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LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI

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LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI

Relatore:

dott. Carlo CASSANO

presidente del Tribunale di Alba

Il primo problema in cui ci si imbatte dovendo trattare delle at- tribuzioni dei Capi degli uffici, tema che mi è stato affidato per la relazione introduttiva, è quello posto dalla mancanza di una regola- mentazione ad hoc. Una disorganica disciplina della materia è rin- tracciabile attraverso una molteplicità di fonti: nella Costituzione, nei residui frammenti dell’Ordinamento Giudiziario (approvato con R.D.

30 gennaio 1941 n.12) ed in molte leggi sparse, succedutesi nel tem- po, che variamente l’hanno modificato od integrato, nelle sentenze della Corte Costituzionale e dei giudici ordinari ed amministrativi, nei numerosi interventi, infine, di normazione secondaria del Consiglio Superiore della Magistratura (risoluzioni, pareri, circolari, risposte a quesiti) (1).

Va subito detto che il complesso delle fonti si è negli ultimi tem- pi alquanto arricchito per effetto delle numerose modifiche ordina- mentali introdotte dal legislatore sia con riferimento al nuovo codi- ce di procedura penale sia nel ridisegnare gli istituti delle applica-

(1) Per una rassegna delle fonti sull’Ordinamento giudiziario cfr. A. PIZZORUS- SO, “La legge sull’ordinamento giudiziario nel sistema delle fonti”, in “L’Ordinamento giudiziario”, Bologna 1974, 485 ss.; ID. “Ordinamento giudiziario, in Appendice del Novissimo Digesto Italiano, Torino 1984, 530 ss.; G. VOLPE, “Ordinamento giudizia- rio”, Enciclopedia del diritto XXX, Milano 1980, 836 ss.

Sull’attività di normazione secondaria del C.S.M. cfr., inoltre, G. FICI, “Il pro- cesso di democratizzazione dell’Ordinamento giudiziario”, Quaderni della giustizia n.

61, 47 ss; R. TERESI, “Il Consiglio Superiore della Magistratura”, Napoli 1984, 93 ss.;

F. BONIFACIO, G. GIACOBBE, “La Magistratura”, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Bologna - Roma 1986, 96 ss.

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zioni e delle supplenze dei magistrati (2).

Alle innovazioni legislative ha puntualmente fatto seguito la emana- zione da parte del Consiglio Superiore di circolari, particolarmente nel- la materia tabellare (3) e nella materia delle applicazioni e supplenze (4).

Compiti non lievi riserva poi al dirigente, specie nella fase tran- sitoria, la recente novellazione del codice di procedura civile.

Nel frattempo sono giunte al vaglio parlamentare importanti ini- ziative legislative ministeriali. Si tratta del disegno di legge sugli in- carichi direttivi, sulla temporaneità degli stessi e sulla reversibilità delle funzioni (riguardante anche i Consigli giudiziari) (5) e del di- segno di legge concernente la responsabilità disciplinare dei magi- strati (e le cause di incompatibilità) (6).

Ancora una volta, come si vede, interventi settoriali hanno fru- strato l’attesa di un nuovo modello, unitario e coerente, di ordina- mento giudiziario invano preannunziato dalla settima disposizione transitoria della Costituzione; anche se a tal fine non sono mancati studi e progetti, succedutisi nel tempo, di una riforma organica.

La dottrina che più si è occupata di problemi ordinamentali (7), i progetti di riforma (8), studi e relazioni (9) elaborati dal Consiglio

(2) V. artt. 4 e 25-28 D.P R. 22/9/1988, n. 449. Legge 21/2/1989, n. 58 (com- mentata da A. GHIARA, in “La legislazione penale” n. 4/1989, 519 ss.) art. 3 D. lgs.

28/2/89, n. 272; art. 7, D. lgs. 28/2/1989, n. 273; art. 55, D.lgs. 14/1/91, n. 12.

(3) v. Circolare n. 1653/3 del 28/11/1989, concernente la formazione delle tabel- le di composizione degli uffici giudiziari per il biennio 1990-1991, nella raccolta del- le circolari del C.S.M. in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 40, Novembre 1990, 300 ss.

(4) v. Circolare sulle applicazioni e supplenze, Protocollo n. P.-91-07704 (deli- bera del C.S.M. in data 24/4/1991).

(5) Il testo unificato approvato dalla II Commissione permanente della Camera dei deputati, in sede referente, il 22/7/1988 è pubblicato in Documenti Giustizia, n. 9 del 1988, 154 ss.

(6) Il testo, approvato dalla II Commissione permanente della Camera dei depu- tati nella seduta del 13/3/1991 e trasmesso al Senato il 20/3/1991, è inserito nel mate- riale di consultazione e di studio fornito per il presente Incontro di studi, vol. I, 57 ss.

(7) cfr., in particolare, A. PIZZORUSSO, “Organi giudiziari”, Enciclopedia del di- ritto, XXXI, Milano 1981, 85 ss.

(8) Molto rilavante, nel perseguito scopo di allineamento dell’Ordinamento ai principi costituzionali, di adeguamento dell’organizzazione giudiziaria alle esigenze attuali della società ed all’elaborazione della disciplina organica dello stato giuridico del magistrato, è il risultato - schema di disegno di legge per la riforma dell’ordina- mento giudiziario e relativa relazione illustrativa - dell’attività svolta tra l’11/10/1982 ed il 30/4/1985 dalla Commissione Mirabelli costituita con D.M. 19/5/1982.

(9) v. Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia (1986-1990) in Quaderni del CSM n. 36/90, 137 ss.

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Superiore muovono, ai fini dell’inquadramento della funzione diri- genziale e quindi della figura del dirigente degli uffici giudiziari: an- zitutto, dalla fondamentale distinzione tra «ufficio», inteso come com- plesso di strutture soggettive predisposte all’esercizio di determinate funzioni, ed «organo» concepito come soggetto abilitato a compiere atti giuridici direttamente imputabili alla persona giuridica; in se- condo luogo, dall’osservazione che nell’organizzazione giudiziaria, per l’esigenza di assicurare un congruente rapporto tra momento giuri- sdizionale e momento amministrativo, ogni ufficio si presenta come una struttura complessa nella quale sono individuabili sub–uffici, al- cuni dei quali adempiono ad incombenze aventi rilevanza meramente interna (tenuta registri, compilazione delle statistiche) ed altri dota- ti invece di competenze rilevanti verso l’esterno, tra questi ultimi, di- stinguendosi, poi, uffici che esercitano semplici funzioni ammini- strative di carattere ausiliario (quali, ad esempio, il rilascio di certi- ficati e copie) ed uffici che svolgono funzioni collegate strettamente all’esercizio della giurisdizione; in terzo luogo dal rilievo che in que- ste ultime si possono distinguere funzioni di «amministrazione del- la giurisdizione» e funzioni giurisdizionali vere e proprie. Le prime inoltre possono avere carattere meramente burocratico (quali quelle concernenti l’impiego dei locali e del personale ausiliario), oppure possedere l’attitudine ad incidere particolarmente sull’esercizio della giurisdizione (come la distribuzione dei giudici nell’ufficio, la fissa- zione del calendario delle udienze, l’assegnazione degli affari). Attività amministrative in senso stretto sono inoltre quelle con cui si attua il raccordo tra gli uffici giudiziari ed il Ministero di Grazia e Giustizia.

Coesistono dunque nella realtà organizzativa giudiziaria funzioni am- ministrative in senso proprio o più specificatamente strumentali all’

esercizio della giurisdizione e funzioni giurisdizionali, a cui corri- spondono articolazioni interne differenziate operanti come veri e pro- pri organi sottoposti ad un diverso regime a seconda che esercitino l’uno o l’altro tipo di funzioni.

Sinteticamente si può osservare che, mentre agli organi che eser- citano funzioni giurisdizionali sono applicabili principi imposti dal- le norme costituzionali, quali la distinzione dei magistrati tra loro soltanto per diversità di funzioni (art. 107, 3° comma, Cost.) e non per gradi o categorie di appartenenza, e la precostituzione del giu- dice rispetto alla «regiudicanda» (art. 25, 1° comma, Cost.), per gli organi che esercitano funzioni amministrative strumentali all’eserci-

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zio della giurisdizione valgono i principi comuni a tutte le forme di organizzazione amministrativa: cosicché, mentre nei rapporti tra or- gani giurisdizionali non è configurabile altra gerarchia se non quel- la derivante dal sistema delle impugnazioni, nei rapporti tra organi di amministrazione della giurisdizione ben può sussistere un rap- porto di sovraordinazione-sottordinazione e quindi una «gerarchia».

E’ da notare che in dottrina si è osservato come la delineata di- stinzione non si attaglierebbe all’esercizio delle funzioni requirenti, poiché la organizzazione gerarchica degli uffici del pubblico mini- stero non riguarda soltanto l’esercizio di funzioni amministrative ad essi assegnate, ma anche, entro certi limiti, l’esercizio delle funzioni requirenti vere e proprie (10).

