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Cronache Economiche. N.002, Anno 1982

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3 I AGO. IS82

o n

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R I V I S T A D E L L A C A M E R A DI C O M M E R C I O I N D U S T R I A A R T I G I A N A T O E A G R I C O L T U R A DI T O R I N O B I B L i n

1 9 AGO, 1882 I

o q - t .

mi S O M M A R I O 3 Le f e s t e i n o n o r e d i V i t t o r i o A m e d e o II, re d i S i c i l i a U m b e r t o B e r t a g n a 2 5 C o n d i z i o n i p e r u n a r i p r e s a d e l l o s v i l u p p o G i a n n i Z a n d a n o 2 9 A n a l i s i q u a n t i t a t i v a d e l l e i m p r e s e p i e m o n t e s i e s p o r t a t r i c i d i c o m p o n e n t i p e r l ' i n d u s t r i a a u t o m o b i l i s t i c a M a r i s a G e r b i S e t h i 3 5 Il f a c t o r i n g q u a l e s t r u m e n t o d i a u t o f i n a n z i a m e n t o d e l l e i m p r e s e A l d o F r i g n a n i 4 3 L ' e s p e r i e n z a d e i p r e z z i c o n c o r d a t i . R i s u l t a t i e p r o s p e t t i v e f u t u r e G i u l i a n o V e n i r 4 9 I n m a r g i n e a l 1 ° s i m p o s i o i n t e r n a z i o n a l e s u i s e r v i z i d i t a r a t u r a R . P e r i s s i - P . S o a r d o 5 5 T e m p o l i b e r o e s p a z i a v e r d e ( 1a p a r t e ) G i a m p i e r o V i g l i a n o 6 5 La p o l i t i c a d e i p a r c h i n a t u r a l i in P i e m o n t e e V a l l e d ' A o s t a : s i t u a z i o n e e p r o s p e t t i v e W a l t e r G i u l i a n o 8 1 Le « v i l l e s n o u v e l l e s » f r a n c e s i C a r l o B e l t r a m e 8 5 La c u l t u r a i n t i p o g r a f i a P i e r a C o n d u l m e r 8 9 U n d i b a t t i t o o t t o c e n t e s c o s u i m e t o d i d i r e s t a u r o d e i m o n u m e n t i M a r i a L u i s a M o n c a s s o l i T i b o n e 9 7 E c o n o m i a T o r i n e s e 1 0 3 T r a i l i b r i 1 1 0 D a l l e r i v i s t e In c o p e r t i n a : Ugo Malvano. Piazza Carlina. 1930-35, (Torino, Museo Civico).

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni debbono essere indirizzati alla Direzione della rivista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pensiero dell'Autore e non impegnano la Direzione della rivista né l'Amministrazione camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono essere inviate in duplice copia. È vietata la riproduzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si resti-tuiscono.

Editore: Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino. Presidente: E n r i c o Salza

Giunta: Domenico Appendino, Mario Catella, Renzo Gandini Franco Gheddo, Enrico

Salza, Alfredo Camillo Sgarlazzetta, Liberto Zattoni.

Direttore responsabile: G i a n c a r l o B i r a g h i Vice direttore: F r a n c o A l u n n o

Redattore capo: B r u n o C e r r a t o Impaginazione: S t u d i o S o g n o

Composizione e stampa: Arti Grafiche V. B o n a - Torino

Pubblicità: Publi Edit Cros s.a.s. - Via Amedeo Avogadro, 22 - 1 0 1 2 1 Torino - Tel. 531.009

D i r e z i o n e , r e d a z i o n e e a m m i n i s t r a z i o n e : 10123 T o r i n o Palazzo degli A f f a r i -V i a S. Francesco da Paola, 24 - T e l e f o n o 57161.

Aut. del Trib. di Torino in data 2531949 N. 430 • Corrispondenza: 10100 Torino -Casella posiale 413 • Prezzo di v e n d i t a 1982: un numero L. 6.000 • estero L. 12.000

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Camera di C o m m e r c i o I n d u s t r i a A r t i g i a n a t o e A g r i c o l t u r a e U f f i c i o Provinciale I n d u s t r i a C o m m e r c i o e A r t i g i a n a t o

Sede: Palazzo degli Affari Via S. Francesco da Paola, 24. Corrispondenza: 10123 Torino Via S. Francesco da Paola, 24. 10100 Torino - Casella Postale 413. Telegrammi: Camcomm Torino. Telefoni: 57161 (10 linee). Telex: 221247 CCIAA Torino. C / c postale: 00311100. Servizio Cassa:

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LE FESTE IN ONORE

DI VITTORIO AMEDEO II,

RE DI SICILIA*

Umberto Bertagna

Il lungo conflitto, occasionato dalla guerra di successione spagnola e con-cluso con i trattati di Utrecht e Ra-stadt, pose in crisi il predominio iberi-co sulla penisola italiana.

La necessità di stabilire un sistema ca-pace di assicurare una ca-pace stabile in cui l'Italia non fosse più considerata unicamente come pomo di discordia e oggetto di cupidigia delle potenze tra-dizionali, indusse l'Inghilterra a spin-gere Filippo V di Spagna a cedere la Sicilia al suocero, il duca sabaudo Vit-torio Amedeo II.

Londra era allettata, nella sua qualità di potenza marittima, dai grandi porti italiani (Genova, Livorno, Napoli, Messina) e il suo sforzo mirava a una sistemazione politica capace di mante-nere stabile il ritmo dei suoi traffici nel Mediterraneo creando contemporanea-mente barriere per contenere la Francia dietro il versante alpino e l'Impero en-tro la linea Ticino-Po.

Politica di equilibrio quella inglese: l'alleanza absburgica serviva a bilan-ciare la minaccia della preponderanza borbonica evitando l'eliminazione tota-le di uno dei due contendenti. Unico argine da contrapporre agli Abs-burgo era lo Stato sabaudo, il solo in grado di condurre una politica capace di trarre vantaggi dall'antagonismo absburgico-borbonico.

Ma l'equilibrio cosi faticosamente rag-giunto ad Utrecht era ben lungi dal co-stituire una soluzione stabile del pro-blema apertosi con la guerra di succes-sione spagnola.

Se in un primo momento l'imperatore austriaco Carlo VI aveva accettato a denti stretti imposizioni, all'indomani della firma del trattato di Rastadt con la Francia (7 marzo 1714), rifiutò di riconoscere la sovranità sabauda sulla grande isola del Meridione.

Non si era mai rassegnato infatti alla perdita del trono di Spagna e mantene-va il supremo Consiglio di tale nazione quale organo amministrativo dei propri domini italiani e fiamminghi: la politi-ca absburgipoliti-ca mirava infatti a reinte-grare la propria eredità mutilata,

acca-* Nel ricordo affettuoso di mia madre: con infinita te-nerezza e rimpianto.

parrandosi posizioni chiave nell'Italia centrale.

