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Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze. 1999, Anno 58, marzo, n.1

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(1)

Spedizione in a.p. - 4 5% - ari. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale- di Varese

RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO

E

SCIENZA

DELLE

FINANZE

Fondata da B E N V E N U T O G R IZIO T TI

(e R I V I S T A I T A L IA N A D I D I R I T T O F I N A N Z I A R I O )

DI REZI ONE

EMILIO GERELLI - GIULIO TREMONTI

ENRICO DE MITA AMEDEO FOSSATI IGNAZIO MANZONI

-COMITATO SCIENTIFICO

- ANDREA FEDELE - FRANCESCO FORTE

- FRANCO GALLO - SALVATORE LA ROSA GIANNINO PARRAVICINI - ANTONIO PEDONE

SERGIO STEVE COMITATO DIRETTIVO

R OBERTO ARTONI - FILIPPO CAVAZZUTI - AUGUSTO FANTOZZI G. FRANCO GAFFURI - DINO PIERO GIARDA - EZIO LANCELLOTTI ÌTALO MAGNANI - G ILBERTO MURARO - LEONARDO PERRONE E N R IC O P O T IT O - P A S Q U A L E R U S S O - G IU L IA N O T A B E T

FRANCESCO TESAURO - ROLANDO VALIANI

(2)

territoriale delVUniversità, della Cam era di Com m ercio di Pavia e delPIstituto di diritto pubblico della F acoltà di Giurisprudenza delVUniversità di Roma. Q uesta R ivista v ien e pu b b lica ta con il con trib u to fin a n zia rio del Consiglio Nazionale delle R icerche.

Direzione e Redazione: Dipartimento di Economia pubblica e territoriale dell’Università, S trada N u ova 65, 27100 P a v ia ; tei. 0 3 8 2 /5 0 4 .4 0 6 , (F a x) 0 3 8 2 /5 0 4 .4 0 2 , Email: rdfsf@unipv.it.

A d essa debbon o essere inviati bozze corrette, cambi, libri per recensione in duplice copia.

R e d a tto r i: Silvia Cipollina, Angela Fraschini, Giuseppe Ghessi, Segretaria di

Redazione: Claudia Banchieri.

L’ Amministrazione è presso la casa editrice Dott. A. GIUFFRÈ ED ITO R E S .p .A ., via Busto Arsizio, 4 0 - 2 0 1 5 1 Milano - tei. 0 2 /3 8 .0 8 9 .2 0 0 - fax 0 2 /3 8 0 8 9 5 8 2 Pubblicità:

dott. A . G iuffrè Editore S.p.a. - Servizio Pubblicità

via Busto Arsizio, 4 0 - 2 0 1 5 1 Milano - tei. 0 2 /3 8 .0 8 9 .3 2 4 - fax 0 2 /3 8 0 8 9 4 2 6

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• mediante carta di credito (v i s a - Ma s t e rCa r d - e u r o c a r d - c a r t a s i) , precisando:

numero, scadenza, data di nascita;

• oppure tramite gli Agenti Giuffrè a ciò autorizzati (cfr. pagine gialle).

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Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 104 del 15 marzo 1966 Iscrizione Registro nazionale stampa (legge n. 416 del 5.8.81 art. 11)

n. 00023 voi. I foglio 177 del 2.7.1982 Direttore responsabile: Emilio Gerelli

Rivista associata all’ Unione della Stampa Periodica Italiana

Pubblicità inferiore al 45%

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I N D I C E - S O M M A R I O

P A R T E P R I M A

Giulio Tremonti - Una nota di polìtica fiscale: la crisi dell’Irp ef e la questione della progressività. Il caso dell’I ta lia ... Giuseppe Sobbrio - The Nature o f Organizations and thè Economics o f Constitu-

tional R u le s ... Aurelio Brezzo - Gli effetti redistributivi delle politiche economiche comunitarie:

una verifica per le regioni italiane nel periodo 1994-96 ... Roberta Rinaldi - Alcune considerazioni in tema di « riordino della tassazione

dei redditi di capitale » ...

Gaetano Ragucci - Disavanzo e fond i in sospensione d’imposta nella scissione di società ...

RECENSION I

Fregni M.C. - Obbligazione tributaria e codice civile (A. Giovannini) N U O V I L IB R I ... ... RASSEGNA D I P U B B L IC A Z IO N I R E C E N T I ...

P A R T E S E C O N D A

Luca Malagù - Si pu ò dimostrare l’onerosità dei trasferimenti immobiliari tra co­ niugi e parenti in linea retta ... Giancarlo Zoppini - In tema di imposizione personale sul reddito delle società

cooperative... S E N T E N Z E A N N O T A T E

Im posta di registro - Art. 26, 1 com ma, D pr 26 aprile 1986, n. 181 - Presunzio­ ne di liberalità tra coniugi e parenti in linea retta - Cessioni di immobili fra coniugi e parenti in linea retta - Presunzione jitris et de iure di liberali­ tà - Illegittimità costituzionale (Corte Cosi., 22 febbraio 1999, n. 41) (con nota di L. Malagù) ... Diritto processuale tributario - R icorso per cassazione - Delega in calce - Foglio

separato numerato progressivamente - Indicazione del provvedim ento da impugnare - Jus superveniens - Ammissibilità.

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Sintesi

d ell’ esercizio 1 9 9 8

LA CRESCITA DELL'UTILE in miliardi di lire 19 96* 1997 1998

al netto della plusvalenza straordinaria di 643,3 miliardi realizzata con la

cessione dèlia quota in AXA

IL GRUPPO IN CIFRE

120 Compagnie di assicurazione attive in 50 paesi 48 Società holding

7 Società immobiliari 3 26 Società controllate diverse

non consolidate 62.754 Miliardi di lire di premi

(+ 54% sul 1997) 233.614 Miliardi di accantonamenti

tecnici

257.586 Miliardi di investimenti 1.731 Miliardi di utile consolidato 65.000 Professionisti dell’assicurazione

al servizio della clientela

RIPARTIZIONE DEI PREMI CONSOLIDATI in miliardi di lire VITA DANNI

Le Generali

consolidano

la posizione

di terzo

assicuratore europeo.

Il Gruppo

♦ L’ utile del bilancio consolidato 1998, per la quota di pertinenza della Capogrup­ po, è stato di 1.731 miliardi di lire (+68%, a condizioni omogenee +24,4%). ♦ I premi consolidati - pari a 62.754 mi­ liardi (+54%, a perimetro di consolida­ mento invariato +10,6%) - provengono da Italia 2 5 ,8 % , Germania 3 2,3 % , Francia 15,7%, Austria 5,6%, Spagna 5,3%, altri Paesi 15,3% e sono per il 58,9% rela­ tivi al ramo vita e per il 41,1% ai rami danni. ♦ Gli investimenti - che hanno raggiunto i 257.586 miliardi - hanno registrato un in­ cremento del 76,8% (senza le acquisizioni del 1998 +12%).

♦ Il patrimonio netto di pertinenza della Capogruppo ammonta a 13.122 miliardi. ♦ La redditività dei mezzi propri (ROE) ha raggiunto il 15,2% (11,3% al netto di utili straordinari).

♦ I collaboratori del Gruppo Generali a fine 1998 erano 64.851.