Attualmente l’amministrazione della giurisdizione è affidata, ol- tre che al Consiglio Superiore ed alle sue articolazioni interne (esclu- sa la sezione disciplinare a cui è riconosciuta la natura di organo giu- risdizionale) ai Consigli giudiziari e ai dirigenti degli uffici e non a ciascuno dei componenti dell’ufficio, operanti secondo turni di servi- zio. Solo al capo dell’ufficio, infatti, a cui la titolarità dell’ufficio vie- ne conferita dal C.S.M., o a chi lo sostituisce in caso di vacanza, as- senza o impedimento (quale il magistrato designato a sostituire il pre- sidente), o lo coadiuvi nell’esercizio delle funzioni amministrative (qua- le il magistrato-segretario generale, secondo una prassi invalsa pres- so alcuni grandi uffici, ed approvata dal C.S.M. (11), è attribuito l’eser- cizio delle funzioni stesse: cioè, in sintesi, al presidente della Corte di Cassazione, della Corte d’Appello, del Tribunale (ordinario, per i mi- norenni, di sorveglianza), al pretore dirigente, al procuratore della Repubblica presso i vari uffici (Cassazione, Corte d’Appello, Tribunale ordinario e per i minorenni, pretore), al conciliatore (o al nuovo giu- dice di pace, se andrà in porto la riforma in tal senso avviata).

Il modello rigidamente burocratico tracciato nell’Ordinamento giudiziario del 1941, che poneva i capi degli uffici come terminali periferici di un sistema di organizzazione del governo della magi- stratura, che aveva al vertice il Ministro e la Corte di Cassazione, è oggi un ricordo del passato. E ciò per effetto del processo di pro- gressivo adeguamento dell’ordinamento alla Carta Costituzionale, che

(10) cfr. A. PIZZORUSSO, “L’Organizzazione della giustizia in Italia”, nuova edi- zione riveduta e aggiornata, Torino, 1990, 97.

(11) v. Delibera 3/6/1987, pubblicato sul Notiziario del C.S.M. n. 10/87.

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ha avuto il suo fulcro nella costituzione del C.S.M. (legge 24. 3. 1958 n. 195 e D.P.R. 16. 9. 1958 n. 916) e si è sviluppato in una serie di interventi legislativi e di normazione di produzione consiliare che hanno direttamente inciso sulla funzione dirigenziale. Tuttavia non concluso appare per molti, o per molti aspetti, il cammino della rifor- ma in questo settore.

Si parte dalla considerazione che, nonostante tutto, la figura del dirigente dell’ufficio giudiziario conserverebbe ancora una troppo im- ponente serie di poteri che non troverebbe riscontro in alcun’altra realtà organizzativa, concentrando su di sé funzioni giurisdizionali, di amministrazione della giurisdizione, amministrative–gestionali, di con- trollo, di rappresentanza; un cumulo insomma di funzioni irrazionali sotto il profilo strutturale ed eccessivamente burocratizzato (12).

E si giunge, come si vedrà più oltre, a proporre limiti tempora- li massimi all’esercizio di funzioni direttive, a proporre nuovi mo- delli di dirigenti che vanno dalla prospettazione di nuovi sistemi e criteri di scelta e di controllo alla sostanziale svalutazione della fi- gura e del ruolo dei capi.

In realtà innumerevoli sono i compiti istituzionali, i doveri d’in- tervento, le mansioni, le incombenze, gli incarichi, le responsabilità ai vari livelli gravanti sui capi degli uffici, che il cercare di fornire un’elencazione precisa e completa sarebbe opera dagli incerti e in- soddisfacenti risultati.

Non volendo rinunciare tuttavia a fornire almeno a grandi linee un quadro delle attribuzioni stesse, la prima osservazione da farsi è che al magistrato con incarico direttivo è in primo luogo, assegnata la «dirigenza dell’ufficio», con tutte le iniziative che vi si connetto- no, da adottare ed esplicare secondo i criteri guida di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa dettati dall’art. 97 Cost.

Con l’osservanza peraltro, per quanto riguarda l’organizzazione de- gli uffici giudicanti, delle tabelle e dei criteri per l’assegnazione de- gli affari e la sostituzione dei giudici impediti, di cui agli artt. 3 e 4 del D.P.R. 22. 9. 1988 n. 449 di adeguamento, al nuovo processo pe- nale, dell’ordinamento giudiziario (arricchito degli artt. 7 bis e 7 ter) e, per quanto concerne l’ufficio del pubblico ministero, delle dispo- sizioni di cui all’art. 20 dello stesso decreto, nonché, in ogni caso,

(12) v. Relazione citata in nota n. 9, 139.

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con l’osservanza delle direttive impartite dalle circolari in materia del C.S.M. (l’ultima in ordine di tempo, emanata il 28. 11. 1989 – cita- ta alla nota n.3 – per le tabelle relative al biennio in corso; la quale opportunatamente precisa che il disposto del nuovo art. 7 ter O.G., pur se esclusivamente riferito agli «affari penali» ed imposto dai li- miti della delega legislativa, non esclude, anzi rende doverosa l’esten- sione agli affari civili di analoghi criteri di assegnazione).

In secondo luogo, ineriscono alla funzione direttiva la rappre- sentanza dell’ufficio nei rapporti esterni, la organizzazione e la di- rezione degli uffici di cancelleria e degli ufficiali giudiziari, i rap- porti con il Ministero di Grazia e Giustizia, sia nel senso dell’attua- zione delle direttive e disposizioni che concernono i servizi della giu- stizia (che spettano al Ministro a norma dell’art. 110 Cost.) sia nel senso dell’informazione dovuta in alcuni casi.

In terzo luogo, spetta al dirigente dell’ufficio adempiere alle de- libere del C.S.M., vigilare sull’osservanza degli obblighi d’ufficio da parte dei magistrati e del personale del proprio e di altri uffici sot- tordinati, segnalare ai titolari della azione disciplinare i fatti rilevanti ai fini del suo esercizio (13), conservare i fascicoli personali, redi- gere e trasmettere al Consiglio Giudiziario i rapporti informativi per i magistrati, e al Ministro per alcuni funzionari.

Gravano infine sui capi degli uffici innumerevoli altri compiti ed adempimenti (quali, a titolo esemplificativo, l’obbligatoria presiden- za di commissioni e collegi amministrativi, funzioni a volte neppu- re suscettibili di essere delegate) che le leggi e soprattutto le leggi processuali gli attribuiscono.

(13) L’obbligo della segnalazione non solo di procedimenti penali a carico di ma- gistrati ma anche di “fatti di possibile rilievo disciplinare”, non imposto dalla legge, già previsto dalla circolare n. 1888/26/81 della Commissione Rif. del C.S.M. 25/2/1981, in Notiziario n. 4/81, è stato ribadito con circolare 3/7/1984 n. 5654, in Notiziario n.

8/84. L’assenza di fattispecie precise di violazioni disciplinari tuttavia ha potuto - e può -lasciare una certa discrezionalità al capo dell’ufficio nella valutazione del fatto.

Provvede invece ad introdurre tale obbligo l’art. 12, 3° comma, del disegno di legge sulla responsabilità disciplinare dei magistrati - citato alla nota n. 6 – disponendo: “Il Consiglio superiore della magistratura, i Consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici debbono comunicare al Ministro di grazia e giustizia e al procuratore generale pres- so la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I presidenti di sezione e i presidenti di collegio debbono comunicare ai dirigenti degli uffici i fat- ti concernenti l’attività dei magistrati della sezione o del collegio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare”. Il testo approvato dalla Camera diverge dal testo pre- sentato dal Ministro che faceva invece riferimento ad “ogni fatto suscettibile di valu- tazione in sede disciplinare”.

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Passando da un’elencazione semplice all’individuazione di con- tenuti di maggior peso e rilievo nel ruolo dei dirigenti si eviden- ziano:

1) i compiti di organizzazione del lavoro giudiziario di cui si è detto accennando alla materia tabellare ed a cui si aggiungono gli interventi per le supplenze e le applicazioni, le proposte di nomine dei Magistrati Onorari, le assunzioni temporanee di personale non di ruolo.

2) i compiti di sorveglianza e vigilanza, finalizzati non solo all’ac- certamento di fatti rilevanti sul piano disciplinare ma anche di si- tuazioni di incompatibilità;

3) i compiti di informazione, finalizzati principalmente alla espressione dei pareri relativi alla progressione in carriera dei ma- gistrati ed in materia di incarichi extragiudiziari, ma anche alle ve- rifiche del lavoro giudiziario ed al monitoraggio (art. 15 D.P.R. 28.

7. 1989 n. 283).

