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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1997, Anno 56, marzo, n.1

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MARZO 1997 Pubblicazione trimestrale Anno LYI - N. 1 Sped. in A.P. comma 26 / art. 2 legge 549195 • Aut. Filiale Varese

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E

(e R IV IS T A IT A L IA N A D I D I R I T T O F IN A N Z IA R IO )

ENRICO DE MITA - ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE AMEDEO FOSSATI - FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA IGNAZIO MANZONI - GIANNINO PARRAVICINI - ANTONIO PEDONE

SERGIO STEVE

ROBERTO ARTONI - FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI G. FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA - EZIO LANCELLOTTI ITALO MAGNANI - GILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE E N R IC O P O T IT O - P A SQ U AL E RUSSO - G IU L IA N O T A B E T

FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI Fondata da BENVENUTO GRIZIOTTI

D I R E Z I O N E

EMILIO GERELLI - GIULIO TREMONTI

COMITATO SCIENTIFICO

COMITATO DIRETTIVO

pÀvuìn

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Pubblicazione sotto gli auspici del D ipartim ento di Econom ia pubblica e territoriale d ell’Università, della Camera di Commercio di Pavia e dell Istituto di diritto pubblico della Facoltà di Giurisprudenza d ell’Università di Rom a. Q uesta Rivista viene pu bblicata con il contribu to fin a n z ia n o del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

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n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli

ili) Rivista associata all’Unione della Stampa Periodica Italiana Pubblicità inferiore al 45%

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I M

INDICE-SOMMARIO

P A R T E P R I M A

Ma r i o Le c c iso t t i - A proposito di una recente ipotesi di riforma dell’imposizione sul reddito d’impresa ... 3

Giu l ia n a Pa l u m b o - Teoria dei contraiti e organizzazione interna delle istituzioni ... 8 Ma r i o Bu r g io - Le sanzioni tributarie nella Comunità Europea ... 46

Ad r ia n Si i i p w r i g h t- Le sanzioni fiscali nel Regno Unito ... 61

Pe t e r H .J . Es se r s - Er ic C.C.M. Ke m m e r e m - Le sanzioni fiscali nei Paesi Bassi ... 75

Je a n- Pi e r r e Ca s im ir - Le sanzioni fiscali in Francia ... 102

A P P U N T I E RASSEGNE

Pie r g io r g io Va l e n t e - L ’elusione nelle operazioni di riorganizzazione societa­ ria: problemi esegetici delVart. 10, legge 40811990 e confronto con esperienze straniere ... 1 X5

RASSEGNA D I PU B B LIC A ZIO N I RECENTI ... 148

P A R T E S E C O N D A

Sil v ia Cip o l l in a - Il privilegio di affiliazione fra diritto interno e diritto comuni­ tario: il caso Denkavit ... 12

Al e s s a n d r o Tu r c h i - Natura del processo tributario e divieto, per l’amministra­ zione, di integrare nel corso del giudizio i motivi dell’accertamento ... 30

SENTENZE A N N O T AT E

Diritto tributario comunitario - Legislazioni fiscali - Armonizzazione - Imposte sugli utili societari - Società capogruppo e consociate - Artt. 3, n. 2 e 5, n. 1, Dir. n. 90/435/Cee - Privilegio di affiliazione - Presupposti - Conserva­ zione della partecipazione - Periodo minimo - Artt. 27-bis, D .P.R. n. 600/1973 e 96-bis, D .P.R. n. 917/1986 - Detenzione della partecipazione - Periodo minimo - Dies ad quem - Distribuzione degli utili - Diritto comu­ nitario - Violazione - Sussistenza

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imprescin-dibile - Sussistenza - Diretta azionabilità - Giudice nazionale -

Ammissibi-Diritto tributario comunitario - Artt. 3, n. 2 e 5, n. 1, Dir. n. 90/485/Cee - Artt. •¿7-bis D .P.R . n. 600/1973 e 96-fcis, D .P.R . n. 917/1986 - Erronea attuazio ne - Violazione sufficientemente caratterizzata - Insussistenza - Responsa­ bilità dello Stato - Risarcimento del danno - Esclusione (Corte di giustizia delle Comunità Europee, Sez. V , 17 ottobre 1996) (con nota di S. Ci p o l l i­ n a) ...

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LVI, 1, 1, 3-7 (1997)

A PROPOSITO DI UNA RECENTE IPOTESI DI RIFORMA D E LL’IMPOSIZIONE SUL REDDITO D ’ IMPRESA

di Ma r io Le c c iso t t i

Università degli studi di Roma « La Sapienza »

In un recente articolo (Giannini, 1996), riprendendo e precisando le argomentazioni di un precedente lavoro apparso su questa Rivista (Giannini, 1995), Silvia Giannini presenta una proposta di riforma, dell’imposizione sul reddito d ’impresa, « per la ricapitalizzazione delle imprese », come viene ambiziosamente definita nel titolo stesso del la­ voro. L’essenza della proposta della Giannini consiste nel distinguere il « reddito di capitale imputato », che riflette il « rendimento norma­ le » sul capitale investito, tassato con un’aliquota proporzionale, uguale a quella sui redditi delle attività finanziarie, dal « reddito resi­ duo », che indica gli extraprofitti dell’impresa, tassati con la maggiore aliquota marginale dell’investitore o con quella massima prevista dal­ l’imposta personale sul reddito.

Il lavoro della Giannini opportunamente tende ad una riorganiz­ zazione della tassazione dei redditi di capitale, che attualmente si pre­ senta in Italia estremamente differenziata, senza alcuna valida ragio­ ne. Esso si segnala anche per la chiarezza e per l’approfondita cono­ scenza della letteratura. In particolare, l’Autore ricerca precedenti in qualche modo analoghi nell’AcE (allovance for capitai equity), la propo­ sta avanzata dall’ lFS di una deducibilità addizionale dell’imponibile a titolo di costo imputato del capitale proprio, e nella dual income tax adottata dai paesi nordici, per una tassazione dei redditi da capitale con un’aliquota inferiore a quella sui redditi di lavoro. Il riferimento a proposte o ad esperienze straniere può valere a rendere la proposta della Giannini più interessante, e la soluzione dei problemi che queste comportano può essere utile per la soluzione dei problemi pratici di attuazione che la proposta della Giannini implica. Tuttavia, essa non

ha niente a che fare con I’ Ac e ocon la dual income tax, che sono stru­

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capi-— 4 capi-—

tale. La proposta Giannini, invece, non è altro che un’imposta sui so­ praprofitti, data dalla differenza fra l’aliquota su di essi e quella sui normali redditi da capitale. Chiamiamo le cose con il loro vero nome.

Chiarito questo punto, mi vengono subito alla mente le parole di Luigi Einaudi a proposito dell’introduzione della vecchia imposta sul­ le società, che tassava il patrimonio con aliquota del 7,50 per mille ed il reddito eccedente il 6% di detto patrimonio con aliquota del 15%, imposta giustamente ricordata dalla Giannini, che vi individua « alcu­ ni tratti comuni » (p. 179). In una lettera al Professor Cosciani, Luigi Einaudi lamentava che il congegno inventato per spingere i contri­ buenti a non diminuire artificiosamente l’ammontare del capitale so­ ciale presentasse vantaggi « di gran lunga inferiori al danno della riaf­ fermazione del principio della tassazione dei redditi superiori ad una certa percentuale dei capitali investiti. Le discriminazioni, per am­ montare dei redditi, delle singole imprese sono sempre brutte; ma do­ vendo e volendo discriminare si dovrebbe fare il rovescio, ossia tassare con aliquote più alte coloro che riescono a far produrre poco al capita­ le investito e con aliquote minori coloro che riescono, a parità di capi­ tale, ad ottenere redditi più alti » (Cosciani, 1975, p. 958).

