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La carriera dei magistrati tra vecchio e nuovo ordinamento giudiziario: quali prospettive?

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 111-116)

COMPITI DEI DIRIGENTI DEGLI UFFICI IN RELAZIONE ALLA PROGRESSIONE IN CARRIERA DEI MAGISTRATI

8) La carriera dei magistrati tra vecchio e nuovo ordinamento giudiziario: quali prospettive?

Le questioni da ultimo toccate allargano inevitabilmente la ri-flessione su nodi irrisolti, di fondo, dell’attuale assetto dell’ordina-mento giudiziario, quali le prospettive di riforma dell’autogoverno in sede centrale e periferica, il futuro ruolo della dirigenza degli uffici, il significato della vigilanza e del controllo in un’organizzazione ca-ratterizzata sempre più dall’omogeneità tra controllori e controllati, l’individuazione dei punti di equilibrio più avanzato tra le esigenze di efficienza e razionalità organizzativa da un lato e le garanzie in-sopprimibili inerenti allo status di magistrato. Ma non è questa la sede, ovviamente, per sviluppare questa ampia riflessione (85).

(85) Per un’utilissima panoramica di questi problemi, audizzati organicamente nelle loro connessioni e prospettive di riforma, si può vedere l’ultima «Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia», op. cit., pag. 77/146;

Alcuni cenni ulteriori meritano, invece, due interrogativi – quale carriera? quale professionalità? – da cui derivano tutti i dubbi, con-traddizioni e incertezze che oggettivamente avvolgono l’intera mate-ria delle verifiche professionali per la progressione nelle qualifiche (o nella carriera?). Chiedersi, infatti se esiste o no ancora una carriera in Magistratura; se quella residuata sia realmente automatica e mor-tificatrice della professionalità e dei meriti; se l’eclisse dei controlli professionali debba o no condurre al ripristino dei vecchi meccanismi selettivi concorsuali; se l’attuale situazione ambigua possa durare all’in-finito o debba trovare al più presto soluzioni nette, in un senso o nell’altro, se le scelte professionali dei singoli vadano controllate op-pure si debba continuare a rinunciare – come avviene oggi – a qual-siasi controllo; se la rete dei dirigenti deve continuare a porsi come categoria contrapposta al sistema dell’autogoverno o deve inserirsi or-ganicamente al suo interno come ganglio essenziale del suo tessuto periferico, significa in primo luogo verificare con urgenza (all’interno della Magistratura e nel confronto con l’esterno) l’effettiva portata del-le riforme sulla carriera degli anni ‘60 e ‘70 e gli aspetti di perduran-te loro validità; ma al conperduran-tempo individuarne i limiti intrinseci e i mo-di mo-di possibile superamento dei loro aspetti più deboli e caduchi. Il tutto, però, alla luce di un chiarimento pregiudiziale: se da quelle rifor-me si deve partire per reclamare e sostenere una riforma che le su-peri «in avanti», portando a compimento un processo riformatore in-completo rimasto a mezza strada, oppure se alla loro «demonizza-zione» o, più banalmente, alla loro cattiva, burocratica e lassista ge-stione debba seguire, ineluttabilmente la restaurazione di vecchie idee e logiche di carriera verticale e meritocratica, incentrate sulla gerar-chia (e non sull’eguaglianza) tra le funzioni.

In altre parole, il problema di fondo da affrontare è se tra i poli opposti della meritocrazia e della gerontocrazia (86) esista o no lo spa-zio per la costruspa-zione di un modello di magistrato che non resti pri-gioniero di nessuna di quelle due prospettive opposte: e questo terzo modello esiste, non solo nelle proposte o nel libro dei sogni di qual-che filosofo dell’organizzazione, ma nell’evoluzione reale dell’assetto

(86) Alternativa che secondo molti – v. da ultimo le lapidarie affermazioni nel-la renel-lazione delnel-la commissione Panel-ladin – esaurisce l’orizzonte delle possibili soluzio-ni da adottare;

complessivo (anche se caotico e discontinuo) dell’ordinamento degli ultimi decenni e nelle proposte e iniziative concrete promosse da buo-na parte della cultura associativa e dallo stesso sistema di autogover-no; ed è il modello del giudice incentrato sulla professionalità, parola d’ordine che attraversa, da tempo, un insieme di proposte organica-mente inserite in un progetto in grado di completare, in avanti, l’in-completa riforma già attuata del vecchio modello burocratico; sal-vandone il nucleo forte (l’abbandono di una selezione meritocratica verticale, affidata ad apparati separati e funzionali ad un assetto pi-ramidale della Magistratura) e rimuovendone gli aspetti più discuti-bili con i connessi privilegi corporativi da essi conservati o rafforzati.

Il miglior punto di partenza, sotto questo profilo, è certamente rappresentato dal lavoro svolto anni fa dalla Commissione Mirabelli (87) che offre la risposta più completa e organica fino ad oggi for-nita dalla cultura giuridica agli interrogativi posti dal parziale sman-tellamento del vecchio assetto della carriera.