Pressoché tutti gli anzidetti compiti formano oggetto specifico delle relazioni che seguiranno nel corso di questo incontro, in cui opportunatamente viene riservata anche una attenzione particolare ai molti problemi organizzativi posti dalla recente riforma del pro- cesso civile; per il che un approfondimento delle medesime temati- che sarebbe ora improvvidamente anticipatorio. Mentre in questa se- de sembra necessario introdurre piuttosto il dibattito sulla questio- ne generale della dirigenza e della revisione critica della figura del capo dell’ufficio e delle sue attribuzioni, tenuto conto delle proposte innovative, già formulate in sede legislativa, ed anche riguardo al se ed al come quei compiti siano o siano stati assolti, e con quali ri- sultati, dalla costituzione del C.S.M. in poi.

Al Consiglio Superiore è infatti affidato dalla Costituzione (artt.

105 e segg) il «governo» della magistratura e quindi l’esercizio del- le connesse funzioni amministrative, le quali tuttavia, per la loro stessa complessità, comportano non solo l’impossibilità pratica che il loro esercizio da parte del Consiglio avvenga sempre in assem- blea plenaria o in forma collegiale nelle sue articolazioni interne, ma impongono, come la realtà normativa dimostra, che una parte di esse sia attribuita a soggetti diversi, quali i Consigli giudiziari ed i capi degli uffici. Ed è importante rammentare in proposito che, proprio per armonizzare con i richiamati principi costituzionali sul

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governo della magistratura, affidato al C.S.M., le norme che attri- buiscono a soggetti diversi dal Consiglio funzioni amministrative strumentali rispetto all’esercizio della giurisdizione, norme da rite- nersi altrimenti incostituzionali, è prevalso l’orientamento di consi- derare gli atti di amministrazione della giurisdizione, attualmente assegnati alla competenza dei capi degli uffici, come atti assogget- tabili al potere generale di controllo del C.S.M., che, come affer- mato dalla Corte Costituzionale, può portare anche ad un loro even- tuale annullamento (14).

Pur inserita in questo modulo organizzativo, e nonostante il ra- dicale mutamento verificatosi con la diffusione del sistema tabella- re, che ha assicurato la garanzia della indipendenza anche «interna»

ad ogni giudice nella realizzazione del principio costituzionale di «na- turalità» e «precostituzione» (art. 25, 1° comma Cost.) la disciplina dei dirigenti degli uffici, e degli stessi Consigli giudiziari, e dei rap- porti tra tali organi ed il C.S.M., è sembrata ancora disarmonica ri- spetto alla disciplina del Consiglio stesso. Ed appunto dall’esigenza di raccordare le due discipline muovono le iniziative ministeriali di cui si è detto in premessa attualmente all’esame del Parlamento.

In linea con un tradizionale orientamento che è andato consoli- dandosi in sede associativa, la II Commissione permanente della Camera ha approvato, in sede referente, il testo unificato di disegni di legge concernenti la c.d. mobilità dei magistrati, la reversibilità delle funzioni ed i Consigli giudiziari (15), introducendo il principio della temporaneità degli incarichi direttivi (ed estendendolo, a sor- presa, con l’art. 29, alle funzioni di tutti i magistrati). Secondo il te- sto approvato, la durata dell’incarico direttivo è fissata in cinque an- ni ed è rinnovabile per altri cinque in sedi giudiziarie del medesimo o di altri distretti di Corte d’Appello.

Quanto alla reversibilità delle funzioni, il disegno di legge sta- bilisce all’art. 28, che i magistrati che ricoprono un ufficio con fun- zioni di legittimità o equiparate possono essere destinati, a loro do- manda, anche ad un ufficio con funzioni di magistrato di appello o

(14) v. Sent. 23/7/1974 n. 245 Corte Cost., in Giust. Civ. 1974, III, 434; v. anche le sentenze della stessa Corte nn. 143 e 144 del 1973, in “Foro it.” 1973, I, 2644. Dubita tuttavia sia della legittimità che dell’opportunità del “supposto” potere consiliare di annullamento R. MORETTI, “Sull’incerto fondamento giuridico degli atti consiliari che annullano provvedimenti dei capi degli uffici giudiziari”, in Giur. cost. 1974, 3574.

(15) v. nota n. 5.

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di tribunale (1° comma), mentre i magistrati che ricoprono un uffi- cio di magistrato di appello o equiparati possono essere destinati a loro domanda, anche ad un ufficio con funzioni di magistrato di tri- bunale (2° comma). Certamente della reversibilità potrà avvalersi il dirigente che, alla cessazione dell’ufficio per scadenza del previsto periodo, dovrà lasciare l’incarico, con riferimento alle assegnazioni alla sede di provenienza, se vi sono posti vacanti, con precedenza as- soluta; o,se non vi sono posti vacanti, in soprannumero ad uno de- gli uffici giudiziari del comune in cui ha sede l’ufficio a cui egli era preposto come dirigente (art. 24).

Qui occorre anche mettere in risalto che nello stesso disegno di legge vengono altresì formulate altre innovazioni di notevole impor- tanza in materia di incarichi direttivi, prevedendosi il trasferimento ai Consigli giudiziari, come riformati nel testo (nella composizione e durata, e con la creazione dell’organo anche presso la Cassazione), di compiti già di pertinenza dei dirigenti degli uffici. Si tratta della for- mulazione delle proposte tabellari, della suddivisione in sezioni degli uffici giudiziari del distretto e della destinazione dei magistrati a ta- li sezioni ed infine dell’assegnazione degli uffici ai singoli magistrati (il tutto con cadenza peraltro annuale, rispetto a quella biennale dell’at- tuale disciplina, nella formazione delle tabelle degli uffici giudiziari);

del potere di proporre la nomina o la revoca di vice pretori onorari, conciliatori ed esperti; del compito di attribuire, nel corso dell’anno, provvisoriamente a ciascun magistrato le funzioni, nonché di «di- sporre» le supplenze e le applicazioni, provvedendo, infine, sulle ri- chieste e sui reclami presentati in relazione a tali materie.

Esprimendo su tali innovazioni – temporaneità degli incarichi direttivi e nuove attribuzioni dei Consigli giudiziari – il proprio pa- rere nella seduta del 14. 12. 1988 (16), il Consiglio Superiore ne ha colto il significato affermando che esse «accentuano la risposta rifor- matrice relativa agli uffici direttivi caricandola di soluzioni che apro- no nuovi interrogativi, come quello di una ridefinizione della figura e del ruolo del titolare di quegli uffici, dei suoi poteri di vigilanza e dei segmenti di potere organizzatorio che dalla parcellizzazione del- la funzione direttiva potrebbe residuare».

L’introduzione di un limite temporale all’esercizio delle funzio- ni direttive è sempre stata giustificata dall’esigenza di evitare che ta-

(16) Il parere è pubblicato sul Notiziario del C.S.M. n. 16/88.

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le esercizio divenisse una professione a se stante, un vero e proprio status, con il rischio di una cristallizazione per molti anni della ge- stione di un ufficio secondo criteri soggettivi e della creazione di cen- tri e sedimentazioni di potere capaci di determinare influenze peri- colose per l’imparzialità della funzione.

Non sono mancate obiezioni alla scelta della temporaneità da parte di chi (17), pur non disconoscendo la serietà degli argomenti addotti dai suoi sostenitori, e pur senza far leva sul dubbio di una possibile incrinatura del principio dell’inamovibilità – ipotesi scarta- ta dai più per via della previsione ex lege della stessa, non meramente dipendente da un atto amministrativo – ne ha sostenuto l’impratica- bilità per il prevedibile caos che la sua applicazione potrebbe deter- minare nei vari uffici per la rimozione di tutti i magistrati che rive- stono un ufficio direttivo alla scadenza del periodo considerato (in ipotesi, allo scadere del quinquennio).

Anche la larga maggioranza del C.S.M. nella seduta del 14. 12. 1988 (18) ha condiviso la scelta della temporaneità, rammentando però co- me il fondamento nella realtà andasse ricercato non solo nel pericolo di sedimentazioni di potere, «ma anche nella più ampia platea di po- sizioni e di esperienze culturali che sarebbero utilizzabili una volta che gli incarichi direttivi venissero limitati nel tempo, con conseguenti be- nefici effetti anche in termini di pluralismo della funzione giudiziaria».

Il disegno di legge in esame enumera bensì all’art. 20 i singoli uf- fici direttivi (e all’art. 27 i soggetti che sono investiti di funzioni di

«collaborazione direttiva»), ma non prevede né una tipologia di re- quisiti per conseguire l’incarico (salvo la preclusione per coloro il cui collocamento a riposo abbia luogo entro i due anni successivi), né in- tegrazioni dei vigenti criteri basati sull’anzianità e sul merito. E nep- pure innovazioni circa lo stato giuridico del titolare di ufficio diret- tivo, la cui posizione, quindi, continua ad essere collegata, come av- viene attualmente, alla titolarità di uno specifico posto dell’organico.