Ancora una volta, nel tentativo di raggiungere un valido obietti­ vo, la « ricapitalizzazione delle imprese », come si propone l’Autore, anche se tale aspetto non viene sufficientemente approfondito, si fini­ sce per attuare una dannosa tassazione degli extraprofitti, che pena­ lizza chi, con il lavoro e l’ingegno, riesce a far fruttare bene il proprio capitale. La proposta dell’Einaudi di favorire « coloro che riescono, a parità di capitale, ad ottenere redditi più alti » costituisce, invece, un premio per i migliori, un incentivo alla produzione ed all’efficienza, ed uno stimolo allo sviluppo economico del paese.

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5 —

Una maggiore redditività può poi derivare dalla maggiore ri­ schiosità dell’investimento effettuato, e costituire solo un compenso per il rischio. Ogni investimento può andare bene o può andare male. Date le maggiori probabilità che presenta di un risultato negativo, quello rischioso sarà intrapreso soltanto se promette un maggior red­ dito sperato di altri. Se questo è vero, la più elevata redditività del­ l’investimento può costituire soltanto un compenso per il maggior ri­ schio assunto, compenso che non dovrebbe essere tassato come reddi­ to delle imposte su di questo, in quanto equiparabile ad un elemento di costo (Cosciani, 1991, pp. 351-4), e che tanto meno dovrebbe essere oggetto di un’imposta ad hoc, secondo la proposta della Giannini. Co­ me ha indicato la letteratura, a partire dal famoso saggio di Domar e Musgrave (1955), l’effetto negativo sugli incentivi ad assumere rischi può essere in qualche modo bilanciato dalla possibilità di dedurre le perdite. Senza voler entrare in una più dettagliata analisi del proble­ ma (Leccisotti, 1981), possiamo concludere che, nella misura in cui questa non sia perfetta, l’imposta sugli extraprofitti attua un’eviden­ te discriminazione contro gli investimenti rischiosi, ed un forte disin­ centivo per l’imprenditore ad assumere rischi, per cui costituisce un grave ostacolo allo sviluppo del paese.

La maggiore redditività di un investimento può, infine, dipende­ re dal normale andamento del ciclo economico, che in un anno premia alcune imprese, in un altro altre, o da « fortuna ». Nel lungo periodo gli effetti del ciclo saranno adeguatamente compensati, per cui quello che un imprenditore guadagna in un anno, viene reso in un altro. Nessuna argomentazione economica, politica o sociale, invece, può portarsi in favore dei « fortunati », ed una maggiore imposizione nei loro confronti potrebbe essere giustificata. Ma, chi sono e come identi­ ficare i « fortunati? » Per tassare loro vale la pena penalizzare anche gli efficienti e coloro che sono disposti ad assumere un maggior ri­ schio. Sembrano rispuntare vecchi pregiudizi, mai morti, contro chi, con il lavoro e l’ingegno, riesce a far fruttare bene il proprio capitale, ed in favore di una società di eguali. Evidentemente, la Storia insegna poco.

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que-— 6 que-—

st’ultima imposta, di carattere amministrativo per la determinazione del patrimonio imponibile, sono ugualmente presenti nella proposta Giannini per la determinazione del « rendimento normale », per cui, se si riuscisse a risolverli, basterebbe fermarsi al patrimonio, senza proce­ dere oltre, con complicazioni amministrative e danni per l’economia. L’imposta sul patrimonio riduce poi gli effetti sui profitti dell’im­ presa derivanti dall’imposta sul reddito netto, con detraibilità degli interessi passivi, offrendo in ogni caso un imponibile, specialmente in situazione di elevata inflazione e detraibilità degli interessi nominali. Per questo motivo è stata adottata in Messico (Massone, 1989) ed ha sollevato l’ interesse di numerosi paesi dell’America Latina. Inoltre, seguendo il suggerimento di Sadka e Tanzi (1993), si potrebbe decide­ re di tassare il patrimonio lordo. Questo sarebbe desiderabile per con­ trobilanciare la discriminazione contro il capitale proprio dell’imposta sul patrimonio netto, e quella in favore dell’indebitamento prodotta dall’imposizione del reddito, se contemporanea, specialmente nel caso di elevata inflazione e deducibilità degli interessi nominali e non di quelli reali.

Pur riconoscendo questi pregi all’imposta sul patrimonio lordo, occorre però sottolineare che essa attua un arbitraria discriminazione fra le imprese, e viola il principio della capacità contributiva, data dal patrimonio netto, che indica l’effettivo controllo delle risorse del paese da parte di un’impresa. Queste ragioni sono al fondamento della de­ ducibilità degli interessi passivi dall’imposta sul reddito d ’impresa, che comporta quella convenienza dell’indebitamento, oggetto della crociata della Giannini, anche se, come indica la letteratura (Miller, 1977), in periodi di non elevata inflazione, detta convenienza viene notevolmente ridimensionata dall’esistenza delle imposte personali sul reddito.

Le prevedibili conseguenze della proposta Giannini. Nata per rendere l’indebitamento meno conveniente per le imprese, finisce per favorire il rentier che vive staccando le cedole dei titoli di Stato, e non avvia attività di impresa, rischiosa e che comporta un notevole impe­ gno personale. Senza volerlo, si offre una mano al Governo, bisognoso di capitali, in un mercato con tassi decrescenti, che scoraggiano i Bot

people.

Bibliografia

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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LVI, 1, 1, 8-45 (1997)

TEO RIA DEI CONTRATTI

E ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLE ISTITUZIONI

di Gi u l i a n a Pa l u m b o ( * )

Dipartimento di Teoria e Storia dell’Economia Pubblica, Università Federico l i di Napoli

So m m a r io: 0. Introduzione. — 1. Complete vs incomplete contracts. — 2. La struttu­ ra interna dello Stato: l’approccio dei contratti incompleti. — 3. La critica alla teoria dei contratti incompleti. - 3 .1 . Lo strumento dei contratti incompleti ri­ schia di essere utilizzato in modo errato. - 3 .2 . L ’incompletezza dei contratti non costituisce un presupposto indispensabile per costruire una valida teoria delle principali istituzioni. - 3.3. La teoria dei contratti incompleti, così come attualmente formulata, non è in grado di catturare il problema dei costi di tran­ sazione. — 4. L ’organizzazione interna dello Stato: l’approccio dei contratti completi. - 4 .1 . Separazione dei poteri come strumento contro la minaccia di comportamenti collusivi. - 4 .2 . La ripartizione delle funzioni tra gli organi dello Stato. — 5. Conclusioni. — Bibliografia.

0. Introduzione.

La novità di maggiore rilievo nell’attuale dibattito teorico sul te­ ma dell’intervento pubblico nell’economia sta nel riconoscimento del ruolo primario svolto dalla struttura organizzativa nel determinare la capacità di funzionamento dello Stato. Tale riconoscimento ha porta­ to al superamento dell’approccio tradizionale, che assume la struttura organizzativa come un dato del problema, e ad un approfondimento delle interazioni esistenti tra sistema economico e sistema istituzionale.

La tesi che riconosce l’ importanza della struttura organizzativa nell’ influenzare il livello di efficienza raggiungibile dallo Stato non è certamente nuova; tuttavia il dibattito è stato tradizionalmente una prerogativa di sociologi e studiosi di scienza politica mentre quasi as­ sente è stato l’apporto degli economisti. Tale assenza è da attribuirsi alla mancanza di strumenti analitici che consentissero di sviluppare una teoria dell’organizzazione dello Stato fondata su categorie e

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9 —

cetti propri dell’analisi economica. I recenti sviluppi della teoria dei contratti hanno permesso di colmare questo vuoto analitico. La nuo­ va teoria ha, infatti, fornito uno schema concettuale che ha reso possi­ bile una rappresentazione più realistica della struttura interna dello Stato e delle istituzioni che lo compongono. Nel nuovo approccio le istituzioni vigenti sono considerate il risultato di un processo di otti­ mizzazione finalizzato all’obiettivo di garantire il massimo benessere sociale.

