Centro Sociale
inchieste sociali - servizio sociale di gruppo
educazione degli adulti
a- IH — 11 ■ 10-11, 1956 — un numero con tav. alleg. L. 400 — abbonamento a 6 fascicoli e 6 tavole 70X 100 allegate L. 2.200 - estero L. 4.000 abbonamento alle sole 6 tavole L. 900 — spedizione in abbonamento postale gruppo IV - c. c. postale n. 1/20100 - Direzione Redazione Amministrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 - Roma - telefono 593.455
S o m m a r i o
i
SilenzioV. Olivetti 3 Cenni storici sulla dinamica di gruppo
N. Numeroso 5 Un seminario sulla dinamica di gruppo
A . Ossicini 2 2 I gruppi diagnostici
Mario Calogero Comandini
2 6 Inconvenienti del lavoro di gruppo
3 1 Indicazioni bibliografiche sulla psicologia sociale 3 5 D ocum enti 4 5 Notizie 5 4 Estratti e segnalazion i S t a t o d e l l a r i c e r c a e t n o l o g i c a - A b i t a z i o n e e s v i l u p p o e c o n o m i c o - A z i o n e s o c ia le e d i f f u s i o n e d e l la c u l t u r a . A llegati
La Costituzione Italiana : III. I principi fon damentali (tavola di G ianni P o lid ori, testo di A c h ille Battaglia e M a rcello C apurso)
Recensioni: D. Dolci, In ch iesta a P alerm o(L. B e n ev o lo ); D . R i e s m a n , N. G la z e r , R . D e n n e y , L a fo l la solitaria
(F. F err a r otti).
Periodico bimestrale redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell’ UNRRA CASAS Prima Giunta
Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino, Ludovico Quaroni, Giorgio Ceriani Sebregondi, Giovanni Spagnoili, Angela Zucconi - Direttore responsabile:Paolo Volponi - Redattore:Anna Maria Levi
Silenzio
« ... tra i vizi più strami e più gravi della nostra epoca, va menzio
nato il silenzio. Quelli di noi che oggi hanno provato a scrivere dei romanzi,
conoscono il disagio, l’infelicità che coglie quando è il momento di far
parlare dei personaggi tra loro. Per pagine e pagine, i nostri personaggi
si scambiano delle osservazioni insignificanti, ma cariche d’una desolata
tristezza.: ’’ Hai freddo?
— No, non ho freddo. — Vuoi un po’ di i è ? —
Grazie, no.
— Sei stanco? — Non so. Sì, forse sono un po stanco . I
nostri personaggi parlano così. Parlano così per ingannare il silenzio.
Parlano così perché non sanno più come parlare. A poco a poco vengono
fuori anche le cose più importanti, le confessioni terribili:
Lo hai
ucciso ? — Sì, l’ho ucciso ”. Strapipate dolorosamente al silenzio, vengono
fuori le poche, sterili parole della nostra epoca, come segnali di naufraghi,
fuochi accesi tra colline lontanissime, flebili e disperati richiami che
inghiotte lo spazio.
Allora, quando vogliamo far parlare tra loro i nostri personaggi,
allora misuriamo il profondo silenzio che s’è addensato a poco a poco
dentro di noi. Abbiamo cominciato a tacere da ragazzi, a tavola, di
fronte ai nostri genitori che ci parlavano ancora con quelle vecchie
parole sanguinose e pesanti. Noi stavamo zitti. Stavamo zitti per pro
testa e per sdegno. Stavamo zitti per far capire ai nostri genitori che
quelle loro grosse parole non ci servivano più. Noi ne avevamo in
serbo delle altre. Stavamo zitti, pieni di fiducia nelle nostre nuove
parole. Avremmo speso quelle nostre nuove parole più tardi, con gente
che le avrebbe capite. Eravamo ricchi del nostro silenzio. Adesso ne
siamo vergognosi e disperati, e ne sappiamo tutta la miseria. Non
ce ne siamo liberati mai più. Quelle grosse parole vecchie, che servi
vamo ai nostri genitori, sono moneta fuori corso e non l’accetta nessuno.
E le nuove parole, ci siamo accorti che non hanno valore, non ci si
compra nullo,. Non servono a stabilire rapporti, sono acquatiche, fredde,
inf econde. Non ci servono a scrivere dei libri, non a tener legata a noi
una persona cara, non a salvare un amico
».
,
« Di solito questo vizio del silenzio che avvelena la nostra epoca lo
si esprime con un luogo comune: ” Si è perduto il gusto della conver
sazione
E’ l’espressione futile, mondana, di una cosa vera e tragica.
Dicendo ” il gusto della conversazione ” noi non diciamo niente che ci
aiuti a vivere: ma la possibilità di un libero e normale rapporto fra gli
uomini, questo sì ci manca, e ci manca al punto che alcuni di noi si sono
ammazzati per la coscienza di questa privazione. Il silenzio miete le sue
vittime ogni giorno. Il silenzio è una malattia mortale.
Mai come oggi, le sorti degli uowÀni sono state tanto strettamente
connesse l’una all’altra, così che il disastro di uno è il disastro di tutti.