Quanto a Filippo V, ad onta della ri-nuncia sancita a Utrecht, lo assillava il problema dell'unione di Spagna e Francia sotto la corona borbonica. E proprio in quel momento sopraggiunge improvvisa la morte di Luigi XIV; ere-de ere-del trono e ere-del nome rimane un bimbo di pochi anni, suo pronipote. La rinuncia alle province italiane era apparsa al re spagnolo come un fatto assai grave che incideva profondamen-te sul vivo della poprofondamen-tenza e della sicu-rezza della Nazione; temperamento de-bole, il monarca non avrebbe tuttavia mai potuto né saputo tradurre in realtà i propri sogni di rivincita se non avesse trovato nel prelato italiano, Giulio Al-beroni, uno strumento abilissimo. Quanto ai Savoia, nonostante i brillan-ti successi ottenubrillan-ti a Utrecht, la loro politica risentiva delle fluttuazioni del-la situazione internazionale; Londra aveva infatti inaspettatamente mutato fronte e guardava ora a Vienna. La perdita dell'appoggio inglese e il ca-lo di potenza della Corte francese, im-pedivano allo Stato piemontese di con-tinuare a porsi quale unico antagonista dell'Austria.

Era quindi giocoforza trattare con Vienna, ma le dure e perentorie condi-zioni da essa poste non lasciavano adi-to a speranze di conservare a lungo l'i-sola mediterranea.

Tentativi in extremis per salvare la si-tuazione non approdarono a nulla: inattuabile, seppur non priva di sedu-zione, la proposta della Spagna di as-sociarsi in armi per realizzare il «col-po» che essa preparava per liberare l'I-talia dal «tedesco».

Alla fine il re sabaudo fu costretto a cedere e l'imperatore consenti a sosti-tuire il titolo regio di Sicilia con quello di Sardegna. L'8 novembre 1718, ade-rendo al trattato della «Quadruplice Alleanza», Vittorio Amedeo II venne cosi investito sovrano dell'isola. La firma della pace a suggello del lun-go conflitto e l'elevazione alla dignità regia furono occasione per organizzare festeggiamenti in patria e in modo par-ticolare nella capitale.

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allestis-sero apparati effimeri da esibire nello spazio cittadino e da offrire all'ammi-razione di un pubblico, eterogeneo, che diveniva così momentaneamente centro dell'avvenimento stesso.

Fuochi, luci, colori, musiche, spari, metalli, stoffe preziose, quadri, statue, iscrizioni, motivi decorativi interpreta-vano in tal modo l'idea della festa tra-sformandosi in strumento di persua-sione.

In materia (sia sull'idea della festa ba-rocca in sé sia sugli aspetti peculiari da essa assunti a Torino) si è pubblicato abbastanza; ciò nondimeno, nel córso delle mie ricerche mi è avvenuto di rin-venire un certo numero di documenti, disegni e incisioni in parte inediti e in parte trascurati dalla critica sicché mi è parso opportuno darne qui notizia dal momento che sui festeggiamenti bandi-ti per l'elevazione del duca a re di Sici-lia ben poco si conosce di certo, specie per quelli attuati nell'isola al momento della sua acquisizione.

Per comodità dei lettori dividerò la trattazione in modo cronologico.

FESTEGGIAMENTI A TORINO

Torino viene prima per il fatto natura-le d'essere la sede del sovrano e perché la celebrazione dell'evento deve per forza avvenire dove sussiste il centro del potere.

Quando, in secondo tempo, Vittorio Amedeo andrà a prendere possesso dell'isola si appronteranno festeggia-menti anche là.

«Dovendossi publicar in breve la pace, e fare dalla Città publiche dimostratio-ni d'alegresse», il 5 giugno del 1713, il sindaco della città di Torino, conte Nomis di Valfenera, «convocato e con-gregato il Conseglio» presentò alla de-liberazione l'intenzione del duca Vitto-rio Amedeo di far «acomodare la tor-re, e rimettere sovra essa il Toro, qual si era levato a causa dell'assedio nel-l'anno 1706»

Il volere sovrano fu tosto accolto dal-l'assemblea che decise di far «con ogni prontessa acomodare la torre, e rimet-ter il toro sovra essa al suo luogo» e

«una bella illuminatione alla faciata del presente Palazzo quando si publi-carà la pace conforme al sentimento e determinatione di SAR»2.

Il successivo 29 luglio l'argomento fu tuttavia ripresentato alla congregazio-ne; lo stesso sindaco riferiva di essersi recato «di compagnia del tesoriere Ber-lenda, consindico» nella mattinata a far «riverenza» a Corte e «ralegrarsi a nome della Città e del Publico della gloriosa et avantagiosa pace che ha piaciuto a SDM di concederci»3. Benignamente lo stesso duca, durante il colloquio, mostrò «gradire tal atto d'ossequiosa congratulatione con dire che detta pace e le sue glorie che la passata guerra gl'ha arrecata, le rico-nosceva prima dall'onnipotenza di Dio e puoi dalla fedeltà et attentione che questa sua Metropoli gl'ha continuata in tutte le occorenze della medesima», interessandosi «se si travagliava a ri-metere l'agugia con il toro sopra la torre»4.

Con le assicurazioni «che si davano tutte le dispositioni più pronte per ri-durla nel pristino, e miglior stato» (e si era financo approntato un «dissegno per un ordegno da mettersi dentro del toro, qual l'havrebbe fatto mugire quando ci sarebbe stato vento, come faceva quando è stato collocato sovra dett'agugia, e si credeva che sarebbe riuscito»), il Valfenera rinnovava la proposta, quale segno di ossequio e de-vozione della Città, di una bella illumi-nazione al proprio palazzo civico «per le tre sere de' giorni della solennità della publicatione della pace, riservan-dossi puoi di farne un altra belissima, quando si sarebbe cantato il Te Deum in rendimento di gratie a SDM della corona del regno di Sicilia che nelle tratationi di detta pace è spetata a det-ta RA5».

Avendo il re proposto «oltre l'illumi-natione» di «far anche qualche fuochi di gioia» la Congregazione, preso atto della decisione, rimise alla prudenza dei sindaci e del mastro di ragione «di far quelli fuochi di gioia che stimeran-no più a proposito»6.

Nella successiva seduta dell'undici ago-sto il sindaco riferiva che «si sono già fatti diversi congressi con intervento della Ragioneria ed altri signori

Uffi-ciali e consiglieri e l'illustrissimo signor cavagliere Amico di Castellalfero, co-lonello dell'artiglieria di SAR seco gionti alcuni capitani de fuochi» e che furono presentati diversi «dissegni di machine da farsi, alcune sovra la volta rossa a fine possin esser li fuochi gol-duti tanto da questa come dall'altra parte, altre nella piazza avanti questo Palazzo, et altre nella piazza Castel-lo»7.

Nessuna proposta era stata accolta du-rante quelle riunioni: i fuochi sopra la «volta rossa» potevano essere pericolo-si per la pospericolo-sibilità «d'incendio delle case ivi attigue»; nella piazza munici-pale non avrebbero potuto «essere gol-duti da tutti li forastieri» che sarebbe-ro accorsi «in molto numesarebbe-ro, ne dalli cittadini, et abitanti»; sulla piazza Ca-stello sarebbero parsi «funzione più to-sto da SAR, che della Città»8.

Urgeva una decisione; determinare «in che sito e luogo debbino farsi detti fuochi»9.

In tal frangente fu scelto il «mezzo della piazza esistente questo Palazzo, come già sono stati fatti in altre occa-sioni di pubbliche solennità», commet-tendo altresì «d'elleger e determinare quel dissegno per detti fuochi che sti-meranno più conveniente»10.