La ricerca si è concentrata su un duplice obiettivo. Innanzitutto fornire una spiegazione dei legami esistenti tra forme istituzionali e schemi di incentivo allo scopo di prevedere gli effetti che modifiche nelle regole istituzionali esercitano sui comportamenti individuali. In secondo luogo, individuare una soluzione al problema di determina­ zione della forma organizzativa più adatta a favorire il raggiungimen­ to di una allocazione efficiente delle risorse.

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tut-— 10

te le difficoltà di formalizzazione connesse all’impiego di contratti in­ completi. Tale impostazione non intende in questo modo negare la na­ tura incompleta dei contratti istituzionali, ma piuttosto dimostrare l’esistenza di soluzioni diverse da quelle basate sui concetti di autorità e diritti di proprietà, ai problemi posti dall’incompletezza dei contrat­ ti.

L’obiettivo di questo lavoro è quello di ricostruire le linee princi­ pali di questo dibattito soffermandosi in particolare sull’attività di re­ golamentazione e sul processo di produzione delle informazioni all in­ terno del settore pubblico. Tale scelta nasce dalla considerazione che la regolamentazione costituisce oggi l’attività di maggiore qualifica­ zione dell’intervento pubblico nell’economia e d ’altra parte, la produ­ zione di informazioni rappresenta il presupposto essenziale per lo svol­ gimento del processo di decisione pubblica.

Il lavoro è così organizzato: nella sezione due viene fornito un quadro complessivo della teoria dei contratti (completi ed incomple­ ti), attraverso un’analisi delle caratteristiche formali dei modelli che utilizzano l’uno o l’altro approccio e dei limiti di cui essi soffrono. L’e­ same di questa letteratura consente di giungere alle seguenti conclu­ sioni: pure riconoscendo che lo strumento dei contratti incompleti si presta in modo particolare a descrivere il funzionamento delle princi­ pali istituzioni (autorità, gerarchia, diritti di proprietà), la teoria dei contratti incompleti, così come è attualmente formulata, non sempre riesce nel suo obiettivo di catturare gli effetti derivanti dalla presenza di costi di transazione. Come mostrato da Maskin e Tirole (1995), in alcuni casi, l’ipotesi di incompletezza del contratto non modifica l’in­ sieme delle allocazioni di equilibrio rispetto ad un contesto di contrat­ ti completi. D ’altra parte, una corretta impostazione del problema da analizzare è in taluni casi sufficiente a cogliere le implicazioni di forme diverse di organizzazione, pure nell’ambito di un modello standard principale-agente.

Nella sezione tre, vengono discussi alcuni contributi che affronta­ no il tema della struttura organizzativa dello Stato a partire dall’ipo­ tesi di incompletezza del contratto costituzionale.

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di interessi diversi ed in conflitto tra loro rende più efficiente il pro­ cesso decisionale. La validità di questa affermazione viene dimostrata sia con riferimento al problema del vincolo di bilancio flessibile di cui soffrono le imprese pubbliche, sia con riferimento al tema della produ­ zione delle informazioni necessarie al processo decisionale.

1. Complete vs incomplete contracts.

La differenza tra un contratto completo ed uno incompleto può essere meglio compresa se analizzata in termini di allontanamento dal contesto ideale del modello Arrow-Debreu. Come noto, nel modello Arrow-Debreu si assume che gli stati del mondo siano tutti descrivibi­ li ex-ante (assenza di costi di transazione) e la distribuzione di proba­ bilità relativa al verificarsi di ciascuno di essi sia la medesima per tut­ ti gli agenti (informazione simmetrica). In tale contesto il problema dell’incertezza viene facilmente risolto assumendo che gli scambi han­ no ad oggetto beni contingenti ovvero beni che si differenziano non so­ lo per caratteristiche fisiche ma anche per la data e lo stato del mondo in cui saranno disponibili.

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se la variabile è osservabile da entrambi gli agenti (1). Questa assun­ zione, insieme con l’ ipotesi che gli agenti sono in grado di prevedere esattamente tutte le contingenze future, ha come conseguenza che il contratto stipulato sia « onnicomprensivo », il contratto, cioè, specifica in modo dettagliato gli obblighi di ciascuna delle parti in tutti i futuri stati del mondo.

Due fondamentali implicazioni derivano da tale impostazione: in primo luogo, i contratti non hanno alcuna ragione di essere rinegozia­ ti: se le parti desiderassero modificare qualcuna delle condizioni del contratto in seguito al verificarsi di un particolare evento, avrebbero già anticipato questa modifica nel contratto iniziale. In secondo luo­ go, diventa impossibile distinguere tra relazioni contrattuali in cui gli agenti sono in una situazione di subordinazione e relazioni contrat­ tuali tra agenti indipendenti. A titolo di esempio si consideri il caso di due imprese: se il contratto specifica esattamente l’utilizzo che ciascu­ na di esse può fare dei fattori produttivi posseduti dall’altra è del tut­ to indifferente se le imprese sono integrate verticalmente oppure se ri­ corrono al mercato per effettuare gli scambi.

L ’insoddisfazione nei confronti di tale impostazione ha portato alcuni economisti a seguire una strada diversa che tenga espressamen­ te conto dei costi elevati che le parti devono sostenere per scrivere un buon contratto (costi di transazione). Nell’approccio dei contratti in­ completi, l’impossibilità di scrivere contratti alla Arrow-Debreu deri­ va proprio dalla presenza di tali costi. I costi di transazione sono im­ putabili a tre differenti cause:

1) Eventi non prevedibili (unforeseen contingencies): non tutti i futuri stati del mondo possono essere previsti al momento della stipu­ lazione del contratto (2).

2) Costi di scrivere il contratto (writing costs): seppure gli agenti avessero la capacità di compilare un elenco completo di tutti i futuri stati del mondo sarebbe impossibile o comporterebbe dei costi troppo elevati inserirli nel contratto e definire i termini dell’accordo per ognuno di essi.

3) Costi di esecuzione del contratto (enforcement costs): in talune

(1) Assumere che lo sforzo o il tipo degli agenti non sono osservabili equivale ad assumere che il costo di inserire queste variabili nel contratto è pari ad infinito.

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circostanze consentire l’effettiva esecuzione del contratto da parte di un tribunale o di un arbitro incaricato può comportare dei costi ele­ vati.

In presenza di costi di transazione alcune variabili o stati del mondo diventano non osservabili oppure non verificabili (3).

L ’idea su cui è basata la teoria dei contratti incompleti è così sin­ tetizzabile. Poiché non tutti i futuri stati del mondo possono essere previsti dalle parti al momento della stipulazione del contratto, è ne­ cessario definire delle regole di decisione cui fare ricorso una volta che le informazioni rilevanti siano divenute disponibili. La più semplice di queste regole consiste nel conferire l’autorità di decidere ad una delle parti coinvolte nel contratto. L’autorità può essere concessa sulla base di un accordo tra le parti, può essere legata alla posizione che un indi­ viduo occupa all’interno di una organizzazione oppure, all’interno di un’impresa, può derivare dalla proprietà dei fattori di produzione. Co- ' me fa osservare Hart (1989, p. 1765), infatti:

« Ownership of an asset goes together with thè possesion of resi­ duai rights of control over thè asset; thè owner has thè right to use thè asset in any way not inconsistent with a prior contract, custom, or any law »

Un diritto di proprietà, dunque, non è altro che un insieme di di­ ritti di decisione.

