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Cronache Economiche. N.001-002, Gennaio – Febbraio 1973

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Academic year: 2021

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(1)

CAMERA DI COMMERCIO S P E D I Z I O N E IN A B B . P O S T A L INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA <"V G R U P P O ) / 70 - 1 ° S E M .

i O

DI TORINO U fc- G E N N A I O - F E B B R A I O 1 9 7 3

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Fondata nel 1827

Riserve 50 miliardi 900 milioni

Depositi oltre 1300 miliardi

Tutte le operazioni e i servizi bancari

alle migliori condizioni

(3)

cronache

economiche

mensile della camera di commercio industria artigianato e a g r i c o l -tura di forino n u m e r o 1/2 g e n n a i o - f e b b r a i o 1 9 7 3

sommario

L. Malie

3 Alcuni dipinti piemontesi sconosciuti dell'800 G. Oberto

13 II Parco Nazionale del Gran Paradiso ha compiuto 50 anni G. Biraghi

22 Le regioni italiane nella struttura produttiva nazionale P. D. Clemente

33 Fréjus: a che punto siamo? C. M. Turchi

46 IVA, imposta « europea » A. Trincheri

55 Strozzature da eliminare nella distribuzione dei prodotti A. Cimino

58 II platino nell'industria moderna P. Costantino

61 L'inserimento delle ferrovie e delle strade italiane nei traffici con-tainerizzati

C. Beltrame

67 Le società di sviluppo economico regionale in Francia P. Condulmer

70 A colloquio col Sempione 75 Tra i libri

81 Dalle riviste

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni deb-bono essere indirizzati alla Direzione della Ri-vista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pen-siero dell'Autore e non impegnano la Direzione della Rivista né l'Amministrazione Camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono es-sere inviate in duplice copia. È vietata la ri-produzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

Figura in copertina:

G. Alby - Marina (Barche pescherecce), 1890.

D i r e t t o r e r e s p o n s a b i l e :

Primiano Lasorsa

V i c e d i r e t t o r e :

Giancarlo Biraghi

D i r e z i o n e , r e d a z i o n e e a m m i n i s t r a z i o n e

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C A M E R A D I C O M M E R C I O

I N D U S T R I A A R T I G I A N A T O E A G R I C O L T U R A

E U F F I C I O P R O V I N C I A L E I N D U S T R I A C O M M E R C I O E A R T I G I A N A T O

Sede: P a l a z z o Lascaris - Via V i t t o r i o Alfieri, 15. Corrispondenza: I 0 I 2 I T o r i n o - Via V i t t o r i o Alfieri, 15 10100 T o r i n o - Casella P o s t a l e 413.

T e l e g r a m m i : C a m c o m m . Telefoni: 55.33.22 (5 linee). Telex: 21247 C C I A A T o r i n o . C / c postale: 2 / 2 6 1 7 0 .

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B O R S A V A L O R I

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B O R S A M E R C I

10123 T o r i n o - Via A n d r e a D o r i a , 15.

Telegrammi: Borsa M e r c i - Via A n d r e a D o r i a , 15. Telefoni: 55.31.21 (5 l i n e e ) .

G A B I N E T T O C H I M I C O M E R C E O L O G I C O

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1

Alcuni dipinti piemontesi

sconosciuti

deir800

Luigi Malie

Non si tratta, qui, di portare in luce 'particolari scoperte. Sem-plicemente, si rendono noti al-cuni pezzi di pittura piemontese ottocentesca, cojiservati in colle-zioni private, di qualità buona, in tre o quattro casi anche molto notevole o eccellente, i quali hanno tutti qualche elemento di interesse, specie quando si rife-riscono ad artisti la cui attività è rimasta, per varie circostanze, nell'ombra, oppure ha avido ai suoi tempi amplissima risonan-za, per poi cadere in completa dimenticanza.

Iniziamo con un fresco acque-rello di Felice Ferdinando Maria Storelli (Torino 1778 - Parigi 1854). Studiò pittura nell'atelier di Palmieri ma già nel 1800 si trasferiva a Parigi, dove comin-ciò a esporre al Salon del 1808. Mantenne tuttavia sempre rap-porti con Torino. Il Palazzo Reale di Torino e il castello di Agliè, hanno opere varie dello Storelli il quale esegui, ad olio oppure ad acquerello, paesaggi d'invenzione e vedute di siti pittoreschi in Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana, Sicilia, Pi-renei. Vagamente il paesaggio storelliano richiama quello di Bageiti; manca per lo più la rigorosa fissazione d'un punto di vista scenografico ; la pittura è più leggiadra, più chiara, più rapida di tocco, se si vuole anche più superficiale, più lar-gamente chiazzata, con remini-scenze di decorativismi settecen-teschi ma con intonazioni

croma-tiche semplificate, terse, freddine, tipicamente neoclassiche.

L'acquerello in questione, con-dotto su carta, ha subito qualche piccola riduzione ai margini, ritagliati a seguito di usura. La firma è ancora bene visibile sep-pure monca; non sappiamo se al di sotto vi fosse anche la data. Ma quest'ultima non ha poi grande importanza nella produ-zione d'uno Storelli che, trovato il proprio modo di adesione ad un neoclassicismo memore di vecchi schemi e portato, d'altra parte, ad una gentile ed epider-mica vena romantica, non pare abbia più risentito di movimenti pittorici succedentisi attorno a lui, e proprio in Parigi stessa.

È firmato e datato 1852 un paesaggio ovale di Giuseppe Ca-mino, raffigurante una piana con rocce e figure presso la Serra d'Ivrea. Il Camino si isola in una fantasia profondamente ro-mantica. Nato a Torino nel 1818, lasciò la carriera ammi-nistrativa per la pittura. Tenne studio per qualche tempo con Angelo Beccaria ma fu soprat-tutto autodidatta. Viaggiò assai in Italia e sostò in Francia ed in Inghilterra; espose qualche veduta francese anche alla Pro-motrice di Torino.

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Giuseppe Camino - Paesaggio presso la Serra d'Ivrea.

del temperamento impetuoso del-l'autore. Tuttavia, nel piccolo formato, per di più rinchiuso nel-l'abbraccio allusivo dell'ovale, ca-ro a parecchi ca-romantici, Camino è più raccolto e, pur senza nunciare a vividi contrasti, ri-sulta tanto più convincente, non senza una nota di personale espansività. Con linguaggio so-brio, Camino dimostra qui una capacità di presa diretta sulla, natura, pur sempre un poco ir-reale nelle illuminazioni fanta-stiche e misteriose; il pezzo è condotto con rapida sintesi, non senza un ricordo perfino del pae-saggio bagettiano. L'impianto è semplificato, la campagna è vi-sta ad orizzonti abbassati sotto un cielo poco mosso, uguale, so-speso; l'orchestrazione comples-siva è tenuta su pochi e robusti effetti di verdastri e grigi, con alcuni gialli, qua e là rendendo gli accostamenti un poco aciduli.

È probabilmente da datare al 1858 il dipinto con una scena di vita popolare, siglato dal pit-tore Tetar van Elven, a Modena (in quell'anno una sua scenetta modenese apparve alla Promo-trice), dove è raffigurata la piazza

del Duomo, con la facciata di quest'ultimo a destra in prospet-tiva. Pietro Tetar van Elven, nativo di Amsterdam, giunse a Torino col padre nel 1851 e quivi rimase per un decennio prima di trasferirsi a Parigi fino al 1874 (per poi pellegrinare attraverso il globo), portando nel tranquillo e riservatissimo clima torinese una pennellata estrosa e perfino un poco stravagante, un colorismo acceso che, agli inizi, sono ancora relativamente assai sorvegliati ma che nel periodo tardo, nell'ultimo quarto del se-colo, tenderanno sempre mag-giormente, anche se empirica-mente, al colore puro.

Il van Elven venne a Torino appena ventenne e trovò acco-glienze entusiastiche, perfino a corte; nel 1859 partecipò alla campagna di indipendenza. Ma che la sua presenza abbia inciso in loco, è difficile sostenere; essa fu piuttosto un gustoso e friz-zante episodio. Nessuno in To-rino era in grado a quel mo-mento — né lo sarebbe stato in altra parte d'Italia —: di

com-prendere i fondamenti della, sua, pittura, cosi profondamente

anti-tetici, anzi eterodossi agli occhi dei nostri pittori.

La veduta di Modena è sapi-da, brillante, animata, condotta con un senso dell' episodio goduto ma controllato, sottomesso ad una accorta regia delle masse di luce

d'ombra.

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nel '75 e '78 a Parigi dove la ;pittura « ufficiale » (gli impres-sionisti erano quasi ancora re-fusès) lo disgustò.