Pochi giorni dopo, precisamente il di-ciassette agosto, ritrovandosi riuniti in congregazione si passò ad esaminare i diversi disegni e progetti «con li calcoli della spesa» ed appurato che fare i fuochi sulla piazza del Municipio non era conveniente per la spesa forse mag-giore e l'opera meno imponente, fu stabilito «di fare una machina in mez-zo della piazza Castello, qual riguardi a diritura il padiglione, e questo Palaz-zo per l'apertura della contrada detta de' Cavagnari [via Palazzo di Città]; in tal modo essi sarebbero stati osservati dalle RRAA e RR Principi alli Castello e Palazzo reale» e goduti da tutto il popolo «senza pericolo veruno d'in-cendio»11.

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Fig. 1. Veduta prospettica della macchina per i fuochi di gioia. Progetto non realizzato. Disegno di anonimo IASCTO, carte sciolte n. 1178).

Castellalfero ed Embron di redigere un progetto adatto12.

Ottenuto l'assenso, salvo «far vedere all'ASR le inscritioni che si devono metter a detta macchina per la sua aprovazione», il due settembre, l'as-semblea convocò «li signori Rovero e Seler et altri esperti de fuochi per ha-ver le luoro propositioni e partiti, et si è mandato avisare il signor ingegnere Planterij, de signori conseglieri, qual ha fatto il dissegno della machina, e si ritrova presentemente in Alba per ve-nirsene prontamente», delegando i sin-daci e il mastro di ragione a «tratar e risolver con gl'impresari, et altri opera-ri e partitami per detta machina, come meglio le parerà alla minor spesa, e con la maggior ecconomia, in modo che non s'eccedi la somma di livre cin-quemila, e conforme già s'è discorso in altra congregazione»13.

Il sedici successivo venne approvato il contratto «per scritura delli 6 del cor-rente» con il pittore Francesco Bianchi e il capomastro da «bosco» Luigi Bu-scagliene i quali si obbligavano «a construer, e dar construta a tutta luoro opera, spesa, roba, e fatura la machina da fuoco che la Città ha stabilito di fare sulla piazza Castello», «qual ma-china debbi esser secondo il dissegno, et instrutione formati dal signor inge-gnere Planteri... mediante che la Città li faci pagare L. 2075, e li dij li bosca-mi suoi proprij esistenti nel erottone sotto il portico di questo palazzo, nel salone del studio, e nella erotta della casa del Tabellione, esclusi li destinati per ornare detto Palazzo in ocasione d ' illuminatone »14.

Secondo una stima calcolata «dalli si-gnori misuratori et estimatori publici» Tommaso Sevalle e Giovanni Antonio Pagano, questo legname poteva valere 292 lire15.

Nel documento è detto che «per aderi-re ai desiderij dell'ASR, e del Publico attualmente si fa construer in mezzo di detta piazza» spostata rispetto la pri-mitiva proposta che la prevedeva eretta «a diritura della contrada deta de' Ca-vagnari»16.

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quanti-tà che nel posto primieramente stabili-to», ma anch'esso fu approvato senza contrasti".

Nella stessa seduta fu deciso «che quando se li darà il fuoco vi sijno due chori di trombe, uno sovra il Padiglio-ne [quello dove si espoPadiglio-neva la SindoPadiglio-ne, ora sostituito dalla cancellata del Pala-gi], e l'altro in fondo della piazza Ca-stello sovra i poggioli risguardanti det-ta piazza» e in merito all'illuminazione venne stabilito di seguire quanto era già stato fatto in passato, durante «le vigilie e feste della Santissima Annun-ziata e Santissimo Sudario»18.

Successivamente (21 settembre) fu letta ed accolta la supplica del «Venerando Hospedale» di Carità che supplicava «di farli elemosina di quella quantità di cera che stimerà esser necessaria» non essendo «in stato di suplir alla spesa di detta illuminatione» mentre si stabilisce una somma di mille lire da elargire «per caduna parochia alle fa-miglie povere e vergognose» alle quali dovranno poi aggiungersi altre mille «da distribuirsi publicamente a poveri sul posto... parte in pane e parte in denari»19.

Nella stessa seduta, osservando il ceri-moniale usato in simile occasioni, ven-ne accolto il marchese d'Angrogna, in-caricato dal novello monarca «di dar parte alla Città che havendo ricevuta dal re di Spagna la ratificanza della cessione già fattale del regno di

Sici-Fig. 2. Pianta delia macchina per i fuochi di gioia. Progetto non realizzato. Disegno di anonimo IASCTO, carte sciolte n. 1178).

Fig. 3. Prospetto della macchina per i fuochi di gioia.

Progetto realizzato. Disegno dell'architetto Plantery IASCTO, carte sciolte n. 1179).

Ha» l'indomani mattina avrebbe assun-to pubblicamente il tiassun-tolo di re20. A motivo di «giubilo, ossequio, e di rendimento di humilissime gratie a SM della sua impareggiabile benignità, et affetto verso questa sua fedelissima, et obedientissima Città si stabilisce la

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somma di lire novantaseimilla ducali in tant'oro, quali si sono già trovate con haver preso il fondo della Cassa della Tesoreria destinato per l'acompra de grani, come anche quel entrante che poteva servir di scorta per le spese ur-genti giornaliere, prima che la Cassa in fine dell'anno puossa valersi de rediti delle gabelle de vini, e per haver detta somma in tanti luiggi d'oro, e doppie Spagna effettive ha convenuta pagar qualche aggio a chi gl'ha proviste sino a soldi uno, e denari otto per caduna di più del valore comunemente corren-te»21.

La somma raccolta «in due borze di veluto fatte fare espressamente, guarni-te con quantità grande di galoni d'oro con suoi fiochi, e cordoni d'oro» fu recapitata il ventitre settembre alla Ve-naria dallo stesso sindaco e il tesoriere pregando il re «di compatire se la Cit-tà non le faceva un donativo corri-spondente alla magnanimità del suo real animo, et al desiderio et obligo della stessa»22.

Il 23 sera infine, verso le «hore 24 sen-do intieramente compita la machina» il Nomis sempre in compagnia del

teso-Fig. 4. Pianta della macchina per i fuochi di gioia. Progetto realizzato. Disegno dell'architetto Plantery IASCTO, carte sciolte n. 1179).

Fig. 5. Cavalcata reale per l'ingresso in Palermo: veduta tra le porte dei Greci e Felice.

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riere Berlenda si recò in Castello reale ad annunciare a SM «qual si trovava con la Maestà della Regina e le prefate RRAA delli Prencipe di Piemonte, e duca d'Aosta nel gabinetto di Madama Reale, qual ha il poggiolo risguardan-te» la piazza, che erano venuti «per ricever i comandi et intender quando desiderava si facesse dar fuoco alla macchina»23.

Esauriti i convenevoli d'uso e i compli-menti reciproci e, dopo essersi infor-mato della spesa incontrata, il re diede ordine di dar fuoco alla macchina24. L'apparato spettacolare, che avrebbe concluso la sua apparizione, ardendo in un rutilante ed effimero gioco piro-tecnico, fu affidato alla mano geniale del bulinista G. Tasniere per traman-darne duratura memoria.

Se le immagini sintetizzano efficace-mente i segni dello spettacolo che più vistosamente hanno colpito lo spettato-re, il dettagliato resoconto a stampa spiega, interpreta e commenta il voluto e non da tutti percepibile significato al-legorico della struttura; di lui mi servo per la descrizione della macchina. «Sorgeva in forma perfettamente trian-golare, e fu scelta con consiglio tal fi-gura, si in riguardo alla forma geogra-fica della Sicilia, che è triangolare, si in riguardo a tre Stati principali di SM, cioè di qua, e di là dall'Alpi, ed oltre mare, che sono Piemonte, Savo-ja, e Sicilia».