Il modo in cui si ripartisce il diritto di decidere nelle circostanze residuali influisce sia sull’allocazione delle risorse ex-post che sulle de­ cisioni di investimento ex-ante-, una errata allocazione può avere effet­ ti fortemente distorsivi (4). La natura di tali distorsioni può essere fa­ cilmente compresa quando si considera che, diversamente da un con­ tratto completo, un contratto incompleto è naturalmente soggetto a rinegoziazione man mano che le parti acquisiscono nuove informazio­ ni che consentono di colmare i vuoti lasciati nel contratto iniziale. Al processo di rinegoziazione sono associati due tipi di costi: i costi ex-an­ te, ovvero i costi di anticipare la rinegoziazione futura, ed i costi

ex-(3) Una variabile si definisce non verificabile se è osservabile da tutti i con­ traenti ma non da un giudice esterno.

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post direttamente connessi alla rinegoziazione. Nella fase ex-post le parti, nel tentativo di trovare un accordo, sono costrette ad una con­ trattazione che generalmente comporta un dispendio di risorse e di tempo e, quando avviene in condizioni di informazione asimmetrica, conduce ad equilibri inefficienti. Tali costi, tuttavia, non sarebbero ri­ levanti se ognuna delle due parti avesse l’opportunità di rivolgersi ad altre imprese presenti sul mercato. In tal caso, infatti, verrebbe meno la necessità di lunghe contrattazioni — perché non vi sarebbe alcun bisogno di trovare un accordo a tutti i costi — e neanche sussistereb­ be il problema di inefficienza dell’equilibrio. Ne consegue, che i costi ex-post assumono rilevanza per la presenza di un vincolo che lega i due contraenti originari e che rende costosa qualunque rottura del­ l’accordo. Tale vincolo è rappresentato dai relationship specific investi- ments, ovvero da quegli investimenti che le parti effettuano nell’a­ dempimento del loro accordo contrattuale e che producono un rendi­ mento solo all’interno del contratto inizialmente stipulato.

Quanto detto chiarisce anche la natura dei costi ex-ante. Se le parti sono consapevoli del fatto che qualunque contratto è soggetto a rinegoziazione, anticipando i costi ex-post di tale rinegoziazione, sa­ ranno disincentivate dal realizzare il livello di investimenti che sareb­ be ottimo in un mondo di fìrst-best. Tale inefficienza è una conseguen­ za del fatto che in un contesto di contratti incompleti la ripartizione del surplus generato dagli investimenti avviene sulla base del potere contrattuale delle due parti nella fase ex-post e non in base a quanto specificato nel contratto iniziale né in base a criteri di efficienza eco­ nomica. La paura di non riuscire ad appropriarsi di una quota di sur­ plus sufficiente a coprire i costi costringe le imprese a realizzare un li­ vello di investimenti subottimale. Ne consegue che, poiché il potere contrattuale dipende dal modo in cui sono ripartiti i diritti residuali di controllo, una corretta allocazione di tali diritti è il presupposto ne­ cessario ad assicurare un livello efficiente di investimenti.

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presa acquisita, avendo un basso potere contrattuale, farà investi­ menti subottimali in quanto teme di essere espropriata dei benefici dei suoi investimenti nella contrattazione ex-post.

2. La struttura interna dello Stato: l’approccio dei contratti incompleti. Le considerazioni svolte nella precedente sezione mostrano chia­ ramente come la maggior parte dei temi evidenziati dalla letteratura sui contratti incompleti sia rilevante per l’analisi delle istituzioni e spiegano l’interesse crescente maturato intorno a questo approccio. Con le parole di Hart:

« Institutions arise in situations where people cannot write good contracts and where thè allocation of power of control is therefore im- portant ».

Obiettivo di questa sezione è quello di mostrare, attraverso una esposizione sintetica dei contributi di Laffont e Tirole (1990) e Seabri- ght (1996), alcuni risultati raggiunti dalla teoria dei contratti incom­ pleti in tema di organizzazione dello Stato. In Laffont e Tirole l’atten­ zione si concentra sulla scelta tra due diversi modi di regolamentare un monopolio naturale, uno che consente di effettuare trasferimenti alle imprese e l’altro che li proibisce. L’incompletezza del contratto deriva dall’impossibilità di conferire al regolatore un mandato specifi­ co che indichi la scelta ottima da compiere in ogni possibile circostan­ za. In Seabright, il tema considerato è quello dell’ottimo grado di de­ centramento dei poteri all’interno di uno Stato e l’incompletezza del contratto è una conseguenza del fatto che il mandato conferito dagli elettori ai loro rappresentanti politici è vago sotto molti aspetti signi­ ficativi. Seabright dimostra che, in taluni casi, un più alto livello di decentramento rappresenta un maggior incentivo per i politici ad agi­ re nell’interesse dei cittadini; il decentramento, infatti, attribuisce ad ogni singola regione un peso maggiore nella decisione di rieleggere lo stesso Governo.

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nismo siffatto esistesse il problema di scelta dell’ottima struttura isti­ tuzionale non si porrebbe: il contratto ottimo delegherebbe tutta l’au­ torità ai policymakers. Tale impossibilità, d ’altra parte, sarebbe del tutto irrilevante se fosse possibile scrivere contratti completi, in tal caso il compito dei policymakers si ridurrebbe all’esecuzione di un mandato specifico e l’unica branca attiva resterebbe quella giudiziaria con il compito di garantire il rispetto del dettato costituzionale. Poi­ ché non esiste alcun contratto capace di indicare le scelte che i poli­ cymakers devono compiere in ogni circostanza che può verificarsi, co­ storo si trovano a svolgere una funzione molto più importante che è quella di decidere in tutti i casi non regolati dalla Costituzione. Per impedire che tale discrezionalità sia utilizzata per fini diversi dalla massimizzazione del benessere sociale è necessario fissare delle regole istituzionali che limitano la discrezionalità dei policymakers e fornisco­ no incentivi sufficienti a stimolare un’azione di controllo da parte di gruppi esterni quali i consumatori, nel modello di Laffont e Tirole, o gli elettori nel modello di Seabright.

Laffont e Tirole confrontano due diversi meccanismi di regola­ mentazione: marginai cosi pricing (MC ) ed average cost pricing (AC) e mostrano come, in taluni casi, la minaccia di collusione tra regolatore ed impresa può indurre il pianificatore a preferire la regolamentazione al costo medio, notoriamente inefficiente. Si consideri un’impresa che produce un bene finale q = D {p) ad un costo C = (fi — e) + cq . fi rap­ presenta il parametro tecnologico che può assumere solo due valori: « basso » o « efficiente » (fi) con probabilità v ed « alto » o « inefficiente » (fi) con probabilità 1-v. Sìa A f i s f i - f i . e rappresenta lo sforzo prodot­ to dall’impresa per ridurre i suoi costi. Per ogni livello di sforzo realiz­ zato l’impresa sopporta una disutilità pari a \|/(e) con (e) > 0 e \|/ " (e) > 0. Il vero valore di fi è un’informazione privata dell’impresa e del regolatore, il pianificatore sociale ed i consumatori conoscono solo la sua distribuzione di probabilità. Il prezzo ombra dei fondi pubblici, A si assume positivo.

Il pianificatore sociale sceglie una delle due istituzioni: i = MC o AC e conferisce al regolatore il vago mandato di massimizzare il be­ nessere sociale. In caso di marginai cost pricing ciò significa fissare il prezzo al costo marginale e scegliere un trasferimento che consenta di estrarre tutta la rendita. In caso di average cost pricing il prezzo che massimizza il benessere sociale è quello minimo che mantiene in equi­ librio il bilancio dell’impresa.