Anche se non sfiorato dal disegno di legge, il problema della ri- cerca dei criteri per la scelta ottimale dei capi degli uffici collegato all’esigenza, ampiamente e da tempo sentita all’interno ed all’ester-

(17) cfr. U. NANNUCCI, “Nomina agli uffici direttivi e temporaneità dell’incari- co”, in Documenti giustizia n. 3/89, 60 ss.

(18) v. nota n. 16.

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no della magistratura, di una maggiore qualificazione professionale dei dirigenti, continua – almeno per ora – a riproporsi come uno dei più discussi nel dibattito sulle più urgenti riforme ordinamentali.

Generalmente si riconosce che la anzianità di servizio è un cri- terio che non dovrebbe essere del tutto abbandonato, o comunque troppo svalutato, per due ottime ragioni. La prima, perché garanti- sce un riferimento oggettivo rispetto a scelte che, in assenza di rife- rimenti normativi sicuri e sufficientemente determinati di valutazio- ne di speciali requisiti professionali, potrebbero altrimenti essere trop- po discrezionali. La seconda, perché valorizza, di solito, non trascu- rabili fattori di esperienza (19). E non manca chi dubita, poi, che l’individuazione della capacità professionale possa avvenire utiliz- zando strumenti oggettivi.

Ma si obietta che l’anzianità non può bastare (20) perché, se non accompagnata da altri elementi di giudizio, non può assicurare il raggiungimento del fine primario del buon amministratore in quan- to, solo casualmente, il concorrente più anziano sarà proprio colui che potrà garantire il miglior servizio.

Ed ancora, ha osservato lo stesso C.S.M. nella relazione al Parlamento sullo stato della Giustizia 1986-1990, che il problema non è tanto quello di ridurre l’incidenza del fattore dell’anzianità, quan- to quello di assicurare scelte che tengano maggiormente in conto le attitudini professionali dei magistrati e siano adeguate alle esigenze del servizio. Si osserva, nel documento, che tutto il sistema vigente di assegnazione di funzioni e di sedi è un sistema fondato sulle do- mande degli interessati i quali si distribuiscono nelle diverse funzioni e aree professionali secondo le loro propensioni. Ma ciò non sempre può dirsi per i dirigenti, perché talvolta la domanda per un ufficio direttivo può essere inquinata da mere aspettative di «carriera». Nel sistema dato, infatti, l’acquisizione di un ufficio direttivo determina anche l’acquisizione di uno status permanente ed irreversibile: e ciò

(19) L’esigenza di utilizzare e non disperdere il patrimonio di esperienza del ma- gistrato aspirante a funzioni direttive é sottolineata da G. SARNO, “La progressione in carriera dei magistrati”, in Legalità e giustizia n. 2-3/89, 205.

(20) Per una critica del criterio, spesso adottato, dell’“anzianità senza demerito”

che, nella misura in cui deprime e sottovaluta il merito e le attitudini, si colloca in posizione antitetica rispetto alla prioritaria esigenza che la professionalità rappresen- ta, cfr. V. MACCARONE, F. SCHIRO, A. MURA, “La professionalità del magistrato:

contributo per una definizione”, in Legalità e giustizia n. 4/89, 379 ss.

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può sollecitare aspirazioni motivate per l’appunto dal desiderio di raggiungere quello status magari a coronamento di una lunga car- riera giudiziaria, anziché dalla reale propensione ad assumere la re- sponsabilità della effettiva, e spesso non semplice, gestione di un uf- ficio. Non senza rilevare che la scelta di magistrati meno anziani an- corché più idonei, può trovare controindicazioni proprio nella pro- spettiva di una permanenza eccessivamente prolungata nel medesi- mo incarico, magari per l’impossibilità di trovare poi un altro uffi- cio di «grado» non inferiore. Donde l’opportunità di introdurre, co- me primo obiettivo per tutti gli incarichi direttivi, adeguati limiti temporali e quella possibilità di «tornare indietro» (rispetto all’as- sunzione di uno status di grado superiore), comunemente indicata come reversibilità delle funzioni.

In realtà già oggi, come è noto, le direttive del C.S.M. (21), pre- vedono, ai fini del conferimento degli uffici direttivi, il necessario ri- ferimento, oltre che all’anzianità nella qualifica per il posto da co- prire, all’attitudine ed al merito, desunti da elementi oggettivi e con- trollabili ricavati dal fascicolo personale dell’aspirante, ed, occorren- do, da altri elementi (dati del lavoro svolto, pareri già espressi dal Consiglio Giudiziario o da esprimere su richiesta specifica, autore- lazione dell’interessato, accertamenti diretti del Consiglio, audizioni).

Quanto all’attitudine, poi, intesa come «idoneità a ricoprire il posto vacante e ad esercitare degnamente, per requisiti di indipen- denza, capacità e prestigio, le relative funzioni», vengono in rilievo:

il profilo professionale complessivo del magistrato (preparazione, com- petenza, capacità di fronteggiare in modo adeguato la domanda di giustizia, dimostrata nel corso di tutte le sue attività professionali, e dalla sua esperienza culturale specifica; la capacita organizzativa, desumibile dall’evidente validità dei metodi operativi e di gestione degli affari e dei servizi di cui il candidato abbia dato prova nell’eser- cizio di altre o di analoghe funzioni); il pregresso positivo esercizio

(21) v. la Circolare 19/10/1987 n. 11995, in Notiziario del C.S.M. n. 15/87, in cui sono stabiliti i “criteri” da seguire per il conferimento di tali uffici, ed anche la Circolare 22/2/1985 n. 1275, in Notiziario del C.S.M. n. 2/85, contenente disposizioni in tema di pareri dei Consigli giudiziari, che al paragrafo 3 lett. H) indica nella “capacità e preparazione professionale” nonché nell’“attitudine alle funzioni direttive per lo spe- cifico ufficio da assegnare” i parametri per il parere richiesto in vista del conferimento di uffici direttivi.

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di funzioni di livello pari a quello del posto da coprire.

Quanto al merito, il riferimento va fatto all’impiego, alla pun- tualità nel lavoro, all’osservanza dei propri doveri, all’indipendente esercizio della funzione giurisdizionale.

La verifica dell’attitudine e della professionalità è dunque una regola da osservare in ogni caso. Senonché è di comune constata- zione che essa è di fatto vanificata nella sostanza da una prassi in materia di redazione di pareri da parte dei Consigli giudiziari del tutto insoddisfacente, i cui difetti di fondo sono stati ravvisati dal- lo stesso C.S.M. nella scarsa autonomia delle valutazioni dell’orga- no rispetto ai rapporti informativi dei dirigenti degli uffici; nel ri- ferimento frequente a dati estranei al modello normativo incentra- to sulla personalità tecnica del magistrato (laboriosità, equilibrio, diligenza, capacità, preparazione); nella scarsa attenzione ai profili realmente professionali del lavoro svolto ed al puntuale adempi- mento dei doveri d’ufficio; nell’omologazione di tutti sulla base di valutazioni elogiative, spesso apodittiche, con conseguente assenza di momenti di selezione negativa; nella frequente confusione, infi- ne, tra profili di idoneità generica (relativi al conseguimento della qualifica superiore) e profili di idoneità specifica (relativi al compi- mento di una specifica funzione), rilievo che direttamente riguarda l’attribuzione degli uffici direttivi.

Dunque il problema più grave, della scelta, cioè dei magistrati effettivamente capaci e idonei per la direzione ed organizzazione de- gli uffici giudiziari, è rimasto aperto; così come non risolto è quel- lo, connesso, di un efficace controllo della persistenza, dopo l’asse- gnazione e per la durata di svolgimento dell’incarico direttivo, delle doti attitudinali specifiche, richieste al momento del conferimento, e segnatamente della capacità organizzativa desumibile dai metodi ope- rativi e di gestione in concreto adottati e dai risultati ottenuti.

Problema che, va osservato, non potrebbe essere avviato a so- luzione (neppure se risultasse confermata dal legislatore la scelta della temporaneità), fino a quando non fosse elaborata, da un lato, una specifica normativa che disciplinasse in termini sufficiente- mente chiari e certi i modi di rilevamento e i parametri di valuta- zione dei requisiti necessari per svolgere adeguatamente le funzio- ni direttive, e, dall’altro, assicurata una maggiore qualificazione pro- fessionale dei dirigenti, da conseguire eventualmente attraverso la

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frequenza di appositi corsi di preparazione e di aggiornamento (22).