«Vedevansi le statue di questi tre Do-minij sollevate sopra altrettante colon-ne, adorne di trofei militari e maritimi, e disposte ad ogn'uno degli angoli del-lo steccato»25.

«Compariva la Sicilia, in abito, e por-tamento da Reina; avea nella destra mano un caduceo con un fascio di spi-che, simbolo della feracità di quel Re-gno, ed appoggiava la sinistra ad uno scudo effigiato con le di lei inse-gne»26.

«La Savoja era espressa in abbiglia-mento da Amazone, ed incoronata con un diadema di Monti. Portava in petto un'Aquila Imperiale, sua antica divisa, nella destra mano l'Asta, e nella sini-stra lo Scudo, coll'Armi proprie mo-derne»27.

«Il Piemonte finalmente era rappresen-tato qual guerriero, con la spada

im-brandita, in atto di combattere, e con lo scudo fregiato d'un Toro, insegna della Città di Torino, e degli antichi Popoli Taurini, che abbatte un drago, e col fiume Po a piedi»28.

L'anonimo corsivista (che in realtà è il noto padre Camillo Maria Audiberti) sottolinea poi l'importanza delle tre «Gran facciate della Piramide, mentre l'ordine, e la qualità d'altri più minuti ornamenti, cioè d'Armi de Stati diversi di SM, di divise, di trofei, e cose somi-glianti, si ponno abbastanza riconosce-re nel disegno»29.

Queste «tre gran facciate» — egli pro-segue — furono dedicate ciascuna «ad alcune particolari Prerogative della MS»3 0.

Nella prima fu rappresentato «il Re conquistatore del nuovo Regno», «in cui vedevasi Io sbarco di SM, della Re-gina, e del loro accompagnamento a' Lidi della Sicilia, coll'accoglimento, ed omaggio di que' Popoli»3 1.

Un verso delle Metamorfosi d'Ovidio e una iscrizione latina, inserita in carti-glio, servivano da commento.

Nella seconda venne rappresentato «il Re giusto, benefico, e conquistatore d'altri Stati» nel quale «il Valore addi-tava al Re una descrizione geografica de Paesi conquistati nella Lombar-dia»32.

Il verso ovidiano era qui sostituito da uno virgiliano (tratto dalle Georgiche) affiancato da altra analoga iscrizione encomiastica.

Nella terza ed ultima veniva rappresen-tato quale «Re armigero, difensore de suoi dominij, liberatore della sua Me-tropoli, ed espugnatore di diverse piaz-ze, e fortezze»33.

Un secondo verso ovidiano, tratto dal-le Edal-legie, e una terza iscrizione com-pletavano la facciata.

Al disopra del «primo ordine della Mole» tre piramidi sostenute da tre aquile, tre leoni e tre tori.

Al disopra una «vaga piramide, con gli angoli però tagliati... sopra due grandi aquile, due lioni, e due tori»34. E infine «dalla sommità spiccavasi, co-me in atto di volare la fama, che por-tava nella destra una corona d'alloro, e nella sinistra, la tromba, nel di cui svolazzo contenevasi l'invito de' Popo-li ad applaudire al nuovo Monarca»35.

SOGGIORNO E FESTEGGIAMENTI IN SICILIA

Su naviglio britannico, al comando dell'ammiraglio Jennings, il 3 ottobre 1713 il nuovo re salpò dal porto di Villafranca di Nizza alla volta del suo possedimento meridionale.

«Cominciarono questa mattina molti cavalieri ad imbarcarsi, e alle tre dopo mezzodì le LLMM presero il cammino di Villafranca per terra, Re a cavallo, e la Regina in sedia»; così è scritto in un documento coevo noto come «Cerimo-niale d'Angrogna»36.

«Colà giunte — esso prosegue — l'am-miraglio Jennings fu a Loro dire, che tutto era pronto per l'imbarco, se così comandava SM»3 7.

«Partirono subito, et entrati in felucca andarono nel vascello dell'Ammira-glio» e «alle tre del medemo circa le ore otto della mattina comandò SM si facesse vela: il che si esegui. Andò pri-ma l'Ammiraglio, indi due altri vascelli di trasporto che portavano le truppe in Sicilia, e facea la retroguardia un altro vascello inglese sopra del quale era il gran Mastro della Casa di SM, con una fregata parimenti inglese»38. Di pugno dello stesso Vittorio Amedeo giunsero le prime notizie a Torino. Descrivendo il viaggio al figlio primo-genito, principe Amedeo Filippo (1699-1715), egli annota: «Doppo otto giorni di navigatione giunsimo hieri verso la sera in questo molo, per la Dio gratia, a salvamento, e con ottima salute mia e della Regina vostra ma-dre. Il viaggio è sempre stato prospero, eccetto qualche contrarietà di venti, che non è stata di durata, né di mo-mento. Li bastimenti che hanno porta-te le nostre truppe sono pur giunti tutti felicemente, trovandosi le medeme pa-rimente in buon stato senza essersi per-so né pur un per-sol huomo, sendo per- sola-mente morti qualche cavalli delle guar-die»39.

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ar-Fig. 6. Veduta della piazza Vigiiena al centro dei Cassaro palermitano, addobbata per la cavalcata reale. Incisione di Francesco Cichè.

Fig. 7. Apparato allestito nella chiesa cattedrale per la cerimonia dell'incoronazione,

particolare degli archi. Incisione di Francesco Cichè.

Fig. 8. Arco dei Greci addobbato per la cerimonia. Incisione di Francesco Cichè.

civescovo «ad inchinarci, e tutto il cor-po della nobiltà venne a folla a fare lo stesso»41.

Un gran strepito di salve sparate dalle «gallere, città e castello» sottolineava l'avvenimento eccezionale e l'ingresso in rada era accompagnato dalle «conti-nue acclamationi che si facevano senti-re da gran numero di barchette cariche d'ogni sorta di persone, e dal lido ri-pieno d'ogni intorno di popolo»4 2. Nella stessa mattinata dell'arrivo men-tre il sovrano dava «le necessarie di-spositioni per lo sbarco» parte delle truppe scesero a terra «per entrare, co-me è seguito in questa fortezza, e per trasferirsi a presidiare le altre fortezze del regno che sono da questo canto»43. Il resto del contingente prosegui verso Messina «per presidiare quella piazza, e le altre fortezze che si trovano da quella parte»44.

Se all'isola di Sicilia toccò la ventura di conferire per la prima volta il titolo regio ai sovrani sabaudi, troppo breve fu il dominio di Vittorio Amedeo per-ché tra gli isolani ed il nuovo monarca potesse nascere un qualsiasi affiata-mento.

Il re piemontese impostò con estremo scrupolo i rapporti con i nuovi sudditi visitando il paese e avviando attente indagini per prendere conoscenza dei problemi e poter quindi elaborare un piano di riforme al fine di migliorare le condizioni generali dell'isola.

Tutti i tentativi di riforma vennero boicottati anche da coloro che ne rico-noscevano la necessità; l'equità e l'effi-cienza non erano apprezzate in questo mondo feudale dove la vita pubblica era considerata un mezzo per far dena-ro e le tradizioni militari e di disciplina di Torino con disprezzo. Modo di sen-tire che prelude significativamente a quello di un secolo e mezzo dopo, a Unità compiuta.