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Sulla base di quanto annunciato, propone il contratto ottimo: (pAC), nel caso di regolamentazione al costo medio e (pMC, tMC) in caso di rego­ lamentazione al costo marginale. In cambio riceve un pagamento fis­ sato dal pianificatore sociale pari ad s.

L ’agenzia di regolamentazione può sfruttare il suo vantaggio in­ formativo per stipulare accordi collusivi con l’impresa. L ’accordo pre­ vede che il regolatore, in cambio di un trasferimento (s), annunci un valore del parametro tecnologico diverso da quello vero. Nel modello si assume che gli unici in grado di smascherare l’eventuale collusione tra impresa e regolatore siano i consumatori. Se decidono di effettuare un controllo, apprendono il vero valore di fi che può essere uguale o diverso da quello annunciato, f i . Se fi - f i oppure se i consumatori non

effettuano alcuna ricerca il contratto inizialmente proposto viene im­ plementato. Se fi ¿ f i ed i consumatori provano che il regolatore ha colluso con l’impresa, ottengono un adeguamento del contratto al ve­ ro valore di fi. Controllare comporta un costo che si assume pari ad E. L ’agenzia, se scoperta, viene punita con un pagamento pari a zero.

In tale contesto la scelta tra un average cost pricing ed un margi­ nai cosi pricing è rilevante in quanto influisce sugli incentivi ad effet­ tuare controlli. Nel primo caso, infatti, un valore di fi più elevato si ri­ flette in un aumento del prezzo del bene che si ripercuote sui consu­ matori. Nel secondo caso un valore di fi più alto si riflette in un au­ mento delle imposte che gravano sui contribuenti. Poiché i consuma­ tori costituiscono un gruppo più piccolo e meglio organizzato, l’incen­ tivo ad effettuare controlli è maggiore nel primo caso che non nel se­ condo.

Con maggior precisione, il risultato cui giungono Laffont e Tirole è il seguente: la regolamentazione al costo marginale domina quella al costo medio quando il grado di incertezza tende a zero (5). La regola­ mentazione al costo medio domina quella al costo marginale per valo­ ri sufficientemente bassi di E e sufficientemente alti di Af (6).

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Nel modello di Seabright, il contratto che lega gli elettori ai loro rappresentanti politici è incompleto sotto un duplice aspetto. Non so­ lo alcune delle variabili essenziali per poter scrivere un contratto effi­ ciente non sono osservabili, ma anche quelle osservabili da tutti i con­ traenti (il benessere di ciascuna regione) non sono verificabili da un tribunale esterno e quindi non possono far parte delle condizioni del contratto. Ciò impedisce di disegnare un meccanismo di incentivi che sia basato su un sistema di « punizioni e ricompense » e che renda i po­ licymakers responsabili del livello di benessere raggiunto da ciascuna regione. L’unica forma di responsabilità è quella politica nei confronti dei cittadini. I cittadini, infatti, possono decidere, con il loro voto, se rieleggere o meno lo stesso Governo e questo conferisce loro un certo potere di influenzare le decisioni dei policymakers. Il peso che i citta­ dini hanno nel determinare il risultato delle elezioni varia con la strut­ tura di Governo. Con una struttura decentrata la decisione di ciascu­ na regione è l’unico fattore a determinare il risultato delle elezioni. Con una struttura centralizzata, la decisione di ciascuna regione deve essere confrontata con quella delle altre regioni ed il risultato finale è quello voluto dalla maggioranza.

Se al variare della struttura di Governo variano gli incentivi for­ niti ai policymakers, la scelta dell’ottimo livello di decentramento coincide con quella della struttura di Governo più adatta ad incenti­ vare i policymakers ad agire nell’interesse degli elettori. Nel modello proposto da Seabright la soluzione a tale problema risulta determina­ ta dal trade-ofj tra policy coordination ed accountability. Un Governo centrale può internalizzare le esternalità tra le diverse regioni e quindi garantire un maggiore coordinamento nelle scelte di politica economi­ ca. Tale coordinamento ha, però, un costo rappresentato dalla minore responsabilità politica — less accountability — del Governo centrale nei confronti di ciascuna regione. Tale effetto viene catturato assu­ mendo che la probabilità di ciascuna regione di essere decisiva per la rielezione di un Governo centrale è minore della stessa probabilità nel caso di un Governo locale.

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Per illustrare il tipo di approccio utilizzato da Seabright, si consi­ deri un contesto caratterizzato da N regioni che possono essere ammi­ nistrate da un unico Governo centrale o da altrettanti Governi locali. Sia x - (x,, ... x s ) il vettore delle politiche realizzate nelle N regioni. Senza alcuna perdita di generalità ciascun xt, può essere interpretato come lo sforzo realizzato dai Governi per porre in essere le politiche stabilite. Un Governo centrale sceglie l’intero vettore x, ciascuno dei Governi locali sceglie un elemento x{ e x dell’intero vettore. Il livello di benessere raggiunto da ciascuna regione, Uit dipende sia dal vetto­ re degli sforzi realizzati in ciascuna delle N regioni sia dalla realizza­ zione di una variabile casuale fi; Siano f ( fi,) la funzione di densità marginale ed f ( fi) la funzione di densità congiunta con e = (fi/, ... ,eN). Da cui:

Vi = Ui(x, fij [1]

Ui si assume crescente rispetto ad Il segno delle derivate incrociate può essere sia negativo che positivo. Se dUi/dxj > 0 i*j, ovvero se le esternalità inflitte dalla regione j alla regione i sono positive, le politi­ che, Xi ed Xj, si dicono « complementari ». Se dU^dxj < 0 i^j, ovvero se le esternalità inflitte dalla regione j alla regione i sono negative le due politiche si dicono « competitive ». I Governi attribuiscono un valore positivo al fatto di essere rieletti. Tale valore è pari a W per ognuno dei Governi locali e ad a TU con a > 1 per il Governo centrale. Il valore di non essere rieletto è pari a zero. I Governi sono neutrali al rischio rispetto a W. Tale assunzione permette di non includere la ripartizio­ ne del rischio tra i fattori che influenzano la forma del contratto. Le preferenze del Governo locale i sono rappresentate dalla seguente fun­ zione obiettivo:

Vi = Vt{Xf) + W V i = 1,...., N [2]

con W = 0 se il Governo non viene rieletto. Quelle del Governo centra­ le sono, invece, rappresentate da:

V(x) = V{x) + aW [3]

con a W = 0 se il Governo non viene rieletto. Infine

dVi(Xi)/dxi - dV(Xi)jdxi ovvero nessuna delle due forme di Governo go­ de di un vantaggio comparato rispetto all’altra nel realizzare le politi­ che prescelte. I valori di Xj scelti da ciascun Governo locale o dal Go­ verno centrale non sono osservabili. Il benessere di ciascuna regione

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verificabile. Ciò significa che non è possibile scrivere un contratto che punisce i Governi se il livello di benessere raggiunto da ciascuna regio­ ne è più basso di quello stabilito. Le uniche variabili che si assumono verificabili sono le funzioni di benessere sociale e quindi le loro deriva­

te rispetto ad xt- Vi = Ciò significa che la Costituzione può fis­

sare il grado di decentramento sulla base delle esternalità prodotte dalle diverse regioni.