Il dipinto che qui presentiamo, non datato, può esser posto ad un momento già avanzato. Purtrop-po la mancanza totale della prima produzione romana, andata per-duta nel '45, la conoscenza im-precisa dell, attività precedente al periodo di Crémieu, non con-sentono di farsi una immagine adeguata delle vie per cui Ravier giunse a farsi la propria peculia-re pittura di luce. La « Pianura ai-tramonto » è una meditazione mi-rabile sul cader della sera in un paesaggio solitario, triste, dove il cielo cala greve, con le sue nuvole corpose, spesse, addirit-tura limaccioso, come fango che d'improvviso s'incrosta di sca-glie smaltee, fino ad accostarsi alla terra sciacquante in un ritmo molle, allentato, una terra che, madida anch'essa, si squama-in soffocate faville. È un'adden-sata orchestrazione di tinte fulve e nerastre, carboniose, da cui emergono e in cui s'immergono spatolate di verdi smeraldini, di azzurri, di rosati tenerissimi o carichi. Una pittura che si ri-gonfia dall'interno, per una cre-scita possente, calda, esaltata, tesa ad un confondersi di ener-gie, ad una compenetrazione di elementi.

È alto anche il livello d'un disegno a matita e carboncino di Antonio Fontanesi « Alberi e sentiero nella valletta ». È su-perfluo qui riportare notizie sulla attività del maestro, che in que-sto disegno, appare felicissimo nella composizione sintetica, con un tratto vibrante che, nelV ad-densarsi, si carica di valore cro-matico intenso. Dai primi agli ultimi piani è un fervere trepido, che si accumula nella grande massa d'alberi a sinistra e si alleggerisce nella valle ma non tanto da non estender su di essa e nel cielo una nota bassa.

Come quasi sempre in Fonta-nesi, è un paesaggio che si

ri-piega su se stesso, in un richia-mo di zone d'ombre, un paesag-gio in cui gli alberi fan conca ad una solitudine, attirando a sé anche la linea lontana delle appena accennate collinette; e le due o tre figurette, schizzate con segno sommario ma pregne di vita chiusa e pesante, accen-tuano il senso generale, per ora non di desolazione, ma di tacita

scontrosità. A tentare una data-zione si potrebbe pensare un mo-mento verso il 1860-65.

È di Vittorio Avondo il di-pinto « A Lozzolo », firmato e datato 1871 e già esposto al Cir-colo degli Artisti di Torino in quell'anno. Esso è una delle varie redazioni del tema albero e rivo con bassa collina, nella zona di Lozzolo, che il pittore ebbe a

Pietro Tetar van Elven - Vecchia Modena (1858).

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IfttLtìtirEH^f hritt'fiEJ-^icvu^ Ultll H.'itCJ L «CI LH PLIi>1 1 IJf l

Antonio Fontanesi - Albero e sentiero nella valletta.

riprendere con variazioni mini-me di angolo visuale ma •imitan-do a volte assai il formato. Cor-risponde il quadro in questione, alla parte centrale d'una erro-neamente definita « Sera nella campagna romana » in collezione privata milanese, che estende orizzontalmente il soggetto. Lozzo-lo, infatti, si trova nella zona vercellese.

Avondo era nato nel 1836, a Torino, dove mori nel 1910. Gio-vanissimo, contrastando col pa-dre che intendeva avviarlo al-l'avvocatura, si recò a. Ginevra, per seguir le lezioni e l'esempio del Calarne, che gli diede un mestiere senza influenzarlo vera-mente poiché, a confronto del

romanticismo e idealismo del Ca-larne, Avondo ebbe sempre a di-mostrare una spiccata tendenza a seguire la naturale realtà delle cose, ciò che non toglie, nelle varie fasi della sua pittura, una personale interpretazione lirica della natura medesima. A Gi-nevra, poi, Avondo conobbe Fon-tanesi e ne subì l'ascendente; tuttavia mantenendo un'indipen-denza che gli permise di colle-garsi con la scuola di Rivara, passando molto di frequente l'e-state nel centro piemontese, ac-canto ai sodali del Pittava.

Espose inolio alla Promotrice e molto a Roma, dove visse a lungo occupandosi anche d'an-tiquariato. Collaborò infatti col

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risultato d'una rigorosa rinun-cia.

Il paesaggio di « Lozzolo » è impostato su un impianto sem-plice, senza alcuna ricerca d'ef-fetto, con un taglio occasionale, con un gioco di pochissimi ele-menti in netto ma trattenuto co?i-trasto: una collina scura, in controluce, una piana a larghe chiazze, un rivo riflessalo in primo piano, una pianta somma-rizzata a destra. L'esito finale, nelV orchestrazione generale di marroni e tinte bruciate, con radi verdi scuri sotto il cielo grigio piuttosto addensato, è di un paesaggio cupo e, al primo momento, ostile, che si svela a mano a mano nella sua silente e avvolgente sinfonia di ombre.

Di Demetrio Cosola presen-tiamo un quadretto firmato a tergo: « Scena campestre ». Il Cosola, nato nel 1851 a San Se-bastiano Po, mori ancor gio-vane, appena quarantaquattren-ne, a Chivasso. Aveva studiato all' Accademia Albertina di To-rino con Angelo Beccaria, pae-saggista, ma anche con i figu-risti Enrico Gamba, Andrea Ga-staldi, Alberto Maso Gilli e s'era interessato alla scultura. Ma contrariamente a quella educa-zione freddamente convenzionale e cattedratica, si ispirò appas-sionatamente alla natura, elu-dendo le facili idealizzazioni del Beccaria. Fu pure generista e ritrattista; trattò con grande pe-rizia la tempera, anche in grandi formati. Alla Promotrice di To-rino esordi nel 1873; non si può tuttavia identificare la « Sce-na campestre » con alcuSce-na delle opere esposte sia alla Promotrice che al Circolo degli Artisti fino al 1894. È appena un'ipotesi che una coincidenza possa es-serci con un « Meriggio » esposto nel 1880.

Il dipinto è condotto con fat-tura. molto larga, a lunghe pen-nellate e a chiazze allusive; la breve estensione del terreno è trattata con elementare succes-sione di zone di luce e d'ombra

fino al bordo d'un fiume in piena luce; la pennellata è distesa striandosi e graffiandosi legger-mente, ma in qualche punto si ispessisce e si coagula pur sem-pre abbozzando sommariamente e però decisa. Gli alberi slar-gano un fogliame indifferenziato, chiazze di verde rappreso o stem-perantesi, che qua e là si staglia quasi ritagliandosi sullo spesso cielo compatto. Pare di notare, nella tecnica e nel tono generale, una qualche suggestione, libe-ramente interpretata, del pae-saggio avondiano del momento centrale.

Marco Calderini, nato nel 1850 a Torino (ove mori vec-chissimo nel 1941) fu, giovanis-simo, allievo di Enrico Gamba., per il disegno di figura,

all'Ac-cademia Albertina, quindi di Andrea Gastaldi per la pittura. Ma dopo un anno abbandonò la scuola del Gastaldi e apri uno studio con Francesco Mosso: due temperamenti, quello del. Mosso e il suo, agli antipodi.

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Demetrio Cosola - Scena campestre.

vanno considerati fra il meglio che la pittura piemontese po-tesse dare, con una stringatezza di mezzi, una, eleganza coìnposi-tiva, una cosi raccolta intona-zione suggestiva da porsi come punto di partenza per un nuovo paesaggismo dopo quello fonta-nesiano. Purtroppo, dopo circa due decenni di eccellente pittura (memorabili, tra l'altro, le varie redazioni degli splendidi, « Giar-dini reali » di Torino, con sin-golarissimi preannunci del

li-berty) egli andò acquietandosi dopo il '90 in un paesaggismo piti vacuo, senza più l'incanta-mento dei primi tempi, pur sempre, anzi anche maggiormen-te, usando una pennellata molto mossa, immediata, ma col ri-schio di farne un espediente. Oltrepassato l'Ottocento, la pit-tura di Calderini sopravvive, co-me una scrupolosa esercitazione, senza più dire una sua parola particolare. Ma quegli avvìi fu-rono eccellenti.

Il « Paesaggio di collina » fir-mato, non datato, può però esser posto con probabilità intorno alla chiusura dell'800. Più che un dipinto finito, esso può consi-derarsi un abbozzo, peraltro con una sua interna pienezza, che 'lo fa compiuto cosi come è.

Col-line in primo piano, ricoperte di erbe e foglie e montagne nello sfondo, con lo slargarsi di ce-spugli e alberelli a destra. È una impressione dal vivo, tramata su marroni e giallastri dei primi piani, con qualche notazione di verde, mentre lo sfondo di monti è d'un azzurro nebuloso. Il cielo svaria la sua massa di nubi con una nota fresca di azzurro molto chiaro, che aumenta il senso di lievità dell'insieme.

La tavoletta del « Paesaggio di collina » è stata poi usata a tergo dal Calderini per eseguirvi — e questa volta rifinendo il di-pinto — un « Prato al sole con bambina », che è ancora una bella pagina nel curriculum del-l'autore. L'orizzonte è molto al-to, la distesa del prato sale col suo verdino pallido, giungendo altissima fin quasi all'orlo della tavola, dove è soltanto una bassa stria di cielo di tinta grigia spenta. La luce gioca con le erbe del prato, schiarendole a sini-stra. In primo piano, è semi-distesa una bambina, in grem-biule rosa sulla vestina grigio-spento, che sembra richiamare il grigio del cielo. La figuretta è abbastanza grande nel complesso del quadro, ma senza disturbare, perché il pittore l'attutisce sen-sibilmente nei colori, la risolve per gran parte in un profilo che si fa, in qualche punto, profilo di luce, e solo per breve tratto staglia netto contro il prato. La veduta di schiena, poi, esclude ogni ricerca episodica e il volto è nascosto dalla massa delle trec-ce; solo se ne svela un semi pro-filo luminoso, che assume esclu-sivamente valore pittorico.