Del resto quando a Palermo era giunta notizia del trattato di Utrecht essa ven-ne accolta con «qualche segno di mal-contento; ma l'alta nobiltà voleva so-prattutto che il nuovo re scegliesse Pa-lermo come residenza sua e della corte e risuscitasse almeno in apparenza le glorie di un lontano passato»45. La maggior parte degli altri siciliani in-vece «accettò il cambiamento con il

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talismo di gente abituata ad essere sballottata qua e là dalla sorte»46. Per accogliere e festeggiare in modo sontuoso gli ospiti illustri, artificieri e maestranze locali collaborarono al massimo, sperimentando oggetti scenici di antica tradizione e forme simboliche convenzionali, legati al larghissimo campo di applicazione del proprio me-stiere.

L'impianto scenografico (progetto ed ambientazione dei decori stradali, degli archi trionfali e delle macchine per i fuochi di gioia) venne cosi a dispiegarsi programmaticamente in una vistosa struttura effimera.

L'iniziale pretesto celebrativo si stem-pera in segni e codici comunicativi e in un gioco di invenzioni intimamente

le-gate ad una tradizione rituale dove la rappresentazione allegorica del potere propone, con un ben inteso supporto ideologico e culturale, un complicato rapporto con l'antico, come del resto le illustrazioni qui pubblicate eviden-ziano ampiamente.

Lo spettacolo offerto dal Senato paler-mitano «al voglioso contento de' citta-dini» fu allestito lungo la celebre stra-da del Cassaro «col più ricco mobile de drappi in ogni casa, e palaggio» e «come che d'indi al Duomo, e da que-sto alla Corte doveva essere il passag-gio» fu ordinato «che per tre continue notti dasse ognuno in tutta la Città il chiaro testimonio del publico, e cordia-lissimo brillo con le più splendide illu-minationi, che avesse mai praticate

nel-le scorse occasioni de solnel-lennità reali la prodiga magnificenza di Palermo»47. Venti splendide incisioni perpetuano in immagini durature ciò che più non esi-ste, fatalmente smontato dopo aver concluso quella apparizione.

A memoria durevole dell'avvenimento, il ricchissimo apparato iconografico è integrato dalla «relazione», quale pro-gramma ufficiale e definitivo «ha volu-to con pausa far credere all'orecchio del Mondo ciò, che la presenza degli occhi per l'ardore, ed eccesso delle co-se appena ebbe il tempo di persuadere a se stessa»48.

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«Alla maestà di questi prospetti» (se si pensa a quanto essi fossero già di per sé imponenti si può meglio valutare lo sforzo di nobilitazione perseguito dagli addobbi effimeri) con «l'istesso ordi-ne, e disegno» venne ordinato «tutto riccamente si vestisse de' più nobili drappi, fiori coloriti, e lavori d'oro, e d'argento; in modo che i velluti, ed il riccamo con le trine interposte distin-guevano i membri della fabrica, s'in-ternavano poi nelle nicchie, e ne' bal-coni, e lasciavano a schietta veduta le sole statue, ed i fonti»4 9.

Nello stesso modo «i festoni si ma-scherarono di fiori coloriti, e d'argen-to; come i dentelli, l'ovoli, le cornici, le balaustre, le mensole aprirono ri-stessi sentimenti, con sovraposti carto-netti d'oro, e d'argento».

Ad unire i prospetti furono alzati quat-tro «sublimissimi archi» che appoggia-ti a quattro angoli, l'aria dell'altretante ampie strade chiudevano»50.

«Massicciamente d'oro, e d'argento la-vorati» e «adornati dalla parte inferio-re con fiorite sestine» sostenevano «un'ampia balaustra d'argento, sotto la quale dall'uno, e l'altro fianco lo spazio era occupato da due grandi scu-di d'oro, ove spiccava l'aquila aurata gentilitia della Città, cedendo il mezzo a due leoni, che sostenevano l'Armi del Re»5 1.

Dalla chiave dell'arco pendeva un'a-quila nera «insegna del Regno» strin-gente negli artigli «uno scartoccio inar-gentato, in cui a lettere maiuscole si leggeva l'invito de' Popoli all'allegrez-za e al trionfo»52.

Su tutto era «la spatiosa corona d'ar-gento, che a tutto il giro della piazza facea nobilissima ombra»53.

Essa s'alzava «sopra l'ultima altezza de' prospetti, e degl'archi, e regiamen-te li circondava, cadendo da quattro lati del lembo una ricchissima cortina fiorita, che venia nelle ravvolte da molti Serafini in aria sospinta»54. Per la realizzazione di questo apparato fu richiesta «non solo la più profonda fatica de' capimaestri, ma l'assidua assistenza» del senatore d. Girolamo Pilo.

All'arredo della chiesa cattedrale — al-tro luogo solennemente deputato, anzi il più deputato in assoluto, dato che il

Fig. 9. Arco della Porta Felice, incisione di Francesco Cichè. Fig. 10. Arco trionfale

eretto dalla Nazione genovese nel Cassaro. Incisione di Francesco Cichè.

Fig. 11. Arco trionfale

eretto dalla Nazione milanese nel Cassaro. incisione di Francesco Cichè.

Fig. 12. La piazza municipale addobbata. Incisione di Francesco Cichè.

seconda strada, via Maqueda, in onore del viceré di quel nome; all'incrocio delle due vie era sorta piazza Vigliena 0 «quattro canti».

1 raccordi curvilinei, ideati nel 1609 dal romano G. Lasso, furono arricchiti più tardi da statue di sante e re nelle nic-chie, da emblemi ed aquile sul corona-mento e da fontane con figure simboli-che delle stagioni sugli assi dei cantoni.

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re prestava ivi giuramento e veniva consacrato e unto — venne incaricato «il famoso ingegniere» d. Paolo Ama-to, imponendogli «l'apparato più fa-stoso» perché «riuscisse adattato alla nuova sollennità» dell'incoronazione «in cui si voleva la pompa non più ve-duta, qual superasse la superbia de le feste passate, come che questa era un'allegrezza, che avea da stare col piede sopra di tutte l'altre»55.

La chiesa, dedicata all'Assunta, è un grandioso insieme costruttivo nel quale si fondono diversi stili; l'interno è a pianta a croce latina con tre navate di-vise da pilastri.

Era intenzione della committenza di «vestir intieramente» la vasta fabbrica e il disegno approntato si avvalse per-ciò di tutti gli accorgimenti sperimenta-ti dall'età barocca.

La vistosa struttura dissimulò la realtà corposa dei marmi e delle pitture. Lo sconvolgimento del sistema prospetti-co, creato dall'illusorietà di parvenze e materiali effimeri, si dissolse nel più li-bero uso di elementi decorativi. Non si limitò la «Magnificenza» del Senato ad esibirsi fra le mura del tem-pio, ma «per eccitar nella Reggia i Cit-tadini alla smisuratezza delle Pompe» ordinò «che cominciassero fin da le spiagge a vedersi torreggianti gli archi di trionfo» in modo «sboccasse fuori delle sue porte l'inondatione del giubi-lo e della Sollennità»56.

Fuori la cinta murata (oggi lungo il fo-ro Umberto e la piazza della Kalsa) tra le porte Felice e dei Greci, fu collocato un primo arco di trionfo. «Torreggia-va egli dunque nell'altezza di palmi settanta, portando da fianco a fianco la larghezza di palmi quaranta e cin-que» e scompartito in tre ordini: l'in-feriore corinzio, il secondo e il terzo composito57.