Si verifica dunque questo fatto strano: che gli uomini si trovino stret
tamente legati l’uno al destino dell’altro, così che il crollo di un solo
travolge migliaia d’altri esseri, e nello stesso tempo tutti soffocati dal
silenzio, incapaci di scambiarsi qualche libera parola. Per questo
—
perché il disastro di uno è il disastro di tutti
— i mezzi che ci sono
offerti per guarire dal silenzio si rivelano insussistenti. Ci viene sugge
rito di difenderci con l’egoismo della disperazione. Ma l’egoismo non
ha mai risolto nessuna dispemzione. Siamo anche troppo avvezzi a
chiamare
malattie
i vizi della nostra anima, e a subirli, a lasciarcene
governare, o a blandirli con sciroppi dolci, a curarli come fossero malat
tie. Il silenzio dev’essere contemplato, e giudicato, in sede morale. Non
ci è dato scegliere se essere felici o infelici. Ma
bisogna
scegliere di
non essere
diabolicamente
infelici. Il silenzio può raggiungere una forma
d’infelicità chiusa, mostruosa,
diabolica;
avvizzire i giorni della giovi
nezza, fare amaro il pane. Può portare, come si è detto, alla morte.
Il silenzio dev’essere contemplato, e giudicato, in sede morale. Per
ché il silenzio, come l’accidia e come la lussuria, è un peccato. Il fatto
che sia un peccato comune a tutti i nostri simili nella nostra epoca, che
sia il frutto amaro della nostra epoca malsana, non ci esime dal dovere
di riconoscerne la natura, di chiamarlo col suo vero nome
».
Cenni storici sulla dinamica di gruppo
di Vittoria Olivetti
Nella psicologia sociale ha assunto in questi ultimi anni particolare
importanza lo studio dei gruppi e in modo particolare lo studio delle
interazioni tra i membri di un gruppo, cioè delle modificazioni che avven
gono nella struttura come totalità, come prodotti delle modificazioni di
ogni parte del gruppo.
Come è noto, gli studi sulla dinamica di gruppo traggono la loro
origine dalla Gestaltpsychologie o psicologia della forma, una scuola che
fiorì in Austria verso il 1910 e i cui esponenti maggiori furono Werthei
mer, Köhler e Koffka. Il principio fondamentale della Gestalt secondo le
parole stesse di Wertheimer così si può formulare : « Le forme sono strut
ture integrali il cui comportamento non è determinato dal comportamento
degli elementi singoli che le compongono, ma dalla natura intrinseca del
l'insieme ». Questa teoria si opponeva pertanto alle concezioni atomistiche
e associazionistiche della percezione fino allora invalse, introducendo in
psicologia il concetto di campo, concetto che si dimostrò fecondissimo
di applicazioni. Si affermava con ciò che non esistono in psicologia sen
sazioni pure senza condizioni di percezione, come non esistono in fisica
processi fisici puri. Gli elementi della forma in base alla Gestalt vengono
determinati dalla forma globale e non viceversa, così come in un campo
elettromagnetico ogni processo parziale dipende da ogni altro processo
parziale che si svolge nel campo. E Köhler estendendo questo concetto
affermava : « E’ giustificato applicare il concetto di campo al campo uni
versale che abbraccia anche l’io e le tensioni che esistono tra l’io e il
suo ambiente ».
Ma fu propriamente Kurt Lewin che, emigrato negli Stati Uniti,
applicò i principi della Gestalt alla psicologia sociale costruendo la psico
logia vettoriale.
Lewin fondava la sua teoria sul concetto che esista uno spazio
sociale che abbia le proprietà dello spazio fisico studiato dalla matema
tica e dalla geometria, e venne pertanto ad applicare i principi mate
matici e propriamente quelli della topologia o analysis situs (quella
branca della geometria che studia i rapporti di posizione indipendente
mente dalla distanza, forme e direzione) ai rapporti umani, creando
nuovi mezzi di indagine e nuove tecniche nel campo dei rapporti sociali.
Soprattutto gli studi di Lewin, Lippitt e White dimostrarono l’impor
tanza del fatto sociale in ogni tipo di comportamento : infatti l’individuo
dal primo giorno della sua nascita è membro di un gruppo : gli espe
rimenti condotti sui processi di successo o di fallimento, sui livelli di
aspirazione, intelligenza, frustrazione, hanno dimostrato che i valori che
l’individuo si costruisce, i suoi scopi, il suo modo di vita, sono influen
zati dagli standards sociali del gruppo cui appartiene o cui desidera
appartenere.
Importantissimi per lo sviluppo del fanciullo sono i processi con cui
assimila o si oppone al modo di vita del gruppo in cui vive, alle forze
che lo inducono a far parte di un gruppo o che determinano il suo stato
sociale e il suo senso di sicurezza all’intemo di questo. La scuola di
Lewin pose l’accento sull’utilità del lavoro e della discussione di gruppo
e sull’importanza di sviluppare la coscienza di partecipazione attiva nei
suoi membri. Soprattutto è stato dimostrato che è possibile sviluppare
notevolmente gli atteggiamenti costruttivi e lo spirito di collaborazione
se si lascia che i membri del gruppo partecipino ai processi di decisione.
Altri esperimenti rivelarono che il metodo della discussione collet
tiva risulta da due a tre volte più efficace della semplice conferenza e
di efficacia quasi doppia del metodo della istruzione individuale.
Questi principi si dimostrarono assai fecondi nei metodi di adde
stramento e nelle relazioni umane.
Anche per quanto riguarda i metodi educativi un metodo che si basi
sull’utilizzazione delle forze insite nel gruppo (metodo democratico) è più
valido del metodo autocratico in cui il leader non consente alle forze dei
membri di esplicarsi liberamente. Nell’esperimento compiuto da Lippitt
e White nel Iowa Cliild Welfare Research Station si studiò sperimen
talmente l’atmosfera creata in un gruppo da parte di un leader demo
cratico e quella creata da un leader autocratico : fu possibile in tal modo
osservare la differenza tra le due situazioni e si constatò che nel com
plesso l’atmosfera autoritaria comporta una dominazione aggressiva da
parte del leader e una limitazione alla libertà di movimento dei membri,
mentre nei bambini si nota una maggiore dipendenza dal leader e un
atteggiamento ostile e critico verso i compagni, senza peraltro una
accentuazione di personalità. I risultati dell’esperimento dimostrarono
chiaramente anche per quanto riguarda il rendimento che il metodo
democratico è assai più proficuo.