♦ Sono entrate a far parte del Gruppo Generali nel 1998 la società Aachener und Miinchener Beteiligungs (AMB), a capo di un Gruppo integrato assicurativo-finan- ziario al terzo posto per volume premi sul mercato tedesco, le società francesi GPA-Vìe, GPA-Iard e Proxima, la Banca della Svizzera Italiana (BSI) che gestisce attivi per oltre 40.000 miliardi di lire. ♦ Sono proseguiti i processi di riorganiz­ zazione e riassetto delle strutture del Gruppo in diversi territori d ’ operazione che rispondono all’ obiettivo di dare mag­ giore efficienza e snellezza operativa e di conseguire nel contempo un significativo contenimento dei costi.

♦ Gli strumenti operativi del Gruppo nel settore del risparmio gestito, con impor­ tanti sinergie tra prodotti assicurativi, fi­ nanziari e previdenziali, si sono arricchiti con l’ entrata in funzione di Banca Genera­ li e con le autorizzazioni ottenute in Italia per i fondi pensione aperti Previgen Valore e Previgen Valore Garantito. ♦ Nei primi mesi del 1999 è proseguito il processo di espansione del Gruppo: in

“ll^rORE SENZA f‘ W'1W

Argentina le Generali sono divenute leader del mercato, con una partecipazione di controllo nella Caja de Ahorro y Seguro; in Svizzera sono state rilevate due compa­ gnie - una vita e una danni - dal gruppo Migros, leader nella grande distribuzione, con il quale sono state attivate interessan­ ti prospettive di lavoro; in Estremo Orien­ te è stata avviata una partnership strategi­ ca con il Gruppo Kuok, importante con­ glomerato finanziario, immobiliare e indu­ striale che come prima iniziativa ha porta­ to alla costituzione di due compagnie di as­ sicurazione nelle Filippine.

La Capogruppo

♦ L’utile netto è stato di 604,5 miliardi di li­ re (+7,85%). H dividendo unitario distribui­ to agli azionisti è di 425 lire per azione con un’ erogazione complessiva di 436 miliardi. ♦ I premi, pari a 12.585 miliardi (+7,2% a condizioni omogenee), provengono per 6.628 miliardi dal ramo vita e per 5.957 miliardi dai rami danni.

♦ L’incidenza dei costi di produzione e di amministrazione sui premi è scesa dal 22,5% al 22% .

♦ Gli investimenti hanno raggiunto i 49.991 miliardi (+9,7% ); i redditi hanno superato i 3.380 miliardi.

♦ Il patrimonio netto contabile, incluso Futile di esercizio, ammonta a 11.363 mi­ liardi (+37,3%).

♦ H capitale sociale è di 2.051,7 miliardi di lire e vede la presenza di oltre 130.000 azionisti.

♦ La quotazione di borsa del titolo Gene­ rali ha registrato nel 1998 un aumento di valore del 70% a fronte del 41% dell’ indi­ ce azionario generale.

♦ Il Consiglio di Amministrazione, riuni­ tosi al termine dell’ Assemblea degli Azio­ nisti lo scorso 30 aprile, ha eletto Presi­ dente Alfonso Desiata, confermato Vice­ presidente e Amministratore Delegato Gianfranco Gutty, Vicepresidente France­ sco Cingano e Amministratore Delegato Fabio Cerchiai.

G E N ER A LI.D O VE I SOLDI DIVENTANO

SOLIDI.

Compagnie del Gruppo Generali in Italia

Adriavita, Agricoltura Assicurazioni, Alleanza Assicurazioni, AssiBa, Aurora Assicurazioni, Casse e Generali Vita, Europ Assistance, Friuli-Venezia Giulia Assicurazioni La Carnica, La Venezia Assicurazioni, Navale Assicurazioni, Prime Augusta Vita, Risparmio Assicurazioni, Risparmio Vita,

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AN TO N IO IO RIO

In questi ultimi anni, a seguito della crescente

intensificazione dei rapporti commerciali e professionali tra soggetti operanti in differenti Stati, si è assistito al proliferare di una serie di disposizioni sovranazionali che consentono l’esecuzione di controlli fiscali in Italia, su richiesta delle amministrazioni estere, ed analoghe opportunità all’estero per il Fisco italiano.

In questa ottica, il volume offre un quadro organico ed esaustivo delle disposizioni attualmente vigenti fra PItalia e gli altri Stati del mondo: Convenzioni per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sulle successioni; accordi per l’esecuzione di verifiche fiscali simultanee; direttive e regolamenti comunitari in materia di imposte dirette ed indirette; accordi bilaterali e U,E. per l’assistenza in materia doganale.

8°, p. XXXIII-552, L. 70.000 ( € 36,15)

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Via Busto Axsizio. 40 - 20151 MILANO Tel. 02/38.089.290 - Fax 02/38.009.582 http://wvwigiufire.it - E-roail: veftdite@giufire.it

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GU IDO NAPOLETANO

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1 8 6 5 - 1 9 5 6 p. X X III-2 02 8 + p. 1X-456 L. 100.000 1 9 7 9 p .X X -7 7 0 L . 4 0 .00 0 1 9 5 7 - 1 9 6 1 p. L X V II-Ì5 6 4 L. 7 0.00 0 1 9 8 0 p . X X IV -858 L . . 4 0.00 0

(in appendice i volumi giuridici del quinquennio)

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REPERTORIO

DELLE DECISIONI

DEILA CORTE COSTITUZIONALE

A cura di NICOLA LIPARI

1998

8°, p. XI-2036, L. 240.000

Il Repertorio costituisce uno strumento di vastissima rilevanza sia sul piano della conoscenza completa della situazione normativa determinatasi per effetto delle pronunce della Corte, che su quello dell’esame analitico dei canoni interpretativi che sorreggono le singole decisioni. Il metodo sistematico con cui sono ordinate le sentenze del giudice costituzionale e gli schemi di classificazione adottati (esposizione sistematica, elenco cronologico, dispositivi e legislazione sottoposta a sindacato) offrono all’operatore e al giurista una guida sicura per orientarsi nell’ambito degli atteggiamenti assunti dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo alle situazioni prospettatesi in concreto. Di particolare pregio è la rete dei collegamenti e dei raccordi che si instaurano fra le diverse partizioni

dell'opera essendo possibile, per il loro tramite, una varietà di approcci alla materia trattata che tiene conto delle esigenze che concretamente si pongono nel momento applicativo di ogni disposizione di legge.

È disponibile la raccolta dal 1956 al 1996 a prezzo speciale.

GIUFPRE EDITORE -:;3 M i

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Sommario:

Considerazioni generali sui tìtoli di credito - La disciplina dei tìtoli di credito - La fattispecie titolo di credito - La categoria concettuale dei tìtoli di credito - Le forme di circolazione dei tìtoli di credito - 1 tìtoli di credito rappresentativi di merce - 1 documenti di legittimazione e i titoli impropri - L’evoluzione dei tìtoli di credito, - Dai tìtoli di credito ai valori mobiliari e agli strumenti finanziari. Gli strumenti finanziari

dematerializzati - Le azioni (Premesse - L’emissione delle azioni - La circolazione delle azioni - 1 limiti alla circolazione delle azioni - Azioni e finanziarizzazione della ricchezza) - Le obbligazioni. Le obbligazioni emesse dalle banche (Le obbligazioni - La creazione ed emissione delle obbligazioni - La disciplina del rapporto obbligazionario - Le obbligazioni convertibili - Il warrant. Le obbligazioni con warrant) - 1 titoli cambiari (La cambiale - Gli assegni - Titoli speciali).

