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Il Consiglio Superiore della magistratura, quale organo di am- am-ministrazione attiva della giurisdizione di rilievo costituzionale

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 46-51)

RAPPORTI TRA IL C.S.M., I CONSIGLI GIUDIZIARI ED I DIRIGENTI DEGLI UFFICI

5. Il Consiglio Superiore della magistratura, quale organo di am- am-ministrazione attiva della giurisdizione di rilievo costituzionale

L’ordine giudiziario è per l’art. 4 dell’ord. giud. costituito da una pluralità di soggetti, fra i quali, certamente in posizione rilevante, vi sono i magistrati: l’art. 104 della Costituzione qualifica però solo la magistratura come «ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere», per cui deve ritenersi che solo ad essa competa un’organiz-zazione non condizionata dall’esecutivo, anche se al Ministro di gra-zia e giustigra-zia, che pure è preposto ad alcuni soggetti sia dell’ordine giudiziario (cancellieri e personale ausiliario) che non rientranti tra quelli previsti dal richiamato art. 4 ord. giud. spettano «l’organizza-zione e il funzionamento dei servizi riservati alla giustizia» (art. 110 Cost.). La complessità della problematica dei rapporti fra magistra-tura e altri poteri dello Stato, con la molteplicità di interventi nor-mativi, dottrinali e politici nella materia, ha fatto dimenticare che la prima sezione del Titolo IV della Costituzione è dedicata all’ordina-mento giurisdizionale, nel quale solamente la magistratura viene com-presa come ordine autonomo cui è preposto il Consiglio Superiore, che quindi ha di certo una posizione apicale nell’amministrazione della giurisdizione. Se si può dubitare sull’esattezza della definizio-ne del Consiglio come organo di autogoverno della magistratura, pro-prio perché i costituenti vollero evitare un organo chiuso e

corpora-tivo, è certo che esso amministra la giurisdizione con il governo col-legiale dei giudici (cfr. la relazione di RUINI presidente della com-missione preposta alla formulazione delle norme sulla magistratura:

Resoconto Ass. cost. pag. 2283). L’art. 105 Cost. ha infatti attribuito al Consiglio superiore ogni competenza in materia di assunzioni, as-segnazioni e trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati. Nelle materie indicate nell’art. 105 il Consiglio ha poteri propriamente decisionali e poteri di normazione secondaria, sussistendo una riserva di legge non assoluta, ai sensi della norma sopra riportata e dell’art. 108 Cost. (sul tema VOLPE, Il potere normativo del Consiglio superiore in Norme e prassi cit. pag.

17 e ss.). La stessa Carta fondamentale chiarisce il contenuto di mol-ti dei poteri di amministrazione della magistratura e della giurisdi-zione riservati al Consiglio superiore, stabilendo ad esempio che di regola le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso (art. 106 Cost.) con riguardo all’assunzione, oppure il contenuto del principio dell’inamovibilità dei giudici (art. 107 Cost. 1° co.), con riferimento alle assegnazioni e ai trasferimenti, il contenuto delle c.d. promozio-ni relativamente alla distinzione dei giudici solo per funziopromozio-ni (art.

107, 3° comma), i poteri di iniziativa dell’azione in materia discipli-nare (2° comma dello stesso art. 107). Deve comunque dirsi che i po-teri decisionali del Consiglio si esplicano attraverso provvedimenti del Ministro di grazia e giustizia e del Capo dello Stato, che, peraltro, emettono atti dovuti nelle materie riservate all’organo di governo dei magistrati. Pur potendosi condividere la distinzione di ruoli del Presidente della Repubblica nell’emissione di provvedimenti relativi ai magistrati dirigenti rispetto alla funzione di presidente del C.S.M., non appare ipotizzabile alcun conflitto giuridicamente rilevante fra l’organo di governo e il Capo dello Stato, data la posizione premi-nente di quest’ultimo, che non può certamente rifiutare di adottare il provvedimento deliberato dal Consiglio riguardante il singolo giu-dice, salvo che nel caso di evidente invalidità o criminosità della de-cisione consiliare (art. 17 L. 195 del 1958). Né può ritenersi che il Presidente della Repubblica, quale Capo dello Stato possa comunque intervenire con lo scioglimento del collegio, essendo i suoi poteri in tale senso limitati alla sola ipotesi di impossibilità di funzionamen-to dell’organo collegiale (art. 31 L. 195 del 1958), perché ad esempio reiteratamente non si riesca a raggiungere il numero legale per prov-vedere validamente ai sensi dell’art. 2 della L. 22/12/1975 n. 695.

