dipendenze degli ippodromi;

c) canili e annesse dipendenze dei cinodromi;

d) serragli e circhi equestri;

[…].

L'attivazione degli impianti di cui alle lettere e), f), g), h), è subordinata a preventivo nulla osta del prefetto, al quale gli interessati devono rivolgere domanda.

Le installazioni suindicate devono soddisfare alle esigenze igieniche ed essere facilmente disinfettabili e dotate di apposito locale o reparto di isolamento, fatta eccezione degli im- pianti di cui alla lettera d). […]”.

Art.84 Regolamento di Polizia Veterinaria

“I comuni devono provvedere al servizio di cattura dei cani e tenere in esercizio un canile per la custodia dei cani catturati e per l'osservazione di quelli sospetti.

Il prefetto, quando ne riconosca la necessità, stabilisce l'obbligo di un sevizio di accalap- piamento intercomunale o provinciale determinando le norme per il funzionamento ed il contributo che deve essere dato dai comuni e dalla provincia.”.

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