8°, p. XVn-304, L. 36.000

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V ALERIO FICARI

Sommario:

Delimitazione del tema - Il riesame dell’accertamento in sede di autotutela

den’amministrazione finanziaria: profili generali - Autotutela negativa - Autotutela positiva - Autotutela e deflazione del contenzioso - Profili procedimentali - Profili processuali - Riesame dell’avviso di accertamento e tutela del contribuente - Potere di riesame negativo dell’avviso di

accertamento e principio della riserva di legge.

8°, p. Xl-368, L. 45.008

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L’ESPERIENZA DELLA

REPUBBLICA FEDERAI! TEDESCA

a cura di

ADRIANO DI PIETRO

Sommario:

T. PUHL, Le procedure e i m etodi di accertamento tributario alla luce dei principi costituzionali - E. DE MITA, Principi costituzionali e accertamento tributario in Italia - K. VO G EL, L’interpretazione delle leggi tributarie da parte dell’amministrazione -

R. MUBGNUG, Le prove utilizzate dal I ’ Amministrazione Finanziaria con particolare riguardo alle presunzioni e al segreto bancario - D. BIRK, Poteri di controllo,

accertamento dell’imposta e discrezionalità deU’ amininistrazione - R. VO N GRO LL, Tutela giurisdizionale ed extragiurisdizionale del contribuente nella R.F.T. - P. RUSSO, Influenze sulle prospettive di riform a del contenzioso tributario. Interventi di: A. AMATUCCI e F. BORTOLOTTI.

8°, p. XIV-200, L. 25.000

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UNA NOTA D I POLITICA FISCALE: LA CRISI D E L L ’IR PE F

E LA QUESTIONE DELLA PROGRESSIVITÀ. IL CASO D E L L ’ITA LIA

di Giulio Tremonti Università degli Studi di Pavia

Sommario: 1. L ’idea della crisi dell’imposta personale progressiva (Irpef). - 1.1. I fat­ tori di crisi «in tern a ». - 1.2. I fattori di crisi «estern a». - 1.3. La critica. — 2. La progressività dell’imposizione è ormai solo la « figlia di un dio minore »?

1. L ’idea della crisi dell’imposta personale progressiva (Irpef). L ’idea della crisi è immanente all’imposta personale progressiva. L ’idea specifica della crisi dell’Irpef si è sviluppata, se pure in forme diverse, subito dopo la sua introduzione (1° gennaio 1974) (1).

Semplificando, i fattori di crisi possono essere registrati qui di se­ guito in due classi principali:

a) fattori di crisi interna. I fattori di crisi di questo tipo sono ar­ ticolati attraverso argomenti di carattere essenzialmente politico e/o tecnico.

In sintesi, in base a questi argomenti, la crisi dell’Irpef derivereb­ be dal difetto, non dall’eccesso della progressività;

b) fattori di crisi esterna. I fattori di crisi di questo tipo: — sono qui di seguito convenzionalmente definiti come esterni, perché non sono relativi alla meccanica interna dell’imposta, ma piut­ tosto generati dall’ambiente in cui l’imposta si applica;

— sono articolati in base ad argomenti di carattere essenzial­ mente filosofico: (i) l’insufficienza del reddito (tanto del reddito pro­ dotto, quanto del reddito entrata) come parametro sociale o come di­ mensione esistenziale utilizzabile nella scelta di distribuzione personale

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del sacrificio fiscale; (ii) l’evoluzione dello Stato, da Stato minimo a Stato moderno-, (iii) le variazioni intervenute (e negli anni più recenti accelerate) nella struttura della ricchezza e, di riflesso, nella catena di potere dello Stato. L ’imposta personale progressiva è stata infatti co­ struita tanto sul presupposto economico di una ricchezza mobile più di nome che di fatto, quanto sul presupposto giuridico di un potere sta­ tale che si esprime ed esercita su di un dominio territoriale chiuso. Presupposti, tutti questi, che sono soggetti ad una progressiva erosio­ ne, dopo l’avvento deH’economia-mondo.

Più in dettaglio, l’analisi delle due classi di fattori di crisi (fattori interni, fattori esterni) può essere sviluppata nei seguenti termini.

1.1. I fattori di crisi « interna ».

La più ampia ed organica evidenza in ordine a questa prima clas­ se di fattori di crisi si trova negli atti dei « Convegni » di Pavia.

In specie, si trova negli atti dei due Convegni su: « È fallita la ri­ forma tributaria? », ottobre 1978 (2); « La crisi dell’imposizione pro­ gressiva sul reddito », ottobre 1983 (3).

In queste sedi si segnalano in particolare e nel senso dell’analisi dei fattori di crisi interna, le relazioni di M. Vitale, di F. Reviglio, di C. Cosciani, di A. Pedone, di V. Visco.

In specie è fortemente sintomatico quanto sostenuto da quest’ul­ timo Autore, nel paragrafo che conclude la sua relazione, sotto il tito­ lo: « Possibilità e prospettive di riforma ».

Qui, in particolare, si sosteneva che:

« Al di là degli aspetti più strettamente tecnici e più direttamente riferibili alla specifica situazione italiana, è importante osservare pre­ liminarmente come l’attuale struttura dell’Irpef, con le sue disfunzio­ ni ed incongruenze, non è dissimile da quella tipica della maggior par­ te delle imposte sul reddito attualmente in vigore nei paesi occidenta­ li. Tali limiti si manifestano essenzialmente nella ristrettezza della ba­ se imponibile effettivamente soggetta all’imposta (come si è visto, in Italia solo circa il 60% dell’imponibile potenziale è assoggettato di fatto all’Irpef); nelle difficoltà crescenti di gestione dell’imposta in presenza di fenomeni inflazionistici rilevanti che si protraggono nel 2 3

(2) Gbkeli.i E .-Va i,iani R., (a cura di), È fallita la riforma tributaria?, F. Ange­

li, Milano, 1979. 8

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tempo; nella esclusione dall’imposta di una parte rilevante dei redditi da capitale, fenomeno che si traduce a sua volta in un diverso tratta­ mento fiscale dei flussi di risparmio e dei loro rendimenti.

Eventuali progetti di riforma o di correzione delle leggi esistenti dovrebbero quindi cercare di risolvere e superare i limiti indicati » (4).

1-2. I fattori di crisi « esterna ».

La prima e più profonda analisi dei fattori di crisi di questa clas­ se si trova in S. Steve (5). Le tesi di questo Autore sono state aggior­ nate e sintetizzate su questa Rivista (6), nei seguenti termini:

« Nei miei vari interventi avrei dovuto dare maggiore evidenza a due elementi che mi sembrano essenziali:

1) il reddito come prodotto (e anche come entrata) è funzionale alla distribuzione reale delle imposte, no a quella personale, che ri­ chiederebbe un indice del benessere (il reddito psichico di Fisher an­ drebbe bene, ma anche Fisher evitò di proporne l’impiego, usandolo soltanto come strumento per criticare la doppia tassazione del rispar­ mio);

2) l’imposta personale progressiva è compatibile con lo stato minimo, dove ci sono da coprire soltanto poche spese essenziali (i cui effetti distributivi sono limitati) e non con lo stato moderno, dove gli effetti distributivi dell’azione dello stato, anche con strumenti diversi dalle imposte, sono imponenti e tali da sfuggire, in gran parte, ad ogni possibilità di compensazione ».

Nello stesso senso (se pure con significative varianti) si è svilup­ pata l’analisi di G. Fuà e di E. Rosini (7).