I punti essenziali del nuovo ordinamento dovrebbero essere co-stituiti da: reversibilità delle funzioni giudiziarie; eliminazione di ogni residuo di carriera delle qualifiche nonché della carriera eco-nomica; ridefinizione dei compiti dei dirigenti degli uffici e tempo-raneità delle relative funzioni; potenziamento dei Consigli Giudiziari secondo le proposte di riforma da tempo giacenti in Parlamento; re-visione dei meccanismi di assegnazione delle funzioni (attraverso l’individuazione delle distinzioni rilevanti; l’eliminazione di ogni ge-rarchia; la distribuzione dei giudici negli uffici secondo criteri di professionalità specifica; l’assegnazione delle funzioni d’appello e le-gittimità sulla base di anzianità minime e di altri requisiti profes-sionali predeterminati per legge); l’introduzione di un sistema di re-gistrazioni periodiche della professionalità di tutti i magistrati; la previsione di momenti periodici ed obbligatori (nel caso di muta-mento di funzione) di aggiornamuta-mento professionale; la valorizzazio-ne delle specializzazioni ed, al contempo, la previsiovalorizzazio-ne di un tetto massimo di svolgimento della stessa funzione o di permanenza nel-lo stesso ufficio, l’aumento della permanenza minima obbligatoria nello stesso ufficio.

(87) V. capo II del titolo V della relazione accompagnatoria e gli artt. 149-185 del progetto, concernente le funzioni dei magistrati;

Tutte queste proposte, come appare evidente, sono collegate da un comune filo conduttore che si dipana attorno all’obiettivo cen-trale di migliorare la professionalità media di tutti i magistrati an-ziché di ricercare e selezionare i migliori (abbandonando gli altri nei posti e funzioni ritenuti «inferiori»): nell’ottica, del resto, dei princi-pi costituzionali del buon andamento e imparzialità dell’ammini-strazione (art. 98 Cost.) è sicuro interesse della collettività che l’in-tero sistema deputato alla promozione, verifica e controllo della pro-fessionalità dei magistrati miri a garantire un complessivo funzio-namento di tutti gli uffici giudiziari più elevato ed adeguato ai pro-blemi esistenti ed alle domande sempre più complesse di giustizia.

E ciò tanto più in una fase storica in cui le scelte legislative por-tano sempre più a valorizzare il giudizio di I grado (88) per cui ap-pare davvero antistorico puntare ancora a sistemi selettivi calibrati, come un tempo, solo sulla scelta dei migliori magistrati per la dire-zione degli uffici o per l’accesso in Cassadire-zione.

Come sempre accade, tuttavia, il problema non è solo di rifor-ma delle norme rifor-ma, pririfor-ma ancora, di riforrifor-ma delle prassi e di tra-sformazione culturale degli atteggiamenti medi degli «addetti ai la-vori» nei confronti del proprio ruolo. Qui emergono, avviandoci con ciò alla conclusione, le responsabilità di tutta l’istituzione da distri-buirsi con chiarezza in relazione alle diverse competenze, evitando pericolose confusioni tra quello che dipende da cattiva organizza-zione del servizio, affidata per Costituorganizza-zione al potere esecutivo, quel-lo che dipende dal difettoso esercizio dei propri poteri da parte dei dirigenti degli uffici, e quello che dipende più nel profondo dal de-siderio, ben noto ai sociologi, di ogni funzionario di svolgere il suo lavoro al riparo da qualsiasi controllo, e ciò per motivazioni talvol-ta giustificabili e nobili (di tutela dell’indipendenza della propria fun-zione), talvolta molto meno.

Il quesito di fondo cui, però, tutti dobbiamo dare una risposta al più presto resta quello che poneva G. Tamburino al termine del-la redel-lazione di sintesi nell’incontro di studi di Trevi del 1988 su que-sti stessi temi: «se i magistrati intendono o meno esercitare i poteri

(88) E’ questo il significato più profondo della recente Novella del CPC appro-vata con la l. n. 353/90;

loro conferiti dalle leggi in ordine alle garanzie che debbono dare anche sul piano della professionalità. Preliminare alle discussioni sui limiti del governo della magistratura affidato al CSM è la domanda se la magistratura voglia un governo autonomo o voglia un governo eteronomo. Se, come non dubito, tutti rispondiamo a questa domanda nel senso di rifiutare un governo eteronomo, dobbiamo avere la con-sapevolezza che ciò resterà possibile finché ciascuno accetta di por-tare il peso del proprio pezzo di verità. Se il coraggio di farlo ci vie-ne a mancare, non c’è circolare, non c’è seminario del CSM che pos-sa sostituirlo». (89)

(89) V. Quaderno CSM n. 24/89, pag. 148-149.

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 111-116)