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I Consigli giudiziari. Posizione ausiliaria e consultiva

Nel documento LE ATTRIBUZIONI DEI CAPI DEGLI UFFICI (pagine 42-46)

RAPPORTI TRA IL C.S.M., I CONSIGLI GIUDIZIARI ED I DIRIGENTI DEGLI UFFICI

4. I Consigli giudiziari. Posizione ausiliaria e consultiva

Tra gli organi periferici di amministrazione della giurisdizione, l’ordinamento giudiziario previde il Consiglio giudiziario come or-gano consultivo del Primo Presidente, composto da soli dirigenti de-gli uffici del distretto all’art. 212: l’evoluzione legislativa successiva, pur non creando una disciplina unitaria, ha in più occasioni previ-sto funzioni consultive e ausiliarie dei Consigli giudiziari divenuti or-gani elettivi con il R.D. 511 del 1946 modificato successivamente dal-la legge 12 ottobre 1966, n. 825. Peraltro già dal-la legge delle guarenti-gie previde funzioni consultive dell’organo collegiale per il Ministro di grazia e giustizia e per il Presidente della Repubblica, ai fini del-le aspettative e deldel-le dispense dal servizio degli uditori giudiziari per debolezza di mente o infermità ( cfr. art. 3 R.D. 511 del 1946). Il ri-levante potere dei Consigli giudiziari con riguardo allo stato giuridi-co degli uditori giuridi-con e senza funzioni, per i quali esprime pareri an-che in sede disciplinare, e deliberazioni an-che sono in sostanza il pre-supposto di un atto dovuto del Ministro o del Presidente della Repubblica, è con ogni probabilità alla base delle scelte del C.S.M.

relative al tirocinio: potendo il Consiglio Superiore determinare le norme per la disciplina del tirocinio, ai sensi dell’art. 48 del D.P.R.

916 del 1958, esso pur avendo garantito l’inamovibilità degli uditori con funzioni ha, con riferimento all’uditorato, delegato parte delle sue funzioni ai Consigli giudiziari o meglio alle commissioni per gli uditori costituite in ciascun Consiglio giudiziario (cfr. circ. 4219/88 e inoltre circ. 10252/87 e 15803/88) . Il C.S.M. solo dopo sentiti i Consigli giudiziari potrà provvedere a destinare gli uditori per lo svol-gimento del tirocinio, al Tribunale, alla Procura o alla pretura di una città sede di Corte di appello o ad uffici giudiziari di città non sede di Corte di appello, dove esistano almeno due sezioni (cfr. D.P.R. 23 maggio 1977 n. 315 e 30 luglio 1980 n. 633), Con la citata legge n.

825 del 1966, veniva disciplinata la composizione e la costituzione dei Consigli giudiziari presso le Corti d’appello, che pur essendo or-gani elettivi rappresentativi delle varie funzioni esercitate nel distretto, conservano un carattere soltanto amministrativo di collegi reali o perfetti, per la validità delle cui deliberazioni è necessaria la pre-senza di tutti i componenti l’organo collegiale (che decadono quan-do perquan-dono le funzioni per cui furono eletti, così come deliberato dal C.S.M. il 15/6/1988) ovvero dei loro supplenti come espressamente

predeterminati dall’art. 1 della citata legge. Tutte le nomine e i pas-saggi di qualifica dei magistrati in servizio nel distretto sono soggetti alle valutazioni del Consiglio Giudiziario (art. 10 D.P.R. 23/5/1977 n.

315 per le funzioni agli uditori giudiziari: art. 12 L. 2/4/1979 n. 97 per i magistrati di tribunale; art. 1 L. 25/7/1966 n. 570 per i consi-glieri d’appello e art. 2 L. 20/12/1973 n. 831 per l’idoneità ad essere valutato per la nomina a consigliere di cassazione e alle funzioni di-rettive superiori). I pareri che conseguono alle valutazioni sono di fatto vincolanti se hanno un contenuto positivo per i magistrati cui si riferiscono: se negativi, essi possono essere oggetto di deduzioni e rilievi degli interessati, che potranno naturalmente essere valutati dal Consiglio Superiore in diritto assolutamente non vincolato dal moti-vato parere dell’organo collegiale distrettuale. Sappiamo tutti che in fatto il carattere periferico e strettamente chiuso dei Consigli ziari ha dato luogo a «valutazioni» quasi sempre positive sui giudi-ci esercenti le funzioni nel distretto, travolgendo il dato normativo e determinando una sostanziale parificazione professionale di tutti i magistrati che se si distinguono solo per le funzioni cui sono desti-nati, nessun legislatore ha mai detto debbano sempre essere idonei alle nomine e alle qualifiche per le quali sono emessi i pareri del Consiglio giudiziario, con caratteristiche professionali ed umane sem-pre ottime o eccellenti. La composizione chiusa del collegio e la ge-stione non selettiva e poco efficiente delle valutazioni ha portato al-la crisi dei C onsigli giudiziari, per i quali non si riesce a trovare al-la volontà politica per un intervento normativo veramente innovativo.