In senso ancora diverso si è infine sviluppata l’analisi di G. Tre- monti e G. Vitaletti, secondo cui:

« Quando fu introdotta, l’imposizione diretta si riferiva a forme di produzione e circolazione della ricchezza in cui era dominante il ca­ pitale materiale, immobile e mobile, sfruttato però in forme soggette ad una lenta evoluzione. Essa era poi destinata a funzionare in am- 4 5 6 7

(4) Cosi Vi,suo V., Disfunzioni ed iniquità dell’Jrpef e possibili alternative: un'a­

nalisi del funzionamento dell’imposta sul reddito in Italia nel periodo 1077-1083, in La

crisi defm nposiaione progressiva sul reddito, cit., p. 75 ss.

(5) Stkvk S., M iti e paradossi della giustizia tributaria, in Mondo economico, 14 giugno 1980, p. 80.

(6) Stkvk S., Commente al rapporto Irpef, In questa Rivista, I, 1995, pp. 589-590.

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bienti sociali molto statici e controllati ed era, infine, la forma legale assunta dai principi della nuova etica solidaristica. Ora non è più così.

Col passaggio da una società dei patrimoni ad una società delle conoscenze, il valore del capitale materiale sta scendendo vertiginosa­ mente rispetto a quello dei servizi; hanno poi perso efficienza i vecchi s rumenta di controllo sociale; una nuova classe agiata si colloca infine al centro, invece che al vertice, della società, assegnando a beni e ser­ vizi gerarchle continuamente variabili e facendo perdere presa ai vec­ chi principi etici.

In questo contesto è difficile pensare che, variando i patrimoni, i consumi e con essi le congruenze economiche generali, i tra d iz io n i concetti di reddito, di patrimonio, e di reddito e patrimonio imponibi- i, conservino il loro valore indicativo della capacità contributiva e siano, comunque, determinabili ed accertabili con l’efficienza origina-

ria » (8). &

1.3. La critica.

La critica scientifica si è concentrata soprattutto sulle tesi soste­ nute da G. Tremonti e G. Vitaletti.

A titolo puramente indicativo a questo proposito, si possono cita­ re gl, scritti di P. Bosi e M.C. Guerra, secondo cui « Nel nostro paese è spesso oggetto di dileggio la grande quantità di tributi esistenti (« le cento tasse » richiamate nel titolo di un saggio di Tremonti e Vitalet- ti) » (9). E di F. Osculati, secondo cui:

« Va invece escluso che l’attuale marasma fiscale sia il risultato di una tensione culturale e politica verso l’equità. Nel corso dell’ultimo decennio la dottrina italiana più nota ed influente ha teso a svalutare radicalmente il criterio della capacità contributiva e a negare la fun­ zione redistributiva del prelievo fiscale » (10).

Per suo conto, chi scrive era ed è invece sempre convinto del fat­ to che la questione della progressività non si esaurisce in questi termi­ ni (polemici), essendo questione meritevole di una riflessione più

am-1986 1 ! J ” ' G--VItauìttiG :> Le cento tasse degli italiani, Il Mulino, Bologna F w , 1 “ * « Sla “ n o t a t o notare che l’analisi di questi Autori prosegu no B o Ì uà“ i f m T f ” T r ” ? gl°bale ndVetà dd ^ u m i s m o II Muli

’ n 1 9d’ A f I ™ I l federalismo fiscale, Laterza, Rom a-Bari. 1993. 1998, p 9 <>M '~GUCrra M-C-’ 1 tnbutl nell'economia italiana, Il Mulino, Bologna X L l Ì ! n . 347 p 'A529F '’ U qUeStÌone fiscale tra Sform a e rivolta, in II Mulino, anni

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pia. Sintetizzando, ed attualizzando con specifico riferimento al caso dell’Italia, la questione sembra in realtà articolarsi come segue.

2. La progressività dell’imposizione è ormai solo la «figlia di un dio minore »?

2.1. L ’ Irpef può davvero essere trasformata in un’imposta spe­ cifica sul lavoro (e sulle pensioni), l’esatto opposto del suo modello m o­ rale, ideale e politico?

Il governo è impegnato a pianificare tutto questo, con la sistema­ tica esclusione dalla base imponibile dell’im posta personale di tutti gli altri tipi di reddito. Dei redditi di capitale, soggetti ad aliquota pro­ porzionale basica e minima del 12,5%. Dei redditi d’impresa, via Dita regime (è vero che, in concreto, la Dit— applicata in ragione di un’a­ liquota proporzionale che va dal 19% al 27% — non pare destinata a funzionare, ma questo accidente non influisce sulla sostanza della scel­ ta politica sottostante). Infine, dei redditi immobiliari, via ipotesi di riforma della fiscalità immobiliare (annunciata in ragione di un’ ali­ quota proporzionale del 19%).

Per contro le aliquote dell’Irpef che insiste solo su lavoro (e pen­ sioni) sono: 19% (fino a 15 milioni); 27% (tra 15 e 30 milioni); 34% (tra 30 e 60 milioni); 40% (tra 60 e 135 milioni); 46% (oltre 135 milio­ ni).

La scelta che emerge da questo disegno politico può essere così sintetizzata: i redditi fondati sul capitale possono scontare u n ’imposta proporzionale abbattuta; i redditi prodotti dal lavoro devono invece scontare u n ’im posta elevata sulla scala della progressività.

L ’« equità » dell’architettura è dunque evidente nel fatto che sul più grande reddito da capitale dovrebbe e/o potrebbe insistere un’ ali­ quota minore di quella che insiste sul più p iccolo reddito da lavoro (o pensione).

A pp u n to il controm odello, rispetto al m odello ideale originario, storico e politico, originario dell’im posizione personale progressiva, che d oveva (deve) insistere su tutti i redditi e soprattutto sui redditi fondati sul capitale.

Gli Atti (11) della Costituente sono fortem ente indicativi (e sug­ gestivi) in ordine al percorso ideale che ha portato all’introduzione

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nell’ordinamento italiano del principio di progressività dell’imposizio­ ne fiscale.

Il prodotto politico finale è stato l’art. 53, della Costituzione: « Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività ».

Questo è il punto politico centrale: a Costituzione vigente, che senso hanno ancora in generale il criterio della capacità contributiva e, in particolare, il criterio di progressività dell’imposizione fiscale? Quale forma possono (devono) ancora avere gli antichi ideah di giusti­ zia? In che senso è (può ancora essere) costituzionale una riforma fisca­ le?

Mi sia consentito iniziare questa riflessione con un flash back. 2.2. Il 18 dicembre 1994 fu pubblicato il mio Libro bianco sulla riforma fiscale in Italia. Un volume che sintetizzava un lungo ciclo di studi, fatti insieme con Giuseppe Yitaletti, e che rappresentava tra l’altro il tentativo di modernizzare la fiscalità di uno Stato-nazione, dopo l’avvento delFeconomia-mondo.

All’essenziale, i principi ispiratori di quell’ (ipotesi di) riforma fi­ scale erano:

a) dal complesso al semplice: otto tasse, un solo codice fiscale. Ciò perché, se le strutture dell’esistente si complicano, le strutture giuridiche devono andare in controtendenza, verso la concentrazione e la semplificazione;

b) dalle persone alle cose: erosa la sua base di potere originaria (il dominio territoriale chiuso, esercitato sulla ricchezza dallo Stato-na­ zione), l’imposta personale progressiva, se applicata tei quel, finisce per produrre effetti sostanziali opposti rispetto a quelli ideah. In spe­ cie, la ricchezza affluente sfugge, perché mobile. E perciò, la progressi­ vità classica finisce per insistere regressivamente sui fattori immobili (salari, pensioni, etc). In questo scenario, la progressività, principio morale fondamentale e costituzionale, non può essere rimossa tout court. Va piuttosto ricostruita, in altre forme, tendenzialmente spo­ stando l’asse del prelievo su altri punti di prelievo (i consumi, i patri­ moni, più genericamente le cose), in modo da produrre effetti equiva­ lenti o analoghi rispetto a quelli prodotti dalla progressività, nella sua forma originaria;

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ar-ticola 1 attività di governo, non più centralizzata in forma m onopoli­ stica, possono votare direttamente e congiuntamente su entrate e su uscite.