Un secondo arco «fu su l'ingresso del-la Città neldel-la sublimissima Porta Feli-ce, ove dal Pretore furono al Re conse-gnate le chiavi»58.

La porta, eretta fra il 1582 e il 1614, all'estremità nord del Cassaro, era l'in-gresso per chi giungeva dal mare. Tutta in marmo «ma di gran lunga la materia vien superata dal bizzarrissimo lavoro dell'architettura» e, priva d'ar-co, parrebbe «quasi principio di strada

con due superbissime facciate»5'. La posticcia struttura «col quale quasi arteficialmente per l'allegra funzione venne a cuoprirsi, accompagnò la na-turalezza del marmo, e sollievo alla porta la cresta fino alli palmi cento, e dodeci» e fu arricchita «con sovrapo-sta vaghezza di tabelle con medaglie, trofei, emblemi, e quadri»60.

Accanto a quelli voluti dal Senato ne furono eretti altri «con allegra esibizio-ne» dalle comunità napoletana, geno-vese e milanese «che in Palermo risie-dono con la stabilità del Consolato, e delle Chiese»61.

L'apparato fatto costruire dai Napole-tani fu sistemato «dentro la Città nello stradone del Cassaro, presso la propria Chiesa, e la Dogana; à prospetto del Teatro, in cui sta collocata la statua di Filippo V»6 2.

«Per variare da gl'altri archi, ne quali pompeggiava la Pittura co' chiari d'ar-gento, e d'oro» fu àpprontato un dise-gno «architettandolo à lavori di trine d'argento sopra fondo di velluti creme-sini»63.

«Dalla cima fino al basso fu vestita ugualmente di velluto» e «si fece di sopra e riccamo di trinette d'argento lavorarvi, e Pilastri, e Colonne, e Sta-tue, e Puttini, e cornicette, e ghirlande; aprirvi balconi, e festine»64.

Fig. 13. Facciata dei Seminario dei Chierici. Incisione di Francesco Cichè.

Di quest'immagine sontuosa non esiste ricordo, avendo rinunciato ad inciderla «perché col nero dell'inchiostro non può esprimersi tutto quel bello, che consisteva in chiaro, e splendore»65. L'arco genovese, «una mole risplen-dente d'argento, e d'oro, intarsiata di varie, e bizzarre pitture, co'l fondo ci-lestro» fu sistemato «nell'istesso Cas-saro distante ducento passi dall'antece-dente... in fronte per la destra alla strada de' drappieri di seta, detta la Loggia; e per la sinistra alla strada de' Chiodari, detta di San Francesco»66. Quello milanese « f u stabilito nella punta del Cassaro, che rivolge al Duo-mo»6 7.

Di forma quadrilatera, la mole torreg-giava «dal piede fin alla cima in palmi sessanta, ed allargata per ognuna delle quattro faccie in palmi quaranta e due»68.

I quattro prospetti «tra frontespici, pi-lastri, colonne e cornici formavano quattro aperture d'archi sottoposti, ognuno de' quali portava l'altezza di palmi quarantadue, come la larghezza di palmi venti e due»6 9.

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PROSPETTÒ DILLA CASA DB, SK.V. CSSIMIBO DBAGO PRESIDENTI DEL CONCWIORO.

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F/g. 74. Facciata dei palazzo di don Casimiro Drago, incisione di Francesco Cichè. Fig. 15. Facciata dei palazzo del marchese di Geraci. incisione di Francesco Cichè.

e foggia d'arco greco, mostrando nelle velette, e vuoti del fianco trofei ed in-segne, e su la chiave un tabellone so-stenuto da due angeletti, ch'esprimeva la dedicatione del Trionfo»7 0.

Mancando il tempo necessario alla rea-lizzazione di più fastose strutture, il Senato decise di rivestire il proprio pa-lazzo «de gli apparati, e drappi più pretiosi, e contentarsi che la maestosa e nobile architettura di esso non si tra-sformasse, ma venisse di pomposi freg-gi arrichita».

Perciò furono scelti «da le guardarob-be palermitane li più doviziosi ricca-mi»71.

L'ampia facciata «che dalla terra si sollieva per novanta palmi, con l'ordi-nanza regolata de' suoi infimi, mezza-ni, e supremi balconi» fu «vivacemen-te di serici, e trapuntati colori attapez-zata»72.

L'invenzione progettata dal Senato fu accolta e fatta propria dalla nobiltà palermitana «che per tanto la lunghez-za tutta del regio Cassaro, stradone, che oltreavanza li mille e ducento pas-si, nella diritta ampiezza, e quasi

ugua-le altezza de' Palaggi, e delugua-le Case, na-scose tutta la fabrica sotto la vaghezza di fastose tapezzarie»73.

«Riuscendo per tanto impossibile il di-stinguere in tutte le Case, (che tutte fu-rono attapezzate) la mostra singolare degl'Apparati», ad esemplificazione, furono scelti cinque palazzi «onde pos-sano ricavare quei, che non viddero, quanta sia nelle Feste la Magnificenza di Palermo, quale sia stato l'indice af-fettuoso di tutt'i cuori verso il nuovo Monarca»74.

In vista del palazzo reale, e situato «in fronte dell'ampia piazza di esso» sor-geva il Seminario dei Chierici «in com-pagnia de' quali molta Gioventù nobile à gli studj si allieva»75.

Avvalendosi di tutti gli accorgimenti necessari, fu applicata una struttura capace di evidenziare «lo sfoggio della Facciata non solo con le fiamme tessu-te di damaschi cremesini, che irradia-vano trinati d'oro, ma co' lumi di varj emblemi, e componimenti»76.

Il «luminosissimo prospetto» della ca-sa di don Casimiro Drago, presidente del Real Concistoro e del Real

Patri-monio, fu pure rivestito «ne' tre ordini de' balconi, che la facciata del suo pa-lazzo contiene» di preziosissima seta: «cosi ben disposta la perfezione del tri-no, ch'ebbe a valere per regola de la più bella simetria»77.

Per l'addobbo del palazzo del marche-se di Geraci fu scelto e trascritto il ri-cordo «che le feste della Coronatione siciliana, viddero la prima volta in questa reggia celebrarsi da' Roggieri Normanni»78.

Quasi di fronte a questo «s'apre a far piazza del Cassaro il ben formato lar-go, che volgarmente piano de' Bologni da gl'antichi abitanti di quella nobilis-sima fameglia si appella»79.

Sulla piazza si affaccia la «porta nuo-va» eretta nel 1535 in occasione del-l'arrivo di Carlo V, di ritorno dall'A-frica.

Essa fu in parte rifatta nel 1668; in quel tempo si decorò con vivaci maioli-che la cuspide.

Sulla piazza prospetta pure il palazzo del principe di Villafranca.

«Non vidde la Città in tutta la sua ma-gnificenza, e nello sfogo di questa sol-lennissima pompa, altra, che gli potes-se gareggiare»80.

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Fig. 16. Facciata del palazzo del principe di Villafranca. incisione di Francesco Cichè.

Fig. 17. Facciata del palazzo del barone Tarallo. Incisione di Francesco Cichè.