Nell’attesa, un modo più radicale di affrontare il problema vie- ne suggerito da chi, preso atto del fallimento del sistema di valuta- zione attitudinale fin qui applicato, che sarebbe quasi mai riuscito a mettere in luce gli aspetti negativi che avrebbero dovuto comporta- re l’esclusione dell’assegnazione di uffici direttivi degli elementi me- no qualificati, propone un processo di revisione del ruolo stesso del dirigente con l’abolizione del legame ora esistente tra l’esercizio del- le funzioni direttive e la titolarità di uno specifico posto in organi- co. Con la conseguenza che tali funzioni potranno essere esercitate da uno dei magistrati addetti all’ufficio, giudicante, a cui verrebbe- ro attribuite con provvedimento del C.S.M. (con criteri di scelta che dovranno essere elaborati) ed, eventualmente, anche mediante il si- stema tabellare; sistema che dovrebbe essere esteso, con gli adatta- menti opportuni, anche agli uffici requirenti. (23).

Ha avuto fortuna, negli ultimi tempi, una formula, «azienda giu- stizia» (24) che, proponendosi, con il richiamo immediato ad un ben preciso modello organizzativo, come rimedio alle disfunzioni della macchina giudiziaria, dovrebbe rappresentare, se non la panacea di tutti i mali che affliggono la giustizia, quanto meno un serio tenta- tivo di risalire la china, mediante un processo di razionalizzazione dell’azione organizzativa e di supporto dell’attività giurisdizionale sul piano tecnico e sul piano delle strutture.

Sul piano tecnico, adottando adeguate misure di svecchiamento e di sburocratizzazione delle procedure e metodi attualmente in uso, e con la introduzione generalizzata dell’informatica. Sul piano struttu- rale, costituito dall’insieme delle persone impiegate e dei mezzi di- sponibili nell’organizzazione, garantendo una miglior distribuzione del- le risorse, materiali ed umane, e la formazione del personale, nonché

(22) L’utilità di un intervento legislativo che fissi i requisiti e gli elementi da con- siderare ed i criteri di valutazione degli stessi ai fini della nomina dei dirigenti e dell’introduzione di un sistema di verifica della permanente capacità ed idoneità del magistrato all’esercizio delle sue funzioni è prospettata da P. DI MARCO e C. PIAZ- ZA, “L’organizzazione degli uffici giudiziari”, in Quaderni della giustizia n. 64, 26 ss.

(23) Si tratta di proposte emerse nel corso di recenti sedute della Commissione riforma, dedicate all’elaborazione di un nuovo modello di ordinamento giudiziario.

(24) cfr. sul tema gli Atti della “Conferenza nazionale della Giustizia” svoltasi a Bologna dal 28 al 30/11/1986; C.A. TESTI, “L’azienda giustizia: i processi di riorga- nizzazione”, in Legalità e giustizia n. 4/89, 413 ss.

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attraverso una analisi corretta della concreta situazione e delle reali esigenze dei singoli uffici, in relazione al carico ed ai flussi del lavo- ro, per assicurarne il massimo grado di efficienza. Obiettivo il cui rag- giungimento sarebbe compromesso in partenza se non si abbando- nasse l’abitudine a ragionare sulla base di poco affidabili statistiche, per acquisire invece la conoscenza di ogni dato rilevante, compresi quelli concernenti l’attività di direzione degli uffici, attraverso misu- ratori uniformi, scientificamente attendibili, raffrontabili tra loro, ba- sati sull’elaborazione di sistemi di rilevazione accurata e precisa che le moderne tecniche di indagine ormai consentono di ottenere.

Il sistema ipotizzato dovrebbe essere in primis utilizzato per la raccolta e l’elaborazione dei dati necessari per approntare un accetta- bile progetto di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, da più parti reclamata, prevista dall’art. 41 DPR. n. 449/88 e formante oggetto di un recente disegno di legge, n. 2478/1990, presentato dal Ministro di Grazia e Giustizia al Senato, (progetto che prevede tuttavia, secondo i primi rilievi, basati su di un primo abbozzo di modello applicativo dei parametri indicati – predisposto dal C. S. M., di cui ho potuto prendere visione – un meccanismo complessivo fortemente discordante, in quanto, da un lato, utilizza parametri rigidi, aritmetici, e, da un al- tro, adopera parametri geografici grezzi che si pongono in un rapporto quanto mai vago e indefinito con la realtà territoriale: al punto che, applicando le formule previste dal disegno, si giungerebbe al risultato paradossale della eliminazione di tutti i tribunali della Calabria).

Quanto detto sulla urgenza e necessità di un processo di svec- chiamento degli apparati e di cambiamento della geografia giudizia- ria (attraverso un’opportuna opera di revisione di mega uffici, ormai ingovernabili, e di accorpamento di uffici di minime e medie pro- porzioni) inciderebbe, a processo compiuto, di certo positivamente nel favorire il rinnovamento della attività di direzione degli uffici giu- diziari, a chiunque in concreto affidata ed a qualunque modello di dirigenza ispirata (25).

(25) Si tratti, cioè, del dirigente “manager”, nella visione aziendalistica di cui tanto si parla; del dirigente “dimezzato” nella prospettiva dell’instaurazione della c.d.

“doppia dirigenza”; del dirigente “robot”, immagine evocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri in un recentissimo incontro televisivo dedicato ai problemi della giusti- zia; del dirigente “espropriato” di ogni potere, semplice rappresentante dell’ufficio, nel- la nuova forma di dirigenza collegiale affidata al Consiglio giudiziario nel già citato disegno di legge approvato in sede referente della Camera dei Deputati.

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Ma, per ora, e per l’immediato futuro i capi degli uffici conti- nueranno a misurarsi, come per il passato, con le quotidiane diffi- coltà determinate anzitutto dai gravi e diffusi vuoti di organico dei magistrati e del personale di cancelleria e segreteria, causa prima della disfunzione degli uffici ed esiziale per l’efficienza del servizio della giustizia, e, sulla scorta della recente esperienza, compiuta con l’introduzione del nuovo codice di procedura penale, avendo davan- ti lo spettro del fallimento prossimo venturo della riforma del pro- cesso civile.

Le innovazioni introdotte dalla legge 26 novembre 1990 n. 353, intitolata «Provvedimenti urgenti per il processo civile» e che do- vrebbero entrare in vigore il 1° gennaio 1992, infatti, non solo non sembrano destinati ad alleviare l’eccessivo carico di lavoro gravan- te sui giudici civili, anche per l’entità dell’arretrato accumulatosi nel tempo, ma richiedono un nuovo e maggior impiego di uomini e di mezzi.

Esse infatti, come è noto, sono dirette ad eliminare, mediante l’introduzione delle preclusioni, lungaggini e tempi morti del pro- cesso, a favorire la sollecita trattazione e conclusione delle cause; in- troducono la possibilità di provvedimenti anticipatori durante il cor- so del processo; rivalutano il primo grado con lo statuire l’efficacia immediata della sentenza; prevedono l’impugnabilità di tutti i prov- vedimenti cautelari; istituiscono il giudice monocratico in tribunale, aboliscono la dicotomia giudice istruttore–collegio in appello con con- seguente attuazione della collegialità piena in tale grado.

Quest’ultima innovazione e, nel primo grado, la necessità che fin dalla prima udienza il giudice istruttore conosca i termini della lite onde procedere all’interrogatorio libero delle parti presenti ed al tentativo di conciliazione delle stesse, come stabilito dal nuovo art. 183, il che comporta una prima udienza con un numero limi- tato di cause che l’istruttore abbia potuto adeguatamente studiare, richiedono all’evidenza la disponibilità di un maggior numero di ma- gistrati per le esigenze del processo civile. E ciò tanto più se si tie- ne conto della necessità di smaltimento accelerato anche dalle in- genti pendenze, cui sono dedicate le disposizioni di cui all’art. 90, sulla disciplina transitoria ed all’art. 91, sulla organizzazione degli uffici nella fase transitoria. Quest’ultima norma prescrive infatti che, nel primo biennio di applicazione della novella, il numero di magi- strati addetti esclusivamente alla trattazione delle controversie pen-

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denti alla data dell’entrata in vigore della legge stessa, non debba essere inferiore alla metà né superiore ai due terzi di tutti i magi- strati incaricati della trattazione delle controversie e degli affari ci- vili (mentre per gli anni successivi il numero dovrà essere stabilito con decreto del Presidente della Repubblica); ma che laddove, l’or- ganico degli uffici giudiziari, per la sua esiguità, sia tale da esclu- dere l’applicazione di quel principio distributivo, spetta al capo dell’ufficio adottare – cioè arrangiarsi! – «gli idonei provvedimenti per consentire una equilibrata trattazione delle controversie in re- lazione al carico delle pendenze esistenti all’anzidetta data nonché al numero delle cause sopravvenute».

Vi sono certamente più letture possibili di una norma.

Di questa, per ultima citata, contenuta nel terzo comma del pe- nultimo articolo della recente legge n. 353/90, vorrei cogliere, con- cludendo la relazione, più che il realismo, pur apprezzabile del ri- chiamo alle carenze d’organico di cui soffrono attualmente numero- si tribunali e preture, paradossalmente quasi un messaggio di fidu- cia (o d’incoraggiamento) del legislatore verso i capi di quegli uffici in difficoltà.