E’ comunque vero che un organo che deve valutare «l’equilibrio, la preparazione, la capacità, l’operosità e la diligenza» dei giudici (art.

2 L. 97 del 1979 per i giudici di tribunale), tenendo conto «della la-boriosità, delle capacità, diligenza e preparazione» ai fini della no-mina a magistrato d’appello (art. 3 L. 570 del 1966), della «prepara-zione e capacità tecnico professionale, laboriosità e diligenza dimo-strate… dei precedenti relativi al servizio prestato» per l’idoneità ad essere valutato a magistrato di cassazione, può facilmente rimanere nel vago e nel generico. La normazione secondaria del C.S.M. (in particolare la circolare n. 1275 del 12/2/1985) cerca di riempire la genericità delle formule oltretutto in qualche caso addirittura illogi-che (si pensi solo all’equilibrio richiesto per la promozione a magi-strato di tribunale, cioè per giovani verso i quali di recente a livello elevato è stata manifestata una certa diffidenza, qualità che si dà

in-vece per scontata nei magistrati più anziani). L’incidenza dei pareri dei Consigli giudiziari, ai fini della progressione nelle qualifiche e nelle nomine potrebbe assumere di certo un grande rilievo, con ri-ferimento alla gestione dei magistrati, ove si riuscisse a rendere ef-fettiva e personalizzata la valutazione da essi operata. Una riscoper-ta delle capacità selettive dei giudici da parte dei Consigli giudizia-ri renderebbe certamente più efficace il servizio e diverrebbe effetti-vamente incisiva sull’amministrazione della giurisdizione. In ordine ai poteri di amministrazione della giurisdizione in senso stretto, ac-canto alla gestione dei pareri per le nomine e la progressione delle qualifiche, si pongono i pareri sulle tabelle, di cui all’art. 7 bis dell’ord.

giud.: sembra chiaro che il Consiglio giudiziario ha in tale materia una posizione di evidente rilievo in quanto in esso attraverso i vari componenti possono essere rappresentate le esigenze giurisdizionali dei vari uffici giudiziari. Il parere del Consiglio con riferimento ai reclami sulle assegnazioni provvisorie e le variazioni tabellari poste in essere dai dirigenti gli uffici, diviene importante presidio delle esi-genze della giurisdizione e dell’equilibrato contemperamento di esse con le esigenze dei singoli. L’art. 91 dei provvedimenti urgenti per il processo civile ha precisato che il Consiglio giudiziario dovrà espri-mere il proprio parere dopo un biennio dall’entrata in vigore della riforma per stabilire quanti magistrati dovranno continuare esclusi-vamente la trattazione delle controversie pendenti: è naturale co-munque che sin dall’entrata in vigore della L. 353 del 1990 i Consigli giudiziari dovranno intervenire nella predisposizione delle tabelle ai sensi dell’art. 7 bis ord. giud. e che deve riconoscersi ad essi anche un potere di controllo sui poteri dei dirigenti gli uffici periferici re-lativamente alla destinazione di giudici alle controversie civili pen-denti o nuove quando non sia possibile rispettare il 1° comma dell’art.