Le reazioni furono diverse.

Positiva, e per me straordinariamente significativa, fu ad esem­ pio quella del prof. Carlo M. Cipolla. Mi perm etto solo ora di citare un passo, da una sua lettera del 21 dicembre 1994: « ... questa lettera è, e vuole essere, una nota di incondizionata ammirazione ed approvazio­ ne per il piano da Lei presentato per la riforma del sistema e del regi­ me fiscale in Italia. T rovo ammirevole non soltanto l’aspetto tecnico del Suo piano, ma anche il coraggio da Lei dimostrato, nel presentare il piano stesso, così drastico, così rivoluzionario ».

Negativa, e pure importante, fu invece la reazione di m olti stu­ diosi della materia. Particolarmente negativa fu poi la reazione del- l ’on.le Vincenzo Visco. Dai suoi interventi di allora (12), estraggo que­ sti passi essenziali:

a) « non facciam o proposte propagandistiche di m odo che da cento le tasse diventeranno otto, perché non sono cento e non saranno mai otto »;

b) con il Libro bianco, in sostanza si svuota ulteriormente la base imponibile dell’Irpef, sottraendole i redditi da fabbricati e i redditi di partecipazione, sicché l’Irpef diventa sempre più un’imposta sui soli redditi da lavoro, gli unici assoggettati a progressività ».

Il curiosum non consiste tanto nella critica, allora legittimamente formulata, quanto nel successivo e diverso corso di pensiero-azione, seguito dall’opposizione passata al governo.

Alcuni punti, all interno di questo percorso, si segnalano per esse- re oggettivam ente divertenti. A d esempio, la dichiarazione program ­ m atica fatta dal Ministrò delle finanze nella sua prima audizione par­ lamentare, così testualmente espressa: « ... b) riduzione del numero del­ le imposte: non più di 7-10 imposte principali tra erariali, regionali, comunali » (sic).

Qui 1 attenzione va, piuttosto e più seriamente, concentrata sulla questione della progressività dell’imposizione personale. Questione che, si ripete, è tanto politicam ente attuale, quanto intellettualmente e moralmente cruciale.

Si rivendica l’esistenza, alla base della riform,a fiscale attuale, di

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in articoli di giornale. È vero. Particolarmente significativo, a questo proposito, mi pare essere il passo che segue: « estensione delle basi im­ ponibili... razionalizzazione della tassazione dei redditi di capitale, compresi i guadagni da capitale, con la tendenza o alla parificazione delle aliquote o aH’inserimento nella base imponibile dell’imposta per­ sonale... il risultato di tale operazione sarebbe evidentemente quello di pervenire ad un sistema im positivo più razionale e meno distorsivo, a parità di gettito e con più elevata progressività (nonostante la ridu­ zione delle aliquote) » (13).

R ispetto a questa originaria, ed oggettivamente coerente, linea di pensiero, i successivi sviluppi e, comunque, la linea di azione del go­ verno in carica si sono invece piegati ad u.

2.3. Vedere condivise, spesso fatte proprie, se pure attraverso percorsi tortuosi ed episodi di cannibalismo culturale, idee ed ipotesi, tesi e proposte, un tempo contrastate da parte degli studiosi (14) è ora

— e non può che essere — ragione di soddisfazione, tanto intellettuale quanto politica. Le idee valgono, se circolano.

Ma con alcune riserve. In molti casi, lo shopping delle idee è sta­ to, e va onestamente riconosciuto, positivo. Le possibilità di esempli­ ficare a questo proposito sono consistenti. Così, ad esempio, nel caso delle nuove forme di tassazione per masse del risparmio gestito. Il ri­ sparmio gestito viene così fiscalmente trattato com e uno stock patri­ moniale, e dunque com e una cosa. Salvo quanto si noterà qui di segui­ to, a proposito dell’esigenza di configurare questa tecnica di imposi­ zione com e un incentivo e non com e un regime. Così, ancora, nel caso del concordato, della « conciliazione » o degli « studi di settore ». Istitu­ ti, questi, che possono essere davvero efficaci, com e mezzi empirici ef­ ficienti nella gestione del rapporto fiscale. Si tratta di idee che, all’ini­ zio, sono state demonizzate, in quanto definite com e regressive, o b o l­ late com e corporative (om etto, su tutti questi punti, e per brevità, le

(18) V isco V., La Repubblica, 20 dicembre 1987.

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specifiche, tanto sui tempi delle mie proposte, quanto sulle fonti criti­ che). Ma che poi (bene o male) sono state realizzate, nell’interesse del paese.

Restano tuttavia com pletam ente fuori da questo circuito le idee in materia di progressività. Qui le applicazioni fatte dal governo mi sem­ brano invece negative, perché fondamentaliste (di destra) e troppo ra­ dicali. Soprattutto, perché fuori dalla lettera e dallo spirito della no­ stra Costituzione.

2.4. A questo proposito, e per ora solo in prima approssimazio­ ne, dato che ancora non si conosce il testo finale della ipotesi di rifor­ ma in corso in materia di fiscalità immobiliare, mi permetto di notare quanto segue:

a) la crisi della progressività non è causata dalla Dit (una sem­ plice sovrastruttura fiscale) ma, più al fondo, dalla diversa struttura reale della ricchezza. Come si è già notato, questa è, insieme, la ragione e la causa di una riforma che deve conservare il principio politico fon ­ damentale della progressività, ma spostando l’asse del prelievo su altri punti di prelievo, ancora indicativi di capacità contributiva.

Si tratta di un esercizio m olto difficile, ma necessario. A titolo in­ dicativo, in materia di imposizione sull’attività d ’impresa, meglio del­ la coppia Irpeg-DiT, che si esaurisce nella formula dell’imposizione proporzionale, mi pare fosse (sia) la coppia (ipotizzata nel Libro bian­ co) Irpeg-imposta patrimoniale (insistente sul netto contabile). Un tipo di imposta, quest’ultimo, che sembra essere più incisivam ente rappre­ sentativo dell’ effettiva capacità contributiva espressa dagli assets d ’impresa. In sintesi, la riforma governativa, in parte già realizzata, in parte solo ipotizzata, mi pare invece essenzialmente demolitoria. A s­ sente ogni tentativo di ricostruire, in altre forme, effetti analoghi a quelli originari della progressività. U n ’azione di illegittimità costitu­ zionale è, a questo punto, non solo possibile, doverosa. E d è quanto si sta preparando;

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nelle forme più controllabili e più meritevoli);

c) non si capisce (ma certamente lo capiscono i sedicenti com u­ nisti) perché una piccola pensione debba scontare l’imposta personale progressiva, mentre la decima casa di un proprietario può scontare l’imposta proporzionale. Nel Libro bianco, la progressività per età escludeva da imposta personale progressiva gli anziani non ricchi e la prima casa era completamente detassata (con effetto di progressività, ottenuto per abbattimento, all’interno dell’ipotizzato tributo locale immobiliare);

d) non è chiaro, in generale, il nuovo meccanismo di fiscalità immobiliare (per ora si leggono solo confuse dichiarazioni, a proposito di redditi immobiliari, ma anche a proposito di valori patrimoniali). E non sono chiari, in particolare, i criteri di determinazione dei nuovi valori catastali (in specie: permane ancora l’idea di estendere la tassa­ zione anche ai muri di casal). Per questo, mi sembra abbastanza con­ sistente il rischio che la nuova ipotesi di riforma prospetti e sfrutti la proporzionalità, ma solo come esca, così definitivamente sacrificando un principio fondamentale al semplice fine di operare un ulteriore in­ giustificato incremento della pressione fiscale.