La regione i si definisce « soddisfatta » se U ,(x) + £; > C ed « in­ soddisfatta » se Ui(x) + e, < C. Per semplicità di notazione, si indichi il primo evento con il simbolo s, ed il secondo con il simbolo - st. La leg­ ge elettorale è così strutturata: il Governo locale i è rieletto se la regio­ ne i è soddisfatta. Il Governo centrale è rieletto se la maggioranza (K > 1/2 N) delle regioni sono soddisfatte. Il valore di x, che massimiz­ za la funzione obiettivo del Governo locale è dato dalla seguente espressione:

- d V j

dxi = W

d u ;

dxi ( e .) [4]

con /(fi,-) valutata in C - Ut\x). In modo simile, per il Governo centrale il valore ottimo di a; è quello che soddisfa le seguenti condizioni del primo ordine:

dove pr(S è la probabilità che il Governo è rieletto quando può

contare sul voto della regione i e pr(S fi - st) è la probabilità che il Governo è rieletto senza il voto della regione i.

Dalla [4] e dalla [5] risulta che, in entrambi i casi, il livello otti­ mo di x, è quello che eguaglia l’utilità marginale dello sforzo all’incre­ mento marginale nella probabilità che il Governo sia rieletto moltipli­ cato per il valore attribuito alla rielezione. Ciò che differenzia i due casi è il modo in cui viene calcolata la probabilità di rielezione: per un Governo locale essa è semplicemente pari all’incremento marginale nella probabilità che la regione i sia soddisfatta. Per un Governo cen­ trale, invece, bisogna tenere conto di quattro diversi effetti.

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sti ultimi sono fissati in modo diverso da un Governo centrale e da un Governo locale.

2) Nella espressione [5] la probabilità che la regione i sia soddi­ sfatta è moltiplicata per la probabilità che tale regione sia decisiva nel determinare la rielezione del Governo. Quest’ultima è pari a \pr(S t'/Si) - pr(S il - ) ]. Ceteris paribus, la presenza di questo termi­ ne riduce il valore di x¡ di equilibrio e quindi il benessere della regio­ ne i.

3) Un Governo centrale, poiché attribuisce un valore maggiore al fatto di essere rieletto, ha incentivo a scegliere valori più alti di a?,-, a parità di altre circostanze.

4) Nella scelta di x¡ un Governo centrale internalizza le esterna- lità che infligge alle altre regioni. L ’effetto di tale internalizzazione sulla scelta di x¿ dipende, naturalmente, dal segno delle esternalità. Poiché questi fattori generano reazioni di segno opposto, l’effetto fina­ le sul livello di Xi scelto da un Governo centrale non può essere deter­ minato a priori ma dipende dalla ampiezza di ciascuna componente. A partire da questo risultato Seabright esamina un vasto numero di implicazioni connesse alla scelta tra le due forme di Governo. Valo­ ri di a più elevati oppure esternalità di segno positivo fanno aumenta­ re Xi e quindi costituiscono elementi a favore di una maggiore centra­ lizzazione. D ’altra parte la centralizzazione può avere l’effetto negati­ vo di stimolare l’adozione di politiche che hanno effetti positivi sulle regioni con alta probabilità di essere decisive, ed effetti negativi su re­ gioni con bassa probabilità di essere decisive.

Un altro fattore rilevante è rappresentato dal grado di correlazio­ ne tra gli shock esogeni di ciascuna regione. Una correlazione positiva accresce Vaccountability di ciascuna regione e quindi riduce la distanza tra una struttura di tipo centralizzato ed una di tipo decentrato. In­ tuitivamente questa conclusione può essere così spiegata: se la correla­ zione tra gli shock è positiva vi è una elevata probabilità che una po­ litica che soddisfa una regione soddisfi anche la maggioranza di esse. Ciò significa che ognuna delle regioni ha una maggiore probabilità di essere decisiva e quindi una maggiore possibilità di influenzare le de­ cisioni del Governo. La conseguenza negativa è rappresentata dal fat­ to che le regioni danneggiate in quanto hanno poco peso sulla decisio­ ne finale tendono ad essere emarginate.

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no più efficace l’attività di controllo esterno e quindi più forti gli in­ centivi per i policymaker ad agire nell’interesse collettivo.

In una diversa prospettiva, l’approccio dei contratti incompleti è stato utilizzato da Laffont e Tirole (1991) per esaminare il problema della relazione tra assetto proprietario delle imprese e livello di benes­ sere sociale raggiungibile sul mercato. Nel modello si assume che lo Stato non possa sottoscrivere un contratto incentivante completo quando privatizza o nazionalizza un’ impresa e questa incapacità pro­ duce effetti significativi a causa della divergenza di obiettivi esistente tra i privati, preoccupati esclusivamente di massimizzare i profitti, ed il Governo interessato anche ad altri aspetti quali il controllo della qualità o la riduzione delle esternalità. In tale contesto, la struttura proprietaria diventa rilevante in quanto stabilisce chi ha il potere di decidere nelle circostanze residuali.

Il vantaggio della proprietà pubblica discende dal fatto che il Go­ verno può direttamente imporre gli aggiustamenti socialmente deside­ rabili mentre questi devono essere negoziati con l’impresa privata. Lo svantaggio è rappresentato dai ridotti incentivi ad effettuare investi­ menti. Seguendo il tipo di ragionamento proposto da Hart, i manager realizzano livelli di investimento subottimali se vedono sottrarsi i be­ nefici dei loro investimenti quando lo Stato decide di indirizzarli ver­ so obiettivi più desiderabili dal punto di vista sociale.

I costi dell’impresa privata, d ’altra parte, derivano dalla maggio­ re dispersione dei diritti residuali di controllo e dalle esternalità che si generano tra le parti che esercitano tali diritti. Ciò è una conseguenza del fatto che i manager di un’impresa privata devono rispondere sia al regolatore che agli azionisti: il conflitto negli obiettivi dei due princi­ pali provoca una riduzione nel potere di incentivo degli schemi offerti ai manager.

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si a sottoscrivere le proposte del subordinato a cui deve cedere l’auto­ rità reale.

Il problema specifico analizzato da Aghion e Tirole è quello della scelta di un progetto tra n alternative tutte identiche ex-ante. Il prin­ cipale si avvale del contributo dell’agente per raccogliere informazioni sui pay-off associati agli n progetti. Poiché nel modello si assume che questi non siano descrivibili ex-ante, il contratto che lega principale ed agente è un contratto incompleto. Gli autori dimostrano che l’ottima ripartizione dell’autorità reale tra principale ed agente, quando il con­ tratto iniziale conferisce l’autorità formale al principale, è determina­ ta dal trade-off tra « iniziativa » e « perdita di controllo ».

L ’intuizione economica alla base di questo risultato è la seguente: il meccanismo di scelta è tanto più efficiente quanto maggiore è l’am­ montare di informazioni a disposizione sia del principale che dell’a­ gente. L’incentivo del subordinato a produrre informazioni (l’iniziati­ va) cresce al ridursi della sorveglianza del superiore. Tuttavia, se la sorveglianza diventa troppo blanda, il superiore rischia di perdere il controllo ed acconsentire all’approvazione di progetti inefficienti. La soluzione ottima consiste nel concedere all’agente quell’ammontare di autorità (reale) che gli lascia sufficiente iniziativa senza compromette­ re la sorveglianza del principale.

3. La critica alla teoria dei contratti incompleti.

Le considerazioni svolte in questo paragrafo, per la maggior parte suggerite da Tirole (1994b), si propongono di evidenziare alcuni limiti di cui soffre la teoria dei contratti incompleti. Esse non intendono mettere in discussione la generale validità di questo approccio; piutto­ sto, sono volte a chiarire i termini del dibattito attualmente in corso relativo alla scelta del paradigma teorico che meglio si adatta all’ana­ lisi delle istituzioni pubbliche o private. Le argomentazioni sostenute poggiano su tre punti principali.

3.1. Lo strumento dei contratti incompleti rischia di essere utilizzato in modo errato.

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intravisto da alcuni economisti è che lo strumento dei contratti in­ completi, grazie alle sue enormi potenzialità analitiche, possa, in tal modo, trasformarsi in uno strumento ad hoc invocato tutte le volte che la teoria tradizionale non è in grado di fornire delle risposte soddi­ sfacenti.