91 per l’esiguità del numero dei magistrati addetti. I Consigli giudi-ziari esprimono quindi i loro pareri su la «destinazione dei singoli magistrati alle sezioni e alle corti d’assise, l’assegnazione alle sezio-ni dei relativi presidenti e la attribuzione dell’incarico di cui agli ar-ticoli 35 comma 3°, 46 comma 4°, 50 bis (G.I.P.: n.d.r.), il conferi-mento delle specifiche attribuzioni processuali individuate dalla leg-ge, la formazione dei collegi»: non è difficile rilevare l’incidenza che i predetti organi possono avere nella amministrazione della giuri-sdizione nei singoli uffici giudiziari del distretto. E’ peraltro eviden-te che i Consigli giudiziari, per la loro funzione ineviden-terna, ausiliare e

consultiva di organi deliberativi, comunque non possono incidere im-mediatamente e direttamente sull’amministrazione della giurisdizio-ne e inserirsi in posiziogiurisdizio-ne di organi di controllo o gerarchicamente superiori rispetto ai dirigenti degli uffici o agli stessi magistrati del distretto.

In ordine ai poteri di coordinamento dei magistrati l’art. 110 ord.

giud. come modificato dalla legge 58 del 1989 prevede il parere dei Consigli giudiziari, ogni volta che per esigenze di servizio imprescin-dibili e prevalenti sia necessaria un’applicazione intradistrettuale che deve essere disposta dal Presidente della Corte d’appello per la ma-gistratura giudicante e dal Procuratore Generale per gli uffici del P.M. E’ strano che nessuna funzione abbiano i Consigli giudiziari di origine e di destinazione per le applicazioni interdistrettuali, che il Consiglio superiore dispone sentiti i Capi delle corti e i P.G. Il Consiglio nel proprio parere dovrà indicare le esigenze di servizio dell’ufficio dove deve applicarsi il magistrato e evidenziare la loro prevalenza sulle esigenze dell’ufficio da cui viene distaccato.

Nessun potere è riservato ai Consigli giudiziari relativamente al-le suppal-lenze, ma è chiaro che eventuali abusi dei capi degli uffici in materia possono trovare successivo rilievo sia in sede di parere al C.S.M. per la decisione sui reclami dei magistrati interessati che suc-cessivamente nei pareri per la progressione delle qualifiche dei diri-genti che hanno male operato.

Nessun potere né consultivo né ausiliario compete ai Consigli giudiziari relativamente ai compiti di vigilanza e sorveglianza dei ca-pi degli uffici: sembra palese però che sia la disciplina dei pareri per la progressione in carriera che quella relativa ai pareri parziali, con-cretandosi in una serie di valutazioni sulle qualità dei magistrati del distretto comporta in effetti un evidente potere di impulso verso il Presidente della Corte d’appello e i dirigenti gli uffici giudiziari per l’esercizio dei loro poteri di vigilanza. Per gli uditori in sede disci-plinare ha rilievo il parere del Consiglio giudiziario.

Infine con riguardo ai poteri organizzatori in senso stretto ai Consigli giudiziari sono stati riservati pochi e limitati poteri consulti-vi dei capi degli uffici attraverso la normazione secondaria del C.S.M.:

così ogni Consiglio giudiziario può domandare di inserire nei fascico-li personafascico-li dei magistrati quegfascico-li atti ritenuti necessari (art. 4 circ.

12196/88) e comunque è richiesto il parere del Consiglio ai Capi degli uffici per l’autorizzazione a risiedere fuori sede (così la circ. 6019/84).

In sintesi può dedursi che salvo con riguardo agli uditori, che pur essendo vincitori di concorso fino all’esercizio delle funzioni non possono qualificarsi neppure magistrati ai sensi dell’art. 1 della L.

392 del 1951, ai Consigli giudiziari non competono poteri di ammi-nistrazione attiva della giurisdizione, avendo essi funzioni prevalen-temente consultive ed ausiliari del Consiglio Superiore della magi-stratura e degli organi di amministrazione della giurisdizione da que-sto dipendenti, cioè dei dirigenti gli uffici giudiziari. La possibilità tecnica che la posizione ausiliaria dei Consigli giudiziari si identifi-chi con una posizione di sottordinazione di essi al C.S.M., che può anche utilizzarli a fini istruttori, ha fatto individuare dalla giuri-sprudenza amministrativa in una assai nota decisione del Consiglio di Stato (sez. IV, 31/3/1988 n. 287) una sorta di vera dipendenza ge-rarchica dell’organo ora esaminato dal Consiglio Superiore.

5. Il Consiglio Superiore della magistratura, quale organo di

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