2.5. Contro queste tesi è stato da ultimo scritto, da S. Bia- sco (15), un articolo molto equilibrato e documentato. Mi pare che ai suoi argomenti si possa comunque rispondere come segue:

a) secondo Biasco: « Per poter stabilire il grado di progressività del nostro sistema im positivo dovrem m o poter ricostruire su base ef­ fettiva il reddito percepito a tasse pagate in qualsiasi forma per cia­ scun contribuente ». L ’assunzione m etodologica è corretta. Ma non si deve ricostruire solo il reddito, perché la questione della progressività non è questione limitata all’imposizione sul reddito, ma estesa (per principio costituzionale, alla capacità contributiva nel suo complesso;

b) è vero che la progressività reale è funzione (tra l’altro) dell’ e­ vasione fiscale. Ma (i) in assenza ed in attesa di serie e specifiche evi­ denze contabili (certo non sostituibili da argomento di tipo post hoc, ergo propter hoc), (ii) riesce francamente difficile accreditare all’azione di governo una reale, e non solo virtuale e/o mediática, efficacia nell’ a­ zione di contrasto dell’evasione fiscale.

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Piuttosto si fa notare che, se nel passato l’esistenza e la persisten­ za su scala vasta e consolidata di un ampio stock di evasione fiscale era attribuita alla tolleranza, e giustificata dalla continua varianza nel­ la guida politica del Ministero delle Finanze, a partire dal 1995, e per­ ciò da quasi 5 anni (un periodo di tempo sufficientemente lungo per fare un bilancio), la pobtica fiscale è stata tanto continua quanto pro­ grammaticamente ed operativamente determinata nell’azione di con­ trasto dell’evasione fiscale.

Ciò che sembra appunto sufficiente per giustificare la richiesta di sene e positive evidenze contabili, in ordine ai risultati raggiunti nella lotta all evasione fiscale. In questo senso sarebbe per esempio davvero sconcertante (suicida) se l’enorme scarto tra Irap stimata e Irap ri­ scossa fosse attribuito proprio al perdurare dell’evasione fiscale!;

c) l’azione di recupero all’imposizione di elementi di reddito che « sfuggivano legalmente senza valide ragioni » è stata puramente sim- bohca. Un esempio. Si cita il caso dell ’estensione dell’imposizione ai c.d. fringe benefits. Ma non si cita, tra gli altri numerosissimi casi di selettiva generosità fiscale, il caso opposto, dell’esclusione (generosissi­ ma) dall’imposizione degli stock option plans;

d) si cita la casistica dell’imposizione sulle società di com odo e delle residenze estere, dimenticando che (i) non è stata introdotta con la riforma, ma prima (su iniziativa di chi scrive, come si già notato so­ pra) e soprattutto (ii) ha comunque incidenza quantitativa marginale. Effetti più vasti dovevano e potevano piuttosto avere tanto gli studi di settore (proposti da chi scrive, ma inspiegabilmente ritardati da chi attualmente governa), quanto la riforma del contenzioso fiscale.

Riforma che però sembra entrare in fase di stallo, da un lato a causa dell elevatissima complessità strutturale e funzionale del rap­ porto fiscale; dall altro lato, a causa dalla proliferazione dei fenomeni di cattiva gestione, tipo cartelle pazze che, oltre a screditare lo Stato, ingolfano il contenzioso con una massa ingestibile e paralizzante di liti bagatellari;

e) il caso dell’Irap è indicativo, in ordine al carattere regressivo della riforma fiscale del 1995 (che sull’introduzione di questa nuova imposta è essenzialmente basata).

La regressività dell’Irap è in specie evidente (i) tanto nella sua struttura politica, (ii) quanto nei suoi effetti reali. Nei seguenti term i­ ni:

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Data la sua funzione sostitutiva, oltre che dei contributi sociali (peraltro fiscalmente deducibili), dell’Ilor e dell’imposta patrimoniale, e data la particolarità della sua base imponibile (costituita da: utile di bilancio + costo del lavoro + costo del denaro), l’ Irap è in realtà un’imposta regressiva.

Regressiva nel senso tecnico-politico del termine, perché colpisce relativamente di più le attività produttive con minore capacità contri­ butiva, perché piccole o perché non evolute.

Piccoli sono circa 3 milioni di soggetti, attivi nel mondo che era non-Ilor, perché organizzato senza basi capitalistiche o comunque su piccola scala (con meno di tre addetti).

Proprio per queste ragioni, strutturali e dimensionali, questi ope­ ratori non pagavano l’ Ilor (e perciò non sono beneficiati dal fatto che l’Irap sostituisce l’Ilor). Ma sono costretti a pagare l’ Irap.

Non evolute, e/o non avanzate e/o non sofisticate, sono le imprese di maggiore dimensione, che però si caratterizzano in funzione della bas­ sa produttività di utili, dell’impiego di molta forza-lavoro, della pre­ senza in patrimonio di poco capitale e/o di m olto debito. E che perciò pagano più Irap.

In coerenza con la filosofia politica propria dell’Irap, che è ap­ punto un’imposta dirigisticamente mirata ad incentivare le imprese nuove e vincenti, penalizzando invece, in una logica malthusiana, le imprese vecchie e/o perdenti.

Una filosofia, questa, che sembra appunto essere l’ esatto opposto di quella che sta alla base della progressività;

(ii) la regressività dell’ Irap emerge poi anche dal suo funziona­ mento concreto. L ’effetto di redistribuzione regressiva esposto appena qui sopra è infatti accentuato dalla fortissima sfasatura che si sta m a­ nifestando tra gettito Irap stimato e gettito Irap effettivam ente ri­ scosso.

In teoria, l’ Irap doveva essere a parità di gettito, ma con effetto di redistribuzione dell’onere fiscale all’interno del com parto produttivo in base alla logica malthusiana citata appena qui sopra. In specie, Vincre­ mento dell’imposizione sul com parto produttivo perdente doveva esse­ re utilizzato per finanziare il decremento dell’imposizione sul com parto produttivo vincente.

In realtà, com e si è premesso, si è prodotto un fortissimo scarto tra gettito Irap stim ato e gettito Irap effettivam ente riscosso.

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del-l’evasione fiscale nel comparto delle attività minori (perdenti), (ii) è ragionevole concludere nel senso che, per ragioni non di fatto (l’evasio­ ne), ma di diritto (la particolare natura della base imponibile), la redi- stribuzione si è particolarmente e regressivamente concentrata a favo­ re delle attività maggiori (vincenti)-, holdings, banche, assicurazioni, imprese ad alta tecnologia, etc.