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condu-zione è molto libera, franca, con una pennellata continuamente di-versificata. Calderini ha dato qui una piccola pagina concentrata, intima, raccolta, esprimendo la poesia di situazioni umili, con una. semplicità e immediatezza che stanno tra quanto di meglio ha dato l'intimismo piemontese, non aneddotico, tra gli ultimi anni dell'800 e i primi del '900.

Giuseppe Albi), nato nel 1853, ebbe stroncata la sua vita, appena trentasettenne, nel 1890. Una. parte della sua pittura fu indiriz-zata a soggetti di caccia (uccelli uccisi, in particolare) ma, oltre a ciò, trattò largamente il pae-saggio ed esegui scene aventi almeno un punto di partenza, nel « genere » anche se poi molto bene assorbito nel paesaggio. Ap-parve alla Promotrice torinese dal 1878.

Semplicissimo di vita, amante della pace campestre, schivo ma limpidamente cosciente della se-rietà del proprio lavoro, control-lato e sincero negli affetti e negli impulsi, lasciò una produzione che meriterebbe di essere ripresa in considerazione, per chiarire un percorso rettilineo e coerente, ingiustamente dimenticato. Eb-be successo fin dalle prime com-parse in pubblico; e fin d'allora le sue opere furono distinte da una nitidezza d'impronta, un'ele-ganza, un equilibrio non comune nel gusto. Ebbe propensione so-prattutto per paesaggi fermi, in-tatti, silenti, che trattò con tran-quilla concisione. Agli ultimi mesi si trasferi a Venezia e qui lasciò, in vari « studietti », una austera e insieme commossa in-terpretazione della natura.

Il dipinto che qui presentiamo, illustrandolo a colori, coincide probabilmente con le « Barche pescherecce » esposte nel 1890 alla Promotrice torinese. Il pezzo è firmato e datato, appunto, 1890. Una veduta questa, di al-tissimo livello, forte, stringata, prima di qualsiasi grazia acces-soria, di qualsiasi ricercatezza superficiale; ma il taglio è

maMarco Calderini

-gistrale, la linea d'orizzonte è intatta fra acqua e cielo, fredda e tersa; la spiaggia secca, umida, appena qua e là toccata da finissime pennellate che smuo-vono e indorano le sabbie, la collina scalza e cruda, tutto è fisso, immobile, in una rara feli-cità di rapporti, in un accordo

o di collina!

di colori che è ridottissimo, parco ma quasi sontuoso.

Sulla riva stanno poche bar-che, nere, qua e là pezzate di pamii stesi, dai colori rattenuti che non lacerano la unitaria trama. Barche che gettano la loro ombra, netta, corta, fredda; una o due vele abbassate gettano

mm

0 te*,'* r A !

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degli impressionisti della secon-da maniera »: dove, il meno che si possa dire, è che lo Stella aveva le idee molto oscure sulla pittura impressionista.

Presentiamo di lui una tavo-letta, con « Impressione in mon-tagna », firmata e, in origiìie, *anche datata; ma l'indicazione

della data è stata parzialmente segata e par d'intravvedere un « agosto » senza leggere chiara-mente il giorno, mentre è scom-parso l'anno.

Ala poiché sappiamo che il Rabioglio fece un lungo soggiorno estivo in montagna nel 1890, non crediamo andar errati, anche in base allo stile, datando il qua-dretto a tale anno.

È un'operina molto unitaria, senza dispersioni, condotta con fare spedito, dove la pennellata qua e là raggrumante si, può senz'altro aver tratto qualcosa dalla conoscenza degli impres-sionisti a Parigi, l'anno prece-dente, derivando a Rabioglio una nuova e maggior libertà, una bella immediatezza di tocco, sen-za peraltro che i risultati entrino in un filone impressionista. Cer-to, il colore, qui lievita; dal cielo si diffonde una chiarità diffusa, senza però che tutto il quadro si risolva in una tessitura dì luce. In ogni caso, dall'esperien-za parigina, sia pur superficiale, si può meglio capire il titolo stesso del quadretto, segnato a tergo.

Non è il caso di indugiare qui su dati biografici di Enrico Reycend, che, nato a Torino nel 1855, visse a lungo fino al 1928, protraendo la sua attività per parte notevole del nostro secolo. Studiò all' Albertina, prima con Enrico Ghisolfi, poi si sentì at-tratto dal Fontanesi per breve tempo, quindi si dedicò ad una pittura più realistica e in un rapido soggiorno milanese guardò alla pittura del Corcano. Ma nei suoi anni giovanili, nella produzione tra V80 e il '90 circa, dovette risentire anche l'ascen-dente della pittura francese. Egli Domenico Rabioglio - Impressione in montagna.

un biancore intenso. Si entra lentamente nel clima lucido e cristallino del quadro, per ri-manervi captati, ammirando una singolare nettezza di disegno e, altrettanto, una giustezza e ric-chezza di rapporti cromatici che sono realizzati con tanta sem-plicità e pacatezza da parer quasi celarsi.

Conosciamo troppo poco l'o-pera dell'Alby ed è imprudente avanzare congetture. Ma non escluderei che vedendo più volte •macchiaioli alla Promotrice, l'Al-by, cosi serio e solitario nel suo dipingere, non si sia sentito at-tratto da quel linguaggio scaltro, volitivo, efficace e ne abbia tratto un insegnamento essenziale che veniva ottimamente ad accordarsi

alla sua sensibilità osservatrice, calma, riflessiva, amante delle cose quadrate, precise, nette, sotto sotto accennando qualche bella ricerca tonale.

Mori abbastanza giovane an-che Domenico Rabioglio, nato a Cavoretto nel 1857 e scomparso nel 1903. Iniziò nel modo più convenzionale, seguendo all'Al-bertina i corsi di Andrea Ga-staldi. Poi, bersagliere a Roma, studiò il nudo all'Accademia di S. Lucia. Dall'80 si dedicò ad una pittura di più forte accento coloristico; poi fu a Parigi nel 1889 ma è piuttosto azzardato affermare, con lo Stella, che « ritornò in patria con tutta l'in-telligenza della modernità cli'è •nelle tele della scuola luminosa

Enrico Reycend - Marina. I

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aveva esordito alla Promotrice nel 1873, nel suo periodo fontane-siano lasciò opere di. alta sug-gestione che però sono singolar-mente autonome (esse rimangono poco note, in collezioni private); tra l'SO e il '90 appunto esegui tele di altissima qualità, concise, nette, forti di tono, sobrie di taglio, con splendidi valori di luce-colore che pongono il Rey-cend in parallelo con l'impressio-nismo e il primo postimpressio-nismo, al di là di precisi ri-chiami. In maniera pacata e per lo più luminosamente chiara, la sua pittura di paesaggio ha for-me scandite, tocco vivace e mosso, gustosi impasti, timbri freschi o, spesso, modulati in tenui e delicate sflimature.

Xeli'ultimo periodo si fa stra-da qualche spunto pointilliste, a fondo trasformato che, però, gra-dualmente diventa un espediente assai epidermico. La « marina » che qui si presenta è una tavo-letta eseguita certo agli ultimis-simi anni dell'800 o ad apertura del '900, prima del disperdersi di Reycend in una tecnica vi-stosa. Una distesa d'acque sale dalla spiaggia, appena accen-nata, occupando quasi tutto il quadro, lasciando solo alla som-mità un brevissimo spazio al cielo. È un quadretto di alta con-centrazione, un vero immergersi nelle acque marine, tenute su un azzurro-verdino-rosa mentre il cielo grigio-cupo si colora di nubi d'un rosato più carico. La pennellata larga, grassa, ondosa, si risolve perfettamente in un movimento ritmico.

E ci è caro chiudere con un bellissimo inedito di Federico Boccardo. Sulle pagine di que-sta stessa rivique-sta abbiamo già avuto occasione di presentare un bel gruppo di inedili boccardiani; dipinti e disegni, scalati lungo la sua carriera. Ora possiamo dar notizia d'una tela davvero insolita nella produzione del pit-tore, per il formato stesso del-l'opera, dal taglio sapientemente

calibrato quasi un poco sceno-grafico, e per il soggetto, una « Stradina e arco fra case, sul lago d'Orta ».