Oltre i contributi notevoli di Lewin e della sua scuola allo studio
dei gruppi si deve inoltre ricordare l’importante lavoro condotto da
Moreno che, emigrato da Vienna negli Stati Uniti, vi fondò la sociome
tría, la cui Bibbia è costituita da « Who shall survive? ». Con la sua
opera Moreno si propose di creare una nuova scienza religiosamente ispi
rata o una religione scientifizzata che si fondasse sulla spontaneità e crea
tività quali forze propulsive del progresso umano, forze che in opposi
zione alla psicanalisi sono concepite come prelibidiche ed extralibidiche.
Con questa scienza e con le sue nuove tecniche (psicorappresenta
zioni e psicoterapia di gruppo) Moreno intese creare una società « super
dinamica » basata sul rapporto di spontaneità e d’amore tra i membri
dei gruppi. Moreno sentì d’aver raccolto l’eredità di Socrate il creatore
del dialogo e di Gesù il guaritore ed almeno nelle sue intenzioni la sua
opera dovrebbe avere valore soteriologico per una civiltà dominata ormai
dalle macchine e dai robot.
Un seminario sulla dinamica di gruppo
di Niccolò Numeroso
Dal 27 novembre al 6 dicembre
dello scorso anno si è svolto presso il
CEPAS (Centro Educazione Pro
fessionale per Assistenti Sociali), or
ganizzato da questo stesso ente, un
seminario psicopedagogico sulla « di
namica di gruppo », diretto da tre
docenti americani (1). Questi, che fa
cevano parte di un’équipe di 5 esperti
invitati dall’Agenzia Europea della
Produttività (Progetto 339) a svolge
re, in varie città europee, programmi
relativi all’insegnamento delle Human
Relations,
erano : Mr. D. A. Nylen,
uno dei dirigenti in U.S.A. dei ser
vizi di orientamento professionale e
di psicologia scolastica, Mr. H. A.
Thelen, professore di sociologia al
Department of Education
dell’Uni
versità di Chicago e Mr. H. J. Lea-
vitt, professore incaricato alla School
of Business
dell’Università di Chica
go e consulente industriale per i pro
blemi di formazione, di selezione e
organizzazione.
Al seminario hanno partecipato un
gruppo di docenti del CEPAS, tra
cui tre psicologi ; la dirigente dello
stesso ente con la sua équipe di assi
stenti sociali ; un altro gruppo di
as-(1) V. « Centro Sociale », n. 8-9, pag. 45.
sistenti sociali, monitori delle scuole
di servizio sociale di Roma e addetti
al lavoro di gruppo ; dirigenti di enti
assistenziali interessati a questi pro
blemi e rappresentanti dell’IRl e
del Comitato Nazionale per la Pro
duttività (tra questi ultimi su quat
tro tre erano psicologi).
Scopo del seminario era non tanto
di fornire una panoramica informa
tiva e culturale, sia pure approfon
dita, dei principali problemi della
psicologia di gruppo, quanto di per
fezionare in questo campo, su un
piano teorico-pratico, la formazione
professionale degli assistenti sociali
« group-workers » e degli educatori
degli adulti.
Prima di esporre, sia pure a grandi
linee, lo svolgimento del seminario è
opportuno fare alcuni cenni su que
sta branca della psicologia sociale, che
in una prospettiva quanto mai fe
conda di ricerche, di osservazioni e
di ipotesi considera l’uomo non più
monade psicologica, ma inserito nel
concreto tessuto del gruppo o dei
gruppi, del quale egli finisce con l’es
sere, per un verso o per l’altro e in
misura differente, membro operante.
Cos’ è la dinamica di gruppo?
E’ un settore della psicologia so
ciale, o meglio della psicosociologia,
che costituisce oramai un indirizzo
ed un movimento di ricerca e di ap
plicazione ben definito, sviluppatosi
nel Nord-America ad opera di Kurt
Lewin e dei suoi allievi.
Il Lewin, oltre ad essere già noto
per Fimportante concezione psicolo
gica della Fielet Theory (1) fu un
innovatore della Psicologia sociale
nordamericana del periodo 1935-1945,
portandovi rigore di metodo e origi
nalità di pensiero. L’attività scienti
fica sua e dei suoi collaboratori —
F. J. Brown, D. Cartwright, R. Lip-
pitt, L. Festinger, W. H. White ecc.