L’analisi dei poteri dei dirigenti periferici in ordine all’ammini-strazione della giurisdizione ha evidenziato il grande rilievo della nor-mazione secondaria del C.S.M. in tale materia: si è peraltro giusta-mente affermata la legittimazione passiva dello stesso Consiglio ogni volta che con il provvedimento del Presidente che lo riguarda, il ma-gistrato impugni la circolare in base a cui è stata emessa la delibe-razione consiliare costituente il contenuto dell’atto impugnato (così Cons. Stato IV 14/11/1986 n. 729). In effetti anche relativamente ai provvedimenti di amministrazione della giurisdizione emessi in ba-se alle deliberazioni del C.S.M. è possibile la tutela giurisdizionale dinanzi agli organi di giurisdizione amministrativa ai sensi dell’art.

113 Cost. e del 2° comma dell’art. 17 L. 195 del 1958, naturalmente su sollecitazione del magistrato danneggiato dal provvedimento e in-dipendentemente dai riflessi che l’atto emanato dal Capo dello Stato può avere sul singolo procedimento giurisdizionale affidato al giudi-ce interessato.

La rivisitazione dei poteri dei dirigenti e dei Consigli giudiziari come analizzati in precedenza consentirà di esaminare in una nuo-va luce e molto rapidamente i superiori poteri di amministrazione attiva del C.S.M. e le sue funzioni certamente apicali e gerarchica-mente superiori in ordine all’amministrazione della giurisdizione. Per quanto attiene a quelli che abbiamo chiamato poteri di amministra-zione della giurisdiamministra-zione in senso stretto al Consiglio compete asse-gnare e trasferire i magistrati ai singoli uffici giudiziari, deliberan-do anche sulle tabelle di tali uffici (così il più volte richiamato art.

7 bis ord. giud.). L’esigenza che ogni variazione tabellare sia delibe-rata dal C.S.M. tende ad evitare abusi degli organi periferici ed è sta-ta giussta-tamente riservasta-ta all’organo di governo mediante legge ad evi-tare che si potesse violare il principio del giudice naturale e la ri-serva assoluta di legge di cui all’art. 25 della Cost. E’ naturale che il potere deliberativo, che consente al Consiglio anche la revoca o l’an-nullamento delle assegnazioni provvisorie operate dai dirigenti gli uf-fici periferici, comporta una potestà di normazione secondaria che ha incidenza sul piano disciplinare e serve a predeterminare criteri oggettivi che evitino abusi dei dirigenti nei tramutamenti dei magi-strati all’interno dei singoli uffici e nella assegnazione degli affari giudiziari, come già detto in precedenza. La stessa assegnazione del-le attività giudiziarie come la revoca di essa ai singoli giudici può essere oggetto di controllo da parte del C.S.M., per cui gli eventuali