Si è potuto, dopo gli ultimi ritrovamenti, meglio chiarire gli inizi di Boccardo, retroceden-done i primi passi almeno al 1895 o anche al 1893; intorno al 1897 il pittore compariva or-mai con un suo linguaggio ben preciso e con opere di eccellente livello, forti, chiuse quasi fino alla ostilità, energiche, perento-rie, in cui tutto era detto con

stringatezza lapidaria. Riman-gono indimenticabili, di quel tempo, esterni ed interni della cascina Boccardo a Casalbor-gone. Intorno al '900 ci sono i primi ritratti, perfino scontrosi i più grandi, già colmi d'inti-mità i più piccoli. E intorno al 1902 si hanno vari paesaggi finissimi, tra cui quella incante-vole «Strada di regione Perodo, Gassino », di collezione privata, eh'e una delicata e pacata poesia di azzurri e di grigi, con note di violetto e di malva.

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Questo paesaggio che ora ri-compare graditissimo per gli am-miratori di Boccardo, raffigura un angolo del lago d'Orta, con promontori boscosi che sce?idono alle acque e le montagne evane-scenti nello sfondo. Scende dal primo piano, verso il lago, una stradetta incanalata tra i muri trepidanti, palpitanti, di case in penombra oppure in piena luce. E Boccardo sosta a quelle pareti di mattoni o intonacate, riviven-done la dolce vicenda di profili,

di stesure, di graffi, di crepe, di porte, finestre, tettucci, rami ram-picanti; come sempre, nel miglior Boccardo, è questo un ritratto d'una strada, col suo piccolo vano goduto e accarezzato, con le ombre che serpeggiano sul terreno popo-lato di pietruzze e di foglie cadu-te, sui rami controluce, sulla casa bianca che accoglie il sole in un rapido ma intenso trionfo.

Un diruto arcone unisce le case opposte e su di esso s'ar-rampica e ricade la verzura. Al

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T R A P R O B L E M I E P R O G E T T I

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso

ha compiuto 50 anni

Gianni Oberto

111 tono dimesso, quasi in sordina, il Parco Nazionale del Gran Paradiso, ricchezza della Nazione, prestigioso gioiello nel dovizioso scrigno delle bellezze incomparabili della Valle di Aosta e del Canavese, h a cele-b r a t o i suoi 50 anni di vita, essendo legalmente n a t o col regio decreto istitutivo del 3 di-cembre 1922 n. 1584, dopo un travaglio preparatorio incomin-ciato nel 1919. F u allora che, t e r m i n a t a la guerra mondiale, ponendo m a n o Vittorio E m a -nuele I I I al riordino dei beni della corona, dispose la dona-zione allo S t a t o di 2100 ettari di terreno che possedeva nella riserva di caccia nel territorio a o s t a n o e c a n a v e s a n o del Gran Paradiso « per il caso che lo S t a t o credesse di costituire un Parco Nazionale per conservare le forme nobili della flora e della f a u n a alpina o u n a riserva intesa ad impedire la sparizione della bella ed a p p r e z z a t a razza degli s t a m b e c c h i che in quelle m o n t a g n e ha i suoi ultimi esem-plari s o p r a v v i v e n t i in E u r o p a », tenaci superstiti di u n a specie vecchia di 13-14 milioni di anni.

La sua nascita è in r e a l t à assai più r e m o t a : l'embrione di quello che un secolo d o p o sa-rebbe d i v e n t a t o , a giudizio di molti esperti stranieri ed ita-liani, u n o dei più bei parchi nazionali d ' E u r o p a , il migliore d ' I t a l i a , lo si t r o v a nelle regie p a t e n t i con le quali « in d a t a del v e n t u n o del mese di set-t e m b r e 1821, S.PJ. il signor

Cavaliere Thaon di Revel conte di Pralungo luogotenente gene-rale di S.M. ne' regii Stati proibisce ne' medesimi la cac-cia degli Stambecchi ». Lo stam-becco, m o n a r c a dell'Alpe, non è t u t t o il Parco, ma ne è il signore i n c o n t r a s t a t o che nem-meno le carabine impietose q u a n t o infallibili del re e quelle rapaci ed ora anche insidiose dei bracconieri, n e m m e n o la guerra ferocemente spietata, riuscirono a detronizzare, anche se nel maggio del 1945 i 3000 e più esemplari erano ridotti a 416, con vero rischio di totale distruzione.

Le f e t e n t i del 1821 erano s t a t e suggerite dal forestale di Gressoney, Giuseppe Delapier-re, Zumstein nella p a r l a t a gres-sonara, al quale è i n t i t o l a t a la p u n t a o m o n i m a nel g r u p p o del Rosa, da lui per primo scalata. Il p r e a m b o l o delle regie p a t e n t i raccolse i n f a t t i la sostanza del suggerimento q u a n t o mai sag-gio: « L ' u t i l i t à della scienza de' n a t u r a l i , ed in particolare della zoologia esige che con ogni maggior cura si conservino le specie di quegli animali, che trovandosi r i d o t t e a piccol nu-mero d'individui corrono ri-schio d ' a n n i e n t a r s i . Tale ap-p u n t o ne' regii S t a t i è la sap-pecie dello S t a m b e c c o d e t t o d a ' f r a n -cesi B o u q u e t i n des Alpes, e dai n a t u r a l i s t i Capra ibex, e cono-sciuto s o t t o il nome vernacolo di B o u c - c a s t a g n dagli a b i t a n t i d ' A o s t a ; ed è perciò che di n o s t r a c e r t a scienza, valendoci

del potere da S.M. conferitoci, a b b i a m o ordinato, ed ordinia-mo q u a n t o segue: 1° rimane fin d'ora proibita in qualsivoglia p a r t e de' regii dominii la cac-cia degli Stambecchi ». Seguono sanzioni severe e disposizioni minute.

Il provvidenziale divieto, no-n o s t a no-n t e le p e r d u r a no-n t i viola-zioni, ha consentito, m e d i a n t e una vigilanza costante e a volte rischiosa, che a t t u a l m e n t e gli stambecchi sian t o r n a t i ad es-sere oltre 3500, in un h a b i t a t idoneo. Adesso la loro soprav-vivenza è assicurata altresì dal-la istituzione di colonie che l ' E n t e favorisce e cura, anche se non sempre di facile realiz-zazione, e assai impegnative per la scelta e la c a t t u r a degli ani-mali da p o r t a r e nelle colonie.

Il concetto base delle regie p a t e n t i venne recepito poi nella legge istitutiva del Parco, crea-to « allo scopo di conservare la f a u n a e la flora e di preser-v a r n e le speciali formazioni geo-logiche, nonché la bellezza del paesaggio... ».

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Confini perimetrali del Parco del Gran Paradiso (R. D. n. 1584 del 3-12-1922, Archivio Centrale dello Stato).

Ministero dell'agricoltura e del-le foreste... ». E n t r a v a cioè in campo il f a t t o nuovo dello « sviluppo del turismo nella zo-na del Parco ». I p u n t i di vista in proposito sono stati e sono t u t t o r a o v v i a m e n t e diversi, tal-volta radicalmente diversi. Il problema è tale non solo per q u a n t o si riferisce al Parco del Gran Paradiso, ma è comune a t u t t i i parchi nazionali euro-pei, come è c h i a r a m e n t e emerso

nei due riusciti incontri e di-b a t t i t i svoltisi a Torino nel q u a d r o del Salone internazio-nale delle vacanze, del t u r i s m o e dello sport, negli anni 1971 e 1972, uno dei quali t u t t o de-dicato allo specifico esame del problema turistico, con la par-tecipazione di r a p p r e s e n t a n t i della F r a n c i a , Svizzera, Au-stria, Jugoslavia, Cecoslovac-chia, R o m a n i a , Polonia, Ger-mania, oltre che dei parchi

italiani. Nel maggio scorso an-che l'associazione italiana delle aziende del t u r i s m o promosse a Torino un d i b a t t i t o in propo-sito, presieduto dal sottosegre-tario di S t a t o al Ministero del turismo, sen. F o r m a .

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d e s t i n a t o a t u t t i , occorre tenere c h i a r a m e n t e presenti alcune esi-genze, per soddisfare le quali sono indispensabili gli stru-m e n t i operativi, e la v o l o n t à di usarli. Il P a r c o è f a t t o p e r l'uomo, quale p a r t e c i p e prin-cipale della v i t a n a t u r a l e , anzi quale p r o t a g o n i s t a , con u n solo limite: quello di non alterare u l t e r i o r m e n t e il misterioso equilibrio biologico, s p a v e n t o s a m e n -te r o t t o .

Occorre innanzi t u t t o che la creazione e la conservazione di u n P a r c o nazionale n o n g r a v i con pesi e limitazioni, indiscu-t i b i l m e n indiscu-t e necessari, morindiscu-tifi- mortifi-candole nel c r e d u t o loro pro-gresso, sulle popolazioni locali, in genere l a r g a m e n t e insoffe-r e n t i se n o n p insoffe-r o p insoffe-r i o ostili, le quali d e b b o n o essere e q u a m e n -te c o m p e n s a t e dei d a n n i che l a m e n t a n o , d i r e t t a m e n t e o in-d i r e t t a m e n t e . Il peso in-dev'essere a s s u n t o dalla c o m u n i t à civica, dallo Stato, in f o r m e diverse, che non è qui ora il caso di esaminare. Se i rapjjorti con le popolazioni locali sono buoni, la v i t a del P a r c o si svolge se-rena e t r a n q u i l l a ; se le popo-lazioni locali subiscono u n a si-tuazione che le p o r t a a consi-derarsi v i t t i m e , c o n v i n t e di ri-cevere torti, allora la v i t a è d a v v e r o penosa e d u r a , e l'opera che si svolge d i v e n t a i n g r a t a , come la p i ù che trilustre espe-rienza di chi scrive q u e s t a n o t a p u ò t e s t i m o n i a r e .