La seconda considerazione è di carattere più strettamente tecni­ co. L’ipotesi di non verificabilità, anche quando ha reale fondamento, può mancare di un chiaro significato economico quando esaminata al­ la luce di alcuni risultati standard della teoria dei contratti completi. In particolare, la letteratura sull’implementazione di Nash con infor­ mazione simmetrica (7) ha mostrato che quando le parti coinvolte nel contratto possiedono le medesime informazioni, la non verificabilità non costituisce, in generale, un ostacolo alla possibilità di implemen­ tare contratti basati su tali informazioni. Si consideri una situazione in cui possono verificarsi n stati del mondo tutti descrivibili ex-ante ma osservabili solo ex-post. Data l’ipotesi di non verificabilità, la pos­ sibilità di implementare un contratto « state-contingent » è legata alla capacità di indurre gli agenti coinvolti nel contratto a rivelare lo stato del mondo una volta che si è realizzato. La conclusione cui giunge questa letteratura è che è possibile, in generale, disegnare dei meccani­ smi di rivelazione capaci di far dichiarare agli agenti le informazioni in modo veritiero. In conseguenza di ciò la non verificabilità diventa irrilevante. La qualificazione in generale riflette il fatto che solo le in­ formazioni payoff relevant — ovvero quelle che modificano le prefe­ renze Von Neumann Morgestern degli agenti nel secondo periodo — possono essere estratte come unico equilibrio di un meccanismo di ri­ velazione.

3.2. L ’incompletezza dei contratti non costituisce un presupposto in­ dispensabile per costruire una valida teoria delle principali istituzioni.

Questa tesi è stata sostenuta ed ampiamente argomentata da J. Tirole (1994b) nella sua recente rassegna sulla letteratura dei con­ tratti incompleti che si chiude con la seguente affermazione: « Incom­ plete contracting is not a compulsory ingredient of a theory of stan­ dard institutions such as authority or property rights ».

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Si consideri innanzitutto il tema dei diritti di proprietà concen­ trando di nuovo l’attenzione sul problema dell’assetto proprietario delle imprese (pubblica o privata). Nel paragrafo precedente si è so­ stenuto che la struttura proprietaria è rilevante solo se vi è incomple­ tezza dei contratti, se i costi di scrivere il contratto sono nulli non vi è alcuna differenza, in termini di efficienza allocativa, tra un’impresa privata regolamentata ed un’impresa pubblica. In un recente contri­ buto J.J. Laffont (1995) ha mostrato che questo risultato è una conse­ guenza del fatto che la letteratura tradizionale ha trascurato di consi­ derare gli effetti prodotti dal sistema politico. Una volta che si intro­ ducono nell’analisi non solo le inefficienze prodotte dall’asimmetria informativa ma anche quelle causate dal sistema politico, la struttura proprietaria delle imprese diventa rilevante anche in presenza di con­ tratti completi. Per illustrare i risultati raggiunti da Laffont si consi­ deri un’impresa operante in regime di monopolio naturale che deve realizzare un progetto di dimensioni date. Il costo del progetto è pari a C = fi - e, dove fi è il parametro tecnologico ed e lo sforzo realizzato. Il costo è osservabile ex-post. Per un livello di sforzo e l’impresa sop­ porta una disutilità pari a iy(e) con y/’(e) > 0. L ’insieme dei consuma­ tori si assume continuo e composto di due diversi tipi. I consumatori del tipo 1 attribuiscono al progetto un valore St quelli del tipo 2 un valore S2 con S2> SI. a misura la frazione di consumatori del tipo 1 ed è una variabile casuale definita sull’intervallo [0,1]. La funzione di utilità dell’impresa è data da:

U = t - C — i//(e) [6]

dove t rappresenta il trasferimento monetario netto pagato dallo Sta­ to quando si assume che lo Stato si appropri interamente dei profitti dell’impresa. Data l’ipotesi di imposte distorsive il costo per la collet­ tività di 1 lira di imposta è pari a (1 + A) dove X > 0 misura il prezzo ombra dei fondi pubblici. Il surplus netto percepito dai consumatori del gruppo i = 1, 2 è pari a:

f, = $ - ( ! + * ) * . m

Si assuma che solo i consumatori conoscano il loro tipo e che fi sia un’informazione privata dell’impresa che può assumere solo due valo­ ri: fio « efficiente », con probabilità v e fi o « inefficiente » con probabili­ tà 1 - v.

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da un pianificatore benevolente ed imparziale che massimizza una funzione di benessere sociale sotto i vincoli di incentivo e di partecipa­ zione sia dell’impresa che dei consumatori (8). Nel caso di un pianifi­ catore utilitarista il benessere sociale è dato dalla somma del surplus di tutti i membri della collettività. Applicando il Principio di Rivela­ zione, l’ottimo meccanismo di regolamentazione risulta caratterizzato da un livello di sforzo efficiente, (y/’ (e* ) = 1), ed una rendita positiva (che indichiamo con &(e)) per il tipo efficiente e da un livello di sforzo subottimale ed una rendita nulla per il tipo inefficiente. Il livello di sforzo richiesto al tipo inefficiente è quello che soddisfa la seguente espressione:

Quando si introduce il sistema politico la scelta dell’ottimo meccani­ smo di regolamentazione compete al candidato che ottiene la maggio­ ranza alle elezioni: il candidato del gruppo 1 se a > 1/2, quello del gruppo 2 se (1 - a) > 1/2. La proprietà dell’impresa può essere sia pub­ blica che privata. L’impresa pubblica è controllata dalla maggioranza di Governo che si appropria della rendita, l’impresa privata è control­ lata da un manager privato che può appartenere sia alla maggioranza che all’opposizione. La funzione obiettivo quando i consumatori di ti­ po 1 hanno la maggioranza è quindi pari a:

Quando l’impresa è pubblica o quando è privata ma di proprietà dei consumatori di tipo 1 ed è pari a:

quando l’impresa è privata e di proprietà dei consumatori di tipo 2. Nel primo caso l’ottimo meccanismo di regolamentazione risulta ancora caratterizzato da un livello di sforzo efficiente e da una rendita positiva per il tipo efficiente e da un livello di sforzo subottimale ed una rendita nulla per il tipo inefficiente. L’impossibilità di discrimina­ re i prezzi impedisce alla maggioranza di appropriarsi di tutto il

sur-(8) Si noti che poiché il modello assume che vi sia un continuo di consumatori, l’unica struttura di trasferimenti compatibile con gli incentivi dei consumatori è quella caratterizzata da assenza di discriminazione: lt = t2 = t e tj = i2 = t (no discrimination in pricing).

[8]

aS, - (1 + X)a[vt+ (1 - v)t] + (vU + (1 - v)U). [9]

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plus prodotto e mantenere l’opposizione al suo livello di utilità di ri­ serva. Il livello di sforzo richiesto al tipo inefficiente è dato dalla se­ guente espressione: ¥ v X i - v f + T a -(1 - « ) X €>’

con a e[ll2 , 1]. Confrontando la [8] e la [11] è facile verificare che e è < è p (dove p indica che l’impresa è pubblica e 1 che la maggioranza è di tipo 1). La ragione di questo risultato è semplice: poiché in questo caso la rendita è catturata da una frazione dell’intera popolazione, è interesse della maggioranza di governo indurre l’impresa inefficiente a realizzare un livello di sforzo maggiore di quello ottimo in modo da accrescere la rendita prodotta. Lo stesso risultato si ottiene anche nel caso di un’impresa privata il cui manager appartiene ai consumatori del tipo 1. Nel caso dell’impresa privata di proprietà dell’opposizione, invece, poiché è interesse della maggioranza ridurre la rendita il più possibile, lo sforzo dell’impresa inefficiente viene fissato ad un livello più basso di quello ottimo. In particolare:

con è > è p (dove P indica che l’impresa è privata).