— portò nell’immediato dopoguerra
alla creazione di un centro di studio
presso l’Università di Michigan, che
(1) K
urtL
ewin,
psicologo tedesco, emi
grato dalla Germania negli U.S.A. nel 1932
per motivi razziali e politici, fu, come è noto,
un geniale e audace innovatore anche nel
campo della psicologia generale. Di lui
come psicologo va ricordata l’opera Prin-
ciples of topological Psychology (Me Graw-
Hill, 1936, New York), che rappresenta un
tentativo di dare, in forma nuova, un’espres
sione e descrizione matematica della psico
logia, servendosi non dell’usuale apparato
di misura quantitativo della matematica, ma
del sistema concettuale topologico, spaziale,
non numerico. La topologia (settore della
matematica che della spazialità studia le
caratteristiche e le proprietà senza tener
conto di forze, distanze e direzioni), con
sente, difatti, così come l’ha utilizzata Lewin,
che prima di divenire psicologo era fisico,
di descrivere una situazione psicologica an
che complessa, mediante i suoi propri con
cetti di campo, regione, posizione, confine,
percorso, connessione, ecc.; che non solo
non avrebbero minor rigore, ai fini descrit
tivi, delle descrizioni esatte mediante nu
meri, ma permetterebbero di afferrar meglio
la complessità dei fenomeni psicologici. Il
concetto di « campo psicologico », ad esem
pio, esprime spazialmente il comportamento
di un individuo in rapporto ad un ambiente,
nel determinismo del quale entrano in stretta
interdipendenza fattori inerenti sia all’indi
dopo qualche anno, nel 1949, si tra
sformò in «Institute for Social Re
search » (2), la cui attività attual
mente si rivolge allo studio di feno
meni sociali sempre più complessi in
una propettiva intelligentemente inte
gratrice degli aspetti sociologici e
psicologici che li condizionano.
La dinamica di gruppo concerne
quel complesso di osservazioni sul « vi
vo », di ricerche sperimentali, di teo
rie, di tecniche psico-sociologiche, che
concorrono allo studio dei gruppi so
ciali ristretti,
dei quali essa vuole in
dividuare i momenti caratteristici e le
condizioni di costituzione come di svi
luppo, di maturità come di dissoluzio
ne, in una direttiva di pensiero che
sfocia in un ampio « carrefour », do
ve il biologico, lo psicologico ed il so
ciale s’incontrano senza più separarsi.
viduo sia all’ambiente: l’insieme di questi
costituisce una « totalità », che Lewin chia
ma « spazio vitale » (Life space), che il
campo psicologico è in grado di rappresen
tare meglio di qualsiasi sistema di descri
zione matematica quantitativa.
La topologia, tuttavia, non basta ai fini
psicologici: essa fornisce difatti, solo una
descrizione statica delle strutture psicolo
giche. Ogni comportamento umano, invece,
modifica queste, ed allora bisogna ricorrere
per la descrizione delle trasformazioni di
struttura, a concetti adeguati a questo li
vello, e cioè dinamici, che Lewin mutua
anche dalla fisica: sono allora i vettori, le
valenze, le forze del campo, le permeabi
lità, etc., che permettono di avere un’idea
delle direzioni, del senso, dell’intensità dei
movimenti psicologici e quindi anche dei
mutamenti di struttura. Questa trama con
cettuale dinamica si trova esposta in un’al
tra sua opera (cronologicamente la prima),
Dinamic Theory of Personality (Me Graw-
Hill, 1935, New York). Allo studio dei
grupni sociali, quindi, egli fu indotto, oltre
che dall’ambiente scientifico nordamericano
straordinariamente favorevole alla Sociolo
gia e alla Psicologia sociale, dalla stessa
sua concezione tonologica e dinamica della
Psicologia.
(2) Quest’Istituto ha una sua propria ri
vista, Human Relations pubblicata in colla
borazione con l’Istituto Tavistock di Londra.
Presentandosi attualmente come un
vero e proprio « corpus doctrinae »,
diffìcilmente le si potrebbe contestare
il carattere di scienza dei gruppi
umani (a livello delle microstrutture
sociali), autonoma, dai propri metodi
d’indagine, dal definito oggetto di ri
cerca. Scienza che non rifugge, sul
piano applicativo, dall’affrontare ope
rativamente e con spregiudicatezza
vari problemi pratici delle piccole
collettività.
Problemi come i pregiudizi di
gruppo, i conflitti interpersonali nel
l’ambito del gruppo, gli aspetti psico
sociali della produttività, le caratteri
stiche della leadership, il « morale »
dei gruppi di lavoro etc., sono esempi
delle preoccupazioni sociali e pratiche
dei ricercatori della « dinamica di
gruppo ». Un’idea delle originali te
matiche di questa scienza è data dalle
ricerche sulle « comunicazioni » (la
« densità » e le caratteristiche delle
quali sono uno dei fattori di sviluppo
e di stabilizzazione del gruppo), sulla
« coesività » (grado di unione — af
fettiva e funzionale — dei membri,
in rapporto alle finalità del gruppo),
sulla leadership (l’insieme delle fun
zioni di direzione operativa di un
gruppo).
Il punto di vista, la prospettiva,
dalla quale si pongono gli studiosi
della group dinamics è quello di con
siderare il gruppo ristretto vera e
propria microstruttura, isolabile nel
l’intricata realtà sociale, « campo vi
tale » dell’azione degli individui, cro
giuolo nel quale si fondono, per assu
mere nuova forma, da un lato, gli
individui, portatori del loro personale
mondo di valori, opinioni, sentimenti,
etc., e dall’altro le istituzioni e cioè
le leggi, le norme di costume, le pecu
liarità della « cultura » nazionale, etc.
Punto di vista importante di questa
scienza, dunque, è la concezione del
gruppo come unità originale, auto
noma, che si comporta come « un
tutto », inscindibile, non riconducibile
alle unità che sono i suoi membri.
Questa concezione del gruppo come
istanza psico-sociologica unitaria si
riflette anche attraverso l’adozione di
una terminologia, che al gruppo ap
plica termini simili a quelli che defi
niscono le condotte individuali. Si
parla, difatti, di « comportamento »
del gruppo, allo stesso modo con cui
si parla di comportamento del singolo.