U n o dei t o r t i che le popola-zioni i n t e r e s s a t e al territorio del P a r c o m e t t o n o in evidenza a t t u a l m e n t e è quello che d e r i v a dalla limitazione dell'asserito « s v i l u p p o » turistico che

l'esi-stenza del P a r c o c o m p o r t a . Il f e n o m e n o turistico, sempre più i m p o n e n t e , è inarrestabile. Pre-me d a ogni parte, vuol e n t r a r e di forza, p r e p o t e n t e m e n t e . Tro-v a spesso il m o d o di sfondare. Nel suo n o m e si compiono an-che m i s f a t t i irreparabili. I lo-cali g u a r d a n o ad altri centri e credono che là p i o v a n o a di-r o t t o q u a t t di-r i n i nelle tasche dei valligiani. N o n v e d o n o q u a n d o gli i m p i a n t i di risalita s'incep-p a n o , e n o n solo meccanica-mente, m a finanziariameccanica-mente, co-me p u r t r o p p o t a l o r a avviene, con conseguenze f u n e s t e . N o n v e d o n o s o p r a t t u t t o la scom-p a r s a della q u i e t e che in u n d o m a n i n o n l o n t a n o s a r à ricer-c a t a q u a l e mezzo di salvezza, e p a g a t a a q u a l u n q u e prezzo. Ma, s e r e n a m e n t e , è da chie-dersi se nel n o m e del t u r i s m o

P A T E N T I

eoi ir <jr»u S E. I L SIGNOR C A V A L I E R E

T H A O J V D I R E V E L C O N T E D I P R A L U N G O L U O G O T E N E N T E G E N E R A L E D I S . M . N E T . E G I I S T A T I

proibite e ne medesimi la caccia degli Stambecchi.

In djtj il»l v*NLUOT> del IIÌCK: di j-tlcicire 1821.

T O R I N O , D A L L A S T A M P E R I A R E A L E .

IL C A V A L I E R E

T H A O N DI R E V E L

COflTC DI PRALUftGO

LUCGOTENENTE GENERALE DI S. M. NE' RECII STATI

r e t e . te.

L a l i li Là della scienra de' naturali , ed in parlicolncr della zoologia esige che con ogni maggior cura si cooicrviao le «pe-cie di quegli animali, che trovandoti ridotte a picco! numero rpradìviddi Corrono rischio d* «mi»ml»rn Tale e p p v n t o ne're-gii S u t i e la specie dello Stambecco detto da'franteli Buiiqiulin

des Alpes , e dai naturalisti Capra ibti, c conosciuto sotto il

some vernacolo di Douc-caslagn dagli abitanti d'Ansia; ed c

perciò che di nostra certa scienra, valendoci del potere d» S. M. . onferitoci, abbiamo ordinalo, ed ordiniamo quanto segue.

I.

I'. ini a oc fin d'ora proibita i a quaUi»ogVu parte «1/regii d o g a l i b C.KCÌ* Sumli.'ccbi.

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Tipici esemplari di flora del Gran Paradiso: (da

e dello sport sia ammissibile che nel territorio di u n Parco si possano far sorgere impianti meccanici di risalita la cui rea-lizzazione, a p a r t e ogni conside-razione estetica ambientale, il cui significato non va davvero s o t t o v a l u t a t o , comporta sempre u n notevole a b b a t t i m e n t o di alberi, reca gravissimo, frastor-n a frastor-n t e disturbo alla f a u frastor-n a , alla quale avvicina « il bracconiere » grande o piccolo che sia, agevo-landogli il cammino, magari col fucile m u n i t o di cannocchiale e silenziatore nella sacca. L a f a u n a d i s t u r b a t a se ne va, varca il confine senza bisogno del pas-saporto. La recente d u r a bat-taglia nel Parco della Vanoise, f o r t u n a t a m e n t e vinta, dovreb-be insegnare qualcosa. Ecco in-vece voci che a Cogne, a Cere-sole Reale, a Valsavaranche, e non solo là, insorgono e pro-testano, sentendosi d e f r a u d a t e . È difficile riuscire a far com-prendere le ragioni di un dove-roso rigore; è persino difficile far capire che in realtà soltanto un modestissimo beneficio in-d o t t o in-deriverebbe alle popo-lazioni locali, m e n t r e il profitto dello sviluppo turistico — mi vien da scrivere « lo sviluppo

del profitto a n d r e b b e a Targa coniata per il gemellaggio del Parco del Gran Paradiso con quello della Vanoise. sinistra) Dianthus neglectus e Lilium martagon,

capitali non valligiani. Il di-scorso sarebbe peraltro più fa-cile q u a n d o u n compenso ve-nisse destinato alle popolazioni, compiendo opere d'interesse co-mune di cui molto necessitano; favorendo ed agevolando l'dustria alberghiera che, già in-c r e m e n t a t a da un sempre in- cre-scente n u m e r o di visitatori del Parco, potrebbe, s f r u t t a n d o questa a t t r a t t i v a , assumere ed impiegare personale locale in maggior numero, contribuendo a contenere lo spopolamento,

fenomeno comune a t u t t e le montagne.

Ma allora esclusione totale del turismo nell'area del Parco ? No, certamente no. I n t a n t o perché lo a m m e t t e la stessa norma del 1947, sovrarichia-m a t a . E poi perché se il Parco TTòn fosse accessibile sarebbe

un bene a s t r a t t o . Il Parco, o almeno buona p a r t e del Parco, non è u n a scatola di vetro da guardarsi dal di fuori, e deve essere aperto al turismo. Ma quale t u r i s m o ? Ecco il punto. Hic -sunt leones. Quanti respon-sabilmente si occupano in Eu-ropa di Parchi nazionali pro-pongono u n turismo guidato. Non si t r a t t a affatto di limi-tarlo a d élites; deve avervi accesso un turismo di ogni li-vello, ma preparato, educato, guidato. LTn turismo sociale, composto, né sbracato, né ur-lante. Le guardie stesse del

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vere guide della n a t u r a . Ad esse alcuni volontari potrebbero ag-giungersi per tale compito: e qualche esperimento si sta ela-borando. Il vantaggio sarebbe grande perché il visitatore usci-rebbe dal Parco avendolo « vi-sto »; il che non sempre avviene se se ne va da solo, sprovve-d u t a m e n t e . Alcune gite scola-stiche lo s t a n n o già dimostran-do: e le richieste di visite gui-date crescono. Ma resta il pro-blema del turismo invernale, sciistico, quello più fascinoso e vistoso che a t t r a e molti, come tale, in sé e per sé, e per i riflessi che reclama: alberghi, bar. p u n t i di ritrovo, seggiovie e via dicendo. Questo è oggi motivo primo di lamentele, for-se più suscitate che spontanee, da p a r t e dei locali, che vengono, con varie altre, raccolte dagli a m m i n i s t r a t o r i comunali, i qua-li se ne fanno p o r t a t o r i anche costituendo consorzi per la tu-tela comune di interessi nei confronti del Pareo.

Nessuno impedisce le gite, anche se le regolamenta con n o r m e di civile c o m p o r t a m e n t o . Samivel, l ' a u t o r e del superbo volume Grand Paradis, a m m o -nisce: « aprite gli occhi e le orecchie, chiudete i transistor. Niente rumori, niente grida, niente clacson. S o t t e r r a t e le preoccupazioni (e i b a r a t t o l i vuoti). Le cartacce sono i bi-glietti da visita dei cialtroni. N o n sradicate p i a n t e : spunte-rebbero pietre. Chi distrugge un nido rende v u o t o il cielo e sterile la t e r r a . Gli animali h a n n o bisogno della n o s t r a ami-cizia per sopravvivere. N o n campeggiate d o v u n q u e e non accendete fuochi. Il Parco è il gran giardino di t u t t i , ed è anche v o s t r a eredità personale. A c c e t t a t e coscientemente e vo-lentieri le sue discipline. E custoditelo voi stessi c o n t r o il v a n d a l i s m o e l'ignoranza ».

Ai turisti che faccian propri gli a m m o n i m e n t i di Samivel le p o r t e del P a r c o non sono

Senti iero «in quota» da! Loson al Pousset.

aperte, sono s p a l a n c a t e . E nes-suno vieta lo sci nel Parco, m a lo sci completo, quello che fa conoscere la gioiosa fatica della salita e fa meglio g u s t a r e l'eb-brezza della discesa in u n am-biente i n c o n t a m i n a t o . Il che p u ò esser f a t t o , il che viene f a t t o .