REPLICA DEL RELATORE

Non ho esposto nella relazione una mia personale proposta di soluzione dei vari problemi trattati, ma ritengo di avere chiaramen- te, spero, riassunto le opinioni e gli indirizzi più significativi emer- si nel dibattito sulla riforma della dirigenza degli uffici giudiziari.

Sicuramente come ha fatto notare il collega Di Stefano, all’an- zianità di servizio s’accompagna normalmente l’esperienza. Ed espe- rienza vuol dire acquisita conoscenza degli uomini, dei servizi, del- le esigenze degli uffici. Per cui un magistrato che abbia svolto per molti anni funzioni requirenti poniamo prima come sostituto e poi come capo di una procura, sarà di regola – almeno si suppone - più adatto di un altro, che non abbia mai svolto tali funzioni, per assu- mere un nuovo incarico di dirigente di un’altra Procura della Repubblica.

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Tutto ciò è certamente vero, ma prima di conferirgli un nuovo uf- ficio occorrerà pur sempre valutare se in concreto quel magistrato sia stato capace di dirigere quello in precedenza affidatogli. Magari per accorgersi ex post e soltanto, come purtroppo è accaduto in occasio- ne dell’assegnazione della presidenza di un tribunale, che un magi- strato che da anni dirigeva un altro ufficio non meno importante, si era dimostrato per più aspetti non all’altezza del suo compito, con con- seguente avvio nei suoi confronti di un procedimento disciplinare.

Quanto alla validità degli altri criteri di valutazione dell’aspirante al conferimento di un incarico direttivo, richiamati dal collega nel suo intervento, debbo dire, quanto alla laboriosità, che non ritengo sufficientemente indicativo il semplice dato numerico emergente dai prospetti statistici comparativi in uso. I numeri di per sé esprimono soltanto grandezza quantitativa ma non toccano né la qualità né le difficoltà del lavoro e dell’impegno del magistrato.

Sarebbe comunque auspicabile, in quanto renderebbe più profi- cua l’utilizzazione delle statistiche, l’adozione di modelli e prospetti rigorosamente uniformi per tutti gli uffici, nei quali, pur non di- staccandosi dall’espressione numerica, venissero impiegati numeri in- dice esprimenti una oggettiva valutazione qualitativa media dell’im- portanza degli affari trattati appartenenti a distinte categorie.

Rammento, in proposito, che in questa direzione si muove il dise- gno di legge delega concernente la revisione delle circoscrizioni giu- diziarie con il richiamo a parametri valutativi per ogni tipo di pro- cedimento, graduati secondo criteri d’importanza, e con l’elabora- zione dei quali si è attribuito, ad esempio, un valore pari a «1» alle cause civili normali e di lavoro, a «0,60» alle cause previdenziali, a

«0,80» alle procedure di separazione e di divorzio, a «2» alle proce- dure fallimentari e così via.

Quanto ai criteri dell’attitudine e del merito, poi, conosciamo tutti le direttive del C.S.M. che stabiliscono a quali elementi (prepa- razione, competenza, puntualità nel lavoro, indipendenza ecc.) oc- corre fare riferimento. Ma sappiamo anche che tutte le volte in cui si debba esprimere un parere in Consiglio Giudiziario, oppure redi- gere un rapporto informativo, ci si deve cimentare con gli aggettivi, inventando una specie di graduazione da manuale Cencelli degli ag- gettivi; con il risultato spesso di una insoddisfazione di fondo poi- ché ci si rende conto che i giudizi espressi non sempre riescono a fornire un profilo fedele ed una valutazione adeguata del soggetto.

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IL PRINCIPIO DI EFFICIENZA DEGLI UFFICI GIUDIZIARI ED IL RUOLO DEI DIRIGENTI

Relatore:

prof. Federico TEDESCHINI

associato di diritto amministrativo presso

la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Siena

1°. Quadro dei problemi aperti

La storia dell’«ordinamento giudiziario» italiano non è esente da paradossi: l’ultimo (almeno in ordine cronologico) è rilevato da chi contrappone il progressivo declino del suo insegnamento nelle odier- ne facoltà di giurisprudenza con la «tendenza a riportare in onore gli studi sull’ordinamento giudiziario, come necessario supporto di una conoscenza effettiva dei modi in cui viene esercitata la funzio- ne giurisdizionale» (1)

Peraltro, se – dal punto di vista dei processualisti – può appari- re corretto trovare la spiegazione di tale paradosso nell’influenza dell’Autorità scientifica di Giuseppe Chiovenda (che aveva, come uni- ci punti di riferimento, i concetti formalistici di «azione» e di «giu- risdizione»), non altrettanto può dirsi dal punto di vista, più gene- rale, dei cultori del diritto pubblico e della sua storia, i quali vedo- no nel processo, e nei suoi ordinamenti, un momento fondamentale dei rapporti fra cittadino e potere costituito.

Validi esempi di tale ultima impostazione sono gli studi condotti dal Pizzorusso (2) sul modello di ordinamento giudiziario più ade- rente alla Costituzione nel suo complesso, e non solo agli articoli da 101 a 110.

Il rinnovato interesse degli storici e dei pubblicisti per i pro- blemi dell’ordinamento giudiziario non è però stimolato da ragioni

(1) DENTI, La Giustizia Civile, Bologna, 1989, 177

(2) PIZZORUSSO, L’ordinamento Giudiziario, Bologna, 1974, 9.

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di ordine teorico, quanto piuttosto dall’odierna crisi della giustizia, del diritto e perfino della divisione dei poteri: viene così alla ribal- ta l’esistenza di un potere giudiziario che è innanzitutto potere dei giudici e quindi la delicatezza del rapporto che li lega, da un lato alle istituzioni e al potere politico e, dall’altro, alla società: il giu- diziario diventa allora carattere peculiare dell’organizzazione dei pubblici poteri nel loro complesso (3) e quando questa organizza- zione deborda dallo Stato negli Ordinamenti superstatali, ecco aprir- si l’ulteriore dibattito sulla funzionalità dell’uno rispetto agli altri ordinamenti.

Senza neanche lambire, a questo punto, i problemi (ed i con- flitti) di ordine processuale che nascono da simili dinamiche, ba- sta – in proposito – osservare che quello della funzionalità della Corte di Giustizia delle Comunità Europee o della Corte Europea dei diritti dell’uomo non esiste neanche come problema; altrettan- to non esiste il problema della funzionalità degli organismi «quasi giurisdizionali» introdotti negli ultimi anni dal legislatore italiano sulla base dell’esperienza nordamericana delle Indipendent Re- gulatory Commissions (CONSOB, Autorità Garante della Con- correnza, ecc.).

Esiste, invece, un problema – grave – di funzionalità del siste- ma giudiziario italiano e non solo dell’ordinamento giudiziario in senso stretto: basti pensare ai tempi della giustizia amministrativa che sono ormai allineati, nel loro complesso, a quelli della giustizia civile; per non dire di quei rapporti fra giustizia penale e tributaria che hanno spinto il legislatore a compiere mosse quali la cancella- zione della c.d. pregiudiziale tributaria che, a prescindere dalla sua opinabilità sotto il profilo politico, ha avuto esiti disastrosi sia per la funzionalità della giustizia penale, che per quella dell’ammini- strazione finanziaria nel suo complesso.

2. Evoluzione del disegno organizzativo dei processi

In presenza di una situazione così complessa – fonte di polemi- che e tensioni, talvolta anche strumentali al raggiungimento di fina- lità diverse da quelle della funzionalità della giustizia nel suo com-

(3) ASCHERI, Tribunali, Giustizia e istituzioni, Bologna, 1989, 8.

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plesso – era inevitabile l’intervento del legislatore sui codici del rito:

mentre però sul versante del processo penale la riforma ha avuto ca- ratteri assolutamente innovativi, altrettanto non è avvenuto (né sem- bra avverrà) sul versante del processo civile.

La legge 26 ottobre 1990 n. 353 è d’altronde la prima innova- zione di rilievo dopo diciassette anni: allorché si riformò il proces- so del lavoro affidando ad un giudice monocratico il compito di ri- solvere le relative controversie e cercando così di rispondere in mo- do rapido ed efficace alla domanda dei cittadini (4), la cui sfiducia, è sempre crescente: al punto da alimentare fenomeni di fuga dalla giustizia talvolta leciti e fisiologici «ma talvolta patologici, quali il ricorso a forme di giustizia alternativa illecite o addirittura delit- tuose» (5).

Tutti concordano, d’altronde, sulla circostanza che la durata ab- norme dei processi – penali o civili – è stata la causa fondamentale della crisi del settore.

La Legge 353 e il nuovo Codice di Procedura Penale sembrano aver avviato a soluzione alcuni problemi di funzionalità della giusti- zia (gli altri profili, pur gravi, non sono oggetto della presente rela- zione per cui non se ne ritiene di far cenno).