Il gruppo ha forze e pulsioni originali
proprie, propri bisogni
( groups
needs),
e così pure propri scopi
(groups goals)
diversi da quelli dei
singoli membri. Osservando e stu
diando i gruppi, sia « in vivo », sia
in situazioni sperimentali determi
nate, da « laboratorio », s’identificano
le possibili evenienze concrete della
loro vita, i loro « conflitti » interni
(tra i membri), od esterni (con altri
gruppi), le loro « frustrazioni », le
loro modalità reattive in rapporto a
situazioni-stimolo del più vasto am
biente sociale etc.
Di tutti questi eventi la group
dinamics
esplora, indaga le condi
zioni e lo sviluppo da un punto di
vista « dinamico », cioè tendente a
cogliere le strutture in movimento ed
in evoluzione e a determinarne le
leggi, così come la psicologia detta
dinamica tende a cogliere dell’indi
viduo le sue strutture psicologiche —
motivazionali e strumentali — in una
prospettiva dinamica (che è quella,
poi, che permette allo psicologo l’ap
proccio, concreto e scientifico al tempo
stesso, allo studio del singolo). Più
pregnante diviene il raffronto tra
queste istanze comuni della psicologia
dinamica e di quella di gruppo, se si
pone mente, come già si è accennato
avanti, all’uso dei termini, che la se
conda ha mutuato dalla prima (moti
vazioni, bisogni, comportamenti, con
flitti, frustrazioni etc.).
Non che, da un lato, le peculiarità
proprie alla psicologia di gruppo non
abbiano carattere di vera originalità
(e ciò risulta sufficientemente chiaro
da quanto finora si è venuto dicendo,
sia pure a grandi linee) e, dall’altro,
non vi siano istanze di ricerca, che
pongono l’accento sull’individuo anzi
ché sul gruppo. Ma, a questo riguardo,
il « singolo » nella psicologia di grup
po viene osservato in una prospettiva
nuova e densa di implicazioni. Di esso,
difatti, vengon sottolineati i « ruoli »
nell’ambito del gruppo (di cui è mem
bro o « leader »), in rapporto alle fina
lità da esso perseguite.
I « ruoli » implicano dei comporta
menti individuali, che evidentemente
nella realtà concreta realizzano la sin
tesi tra caratteristiche personali, nelle
quali sono travasate in differente
forma e quantità le istanze socio-
culturali generali (razza, nazione,
cultura, costumi etc), e tra quelle pro
prie del gruppo o dei gruppi in cui il
singolo opera con la sua funzione,
col suo ruolo. Questi « comporta
menti » definiscono nel loro insieme
la personalità del singolo, che è quindi
personalità socializzata nel gruppo.
Ma cos’è la « personalità-ruolo » se
non quella che è adombrata nello
stesso significato etimologico della
parola personalità, « persona » in
senso la tin o , cioè maschera? La
« dinamica di gruppo » si collega
per questo punto (e non solo per
questo) (1) a quell’altro movimento
psico-sociologico, che fa capo a I. L.
Moreno : per entrambi la personalità
si può considerare — al limite — un
ruolo-maschera. Il ponte così è lan
ciato, in maniera suggestiva, da en
trambi i movimenti, tra noi, uomini
del 2000, e l’antichità classica in un
originale accostamento ideale, teatro
greco — socio-psicologia moderna.
Non le persone singole agiscono sul
(1) La dinamica di grupno mutua dalla
psico-sociologia moreniana i metodi socio
metrici e, ancor più, le tecniche sociodram
matiche.
proscenio della storia umana, ma i
personaggi, intricati composti in sé,
portatori di « ruoli » in funzione di
scopi collettivi.
Son questi « ruoli » che importa
conoscere e che danno, in rapporto
appunto alle finalità collettive, la di
rezione della ricerca nello studio dei
comportamenti sociali degli individui.
Una serie di problemi nuovi si
vengono così enucleando, che impon
gono nuovi punti di vista, e conse
guentemente nuove tecniche.
Nuovi punti di vista : essi si riflet
tono anche su questioni che hanno
costituito fino a pochi decenni fa
specifico oggetto di studio della psico
logia. Si prenda, ad esempio, il pro
blema della percezione. E’ lo studio
della percezione in una prospettiva
« sociale » quella che conta, in defini
tiva, nell’affrontare e studiare le mo
dalità concrete con cui l’individuo
afferra e comprende la realtà imme
diata di cui fa parte. « Come » il sin
golo percepisce significa esaminare in
qual modo il suo mondo di valori (che
è un derivato, un « a posteriori », la
cui coordinata sociale — istituzioni,
tradizioni, cultura etc. — è premi-
minente) seleziona e organizza, per
finalità condizionate dalle microstrut
ture di cui fa parte, la realtà circo
stante. Processo intricato, ma non
inconoscibile alla scienza umana, e,
entro certi limiti, sperimentabile.
Sotto nuove prospettive vengono
visti altri problemi fin allora di na
tura prevalentemente psicologica: la
motivazione, l’apprendimento (lear-
ning)
etc.
Nuove tecniche : chi potrebbe di
sconoscere che l’importanza data al
feed-back
(termine letteralmente in
traducibile : feed, nutrirsi ; back, in
dietro, da ciò che ritorna ; che tuttavia
potrebbe tradursi con « azione di ri
tomo », « eco »), non sia una vera e
propria tecnica — indispensabile — ,
più che un suggerimento di metodo?