L ' E n t e P a r c o del Gran Pa-radiso nel q u a d r o di un pro-g r a m m a m i r a n t e alla c o r r e t t a valorizzazione turistica del suo comprensorio (oltre 60.000 et-tari planimetrici) dopo l'espe-r i m e n t o f a t t o nella p l'espe-r i m a v e l'espe-r a

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Branco di stambecchi.

la fine di aprile e nella prima m e t à di maggio a v r a n n o luogo due settimane con programmi di alto interesse. Accanto a queste, o v v i a m e n t e impegna-tive, sono pure organizzate gite sciistiche di fine settimana, da febbraio ai primi di giugno, fa-cili o di media difficoltà, t r a n n e l'ultima che da P o n t Valsa-v a r a n e h e Valsa-va alla Valsa-v e t t a del Gran Paradiso (m. 4061), per scen-dere, a t t r a v e r s o il ghiacciaio della Tribolazione, a Cogne. Soltanto, quindi, per gli im-pianti di risalita non c'è « spa-zio » in un Parco Naspa-zionale che sia e voglia restare tale. Questo almeno è il mio pensiero, e di molti responsabili della condu-zione del Parco, anche se vi sono spinte diverse, a volta discrete, talora aperte, sempre c o m u n q u e intuibili, d e t t a t e da preoccupazioni di ascolto... elet-torale: e, ahimé, né stambecchi né camosci v o t a n o !

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso ha lasciato alle spalle un mezzo secolo di v i t a dif-ficile e t o r m e n t a t a , per talu-ne incomprensioni degli organi centrali, per le difficoltà dei r a p p o r t i con a u t o r i t à e con

popolazioni locali, per gli scon-tri con le guardie scese più volte in sciopero per rivendi-cazioni il cui accoglimento non fu mai contrastato, anzi favo-rito, dagli amministratori, (che prestano t u t t i la loro opera g r a t u i t a m e n t e ) , e dipendente dalla insufficienza e m a n c a n z a di mezzi finanziari che a l l ' E n t e Parco vengono erogati dallo Stato, e in minor misura dalla

Regione Valdostana e dalla Provincia di Torino, alla quale essenzialmente si deve anche l'iniziativa per la realizzazione del Parco nel 1920. Il Parco, nel 1973, per le sue sessanta guardie, gli otto impiegati, la q u a r a n t i n a di case e casotti, i -"370 chilometri di sentieri in alta montagna (il dr. René La Roche del Conseil interna-tional de la chasse, trova questi sentieri « una cosa unica e me-ravigliosa »), disporrà di 358 mi-lioni: t a n t o da non morire, per chi sappia far di conto. Ora è finalmente approvato anche un regolamento organico, dopo an-ni di attesa e di lotte, che è peraltro già rimesso in discus-sione per la settimana corta. Lo Stato a u m e n t a n d o il suo contributo (aumento che si con-t a venga effecon-tcon-tuacon-to per l'anno v e n t u r o anche dalla Regione aostana e dalla Provincia di Torino) volle, quasi dono n a t a -lizio, al quale posero mano alcuni parlamentari di ogni parte, celebrare il cinquante-nario del Parco, consentendo un bilancio preventivo in pa-reggio; tale però soltanto se non si verificheranno possibili eventi che costringerebbero l ' E n t e ad esborsi non contenibili nel

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Lo stambecco solitario si chiede: « C h i si sta avvicinando»?

lancio a t t u a l e . Quando si pensi che u n giocatore di football viene ceduto per 4-5 centinaia di milioni, non si riesce proprio a comprendere come non si trovino i soldi per la v i t a di un Parco, non p e r m a n e n t e m e n -te g r a m a e s t e n t a t a .

Si conta ora molto, moltis-simo sulla approvazione della legge q u a d r o per i Parchi, della quale si parla d a diversi anni, che, per iniziativa del ministro on. Natali e di un g r u p p o di senatori, t r a i quali il presi-d e n t e nazionale presi-del C.A.I., se-n a t o r e Spagse-noli!, s e m b r a ora non l o n t a n a d a un a p p r o d o p a r l a m e n t a r e . Al t r a g u a r d o a t -t e n d o n o -t u -t -t i q u a n -t i credono nei valori che un Parco man-tiene e difende.

Altri problemi che resero e r e n d o n o difficile la v i t a del P a r c o ci sono. Quello relativo al r e g o l a m e n t o della m a t e r i a dei divieti di opere nel territorio del Parco, assai difficile da

es-sere concordato t r a le p a r t i interessate, ed al quale d o v r à pure mettersi mano, ora che l ' a s p e t t o urbanistico e di as-setto del territorio è a v v i a t o a m a t u r a z i o n e . Quello dei con-fini, p u r esso di non facile so-luzione, sotto più di un profilo, a cominciare d a quello di competenza, — a m p i a m e n t e t r a t -t a -t o su q u e s -t a s-tessa rivis-ta nell'aprile 1965 dal prof. Vi-desott — preoccupa, anche se si è r a g g i u n t a u n ' i n t e s a che da q u e s t ' a n n o s a l v a g u a r d a su pia-no pratico e concreto, la si-tuazione, assai greve per il pas-sato, q u a n d o si p o t e v a s p a r a r e nelle t r a p p o l e delle s t r e t t e in-troflessioni di V a l s a v a r a n c h e e di P i a n t o n e t t o . Di q u e s t o e dell'altro problema, si t r a t t ò in u n a riunione svoltasi a R o m a , alla quale p a r t e c i p a r o n o i rap-p r e s e n t a n t i dei vari ministeri interessati, il presidente della Regione a o s t a n a , dr. D u j a n y e r a p p r e s e n t a n t i del Parco. In

quell'occasione si esaminò an-che il problema assai complesso della s t r a d a del Nivolet, la cui c o m p i u t a realizzazione non è prossima, m a che costituisce motivo di seria preoccupazione. Di tali argomenti, se i pazienti lettori lo gradiranno, si p o t r à t r a t t a r e d e t t a g l i a t a m e n t e altra volta, anche per a p p r o f o n d i r e le caratteristiche dei parchi eu-ropei, rispetto a quelli ameri-cani e afriameri-cani, p r o f o n d a m e n t e diversi sotto più di u n aspetto, e a volte superficialmente raf-f r o n t a t i alle realtà nostre.

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Marmotte... sull'uscio di le guardie anziane alle quali f u consegnata una medaglia d'oro. Se la rigiravano t r a le mani, e la g u a r d a v a n o , come se in essa vi fosse riflessa e condensata la storia di venti, t r e n t ' a n n i della loro vita, lieti e commossi, come bambini. E s t a t a u n a serata particolarmen-te suggestiva il cui ricordo è vivissimo nelle guardie e non in loro soltanto. Nel q u a d r o delle celebrazioni cinquantena-rie si è anche voluto eliminare il f a t t o degli a b b a t t i m e n t i selettivi a p a g a m e n t o . Tali a b b a t -timenti, — resi necessari dalla m a n c a n z a degli antagonisti na-turali, tra i quali principale la lince, la cui reintroduzione sol-leverebbe ire a non finire per-ché insidiatrice, come la volpe, dei domestici pollai — saranno fatti a cura dei cacciatori locali, con m o d a l i t à che sono in corso di esame. Si era ricorso ai pa-gamenti per sopravvivere !

U n a serie p a r t i c o l a r m e n t e in-tensa di conferenze in varie città piemontesi, h a n n o posto a c o n t a t t o con i cittadini il Parcò, il giardino alpino di Paradisi a creato per sostituire almeno t e m p o r a n e a m e n t e (luci-lo famoso di Chanousia, al va-lico del Piccolo S. Bernardo,

d i s t r u t t o dalla guerra e poi dall'incuria degli uomini, t u t -tora in attesa di sistemazione, e molti problemi connessi alla conservazione della n a t u r a , e alla sua difesa, che h a n n o nel Parco un p u n t o cardine. Se conosciuto il Parco è immedia-t a m e n immedia-t e a m a immedia-t o . La genimmedia-te senimmedia-te, con Frangois Mauriac che « l'av-venire è molto, molto oscuro perché questa nostra epoca pec-ca contro n a t u r a ». Per cui « l'uomo dovrebbe tornare ai

valori più semplici » e li cerca. Quei valori l'8 luglio 1972 vennero esaltati a Rlième Xotre Dame, in occasione dell'inaugu-razione del primo centro per visitatori e del gemellaggio con il confinante Parco Nazionale ""della Vanoise. U n a cerimonia semplicissima dove Francia e Italia esaltarono i valori natu-rali dei Parchi, a servizio del-l'uomo, non freddi musei, ma scuole vive di vita.