Dirimpetto ai Capace e non lontano dalla piazza Vigliena «ebbe a segnalar-si nella dovizia dell'apparecchio, e nel-la disposta bellezza il frontespicio» del palazzo del barone Tarallo.

«Tutto da cima a fondo per quanto porta la spaziosa, e ben architettata sua ampiezza si vidde pomposamente freggiato di ricchi tabini al color della fiamma, e del mare alternativamente situati, sopra i quali l'oro, e l'argento serpeggiava tessuto in finissimi tronco-ni, e lavori»82.

Molti altri apparati sono ricordati nella relazione, ma lo scarso spazio non mi permette di indulgere oltre.

Per manifestare «le vampe del giubilo, e dell'allegrezza, con quelle del conce-pito amore verso il re» fu approntata una «vaghissima mole de' fuochi arte-ficiali», «nell'amplissima piazza del Palaggio reale»83.

«Occupava ella lo spatio per la sua lar-ghezza di palmi cento e venti, e con altretanta misura s'insuperbiva nell'al-tezza»84.

Adottando la figura triangolare «ch'è quella, con cui si vede la Sicilia» si volle «al chiaro di tante vampe spic-casse la nobiltà, e la ricchezza del Pae-se, qual soggiaceva alla nuova, e subli-me corona di Vittorio Asubli-medeo, pale-sando la Pittura, i luoghi più cospicui dell'Isola, le applicationi più frequenti de' suoi habitanti tributarie al nuovo Trono, gl'ossequj più caldi, e più fede-li de' Nobifede-li al desiderato, e stabifede-lito suo Monarca»85.

Oltre Palermo, altre città celebrarono la venuta del nuovo re.

Secondo lo Stellardi dovrebbero essere stampate «le descrizioni dei loro parti-colari festeggiamenti per l'acclamazio-ne del nuovo regno, le quali si leggono nei rispettivi archivi comunali o nelle biblioteche pubbliche e private. Molte di esse sono negli Archivi e nella Bi-blioteca di Palermo»86.

Avvenimento eccezionale ed incontro fortunato fu quello tra il re e il trenta-seienne Juvarra.

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al desiderio, nello scrivere al sovrano (7 luglio 1714), dice di aver sollecitato Juvarra ad accettare87.

Forse già a metà mese l'architetto si presentava al re che gli commise il pro-getto.

L'episodio è narrato nelle due più anti-che biografie su Filippo Juvarra: nell'«elogio» di Scipione Maffei e in quella di «anonimo» (ritrovata tra le carte di Leone Pascoli), pubblicata cir-ca un secolo fa da Adamo Rossi88. Meritano essere trascritte entrambe. «Giunto in Messina lo richiese il Re di fargli vedere i migliori de' suoi Dise-gni, che supponeva avesse portati seco; al che rispondendo egli di non aver portato nulla, la Regina, ch'era presen-te mostrò qualche maraviglia di tal tra-scurataggine; ma quel gran Principe ri-pigliò subito, che non importava, ba-stando, che avesse portato la testa, e la mano. Gli ordinò però di fargli il dise-gno d'un palazzo, da edificarsi sul por-to di Messina, nel sipor-to stesso, in cui si trova tutt'ora il palazzo regio; ma in guisa tale, che con le sue adiacenze si estendesse verso le colline, che sono fuori, e potisse gioiere di quelle cacce. Esegui l'ordine Don Filippo con tal perfezione, e con tal prontezza, e con aver si bene incontrata l'intenzione, che il Re ne rimase con maraviglia; ed avendolo anche in più discorsi ben co-nosciuto, per quel grand'uomo, ch'egli era, lo dichiarò suo primo architetto, con l'annuo stipendio di 600 scudi ro-mani, e seco lo condusse a Torino». «Avendo il duca di Savoia Vittorio Amedeo acquistata la Sicilia ed essen-do stato di già incoronato re, si tratte-neva a Messina, ed essendogli mancato l'architetto, procurava trovarne qual-cuno buono per effettuare alcune fab-briche di grande sua premura. Mentre un giorno SM discorreva con l'avvoca-to Aguirre, buon amico di don Filip-po, di cose indifferenti, vennero sul-l'architettura, e disse il re dove avreb-be potuto trovare un buon architetto; e l'avvocato non mancando servire l'a-mico, in questa occasione lo propose a SM che sentendolo molto a lodare ed essere suo suddito, ordinò si facesse venire in Messina; per il che gli fu scritto dall'amico di Roma. Egli ubbi-dendo puntualmente agli ordini del re,

s'imbarcò nella feluca del dispaccio, si che in pochi giorni fu alla presenza di SM il quale appena vedutolo gli do-mandò che disegni avesse portati; ed egli gli rispose che aveva portato il toc-calapis ed il tiralinee, volendo con ciò dire che gli avrebbe dato l'animo di fare qualunque disegno gli fosse stato ordinato. Capita la risposta dal re, per sperimentarlo ordinò, che volendo lui terminare il famoso palazzo reale di Messina sulla facciata del porto, ne avesse fatto il disegno. JEgli in poco tempo esegui i di lui comandi, e fece un disegno che niente discordava dalla celebre architettura ideata da un antico eccellente maestro fiorentino, e dagli ornati fattivi dal celebre fra Gio An-giolo scolaro del Bonarotti. Per questo SM ne formò un gran concetto, lo di-chiarò suo primo architetto, e lo con-dusse seco in Torino».

Il palazzo, di origine medioevale, fu trasformato dall'architetto Andrea Ca-lamech (un architetto carrarese forma-to al gusforma-to manieristico forma-toscano) negli ultimi anni del '50089.

Le descrizioni antiche dell'edificio lo di-cono di «struttura di tre fortissime torri di pietra riquadrata in faccia al mare e altrettante nella parte posteriore»90. «Nei quattro canti ha da avere quattro torri fiancheggiate con quattro logge e quattro saloni grandi col giusto riparti-mento di diversi appartamenti oltre le molte stanze di sopra e, nel mezzo od a basso, ripartite ad usi diversi per i negozi in tutti i tribunali, per gli allog-giamenti dei cortigiani del Viceré»9'. La facciata verso il porto era «riguar-devole per la vaghezza e la ricchezza degli intagli delle logge, balconi e porte tra le quali, singolare è la porta di mezzo di marmi neri e bianchi e del finestrone marmoreo di somma va-ghezza»92.

Augusta Lange nel 1942 ritrovò presso l'Archivio di Stato di Torino due gran-di piante, riferendo che doveva esistere una terza ma che al momento essa era mancante93.

Nel 1979 ebbi in effetti occasione di convalidare l'ipotesi della studiosa rin-tracciando il disegno smarrito, del qua-le diedi breve comunicazione nel corso delle giornate juvarriane94.

Al vecchio palazzo calmecchiano

l'ar-chitetto siciliano articola il suo proget-to aprendolo verso un vasproget-to giardino e ambientandolo tra lo stretto e la pia-nura lussurreggiante con una maggior possibilità di godere del mare e della costa calabra.

Il progetto non fu attuato, contraria-mente a quanto scrive il Di Marzo il quale sostenne che la costruzione fosse già ultimata nel 1714.