Anche se, per certi aspetti, richiama
alla mente dello psicologo certe con
dizioni una volta prescritte dalla
classica psicologia per realizzare una
buona introspezione, quel porsi, cioè,
in autosservazione vigile nell’atto
stesso dell’agire, quasi uno sdoppiarsi
della propria personalità, un affac
ciarsi alla finestra di se stesso? Il
feed-back
è però più che un richiamo
all’autosservazione di sé : è una di
sposizione della sensibilità propria
non soltanto a « vedersi » agire, ma
a vedersi agire tra gli altri e con gli
altri, nell’accoglienza di questi ultimi
in una dimensione nuova della com
prensibilità altrui; che l’eco, il feed
back
soltanto — questo ritorno tra
sformato a noi, attraverso le altrui
reazioni, di ciò che agli altri si comu
nica e si dà — può fornire, e talvolta
fornisce in maniera creativa, matrice
del nuovo.
E, può dirsi, anche più che tecnica
è il f eed-back, perché mentre qualsiasi
tecnica -diviene, quando si voglia,
oggetto di apprendimento, questa ri
chiede una particolare sensibilità di
fondo, vera e p r o p r ia attitudine
« specifica », ovviamente educabile,
ma non travasabile in chi ne sia
sfornito. Ed ancora, potrebbe so
stenersi in una diversa prospettiva,
atteggiamento filosofico e morale, più
che tecnica, d’ispirazione socratica :
di un Socrate che al « conosci te
stesso » avesse aggiunto « e gli altri »
in una dimensione che al di là dell’in
dividuo avesse considerato il suo cir
costante mondo sociale, nell’intreccio
composito dei rapporti tra i singoli.
Non stupisce che uno dei suoi cul
tori, il Thelen, nel definire la dinamica
di gruppo si esprime « questo movi
mento controverso, seducente e quasi
religioso ... ».
Un’altra delle tecniche adottate
dalla dinamica, conseguentemente al
modo con cui essa concepisce il sin
golo come membro del gruppo, e
quindi portatore di un « ruolo », è
quella già citata del role-playing ov
vero del sociodramma, scoperto dal
Moreno. Laddove il feed-back non
perviene per intricata complessità di
situazioni, per relativa efficienza dei
singoli nel praticarlo, per interferen
za di conflitti interpersonali palesi o
latenti etc., l’adozione e lo scambio di
ruoli fittizi, riproducenti i personaggi
della situazione da chiarire e la conse
guente azione drammatica, avente per
trama — vero canovaccio — i termini
generali della situazione-problema,
permette di rendersi conto delle vere
istanze motivanti di questa e quindi
di rimuoverle, chiarendole e affron
tandole, se in esse si ravvisano osta
coli alle finalità del gruppo.
Quanto sopra, vuole essere solo
un’esposizione dei principali aspetti
di questo movimento psico-sociologico,
e più pertinenti al fine di far meglio
cogliere al lettore le caratteristiche
del nostro seminario.
Svolgimento del seminario
Trattandosi di un seminario di « di
namica di gruppo », i metodi di adde
stramento non potevano non essere a
loro volta « dinamici », cioè impron
tati al principio di far scoprire al
gruppo stesso, sia pure con la guida
del docente, gli aspetti pertinenti dei
problemi (esempio : come si sviluppa
l’interazione reciproca tra i membri,
quali i « ruoli » degli stessi, le fun
zioni del « leader » etc.). Tuttavia ciò
non escludeva le lezioni dei consulenti
americani. Questi dedicavano soltanto
un’ora e mezza sulle otto quotidiane,
che per ben nove giorni hanno impe
gnato i partecipanti al seminario. Le
nozioni essenziali venivano fornite con
esemplare metodo didattico, oltre che
attraverso un perfetto gioco delle
parti. D’altra parte nessun « allievo »
era del tutto sfornito di nozioni di
psicologia, in quanto questa materia,
come è noto, viene largamente inse
gnata nei corsi delle scuole per assi
stenti sociali : e ciò ha certamente
reso più vivace, più interessante, e più
« creativo » lo svolgimento del semi
nario.
Anche gli psicologi, nonostante, è
il caso di dirlo?, la loro psicologia,
si sono dimostrati allievi di notevole
levatura, impersonando ottimamente,
e con estrema diligenza, questo ruolo
e depositando in soffitta le tentazioni
di aprire un dialogo « scientifico »,
« teorico », coi docenti americani :
cosa che, se fosse avvenuta, avrebbe,
sì, certamente contribuito ad accele
rare le tappe della conoscenza dei pro
blemi della dinamica di gruppo, e a
dare, forse, una sistematicità mag
giore alle nozioni che via via s’impar
tivano, ma avrebbe impedito proprio
quello che si voleva persuasivamente
far vivere, oltre che insegnare, attra
verso l’esperienza di una situazione
di addestramento, dinamicamente vis
suta alla luce del feed-back : e cioè
come il gruppo si origina, come si
sviluppa e si trasforma, e come è
possibile, in sede di addestramento,
realizzare tecniche e procedimenti,
tali da far « jaillir les idées », in una
« concordia discors » utile e fruttuosa
per il raggiungimento dei « fini » pro
pri al nostro gruppo. Allievi esem
plari quindi anche gli psicologi, atte
nutisi con costruttività alle regole del
gioco.
Come si è svolto in concreto l’adde
stramento ? Se ne può avere idea dalla
strutturazione del programma gior
naliero. Al mattino, come si è detto,
la prima ora e mezza era dedicata alla
lezione teorica. In questa si affron
tava, generalmente, un solo argomen
to, che veniva esposto non tanto con
l’abituale tecnica di una conferenza
universitaria, quanto trattato col ri
ferire in maniera viva e discorsiva,
talvolta con la partecipazione degli
uditori, procedimenti e risultati di
ricerche sperimentali o d’indagini
psico-sociali, di cui alcune compiute
dagli stessi docenti; le quali avevano
la caratteristica di essere paradigma
tiche dell’argomento che si voleva
esporre, in maniera didatticamente
persuasiva e completa.