Una semplice verifica sui bilanci delle maggiori, tra queste socie­ tà, può dare ampia evidenza in ordine all’origine ed alla dimensione del fenomeno;

f ) è certo vero che l’imposizione sulle rendite finanziarie va esattamente nel senso da me suggerito (imposizione non personale, ma reale, fatta cioè per masse di risparmio raccolto. È meglio, infatti, per 1 erario, tassare il 12,5% di qualcosa, che il 52% di niente). Ma è anche vero che molte delle scelte tecniche adottate in sede di riforma sono state estremamente (e non giustamente e/o non giustificatamente) ge­ nerose, a favore delle forme più sofisticate di gestione della rendita fi­ nanziaria;

g) si riconosce coraggiosamente che, come Vinflazione è un’im­ posta odiosa (e non votata) sui redditi, così la caduta dei saggi di inte­ resse sui titoli del debito pubblico costituisce u n 'imposta formale sul ri­ sparmio.

È vero. Ma, premesso che la caduta dei tassi di interessi è un fe­ nom eno generale (e perciò non dovu to ad azioni specifiche e/o a meriti politici del governo), va poi anche e soprattutto notato che l’im patto del fenom eno è drammatico, all’interno di una struttura sociale ed econom ica com e è quella italiana.

Una struttura (i) che al risparmio (ormai remunerato a tasso so­ stanziale zero) affidava una funzione sociale (una specie di welfare state parallelo) e (ii) che sul risparmio fondava una parte considerevole del­ la domanda, con conseguenti effetti strutturali di crisi, appunto dal la­ to della domanda.

In questi termini, pare in specie evidente che il c.d. risanamento dei conti pubblici italiani, basato sulla form ula « tasse alte-tassi bas­ si », è stato positivo per lo Stato, tassatore e debitore, ma negativo per il privato, produttore, risparmiatore e consumatore.

In termini di progressività, si tratta in particolare di verificare se la caduta della funzione sociale del risparmio, se la disoccupazione causata dalla crisi econom ica, etc. insistono più a carico dei ceti forti o più a carico dei ceti deboli-,

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pos-sa essere trovata con « una taspos-sa proporzionale su tutto, ben conge­ gnata in termini di detrazioni ». Sembra trattarsi di un’ipotesi insieme nuovissima (perché mutuata da schemi elettorali americani) e vec­ chissima (perché costituisce l’omologo moderno dell’imposta unica, su cui ironizzava Voltaire).

L ’effetto di una imposta di questo tipo sarebbe magico.

Perché, ad esempio, potrebbero essere esclusi da imposta tutti i redditi da lavoro erogati dallo Stato.

Basterebbe infatti abbattere salari e stipendi pubblici in misura pari a quella dell’imposta, la ritenuta diretta essendo solo una partita di giro. Ma dubito che una soluzione così radicale sia, oltre che prati­ cabile, razionale.

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t h e n a t u r e o f o r g a n i z a t i o n s

A N D T H E ECONOMICS OF C O N STIT U T IO N A L R U L E S (*)

di Giuseppe Sobbrio Università degli Studi di Messina

Summary: 1. Introduction. 2. Organisations and rules: informal model o f anarchy and the Lockeian ‘state o f nature’ . — 3. Organisations and formal rules in the H um e’s model o f ‘cooperative’ society. — 4. B eyond Hum e and Smith: transac­ tion costs and the rise o f co-operation, efficiency and effectiveness as derived from the birth o f organisations. —- 5. Constitutional normative economics: the choice o f formal rules. 6. The burden o f rules in wide organisations. —- 7. The enforcem ent o f rules: written vs. rules in force. — 8. Conclusions.

1. Introduction.

N owadays we are accustom ed to live in or with organised struc­ tures in which we spend the greatest extent our time. W e demand ‘private’ goods almost entirely provided b y private organisations, we p ay taxes and duties to receive goods and collective services generally offered b y public organisations.

The negative entropy (order) o f highly com plex structures sub­ stitutes the entropy (disorder) o f individual actions (Morin 1990). In this framework, in order to establish effective organisations, it is cru­ cial to find their best' structure, i.e. the one that minimises their costs. W e observe organisations such as the State, local governments, public industries, private multinationals enterprises (M NEs), charac­ terised b y highly com plex hierarchical structures and extrem ely de­ tailed set o f rules regulating the operational activities o f those who act within those organisations. On the other hand, there are also or­ ganisations such as small firms and minor municipalities, in which both their hierarchical com plexity and the structure o f the set o f norms regulating the d ay-to-d a y relationships appear significantly re­

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duced (obviously, these elements reach the minimum scale in individ­ ual enterprises). In this context, we define organisations as formal in­ stitutions embodying inner and outer rights and duties. This would imply the enforcement of sanctions in the case of violation of the rules in force. It is important to point out that the possibility of ‘exit’ in wider and more complex structures (like the State and multina­ tional enterprises) is very unlikely. In the case of the State, for in­ stance, changing nationality or moving the own family and job is generally very costly (these costs grow the more aged is the citizen to move). In the case of MNEs, those who lose their job are very unlike­ ly to be employed in the same sector. On the contrary, the ones dis­ missed in a labour market populated by small firms characterised by homogeneous products have much more chances to get back on the labour force.

What we have argued so far, leads us to hypothesise that the complexity of the hierarchical structure and the costs of ‘exit’ dimin­ ish as we move from large to small organisations. In cases of ‘volun­ tary’ structures such as golf clubs or chess societies, the possibility of ‘exit’ is high and the costs of participating in their activities are very low.

If we use a Tiebout-type approach, the consumer/citizen of local public goods is placed in an intermediate position since he can move without costs from one local area to another. In such a situation the ‘exit’ is operational, but unlike the case of affiliation to a golf club, if he moves from the local area A he must belong to another local area B.

In this perspective, we could list three different models:

1) model of ‘community’ or of ‘simple co-operation’ : the case in which the ‘exit’ does not imply the entry in another organisation;

2a) model of ‘complex public co-operation’ : the case in which the ‘exit’, even without costs, implies the entry in another public or­ ganisation (system of fiscal federalism);

2b) model of ‘complex private organisation’ : the case in which the ‘exit’ is easily followed by the entry in another organisation (the small enterprise);

3) model of ‘extremely complex organisations’ : the case in which the ‘exit’ is unlikely and very costly (the State, the big enter­ prises). Here, information asymmetry and conflict of interests are the major determinants.

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athe Israeli K ibbuz or, generally, the socialist anarchism). The second is the one basically hypothesised by the classical economists and cor­ rectly associated to the existence o f a ‘minimum’ State. The third model is the m ost controversial. On one side we assist to a surge o f a voluminous literature arguing the threats on liberty caused by the existence o f a large State and, on the other, the rich contributions o f economists analysing the dangers associated to MNEs.

In this study I attem pt to propose an unitary treatment o f all the above aspects. This is done through the replacement o f the usual wisdom supporting a trade-off between ‘b ad ’ public sector and a ‘g o o d ’ private sector (or viceversa) with the distinction between small and big organisations. In this framework, constitutional economics has to be prepared to face the challenge set out b y big organisations. This implies to single out the appropriate means and rules that could lead our imperfect world to approxim ate the ideal optim um o f a world populated b y small organisations.

2. Organisations and rules: informal model of anarchy and the Lock­ eian ‘state of nature’.

Tw o are the preliminary questions to be addressed in this section: 1) w hy do public organisations exist? and 2) w hy are organisation’s ac­ tivities regulated b y inner (within the organisation) and outer (with individuals and other organisations) rules?

It is not possible to give a reasonable answer to the last question if we do not explain an issue that logically precedes it: why do organi­ sations exist?