Dall'esame dei libri dei conti della Te-soreria generale di Milizia di Sicilia de-gli anni 1714 e dal 1716 al 1720 risulta infatti solo un pagamento di L. 23. I.II. fatto il 26 agosto 1716 a «ma-stro» Giuseppe Gentile ed altri compa-gni per riparazioni «al palazzo in Mes-sina e per quelle fortificazioni95». In relazione a questo progetto si deb-bono di certo porre i pensieri, già noti, conservati alla Biblioteca Nazionale di Torino (Ris. 59/4 - f.f. 14,92). Ad essi ritengo se ne possa aggiungere un altro — inedito — della stessa rac-colta rappresentante un prospetto. (Ris. 59/4 - f. 102).

Avanzo l'ipotesi che possa riferirsi alla facciata verso l'abitato perché da quel lato era necessario predisporre un con-tromuro che raccogliesse tutte le irre-golarità del terreno; e infatti nel dise-gno cui mi riferisco è segnato un forte basamento contromurale.

A conclusione di questo fervido mo-mento festivo — prescindendo dall'al-lora imponderabile futuro prossimo e confermando le riserve già espresse sul-la unanimità dei consensi — si può af-fermare che lo «spettacolo» offerto a Vittorio Amedeo, alla sua Famiglia e al suo seguito dovette riuscire entusia-smante e fantasmagorico per opulenza di forme, vivacità cromatica.

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RITORNO E FESTEGGIAMENTI A TORINO

Tornando al soggiorno di Vittorio Amedeo, dopo una permanenza nell'i-sola di circa undici mesi, desiderando far ritorno a Torino, egli scrisse al-l'ammiraglio inglese Wishart chieden-dogli alcune navi e segnalando espres-samente due vascelli (il «Crown» e il «Greyhound»)96.

Nell'impossibilità di mettere a disposi-zione i due vascelli richiesti (si trovava-no lontatrovava-no e, per i venti contrari, trovava-non avrebbero potuto trovarsi in Sicilia per l'imbarco) lo stesso ammiraglio assicu-rò il sovrano sabaudo di aver dato or-dini al capitano Percy e aver disposto altresì che anche altro naviglio, sotto il comando del capitano Scott, avrebbe fatto parte della forza navale che dove-va ricondurre il re a Villafranca. Assicuratosi cosi i mezzi di trasporto, con altra lettera datata 28 agosto 1714, Vittorio Amedeo II scrisse nuovamente al Wishart per informarlo che all'indo-mani sarebbe partito partecipandogli che lasciava nell'isola, con la carica di viceré, il conte Annibale Maffei97. Il Soleri, nel suo diario, annota la tra-versata e cosi scrive: «Al doppo pran-zo le loro Maestà si sono imbarcate fuori del porto di Missina sopra il vas-sello del capitano Scotto inghelese esi-stente esso vassello poco distante dalla spiaggia detta del Paradiso, et d'ivi ad un hora circa fece velia detto vassello unitamente ad altri cinque vasselli In-ghelesi, et altro Genovese sopra quale vi era un regimento d'Infanteria sicilia-no dette Maestà gionsero in Palermo sotto li due settembre con gli vasselli sudetti ove gionte S. Maestà il Re di-sbarcò sotto li 3 et si portò in primo luogo alla Madre Chiesa ivi fece sue devotioni all'altare di S.ta Rosalia doppo di che si portò al suo Palazzo ove diede udienza per il spatio di due hore, et licensiatosi dalla Città andò di nuovo a bordo senza che la Regina habbi mai messo il piede in terra. Sotto li 5 sudetto nel far del giorno si fece velia per Villafranca, et nel partir il vassello Scotto sudetto ove erano le Loro Maestà furono salutate per 3 vol-le

nunziata, e de Signori Ministri di Sta-to»100.

Dopo qualche ora «d'anticamera» furo-no ricevuti dal conte di Verfuro-none che li informò «esser la medesima RA entrata in sentimento di raportarsi al prudente regolamento della Città in congiontura di tanto, e si universale giubilo»'01. Fu deciso di far preparare, per la sera del ritorno, «una bella illuminatione a questo Palazzo, far metter le padelle alla Torre, e far fare quei fuochi di gioia nella piazza avanti» il proprio palazzo, nel migliore dei modi e «si facino publiche elemosine in pane e de-nari a mendicanti e private a vergogno-si in rendimento di gratie a SDM» ri-servando ad altra congregazione di de-te dalla Città et forti di Palermo con

sbaro di tutti li canoni.

Dopo varie borasche, et intemperie de venti contrarij gionsero Loro Maestà nel porto di Villafranca sotto li 19 det-to settembre»98.

Intanto a Torino il 12 agosto, in sedu-ta di Consiglio «da diverse lettere che si sono ricevute dal regno di Sicilia» dovendo «determinare quali publiche dimostrationi di giubilo debbi dare la Città in un ocasione di tanta consola-tione, e per dare sempre più evidenti atestati della total sommissione di que-sta fedelissima Metropoli a suoi reali Sovrani, e del suo vivo desiderio di ri-haverli» furono incaricati i sindaci «di portarsi da SAR il signor Principe di Piemonte, luogotenente generale di SM» per conoscere «come debba con-tenersi in tal riscontro».

Conosciute le intenzioni sovrane avreb-bero dovuto riferire ad altra congrega-zione «con autorità a questa di risolve-re come stimerà più spediente»99. Nella seduta successiva (21 agosto) fu letta la relazione della visita compiuta al castello di Moncalieri «ove detta RA fa presentemente la sua residenza» esponendo la «luoro commissione a SE il signor marchese di Cuodrè, cavaglie-re del Supcavaglie-remo Ordine della S.S.

An-Fig. 18. Macchina per i fuochi di gioia allestita in Palermo.

Incisione di Francesco Cichè. Fig. 19. Progetto di Filippo Juvarra

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terminare la «somma da impiegarsi in dette elemosine»102.

Sintomatico del desiderio della Munici-palità (della quale pure facevano parte uomini di Corte) di festeggiare il re nella propria piazza e non in quella del Castello è il fatto che anche in questa seconda «manche» di discussioni sui progetti il corpo decurionale si intesti a volere che le macchine vengano monta-te davanti al Palazzo di Città. E chi sa quanto alla Corte fosse ostica la fac-cenda capirà con quale assenso rilut-tante i felici sindaci e consiglieri accet-tassero di traslocare le celebrazioni nel sito che a loro non andava affatto. Il 17 settembre venne annunciato il prossimo arrivo dei Regnanti che

«se-condati dalla divina clemenza con una felicissima navigatione» erano già in vista di Nizza, dove sarebbero sbarcati per riprendere la strada del ritorno. Nell'attesa fu scritta, al marchese di San Tommaso, ministro di Stato, che si trovava già ad attendere i sovrani «una lettera missiva» nella quale si pregava «SE compiacersi di sugerire alla Città quanto la di lei ben distinta prudenza stimerà doversi dalla medesi-ma praticare per suo regolamento nella congiontura proposta»103.

Il San Tommaso, dopo i convenevoli, rispose che si rimetteva alle decisioni del marchese di Caraglio, governatore della Città; perciò a quest'ultimo ci si doveva rivolgere104.

Nell'abboccamento si concertò il ceri-moniale da praticarsi. Egli sarebbe do-vuto andar «a ricever la prefata SM al-la porta delal-la Città con presentarli le chiavi, far mettere sotto le armi tutta l'ordinanza presidiata, e far fare tre salve di tutta l'artiglieria tanto della Città, che Cittadella mentre il Consi-glio decurionale sarebbe dovuto recarsi «all'incontro delle preffate Luoro MM in distanza di cinque, o sei miglia fuori del suo territorio».

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