Introduzione alla sessione giuridica del convegno di torino “l’altra faccia della luna”
di Pier Giuseppe Monateri
La stagione del danno alla persona si è aperta un quarto di secolo fa, in un tempo, ed in un clima intellettuale, che si sono ormai eclissati.
La storia del danno alla persona è stata una storia di rivoluzioni e dibattiti, che non si sono ancora conclusi. Lo dimostra il dibattito ancora apertissimo sul danno psichico e sul danno esistenziale. E, proprio in questi giorni, abbiamo assistito all’intervento del Governo con il decreto legge n. 70/2000 e alle reazioni critiche, che sono seguite.
Dopo anni di evoluzione giurisprudenziale, di contributi della dottrina, siamo dunque di fronte ad una nuova rivoluzione: tuttavia, questa non sarà certo l’ultima, essendo in discussione in Parlamento una riforma a più ampio raggio del danno alla persona.
Quali saranno le conseguenze dell’ingresso del danno biologico nel sistema codicistico e dell’introduzione di parametri rigidi per la liquidazione del danno alla persona, sia esso biologico, psichico o morale, è difficile prevederlo, ma la storia, cui abbiamo assistito in questi anni, è stata proprio quella di battaglie contro i paletti di volta in volta posti al sistema risarcitorio, contro una filosofia della responsabilità civile ancorata al timore di un’espansione dei risarcimenti priva di controllo, o, talvolta, direttamente condizionata dagli interessi forti delle compagnie di assicurazione o dei grandi potenziali responsabili.
Il danno psichico rappresenta bene lo scontro tra approccio restrittivo alla responsabilità civile e approccio espansivo.
In un primo tempo il danno psichico poteva essere anche il nervous shock. Pertanto si poteva risarcire senza problemi anche la mera sofferenza psichica, e non sussisteva la necessità di provare a tutti i costi una patologia. Sia sufficiente richiamare le sentenze del Tribunale di Vigevano sui danni da immissione rumorosa, in cui l’alterazione della salute psichica veniva risarcita con la categoria del danno biologico, senza dovere provare una vera e propria patologia. Del resto, la diminuzione del benessere psichico, o, se si vuole, esistenziale, è in questi casi in re ipsa.
Tuttavia, la Corte costituzionale, nella nota sentenza del 1994 in Sgrilli c. Colzi, ha posto un decisivo stop al risarcimento delle sofferenze psichiche, tracciando una linea di demarcazione decisamente discutibile tra danno morale e danno psichico. E questa linea di demarcazione è il paletto, su cui ci siamo confrontati dal ’94 ad oggi.
Alla riconduzione del danno psichico entro la rigida matrice medico-legale hanno reagito giurisprudenza e dottrina, cercando di procedere ad un ulteriore svuotamento dell’art. 2059 c.c. e producendo nuove categorie di danno.
Tra tutte le soluzioni prospettate quella più convincente è stata senz’altro la via del danno esistenziale, che in tempi recentissimi ha iniziato ad essere accolta dalle corti, come ci dimostrano le recenti sentenze del Tribunale di Milano e del Giudice di Pace di Casamassima, e, ancora prima, del Tribunale di Torino nel 1995 e del Tribunale di Verona nel 1996.
Pertanto, qualsiasi legge seguirà, si può stare certi che sarà poi la comunità degli interpreti a gestirla: come è stato svuotato in questi decenni l’art. 2059 c.c., così potranno essere ribaltate le nuove norme in dirittura di arrivo.
Né si può seriamente dubitare oggi che una legge, che non sia il risultato finale della “reasoned evolution” di questi anni e dei principi elaborati dalle corti, possa resistere agli attacchi, che saranno portati avanti dalla dottrina e dalle corti.
(ordinario di diritto comparato Università di Torino)
TAGETE 2 - 2000 1
Tagete n. 2-2000 Ed. Acomep