Dev'essere stato il primo ge-mellaggio tra due Parchi. Ma il t e m a dei rapporti tra parchi bilaterali e multilaterali è sug-gestivo e va posto con atten-zione. Non si cammina, sia pure a fatica, m a con ferma volontà, verso u n ' E u r o p a unita"? E nel quadro unitario o globale, come usa dire, non s'inserisce anche il problema dei Parchi ? Nelle due riunioni, a carattere inter-nazionale cui ho f a t t o cenno, l'argomento fu posto, discusso, condiviso. Sono molti i parchi che si t r o v a n o su versanti con-tigui, a p p a r t e n e n t i a Paesi di-versi; oltre il Parco Nazionale del Gran Paradiso con il Parco della Vanoise, quello dello Stel-vio con il Parco Svizzero; in-fine quello di Valdieri e del Mercantour, delle Alpi

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time. Un parco naturale euro-peo, nel senso della bilateralità, tedesco-lussemburghese è già realtà per l'accordo intervenuto tra Renania, P a l a t i n a t o e Lus-semburgo il 14 ottobre 1965. N o n è solo un problema di co-mune difesa dell'ambiente, della f a u n a e della flora: è anche un modo di favorire incontri, in quegli ambienti, di cittadini di diversi Paesi. Il ministro austriaco della ricerca scienti-fica, dott. H e r t h a Firnberg, non ha esitato a rilevare come questi parchi bilaterali o multilaterali, la cui realizzazione comporta anche la soluzione di qualche problema giuridico, sono « des s t i m u l a n t s erées p a r l ' h o m m e pour des motifs h u m a n i t a i r e s qui contribuent à l'évolution politique de l'oeuvre d'unifica-tion européenne ». Il presidente dell'associazione per la prote-zione dei Parchi nella Germania dell'Est, M. Toepfer, già nel 1957 ha idealmente a b b a t t u t o « il m u r o », suggerendo la crea-zione di parchi sovranazionali alla frontiera delle Repubbliche federale e democratica della Germania. U n ' i n t e s a è s t a t a perfezionata nel 1971 tra il Belgio e la R e p u b b l i c a fede-rale tedesca per il parco co-m u n e Nordeifel-Hohes Venn; questo parco binazionale ha una superficie di circa 230.000 ettari. Iniziative sono in via di elaborazione ed a t t u a z i o n e per il parco M a a s - S c h w a l m - N e t t e germanico-olandese; per quello di « F e m u n d m a r k a - R o g e n » t r a Svezia e Norvegia; di Lem-m e n j o k i nella regione finlan-dese di A n a r j o k k a prolungan-dolo sino al confine norvegese; per il P a r c o Nazionale « R a g o » che unirebbe nella g r a n d e zona p r o t e t t a della L a p p o n i a svedese i più grandi p a r c h i d ' E u -ropa, di P a d j e l a n t a , Sarek, Siof'allets. T r a R o m a n i a e J u g o -slavia sono in corso t r a t t a t i v e per le zone Gorge del D a n u b i o

Gruppo di stambecchi ad un passaggio difficile. (Foto V. Peracino). Djerdop. Altre realizzazioni

esi-stono sui Pirenei orientali, nel Portogallo-Spagna, con il Parco « P e n e d a Geres », e nella zona di f r o n t i e r a cecoslovaccapolacca dove sono i tre p a r c h i n a t u -rali comuni, degli alti T a t r a s , di Pieniy, di Riesengebirge. P e r tacere dell'area p r o t e t t a , e co-me r i g o r o s a m e n t e p r o t e t t a , di « Krcmence » che c o m p r e n d e zone di f r o n t i e r a polacche, ce-coslovacche, russe, per un com-plesso di circa 1.282 e t t a r i .

Dalle t a n t e , t r o p p e , piccole e a volte meschine miserie che vengono t r a t t e dall'inesausto serbatoio di m a l c o n t e n t i , biso-g n a a n d a r e oltre, facendo biso- giu-stizia si, come si cerca di fare e in gran p a r t e si è f a t t o , m a g u a r d a n d o con occhio sicuro,

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Le regioni italiane

nella struttura produttiva nazionale

Giancarlo Biraghi

1. - I dati per il m o m e n t o disponibili sulle caratteristiche dell'apparato p r o d u t t i v o indu-striale, commerciale e di servizi italiano, rica-vabili dall'ultimo censimento generale (quinto della serie), benché ancora aggregati, già con-sentono di delineare per sommi capi le strut-t u r e strut-terristrut-toriali della nosstrut-tra economia, specie se tali elementi vengono collegati, ed elaborati in simultanea, con quelli demografici.

Vogliamo t e n t a r e qui u n aggiornamento di alcune misure di economia regionale, già altra volta (1) abbozzate in occasione dei censimenti di dieci anni or sono.

Queste misure sono in primo luogo i quo-zienti di localizzazione («location quotients»), i coefficienti di concentrazione e di ridistribuzione e infine le cosiddette mappe di sviluppo com-parato («relative growth charts»). Si t r a t t a di strumenti essenzialmente descrittivi, ai quali non si possono chiedere interpretazioni causali o a d d i r i t t u r a scoperte di chissà quali fattori operativi. Questo è compito della teoria econo-mica, ma la teoria ha bisogno di fatti, o meglio ancora di qualche f o r m a di misurazione degli stessi, se vuole evitare il rischio di finire nella fantasticheria.

Considerazioni e convinzioni queste del t u t t o aderenti a q u a n t o va sostenendo fra altri un economista torinese, il Ricossa, che in un vivace articolo, significativamente intitolato « L'eco-nomia e i falò » (2), n o t a malinconicamente: « Scienza economica: a n n o zero », ed aggiunge: « Si deve dedurre che anche per la politica economica l'economista ha poco o nulla da dire, oltre quei precetti di buon senso vicini alla saggezza dei proverbi popolari. Il resto è spesso farneticazione utopistica, f u m o negli occhi, maschera per i ladroni governativi, ciar-lataneria più o meno lucrosa ». Si consola però al pensiero che « i molti falò che brillano nella notte, a n n u n c i a n o l'alba di una nuova e mi-gliore economia politica, e la fine del regno di cuccagna per gli avventurieri della politica pseudo-scientifica ». Come ricetta gli pare da r a c c o m a n d a r e l'esempio di C a n n a r Myrdal,

convertitosi dalla teoria « pura », peccato di gioventù, alla teoria molto « impura » che ri-sulta dalla osservazione del mondo com'è, con t u t t e le sue complicazioni, errori, a t t i irra-zionali, ecc. (3).

2. — L'analisi che segue ha d u n q u e un primo limite, che per altro verso può essere un pregio: non ci aiuterà a capire i perché ultimi delle cose, ma ci f a r à vedere alcune forme tipiche della s t r u t t u r a p r o d u t t i v a secon-daria e terziaria nelle varie regioni del paese, particolarmente sotto il profilo comparativo.

Un altro limite deriva dal f a t t o che la disaggregabilità attuale dei dati, t e n u t o conto dello stadio di pubblicazione dei risultati cen-suari, è ancora assai modesta, perché deve accontentarsi di classificazioni per settore senza possibilità di spingersi non che alle classi e categorie, nemmeno ai rami di a t t i v i t à econo-mica (4). Anche con queste riserve è c o m u n q u e fin d'ora realizzabile u n proficuo lavoro di rico-gnizione e di comparazione, tale da offrire un'idea a b b a s t a n z a precisa dell'evoluzione eco-nomica territoriale i n t e r v e n u t a nel nostro paese d u r a n t e il passato decennio.

3. - Incominciamo con l'analisi dei quo-zienti di localizzazione, che si è pensato di elaborare sotto due specie differenti, con riferi-mento nell'un caso alla popolazione residente e nell'altro agli a d d e t t i in totale alle a t t i v i t à extragricole.

E inutile diffondersi su che cosa si intende per quoziente di localizzazione; basta ricordare che esso esprime un r a p p o r t o fra q u o t a regio-nale (sull'insieme nazioregio-nale) di u n certo

ag-(1) Cfr. «Cronache Economiche», n. 240, dicembre 1962; n. 241, gennaio 1963; n. 242, febbraio 1963.

(2) «L'informazione industriale», n. 16, 15 ottobre 1972.

( 3 ) G . M Y R D A L . Responsi- to introduction in «The

Ame-rican Economie Review», maggio 1972.

(4) Mentre il presente fascicolo della rivista era in corso di stampa I ' I S T A T ha pubblicato il volume con i dati

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gregato economico e la corrispondente quota di un altro aggregato. In concreto confronte-remo qui il livello di occupazione per settore di a t t i v i t à assumendo per base prima la popo-lazione e poi gli addetti extragricoli in com-plesso (5).

Il significato di questi rapporti è abba-stanza semplice. Quando il valore è al di sotto dell'unità, la zona considerata presenta, a parità di condizioni, carenza « teorica » di un deter-minato tipo di a t t i v i t à p r o d u t t i v a ; se è più alto, si ha invece un fenomeno di specializza-zione settoriale. Perciò alcuni autori anglosas-soni designano il quoziente di localizzazione anche come « r a p p o r t o di autosufficienza » (« self-suffieieney ratio»). Ecco d u n q u e a che servono: dare una prima idea di come una regione si caratterizza, sotto il profilo economico, rispetto alle altre e alla media del paese. In America s o p r a t t u t t o ed in Inghilterra se n'è f a t t o e se ne fa ancora un uso p i u t t o s t o largo, come stru-mento di primo i n q u a d r a m e n t o della situazione relativa di stati, contee, zone, ecc.