Esemplare rimane nella memoria
una lezione del Leavitt, che nel rife
rire certe sue esperienze sul problema
delle « comunicazioni » (e nel ripe
terne qualcuna, avendo per soggetto
l’intero gruppo), espose di questo pro
blema aspetti inediti e di grande im
portanza ai fini del funzionamento
ottimale di un gruppo. Si comprese
come il processo di comunicazione do
vesse studiarsi nelle sue varie dimen
sioni (contenuto, direzione, pattern o
schema di informazioni etc.), e come
di queste la direzione (es, bilateralità
delle comunicazioni) e lo schema
(strutturazione delle stesse in un
gruppo) costituissero delle vere e
proprie «variabili indipendenti», iso
labili e sperimentabili, che avevano
decisiva influenza su aspetti impor
tanti della vita di un gruppo. Venne
messo in evidenza, ad es., attraverso
il resoconto di esperienze significa
tive, in che modo tipi di schema di
comunicazioni (che l’analisi matema
tica dimostra esser numerosi, esisten
done, ad es., per un gruppo di sole
5 persone ben 23) potessero influen
zare la direzione di un gruppo, la sua
plasticità di fronte ai problemi, lo
spirito d’iniziativa, — in definitiva la
sua creatività e il suo « morale ». Fu
rono così dimostrati con persuasiva
efficacia gli svantaggi ai fini delle
comunicazioni delle strutture grup
pali di tipo autoritario ed i grandi
vantaggi, invece, delle strutture di
tipo democratico, in cui fossero rea
lizzati circolarità e scambio di opi
nioni e di proposte.
Ed ancora una lezione del Nylen
sugli atteggiamenti e i comportamenti
del docente nel rapporto di addestra
mento con l’allievo : la fine disamina
descrittivo-causale, esposta sulla scor
ta di ineccepibili ricerche sperimen
tali, delle condotte errate e giuste
degli insegnanti poneva in rilievo, a
volte quasi drammatico, le conse
guenze positive o negative sull’allievo.
Fu chiaro a tutti quali conseguenze
derivassero sulla capacità di memo
rizzazione e di apprendimento nonché
sulla situazione emotiva dell’allievo da
certi comportamenti purtroppo più
frequenti negli insegnanti di quanto
s’immagini (tipo di critica non co
struttiva, modo di dare un comando,
mancanza di fiducia verso lo studente,
assenza di chiarificazione etc.). Le
considerazioni fatte in proposito as
sumevano particolare rilievo quando
si fece osservare che le condotte er
rate si devono collegare molte volte
ad un complicato intreccio di fattori
psicologici. « Il fatto è » — ebbe a
dire il Nylen a conclusione della sua
lezione — « che gli atteggiamenti
interiori del leader, derivanti, ad es.,
da preoccupazioni personali, si riper
cuotono sempre, in maniera più o
meno intensa, sul comportamento
totale. Ed è difficile per coloro che
non hanno conoscenza dei fenomeni
psicologici, non pagare uno scotto
alle proprie dinamiche psicologiche
anche inconsce ». Infine anche le le
zioni del Thelen furono di grande in
teresse. Merita citare, sia pure in
breve, la sua ultima lezione a chiusura
del seminario. La tesi da lui sostenu
ta — che esistono cioè dei principi
generali di azione comuni a tutti i
gruppi ed a tutti i livelli di intervento
(problemi scolastici, sociali etc.) — è
stata esemplificata dal racconto di
un’esperienza in grande stile da lui
personalmente diretta, iniziata a Chi
cago nel 1949 (ed ancora sotto certi
aspetti in atto) : per essa attraverso
l’organizzazione di gruppi cittadini,
moltiplicatisi nel giro di un paio di
anni e reggentisi mediante strutture
a tipo comunitario, riuscì a risolvere
in un quartiere residenziale di 72.000
abitanti della periferia di Chicago,
una situazione sociale-razziale, dovuta
alla tumultuosa espansione industria
le della città ed al conseguente af
flusso di bianchi e di negri da varie
parti degli USA, situazione estrema-
mente difficile, conseguenza del dopo
guerra e nella quale autorità locali
ed interventi politici avevano com
pletamente fallito.
In generale queste lezioni non da
vano informazioni o nozioni, che do
vessero poi essere travasate meccani
camente durante il lavoro che il grup
po svolgeva nel pomeriggio o nei
giorni successivi, ma contribuivano
a determinare una serie di atteggia
menti personali, un modo di pensare
circa le evenienze che via via si pre
sentavano durante lo svolgimento del
seminario, è circa le « condotte » da
seguire, che, in misura più o meno dif
ferente e a seconda del grado di com
prensione e di risonanza suscitate
nei singoli, modificavano via via le
reazioni, i comportamenti all’interno
del gruppo, sì da renderne più facile
la reciproca integrazione. Non sembri
arrischiata questa affermazione, ma
tale è l’impressione riportata durante
e alla fine del seminario da colloqui
con diversi partecipanti.
Il gruppo di applicazione
Alle lezioni seguiva, dopo un quar
to d’ora d’intervallo, il « gruppo di
applicazione ». Vi partecipava Tin
tero seminario guidato, come s’è det
to, dal prof. Thelen. iScopo del gruppo
era quello di esaminare, mediante
discussione, un problema concreto, di
interesse comune, del quale i parteci
panti avessero per necessità profes
sionali, sia pure in misura differente,
già una certa precedente esperienza.