Appare chiaro, dunque, che la struttura proprietaria, in quanto influenza il potere degli incentivi offerti alle imprese, è rilevante an­ che in un contesto di contratti completi. Si noti, tuttavia, che l’asim­ metria informativa e le inefficienze del sistema politico sono cruciali per il risultato. In un contesto caratterizzato da completa informazio­ ne o da un pianificatore sociale benevolente ed imparziale (approccio dell’interesse pubblico) la struttura proprietaria diventa nuovamente ininfluente.

La soluzione efficiente (proprietà pubblica o privata) può essere, infine, individuata confrontando i costi associati all’una o all’altra forma di proprietà. In particolare, sia:

C(e) = (J3- e + y/(e)) + 4>{e)) + (1 - v)(fi - e + y/{e))

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frontando il livello benessere sociale raggiungibile nei due casi è pos­ sibile derivare il seguente risultato:

• Scelta dell’ottima struttura proprietaria (Laffont (1995)):

La proprietà privata è costituzionalmente preferibile a quella pubbli­ ca se e solo se:

ovvero se il vantaggio della proprietà privata, misurato in termini di minor costo del progetto in conseguenza dei più bassi incentivi, è maggiore della rendita di cui si appropria la maggioranza quando l’impresa è pubblica.

Conclusioni simili a quelle appena descritte vengono raggiunte da Tirole anche con riferimento al tema dei rapporti di autorità e gerar­ chia. L’analisi di Tirole parte dalla considerazione che, in alcuni casi, semplici regole decisionali come quella che conferisce l’autorità di de­ cidere ad una delle parti del contratto, scaturiscono naturalmente co­ me equilibri ottimi di contratti completi. L ’intuizione economica di tale risultato può essere facilmente catturata quando si analizza il le­ game esistente tra i due paradigmi standard della teoria dei contratti completi: azzardo morale e conoscenza nascosta e le nozioni di autori­ tà e gerarchia. Come fa osservare Tirole, infatti, la nozione di autorità proposta da Simon (1951) (9) è rinvenibile sia nei modelli di azzardo morale che in quelli di conoscenza nascosta. Nella conoscenza nasco­ sta si assume che una delle parti acquisisca un’informazione privata de 0 dopo la stipulazione del contratto. Il contratto ottimo è quello che conferisce a questa parte il diritto di selezionare una decisione (ad es. un trasferimento o un output) da un insieme prestabilito di possibi­ li decisioni X. Sebbene in questo caso il conferimento dell’autorità sia legato al vantaggio informativo di cui dispone una parte nei confronti dell’altra, l’idea di autorità implicita in questi modelli non differisce nella sostanza da quella proposta da Simon. Inoltre, i modelli di cono­ scenza nascosta catturano l’idea, tipicamente di Simon, di utilizzare

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l’autorità come strumento per rinviare la fase decisionale ad un mo­ mento in cui il grado di incertezza è minore. Nell’azzardo morale, in­ vece, una parte non può osservare il comportamento tenuto dall’altra che è libera di scegliere una qualunque azione all’interno di un insie­ me dato A (10). Anche in questo caso la maggiore informazione confe­ risce a chi la possiede il potere di scelta.

Più complesso è il discorso per quanto riguarda il concetto di ge­ rarchia. Né nei modelli di conoscenza nascosta né in quelli di azzardo morale è presente una struttura di tipo gerarchico, paradossalmente si tratta di modelli « principale-agente » in cui è l’agente che possiede l’autorità. Tuttavia, alcuni contributi recenti possono essere letti co­ me dei tentativi di fornire delle risposte, seppur parziali, a questo pro­ blema. Tra questi il già citato lavoro di Aghion e Tirole (1994) relati­ vo alla distinzione tra autorità formale ed autorità reale. Tenendo conto di questa distinzione un modello principale-agente con azzardo morale o con conoscenza nascosta può essere interpretato come un modello con autorità reale in cui è assente qualunque tipo di alloca­ zione formale dell’autorità. Ciò in contrasto con quanto accade nei modelli alla Grossman ed Hart in cui l’unica forma di autorità presen­ te è quella formale.

3.3. La teoria dei contratti incompleti, così come attualmente formu­ lata, non è in grado di catturare il problema dei costi di transa­ zione.

Queste ultime considerazioni fanno riferimento ad alcuni vizi di forma riscontrati nella teoria dei contratti incompleti. Come dovrebbe essere ormai chiaro, il principale motivo che impedisce di scrivere con­ tratti completi è l’impossibilità di anticipare e quindi di regolare con­ trattualmente tutte le possibili circostanze future. Sebbene una affer­ mazione del genere sia difficilmente confutabile, dal punto di vista economico ciò che è rilevante è l’impatto che essa può esercitare sulle allocazioni di equilibrio. Al riguardo, Maskin e Tirole provano che, in talune circostanze, l’impossibilità di scrivere contratti in cui tutti i possibili eventi futuri siano stati previsti non influenza l’efficienza dell’equilibrio e quindi non giustifica il ricorso all’approccio dei con­ tratti incompleti, almeno per come esso è attualmente formulato.

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I due autori sviluppano il loro ragionamento nel modo seguente: nella teoria dei contratti incompleti l’ipotesi generalmente adottata è che gli individui si comportano in modo razionale. Ciò significa che, sia nella scelta del contratto iniziale (che nei modelli con contratti in­ completi equivale alla scelta dell’allocazione dei diritti residuali di controllo) che nella scelta dello sforzo da realizzare ex-ante, gli agenti sono mossi dall’obiettivo di massimizzare la loro utilità attesa. Impli­ cita in questa affermazione è l’idea che gli agenti sono capaci di effet­ tuare una programmazione dinamica ovvero che essi conoscono la re­ lazione che lega le scelte da loro effettuate ai payoff associati a ciascu­ na scelta. Pertanto, sebbene essi non siano in grado di prevedere qua­ le stato del mondo prevarrà domani o quale livello di sforzo sarà rea­ lizzato, posseggono, comunque, una minima capacità previsionale re­ lativa all’insieme di tutti i possibili payoff che potranno essere rag­ giunti. Utilizzando la terminologia di Maskin e Tirale, gli agenti ope­ rano in un contesto di unforeseen contingencies, foreseen payoff ( u c fp-

framework). Inoltre, la teoria dei contratti incompleti assume che l’in­ formazione ex-ante sia simmetrica nel senso che gli agenti condividono la stessa distribuzione di probabilità soggettiva sull’insieme dei payoff possibili (11).

Tenendo conto di queste assunzioni, Maskin e Tirale hanno di­ mostrato che, in molti casi, l’insieme delle possibili allocazioni di equi­ librio in un contesto caratterizzato da vcFP-framework ed informazio­ ne simmetrica ex-ante è uguale a quello raggiungibile in un contesto caratterizzato da foreseen contingencies, foreseen payoffs (f c f p-frante- work) ovvero nel contesto usuale dei contratti completi. Ciò equivale ad affermare che l’insieme dei payoff è una « statistica sufficiente » per una descrizione completa dell’insieme degli stati di natura, compreso l’insieme delle possibili decisioni ex-ante, pertanto l’impossibilità di prevedere gli stati futuri del mondo o le azioni future non produce al­ cun effetto sull’efficienza del contratto.

Si consideri lo schema standard di un contratto incompleto con due agenti, i = 1, 2 e tre periodi, t - 0 , 1, 2. Nello stadio 0 (ex-ante) le parti sottoscrivono il contratto. Nello stadio 1 realizzano un certo am­

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