In proposito, un autorevole Magistrato afferma testualmente che

«Anche la primavera del 1991 vede la Giustizia in crisi come pur- troppo avviene da ormai molti anni; la risposta alla sempre crescente domanda di giustizia, sia in sede civile che in sede penale, rimane largamente inadeguata.

Sembra però che il tempo delle sterili lamentazioni sia finito, mentre, di fronte al rinnovato interesse della Nazione sulla questio- ne Giustizia espresso nelle sedi politiche più qualificate e palesato con accorati e ripetuti richiami del Capo dello Stato, si impone uno spregiudicato, ma obiettivo esame della situazione e una meditata indicazione dei rimedi validi. Il che significa riconoscimento dei tra- guardi raggiunti, delle lacune colmate, della correzione di errori ef- fettuata o da effettuare e la predisposizione dei programmi possibi- li e perciò politici da attuare» (6).

(4) GUARNIERI, La politica nella giustizia, in «Le politiche pubbliche in Italia»

a cura di DENTE, Bologna, 1990, 86.

(5) ZHARA BUDA, La giustizia, in «Italia ‘91 – Rapporto di primavera», Roma, 1991, 49.

(6) Id, 51.

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Tale constatazione sembra condivisa a diversi livelli istituziona- li e anche da larghi strati dell’opinione pubblica: potrebbe dunque essere questo il punto di partenza di un dibattito che non vada so- lo alla ricerca di un colpevole delle disfunzioni, ma che – partendo dalla ovvia constatazione della cronicità delle disfunzioni che afflig- gono l’attività dei nostri pubblici poteri – provi a suggerire i punti di partenza dei processi di razionalizzazione che debbono interessa- re i singoli settori dell’azione pubblica: fra i quali la riorganizzazio- ne degli uffici giudiziari, assume importanza preminente.

3. …In particolare la L. 353 del 1990

Le linee portanti della L. 353 possono così sintetizzarsi:

a) aumento del saggio legale degli interessi dal 5 al 10% per con- tenere quella conflittualità di comodo che lucra sui tempi proces- suali;

b) modificazione della competenza al fine di razionalizzare la di- stribuzione del lavoro fra i vari organi giurisdizionali e di evitare che le questioni attinenti alla competenza dell’organo giudicante possa- no intralciare o ritardare la definizione del merito delle cause;

c) soppressione dell’effetto sospensivo automatico del regola- mento preventivo di giurisdizione, in accoglimento di una istanza largamente diffusa, che evidenzia l’uso spesso distorto di tale stru- mento processuale;

d) istituzione di un giudice monocratico di tribunale, con pre- visione della riserva di collegialità;

e) razionalizzazione del processo di primo grado revisionando la fase preparatoria del giudizio, prevedendo provvedimenti interi- nali di condanna,attribuendo efficacia esecutiva alle sentenze di pri- mo grado;

f) sospensione dello ius novarum in appello;

g) riforma organica dei provvedimenti cautelari ristrutturati in un procedimento unico, attribuendone la competenza al giudice del- la causa di merito e prevedendo, come ormai appariva indilaziona- bile, un reclamo avverso tali provvedimenti;

h) previsione di un meccanismo delle preclusioni che incide no- tevolmente sul modello di processo quale risulta dal Codice del rito a seguito della riforma del 1950.

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4. Uffici giudiziari e principio di efficienza

Ad eccezione della norma sul saggio degli interessi, di immediata applicazione, tutte le disposizioni di natura processuale appena de- scritte entreranno in vigore il 1° gennaio 1992.

Abbiamo dunque a disposizione appena sei mesi per affrontare finalmente il problema della riorganizzazione degli uffici giudiziari secondo il principio di efficienza, anche se sarebbe sin troppo ovvio osservare che – per essere tale principio contemplato nella Carta Costituzionale fin dal 1948 – non occorreva attendere le disposizio- ni della legge 353 per accorgersi che occorre assumerlo come prin- cipale parametro anche nel settore della giustizia.

Ma che cosa è il principio di efficienza?

Secondo i più autorevoli studiosi (7) esso coincide con il prin- cipio costituzionale di «buon andamento», o meglio con l’endiadi

«buon andamento ed imparzialità» di cui parla l’art. 97 della Costituzione e che non si riferisce solamente agli uffici della pub- blica amministrazione in senso tecnico, ma è canone organizzativo riferibile a tutta l’organizzazione pubblica, (8), ivi compresi gli uffi- ci giudiziari, ciò anche sulla base della lettura che ne ha dato, in più di una occasione, la Corte Costituzionale (9).

Gli uffici giudiziari non solo possono, ma debbono dunque es- sere organizzati secondo il principio di efficienza, e la responsabi- lità del riferimento costante a tale principio spetta ai dirigenti de- gli uffici: né più né meno di quanto avviene in ogni altro ufficio pubblico.

Quest’ultima affermazione è di banale evidenza, tuttavia la sua evidenza è stata – almeno sino ad oggi – tale più dal punto di vista teorico che pratico.

Neanche può sorgere dubbio sulla identificazione dei dirigenti:

questi altri non sono che i capi degli uffici giudiziari ( primo Presidente della Corte di Cassazione, Presidenti delle Corti d’appello e dei Tribunali ordinari e per i minorenni; Dirigenti le preture;

(7) GIANNINI M.S., Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1981, 263.

(8) CASSESE, il sistema amministrativo italiano, Bologna, 1983, 58.

(9) Vedi C. Cost. Decisioni nn. 44/1977 e 1060/1988.

Vedi altresì Decisioni nn. 177/1973; 86/1982, 172/1982 e 18/1989 che si riferi- scono espressamente agli uffici giudiziari.

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Procuratori generali presso la Corte di Cassazione o le Corti d’ap- pello; Procuratori della Repubblica) destinati a tali funzioni con un provvedimento del Consiglio superiore che è riferito specificamente non soltanto all’ufficio e alla sede, ma altresì alla specifica carica (cosiddetto «ufficio direttivo») (10).

5. Ruolo dei dirigenti nella conduzione degli uffici

Le affermazioni appena indicate debbono, nel concreto, incro- ciarsi con l’individuazione «delle caratteristiche impresse sul processo dalla struttura dello Stato», (11) cioè degli elementi concettuali in base ai quali si esamina una qualunque organizzazione di potere: il primo di tali elementi riguarda le attribuzioni dei funzionari, il se- condo i loro rapporti ed il terzo il modo in cui essi adottano le ri- spettive decisioni.

Parlo di «funzionari» e non di «giudici» perché il ruolo dei di- rigenti nella conduzione degli uffici giudiziari non si identifica con l’esercizio di una funzione organizzativa strumentale al migliore e più completo esercizio della suddetta funzione giurisdizionale.

Ciò è vero soprattutto a proposito dei capi degli uffici giudiziari (fra i quali deve comprendersi, oltre quelli già indicati, anche il giu- dice conciliatore) i quali esercitano, oltre alle funzioni giudiziarie proprie dei loro uffici, anche le attività di amministrazione della giu- risdizione: tra di esse le più importanti sono quelle relative alla for- mazione delle tabelle contenenti la determinazione dei compiti dei magistrati appartenenti all’ufficio, la formazione dei collegi, l’asse- gnazione delle cause ai singoli magistrati o alle varie sezioni, ecc.

L’esercizio di tali funzioni, un tempo sottoposto al potere ge- rarchico del Ministro, si svolge ora sotto il controllo del Consiglio Superiore, il quale tuttavia interviene quasi esclusivamente in segui- to a reclami, non essendo concepibile un controllo sistematico su una così ampia massa di provvedimenti.

Per quanto riguarda poi le funzioni giudiziarie è da notare che i capi degli uffici monocratici possono occuparsi personalmente di

(10) PIZZORUSSO, L’organizzazione della giustizia in Italia, Torino, 1985, 97.

(11) DAMASKA, I volti della giustizia e del potere, Bologna, 1991, 49.

(25)

qualunque affare appartenente alla competenza del loro ufficio, op- pure assegnarlo ad uno dei loro collaboratori («pretori in sottordi- ne» o viceconciliatori) ed i capi degli uffici divisi in sezioni.

Per le attività requirenti non esiste differenza concernente le at- tività di amministrazione della giurisdizione e quello concernente l’at- tività giudiziaria vera e propria.

Il contenuto dei poteri legati alle funzioni direttive rispetto a quelle dirigenziali ha dato luogo a più di un contrasto tra i magi- strati addetti, per cui la giurisprudenza si è occupata diverse volte del problema, orientandosi verso una concezione «ristretta» dell’uso dei poteri di organizzazione all’interno degli uffici giudiziari (12).