One o f the simplest and usual hypotheses, suggested b y early economists, was to analyse the econom ic behaviour o f a hypothetical isolated individual. The archetype is represented by R obinson Crusoe that, escaped from a shipwreck, saved a sack o f corns. Behaving as a rational individual, he distributed the consum ption o f corns along time eating them only partly in the current period and preserving the remaining ones to sowing and getting a harvest in the future. Such a behaviour concerns an intertemporal choice o f distributing consum p­ tion over time (i.e. the choice between present and future consum p­ tion, between consum ption and savings or between consum ption and investm ent).

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nei-there are only single individuals or small groups which gather togeth­ er only on the basis of a spontaneous and unanimous voluntary agreement. In such a conception the Government and the constitu­ tional rules are considered as overwhelming and the tax payment a ‘theft’ (Spooner, 1870). This idea could sound reasonable if the world was populated only by Robinson and Friday, or if the society was formed only by voluntary clubs. In the case of community of simple co-operation (model n.l), complexity, hierarchy and coercion would be nearly not-existent. For instance, if Mr. Smith decides to be no longer member of the golf or the bridge club, which he belongs to, he is not forced to enrol himself to another one. Actually, the socialist anarchism has also hypothesised productive structures of the same sort. As far as I can tell, nowadays the already mentioned Israeli Kib- buz could be considered the only example of it. However, in this case, the Kibbuz interrelation with the rest of the society is not anymore self-sufficient,because it needs an external government structure to exist. The socialist anarchic model as well as the Wicksellian unani­ mous agreement become more and more difficult to operate as the number of individuals rises, this implying an increased number of in­ teractions (ad conflicts) in the society between agents that express different tastes and preferences. In this context, the unanimity is un­ likely to be reached and individuals are forced to take collective choices with majority rules. To the simple, the individual, the club, is added the complex, the structure, the rules and majority (qualified or not) voting.

A t this stage we wonder about the role and reason o f com plexity. W h y do organisations get form ed? W hich role do private and public groups (firms, parties, unions...) play?

Before Coase’s (1937) study, firms and public organisations were analysed in the light of the archetype of isolated individuals. Coase’s pioneering work allows us to answer the questions mentioned above explaining the birth of firms (and broadly of organisations), as a pro­ cess aimed at lowering transaction costs and achieving outcomes not reachable by the individual on his own.

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o f the Lockeian model foreseeing the informal passage o f anarchy (the state of nature) to the government (the civil society).

The merely individualistic approach has been overcome, even if partially, in two cases: 1) in the Hume’s model o f co-operativecivil so­ ciety that can be considered the most realistic development o f the Lockeian model of society and government; 2) the Hobbes’ model of Leviathan which, however, experienced few theoretical developments.

As it is well known, the model of a society based on an agree­ ment among individuals draws its origins from the Lockeian hypothe­ sis of the initial ‘state of nature’ where organisations (private and public) are absent. The evolution toward civil society takes place on the basis of a social pact arising from unanimous agreement amongst individuals. In such a framework, the government is an arbiter select­ ed unanimously and by a mutual consent. Its task is to settle possible controversies without modifying the fundamental human rights (life and liberty) and property, since these are pre-existing to the social pact itself. It is important to note that several times Locke (1690, sec­ tion 94, 134, 138, 222) uses the term property latu sensumeaning both human rights and property rights on commodities. He has always clarified that since everyone is free and equal in the pre-existing state o f nature’, the rule that nobody can harm any other in the en­ joym ent of such rights would form spontaneously(section 6 of the Sec­ ond Treatise).

In the neo-Lockeian models is assumed that it is possible to have some organisations but without hierarchical structures and coercion. In Buchanan’s clubs model it is assumed that the existence o f perfect mobility between clubs can realise a situation in which every club is formed by persons with similar preferences (1). The analogy between clubs, organisations like firms and different levels o f government leads us to consider again a model o f civil society without costs o f co­ ercion and, therefore, without conflicts inside the organisations.

This hypothesis cannot be applicable to big enterprises, often strongly hierarchisized, and to many local governments. In these cas­ es employees have concrete limits o f mobility. Public and private or­ ganisational structures are characterised by high levels o f hierarchy and coercion often associated to bounded rationality and asymmetric information. This is the reason that induces us to replace the model of

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simple co-operation with a more complex model. In the next sections we note — beginning from the analysis of Hume that such a mod­ el considers the organisations like enterprises and different levels of government as tools for reducing the transaction costs in a co-operative society {2).

3. Organisations and formal rules in the Hume’s model of ‘co-opera­ tive’ society.

David Hume, whose philosophy was highly influential in shaping Adam Smith’s ideas, affirmed that individuals should behave accord­ ing to ‘co-operative rationality’ (Hume, 1739). They understand that absence of co-operation and permanent conflicts (the war of one against the other) is harmful for everybody. On the contrary, a co-op­ erative attitude and a loyal exchange of information promote the in­ terest of the whole collectivity without harming anybody. This co-op­ erative rationality would lead firms and individuals to realise the con­ venience of stipulating loyal contracts and entrusting to an arbiter the resolution of possible controversies. The model of a society of ‘perfectly’ informed and rational individuals leads to hypothesise that public institutions would be considered as tools to guarantee the respect of the loyalty principle in stipulating contracts and the exis­ tence of symmetric information between contracting parties. This, of course, would produce net benefits for the entire society.

The utilitarian formulation of Hume, which considers the society and the State as founded upon the co-operation among individuals, overcomes the Locke’s giusnaturalistic doctrine of consent (the social contract as basis of authority) and, above all, the Hobbes’ (1651) pes­ simistic vision of the role of institutions. In his masterpiece, the Leviathan, Hobbes explains the genesis of the State as a necessary remedy against the barbaric and unbearable state in which men live (bellum omnium contra omnes). Comparing the State to the biblical monster, Hobbes sees in it an absolute and tyrannical power, expres­ sion of a strength imposed on its subjects due their incapability of self- governing. The state is an independent and autonomous body with respect to the collectivity. It is invented by individuals to enhance their utility as the only possible solution to perennial struggles, bloody contrasts and inside war.

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The modern democratic societies draw their own inspiration from Hume’s model of co-operative rationality in which the State is not a monstrous and necessary entity to suffocate human violence as Hobbes’ Leviathan. It is rather a structure whose authority leans on the historically consolidated customs to assure a better achievement to co-operative society. It is founded on the rationality principle, infor­ mation and loyalty also towards those who, either because under age, or because insane or irrational (the criminals), are not able to appreci­ ate the benefits of co-operation.

Such a conception is the one substantially developed by Adam Smith and classical economists. Many fundamental theorems such as Ricardo’s theory o f comparative costs, constitute a splendid demon­ stration of the advantages of the division of labour and co-operation. According to Hume’s line of thought, accepted, inter alios, by Smith and Ricardo, property rights are not natural, but socially use­ ful to increase collective welfare and to facilitate economic and social growth. As it is well known, on this theoretical basis is founded the utilitarianian philosophy from Bentham onwards which considers rhetoric and fallacious those theories based on the concept of natural rights. This heritage is still considered a current value by the most of the economists and it has been broadly supported and developed in the current century in the Human Action by Von Mises (1949).

In such a framework, the classical theory used (and still uses) al­ so other hypotheses. They refer to the existence o f an ideal world where all contracts have immediate execution and where individuals are perfectly informed, rational and loyal. In such a world all the ex­ changes take place without transaction costs. This situation mirrors to a great extent that of perfect competition where private and public organisations do not play a decisive role. Every individual exchanges his commodities instantly without costs due to the execution o f the contract. As argued above, the information is symmetric and perfect­ ly distributed amongst the parties and there is not opportunism in the exchange activities. This results advantageous for all the contrac­ tors.

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