Nella trattazione di esso veniva con
sigliata l’osservanza di un certo sche
ma concettuale, derivato, con qualche
modifica, dalla job^analysis : tre in
terrogativi — Chi lo fa? Come lo fa?
Con chi lo fa? — dovevano esser te
nuti sempre presenti nella disamina
del caso. Il « come lo fa » bisognava
intenderlo non soltanto nel senso di
«come agisce », ma anche in quello
di « come reagisce ». La discussione
avrebbe dovuto approfondire non sol
tanto le attività dei personaggi im
plicati nel problema e i loro rapporti,
ma anche, entro certi limiti, i loro
sentimenti, le loro opinioni, i loro
eventuali conflitti, etc.
Quale fu il tema di discussione du
rante ben 7 giorni del seminario?
Per sceglierlo si seguì il criterio di
tener conto del fatto che la maggio
ranza dei partecipanti era costituita
da assistenti sociali. Quindi il pro
blema venne così formulato : « Quali
sono i compiti dell’assistente sociale
e quali le difficoltà concrete che in
contra nell’espletamento del suo la
voro ».
Risparmio al lettore la differen-
ziatissima e lunga discussione, inizia
tasi mediante la suddivisione dell’in
tero gruppo in sottogruppi e conden
sata in brevi relazioni lette e di
scusse nella sessione plenaria del
gruppo. Breve: si vide ad un certo
momento che per chiarire il proble
ma delle difficoltà concrete incontrate
dall’assistente sociale nelle sue fun
zioni, e per ben definire queste ul
time, sarebbe stato opportuno ricor
rere ad una rappresentazione dram
matica. Il mettersi nei panni dei pro
tagonisti di una vicenda immaginata,
ma analoga ad una situazione reale,
da cui non fosse lontana qualche
esperienza personale, avrebbe fatto
emergere, con saliente rilievo, i pro
blemi posti alla radice delle difficoltà,
e di ciò il gruppo avrebbe preso atto
ai fini di una sintesi significativa
dell’intera questione. S’immaginò
quindi una tematica, dalla quale po
tessero s ca tu rir e « sociodrammi »,
elargitori di lumi sulla questione e
scopritori sagaci dei possibili ostacoli
nei quali i personaggi si fossero im
battuti nel loro agire nella contin
genza prospettata.
La contingenza era questa : un en
te assistenziale, proprietario di molte
case di un rione, date in fitto a prez
zo molto basso, lire 300 in media, ha
deciso di raddoppiare il fitto ma di
ciò non ha ancora dato comunicazione
agli assistiti. Un’assistente sociale
dell’ente che opera in quel rione è
avvicinata da un assistito, bracciante
disoccupato, che, dopo averle esposto
certe esigenze familiari, le domanda
se la notizia risponde a verità. L’as
sistente sociale, affatto informata del
la cosa, non sa cosa rispondere, e alle
rimostranze dell’assistito e alla ri
chiesta che essa si occupi della que
stione presso i dirigenti, qualora la
notizia fosse vera, risponde, reagisce
in maniera generica, con un certo
imbarazzo, facendo tuttavia intrave
dere un favorevole intervento. L’assi
stente sociale si sfoga in serata con
un amico cui non di rado confida pene
e gioie della sua giornata di lavoro,
esponendogli il timore, che, forse,
spetterà proprio a lei fare ingoiare
il rospo agli assistiti, col bel risultato
di metterla in conflitto con ciò che ri
tiene suoi doveri e responsabilità pro
fessionali e morali. L’indomani si reca
all’ente ed ha un colloquio con il di
rigente (che le conferma la notizia),
prospettandogli quanto è accaduto il
giorno precedente. Nello stesso giorno
il dirigente incontra un amico, al
quale, anche lui, si rivolge, sia per
confidarsi, sia per avere un consiglio
sulla soluzione di « grane » di que
sto tipo, che non possono, in certo
qual modo, non angustiarlo. Il giorno
prima, intanto, anche il bracciante
ha avuto, a proposito della faccenda,
un’animata discussione con la moglie.
I sociodrammi quindi furono cin
que : bracciante-assistente sociale ;
bracciante-sua moglie ; assistente so
dale-amico
; assistente sodale-diri
gente dell’ente; dirigente dell’ente-
amico. Gli « attori » (è il caso di dir
lo : l’elogio degli esperti americani
fu veramente incondizionato al ri
guardo ; la rappresentazione fu dram
maticamente ineccepibile), si susse
guirono nel piccolo spazio loro con
cesso per due mattinate di seguito.
Ne emersero problemi di natura così
varia e con sfumature psicologiche
così diverse, con implicazioni sociali
così rilevanti, con situazioni conflit
tuali così evidenti, a tutti i livelli,
personali e di gruppo, che al profes
sor Thelen non dovette certamente
esser facile tirare, alla fine, le fila
della conclusione. La quale tuttavia
ci fu, e molto chiara, e accompagnata
da una serie di disegnini alla lavagna,
con i quali vennero, in certo qual
modo, semplificati i complessi rap
porti tra le persone in questa vicen
da; rapporti ovviamente non soltanto
psicologici, ma implicanti istanze so
ciali, formali ed etiche di gruppi più
0 meno complessi, di cui i singoli pro
tagonisti erano anche, per una certa
parte, i portatori. Discorso molto se
rio, che ciascuno alla fine forse mo
dificava un po’ a suo modo, ma che
Thelen strutturò in maniera soddi
sfacentemente obiettiva per tutti, riu
scendo a mettere in evidenza aspetti
concreti delle generalizzazioni che la
dinamica di gruppo formula al ri
guardo.
1 gruppi diagnostici