6. La realizzazione del «Sistema Giustizia»

Alla luce delle considerazioni appena esposte è evidente che le disposizioni contenute nella Legge n. 353 del 1990, pur non conte- nendo soluzioni organiche ai problemi di funzionalità degli uffici giu- diziari, possono essere il punto di partenza di un processo di razio- nalizzazione del «Sistema Giustizia» innanzitutto perché sembrano – pur nella loro insufficienza – la dimostrazione evidente della at- tenzione che il Parlamento ed il Governo vanno dedicando al pro- blema della crisi di questo settore; ed anche perché si è allargato il consenso attorno alla tesi di coloro che propongono, per fermare que- sta crisi, più investimenti e nuove regole amministrative (13).

Restano – è vero – code polemiche sulle modalità di concreto superamento di questa crisi: così mentre l’ex Guardasigilli Vassalli affermava che l’emergenza è anche finanziaria, il Presidente del Consiglio Andreotti riteneva invece indispensabile e prioritaria una

«ristrutturazione» dell’azienda giustizia, ma fatta da persone esperte di organizzazione aziendale e proponeva perciò al Presidente dell’IRI

(12) V., ad es., T.A.R. Sicilia 24 Maggio 1980, n. 487, in «R.A.R.I.», 1982, 258;

Cass. Pen., I, 5 Luglio 1979, in «Cass. Pen.», 1980, 1389; T.A.R. Lazio, I, 7 Marzo 1978, n. 26, in «R.A.R.I.», 1978, 993; T.A.R. Lazio, I, 12 Aprile 1978, n. 341 in «Foro It.», 1979, III, 117; Cass. Pen., III, 25 Giugno 1981, in «Giust. Pen.», 1982, III, 482;

Cass. Pen., IV, 4 Luglio 1980, in «Cass. Pen.»,1982, 999; C.d.S., IV, 31 Maggio 1984, n. 421, in «Foro It.» 1984, 375.

(13) STASIO, Manager in soccorso dei magistrati, in «Il Sole 24 Ore», 24 Gennaio 1990, 6.

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di mettere i suoi manager a disposizione del Ministero di Grazia e Giustizia, per elaborare assieme ai tecnici del Ministero un piano di risanamento, che puntasse soprattutto sulle nuove tecnologie.

La proposta Andreotti sembra peraltro meno rivoluzionaria di quan- to non possa, a prima vista, sembrare, giacché il Ministero di Grazia e Giustizia ha da tempo costituito un Ufficio Automazione con il com- pito di porre le nuove tecnologie al servizio degli uffici giudiziari.

Sembra peraltro evidente che una simile proposta può avere esi- to positivo solamente sotto il profilo della riorganizzazione e non an- che della gestione degli uffici giudiziari.

Neanche è vero però che l’intervento delle imprese pubbliche rac- colte nell’IRI debbano necessariamente limitarsi alla messa a punto di un piano generale dell’informatica giudiziaria da far gestire alle proprie società, poiché una simile soluzione – oltreché riduttiva - ri- schierebbe di esporre le imprese informatiche pubbliche ad una nuo- va procedura di infrazione da parte della Commissione CEE per vio- lazione della normativa Comunitaria sugli appalti pubblici e della li- bera prestazione di servizi (14): la legislazione nazionale e comuni- taria vigente stabilisce infatti che i contratti con le amministrazioni pubbliche si debbano formare attraverso il concorso di più offeren- ti, che debbono essere posti in condizioni di parità.

E’ d’altronde vero quanto a suo tempo affermato dal Direttore dell’Ufficio automazione del Ministero di Grazia e Giustizia a pro- posito dei «meccanismi normativi molto complessi che impongono una serie infinita di tappe: indagini di mercato, l’esame della com- missione nazionale, quello della Funzione Pubblica nell’ambito del coordinamento dei diversi rami dell’amministrazione, e ancora l’esa- me del Comitato Tecnico.

Sono inoltre necessari il vaglio del Provveditorato generale del- lo Stato per la congruità dei costi, la richiesta e la concessione del parere favorevole del Consiglio di Stato, la predisposizione delle de- leghe dei decreti approvativi, l’invio alla Ragioneria presso il

(14) Vedi C.G.C.E., Dec. 5 Dicembre 1989, in «Il Foro Italiano», 1990, IV, 123.

Detta decisione stigmatizzava, in particolare, il fatto che – dopo l’approvazione della L. 584 del 1977 – il legislatore italiano avesse iniziato ad emanare una serie di atti normativi primari attraverso cui i singoli Ministeri erano autorizzati a stipulare, direttamente a trattativa privata, contratti per la fornitura di servizi di informatizza- zione da realizzare secondo la formula «chiavi in mano».

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Ministero, e infine la registrazione della Corte dei Conti» (15).

La soluzione possibile a questo insieme di problemi potrebbe dunque essere trovata nella individuazione di un procedimento ne- goziato – ad esempio un contratto di programma - fra Ministero di Grazia e Giustizia, Ministero delle Partecipazioni Statali ed IRI, at- traverso il quale si identifichino gli obiettivi da raggiungere, le ri- sorse da mettere a disposizione, e le obbligazioni che ciascuna par- te assume nei confronti delle altre per concorrere – in tempi e mo- di prestabiliti – al raggiungimento di tali obiettivi.

Si tratterebbe dunque di spostare il dibattito corrente dalle gran- di questioni di principio ai problemi dello sviluppo organizzativo, le cui fasi di transizione possono ben essere pianificate e svolgersi con la collaborazione dei soggetti interessati.

Il cennato contratto di programma rappresenterebbe anche un passo avanti rispetto alle esperienze, non proprio felici, dei proget- ti–pilota che hanno interessato singole amministrazioni centrali nell’ultimo decennio e che si sono rivelate insufficienti «perché o troppo minute o troppo generali; perché non considerano la «rica- duta» sugli utenti (i settori prescelti per i progetti sono quelli dove sono più forti le aspettative degli utenti); perché le amministrazioni non sanno vedere i loro stessi problemi («learning by doing») e, per lo più, cercano di migliorare le condizioni dei dipendenti, piuttosto che aumentare l’efficienza dell’amministrazione verso l’utente.

C’è quindi, un approccio collaborativo, ma chi collabora lo fa per soddisfare più esigenze sue che di servizio.

Inoltre, dalle amministrazioni non vengono proposte esemplari, cioè ripetibili o trasferibili» (16).

7. Proposta per un contratto di programma

Il contratto di programma che si propone come strumento di breve periodo per risolvere, almeno in parte, i problemi dell’«emer- genza giustizia», dovrebbe, a mio avviso, muoversi all’interno di due estremi da non toccare: non può, da un estremo, ridursi alla pro-

(15) STASIO, Op. Cit.

(16) ISAM, Efficienza e produttività nelle pubbliche amministrazioni, Milano, 25.

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gettazione e messa in campo di una rete infotelematica (attraverso cui facilitare gli accessi ai documenti e sostituire gli ausiliari dei giu- dici nel compimento delle operazioni legate ad adempimenti ed atti meramente ripetitivi) e, dall’altro, non può giungere fino al condi- zionamento delle funzioni giurisdizionali vere e proprie.

Il contratto di programma dovrebbe allora essere assunto quale modalità per progettare ed operare la riorganizzazione degli uffici giudiziari per esaltare le sinergie dei diversi soggetti coinvolti nell’ini- ziativa, razionalizzare l’impiego delle risorse, rendere trasparenti gli interventi ed individuabili le cause dei ritardi.

Oggetto del contratto di programma – la cui formazione potrebbe essere disciplinata con atto normativo primario (Decreto Legge o Decreto Legislativo) – dovrà quindi essere un piano di azioni fina- lizzate al miglioramento dell’efficienza dei singoli uffici giudiziari of- frendo ai loro dirigenti il potere di attingere – nei modi che riter- ranno più opportuni, ma entro limiti ben definiti – alle risorse pro- gettuali ed operative delle singole imprese pubbliche raccolte nell’IRI.

Tali imprese dovranno essere, a loro volta, destinazione di uno o più atti di indirizzo da parte dello stesso IRI, onde ridurre al mas- simo i passaggi procedimentali per l’accesso ai beni ed ai servizi che le stesse sono in grado di offrire nell’ambito del suddetto piano.

Sulla base di tali direttive, le imprese pubbliche interessate po- tranno sottoscrivere convenzioni accessive al contratto di programma, in cui siano stabiliti i contenuti specifici degli interventi, i tempi di realizzazione e le modalità di finanziamento degli stessi, avvalendosi delle risorse esistenti o che si renderanno, a tal fine, disponibili.

Occorrerà infine individuare parametri per la misurazione della mag- giore efficienza raggiunta: parametri da stabilire sulla base di analisi co- sti–benefici, piuttosto che di controlli della legittimità dei singoli atti.

REPLICHE DEL RELATORE

Rispondo volentieri alla domanda perché probabilmente è da questa domanda che si può capire dove voglio arrivare. E’ verissimo – e mi pare che l’abbia riconosciuto anche il Presidente Borri – che

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