provvedimenti che derogano ai criteri predeterminati dal Consiglio vanno motivati (cfr. a tal proposito la citata sentenza 143/73 e quel-la 245/74 delquel-la Corte Costituzionale). Lo stesso Consiglio ha provve-duto ad autolimitare i propri poteri in materia di tramutamenti e as-segnazioni e la violazione della normazione secondaria in tali mate-rie comporta certamente vizi di legittimità, rilevanti ai fini dell’im-pugnazione dei provvedimenti adottati dal Capo dello Stato in confor-mità del deliberato consiliare. Raramente l’organo di governo dei giu-dici ha utilizzato dei propri poteri di trasferimento di ufficio e quan-do ciò ha fatto, l’intervento della giustizia amministrativa ha evi-denziato l’illegittimità dei provvedimenti e della stessa circolare che ad es., ai sensi dell’art. 18 ord. giud. aveva disposto sulle incompa-tibilità. L’utilizzazione del trasferimento di ufficio per soppressione di ufficio giudiziario o per riduzione di organici risulta essere so-prattutto ipotesi di scuola, dato il mancato intervento legislativo per la revisione delle circoscrizioni territoriali e la ridistribuzione del per-sonale tra gli uffici periferici.

In rapporto ai poteri di coordinamento dei magistrati, il C.S.M.

deve ricevere comunicazione dai capi degli uffici di tutte le applica-zioni da essi operate e può di certo intervenire su di esse anche di ufficio, annullandole e revocandole. Un potere deliberativo è poi con-ferito al Consiglio Superiore per le applicazioni interdistrettuali e ad esso si è già in precedenza accennato. Anche con riguardo alle sup-plenze, appare chiara la potestà di intervento e controllo del C.S.M.

su sollecitazione dell’interessato e di ufficio.

Lo sbocco dei poteri di sorveglianza in sede consiliare, è costi-tuito dal procedimento disciplinare, su iniziativa del Ministro di gra-zia e giustigra-zia o del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione. In materia disciplinare l’organo di governo dei giudici ha di solito mantenuto una posizione corretta e non corporativa, eser-citando in tale ambito un’attività di natura giurisdizionale soggetta al controllo della Suprema Corte di Cassazione sempre ai sensi dell’art. 17 della legge 195 del 1958. Il Consiglio in tale settore è suc-ceduto ai tribunali disciplinari previsti nel vecchio ordinamento giu-diziario e anche per tale profilo, si è sin dall’origine ritenuta la na-tura giurisdizionale della sezione disciplinare.

Infine anche sul piano strettamente organizzatorio, sia pure nel rispetto delle competenze ministeriali, il C.S.M. ha assunto una po-sizione di sempre maggior rilievo intervenendo con provvedimenti

deliberativi e normazione secondaria in ogni settore che potesse ser-vire a migliorare l’efficienza della giurisdizione e la preparazione dei giudici: in questi ultimi anni in particolare l’organizzazione di nu-merosi incontri del tipo di quello in corso attualmente è stato lo stru-mento più valido di impulso e sostegno per la formazione dei dici, sempre al fine di rendere più efficiente e rapida la risposta giu-risdizionale alle esigenze del Paese.

Mi sembra opportuno concludere con la riaffermazione che l’au-tonomia e indipendenza della magistratura possono essere garantite solo escludendo ogni subordinazione di essa da autorità esterne all’or-dine giurisdizionale: questo principio, che si è affermato con lo Stato moderno, è stato riconosciuto sempre anche da governi illiberali e autoritari, come quello borbonico del Regno delle Due Sicilie che all’art. 194 della legge organica sull’ordine giudiziario (all’epoca esi-stente!) affermava: «L’ordine giudiziario sarà subordinato solamente alle autorità della propria gerarchia». Penso che tali concetti già co-muni in epoche meno civili sotto governi notoriamente tirannici non possano essere annullati nella cultura e nella società né dagli errori dei magistrati né dai tentativi di strumentalizzazioni di tali errori per cercare di subordinare all’esecutivo una parte di giudici di carriera, assunti con il medesimo concorso di tutti gli altri magistrati. Solo un’eventuale modifica della Costituzione, con la perdita della quali-fica di magistrati per gli addetti agli uffici del Pubblico Ministero potrebbe consentire una sottoposizione di costoro all’esecutivo inve-ce che all’organo di governo dei giudici ordinari previsto dalla Carta fondamentale.

ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI, IN PARTICOLARE

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 46-51)