In particolare i quozienti di localizzazione aventi come base la popolazione, d a n n o un cri-terio approssimato per v a l u t a r e l'intensità con la quale il potenziale demografico è inserito ed utilizzato nel circuito p r o d u t t i v o della ric-chezza, specie m e d i a n t e le a t t i v i t à secondarie e terziarie che in vario grado f o r m a n o il sup-p o r t o delle economie m a t u r e . È un test sui livelli di « professionalità » della popolazione, sulla capacità di autosufficienza e quindi sullo s t a t o di benessere.

Q u a n d o il quoziente fa riferimento agli occupati nelle a t t i v i t à extragricole serve preva-l e n t e m e n t e ad identificare i settori di specia-lizzazione di u n a d a t a economia, indicandone c o n t e m p o r a n e a m e n t e i sentieri di espansione o di conversione.

4. I quozienti di localizzazione sono s t a t i e sono l a r g a m e n t e usati nella « regional science » anche ad altro scopo, per la d e t e r m i n a -zione del « moltiplicatore regionale » degli im-pieghi, del valore aggiunto, dei redditi, ecc., allorché la ricerca è associata con il m e t o d o di analisi cosiddetto della « base economica ».

Secondo q u e s t a teoria si possono distinguere in ciascuna area a t t i v i t à di base o primarie da altre di servizio o residenziali o locali. Questa distinzione discende dalla premessa che l'esi-stenza e lo sviluppo di u n a zona economica, piccola o grande che sia, (regione, compren-sorio, città, ecc.), sono condizionati dal v o l u m e di beni e servizi che vi si producono e che vengono collocati, cioè v e n d u t i , fuori dei suoi confini. A t t i v i t à di base sono d u n q u e

essen-zialmente quelle di esportazione, mentre le a t t i v i t à di servizio o non di base si riconoscono in quelle che alimentano il mercato interno e i bisogni locali.

C'è molta affinità fra questa concezione e quella di vari economisti di lingua francese che contrappone le industrie motrici alle in-dustrie locali, le cui risonanze sono avvertite anche in qualche nostro progetto di piano regionale.

F u Homer H o y t che formulò per primo l'idea di una «basic-service ratio» (6). Questo r a p p o r t o può descrivere, a seconda dell'imposta-zione che gli viene data, sia la propordell'imposta-zione tra impieghi in a t t i v i t à di base o di esportazione e impieghi in a t t i v i t à di servizio o locali, sia la proporzione tra incrementi nelle medesime. Da questo r a p p o r t o si ricava il « moltipli-catore regionale », uguale a l l ' a m m o n t a r e (o al-l'aumento) globale di occupazione nelle indu-strie di base e di servizio diviso per l'ammon-tare (o l'aumento) di occupazione nelle sole industrie di base.

Il criterio riferito alle variazioni degli ad-detti e generalmente r i t e n u t o il più significativo, s o p r a t t u t t o se il moltiplicatore viene utilizzato a fini proiettivi e quindi applicato a stime del-l'espansione probabile nelle a t t i v i t à di base di u n a città o di una regione, cosi da ottenere ordini di grandezza plausibili sui f u t u r i tra-guardi dell'occupazione totale.

Se poi si ricorre ai tassi di a t t i v i t à della popolazione, è anche possibile allargare le pre-visioni ai m o v i m e n t i della popolazione in gene-rale. In q u e s t o m o d o la teoria della base di-v e n t a un m e t o d o indiretto di proiezione demo-grafica, che viene a completare o a d d i r i t t u r a sostituire i metodi diretti nel caso di insuffi-ciente a t t e n d i b i l i t à .

La difficoltà principale dell'utilizzazione pra-tica del m e t o d o sta nell'individuare u n a soddi-sfacente ripartizione delle a t t i v i t à economiche dell'area in esame, cioè nella determinazione accettabile di quella che u n o studioso dell'uni-versità del N e b r a s k a definisce « city-forming » e

(5) In simboli si lui la formula seguente: Q ,

dove: m Qi quoziente di localizzazione regionale per l'attività

eco-nomica i;

li, numero degli addetti all'attività i in una data regione; N, = numero degli addetti all'attività i nello Stato;

Il ammontare della popolazione (o degli addetti alle attiviti i extragricole) di una data regione;

N ammontare della popolazione (o degli addetti alle

attività extragricole) dello Stato.

( 0 ) I I . H O Y T , The Iiconomic Unse of tlie Brockton,

(26)

ADDETTI PER REGIONE E PER SETTORE DI ATTIVITÀ ECONOMICA (1971) REGIONI INDUSTRIA Piemonte 904.217 15.729 Lombardia 1.837.648 Trentino-Alto Adige . . . 98.114 Veneto 615.155 Friuli-Venezia Giulia . . . 174.382 Liguria 199.230 Emilia-Romagna 598.304 524.390 90.232 Marche 167.277 Lazio 3 1 6 . 3 4 5 Abruzzi 8 9 . 0 6 3 Molise 14.567 2 8 5 . 3 8 5 Puglia 219.532 Basilicata 2 9 . 3 9 8 Calabria 60.395 Sicilia 2 0 2 . 1 9 1 Sardegna 86.419 Italia 6.527.973

COMMERCIO ALTRE ATTIVITÀ TOTALE

239.270 142.156 1.285.643 7.814 3.224 26.767 501.129 297.876 2.636.653 5 9 . 9 3 1 24.385 182.430 226.530 110.582 952.267 71.569 44.898 290.849 128.514 1 0 6 . 2 0 1 4 3 3 . 9 4 5 2 3 1 . 6 6 3 132.721 962.688 202.114 115.606 842.110 34.205 20.127 144.564 64.657 34.452 266.386 241.913 2 1 4 . 5 5 8 772.816 51.645 22.495 163.203 10.754 5.250 3 0 . 5 7 1 181.769 116.392 583.546 131.882 66.687 4 1 8 . 1 0 1 17.910 8.279 55.587 61.714 31.164 1 5 3 . 2 7 3 170.149 99.189 4 7 1 . 5 2 9 64.352 3 1 . 8 3 3 1 8 2 . 6 0 4 2.699.484 1.628.075 10.855.532

« city-serving production » (7). È a p p u n t o qui che la tecnica dei quozienti di localizzazione svolge un altro ruolo, essendo la più comunemente u s a t a nelle applicazioni empiriche della dot-trina della base economica. L a procedura si svolge come segue. Si calcolano i quozienti per ogni singola industria operante nell'area e si a d o t t a n o i quozienti al di sopra dell'unità come indicativi della presenza di u n ' a t t i v i t à di espor-tazione, il che equivale, nota il Richardson, ad assumere che se una regione è più specializ-zata della nazione nel suo complesso nella pro-duzione di u n particolare bene, essa esporti quel p r o d o t t o secondo il proprio grado di specia-lizzazione (8). I n altri termini, si a m m e t t e che la specializzazione p r o d u t t i v a locale implichi la esportazione del « surplus » di produzione. Ne segue che per misurare la « base » si calcola per ogni r a m o o classe o categoria, il cui quo-ziente di localizzazione sia maggiore dell'unità, lo stock costituente l'eccedenza « teorica » di lavo-ratori, definito dalla differenza tra occupazione regionale effettiva nell'industria considerata e q u o t a di occupazione che spetterebbe alla re-gione in esame, se l'occupazione nazionale in quell'attività fosse territorialmente equidistri-buita.

Se si ripete l'operazione per vari tipi di industria — e la tecnica d i v e n t a t a n t o più attendibile q u a n t o più si procede nella disag-gregazione — e si s o m m a n o t u t t e le eccedenze teoriche di posti di lavoro, si ottiene u n a stima dell'occupazione complessiva di base. L a

rima-nente forza di lavoro dell'area viene attri-buita alle a t t i v i t à non di base o di servizio o locali.

5. - Dopo questo prologo p i u t t o s t o lungo, è il m o m e n t o di esaminare i valori concreti che emergono dalle elaborazioni.

Mentre la tabella 1 riporta semplicemente i valori assoluti del censimento, la seconda raccoglie i quozienti di localizzazione costruiti con riferimento alla popolazione presente (certo più indicativa della residente), distintamente per settori di a t t i v i t à economica e per regioni.

Incominciamo le osservazioni dall'ultima colonna, che riassume, per cosi dire, il grado secondo cui il potenziale demografico è coin-volto d i r e t t a m e n t e nel processo p r o d u t t i v o : il quoziente supera l'unità in nove regioni, mentre non lo raggiunge per altre undici. Tra le prime vi sono t u t t e quelle dell'Italia settentrionale più la Toscana. Il livello c o m p a r a t i v a m e n t e più alto di professionalizzazione è appannaggio della L o m b a r d i a , al secondo posto viene il Piemonte e poi l'Emilia-Romagna.

Spostiamo ora l'attenzione sulla p r i m a co-lonna, quella dell'industria, da cui è logico

(7) <;. ALEXANDERSSON, The Industriai Structure of

Ame-riean Cities, University of Nebraska Press, Lincoln. Nebraska

1 0 5 6 .

( 8 ) H. \Y. RICIIAUDSON, Economia regionale. Il Mulino,

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