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Ğihād e Dawa’: “la comunicazione è metà della battaglia.”

3. Le tre “I” di Terrorismo: Identità, Ideologia, Informazione

3.1 Origini e sviluppi dell’ideologia jihadista

3.1.5 Ğihād e Dawa’: “la comunicazione è metà della battaglia.”

A partire dagli anni ‘90, in concomitanza con la diffusione a livello planetario di Internet, l’Islam radicale cominciò ad avvalersi, per la divulgazione del suo messaggio, tanto delle violenza quanto della comunicazione (dawa’) e della manipolazione dei media. Gli obiettivi qaidisti negli anni 2000 erano le potenze straniere, perciò era necessario manipolare e sfruttare ad arte il loro potenziale mediatico. Tuttavia, la barriera linguistica fece sì che la strategia si basasse sull’utilizzo delle immagini quale veicolo di propaganda e di terrore. La pretesa universalità del messaggio ideologico qaidista, fondato sulla retorica semplice della contrapposizione violenta, si dimostrò

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P. Branca, Il califfato tra storia e mito, in P.Maggioni, P. Magri (a cura di), Twitter e Jihad: la comunicazione

dell’ISIS, I Edizione pdf, ISPI, Milano 2015. P.25.

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Comunicato di Ansār al-Sunna (http://www.investigativeproject.org/profile/125/ansar-al-sunna-as) e l’Esercito dei

muğahidīn, del 2 maggio 2007, in P. Maggioni, Lo Stato Islamico: una sorpresa solo per chi lo racconta, in P, Magri, P.

164 nei fatti una carta vincente. L’idea di una cospirazione internazionale contro il mondo islamico veniva continuamente corroborata – nell’ottica dell’ideologia radicale - dalle risposte militari (Somalia, Sudan, Afghanistan, Iraq), dall’appoggio ad Israele,

dall’embargo economico e dallo sfruttamento delle risorse dei territori sotto antica dominazione musulmana.

Questa retorica sembra non aver perso validità ma al contrario, la sua efficacia appare accresciuta dalla personalizzazione del messaggio propagandistico,

dall’incremento del know-how tecnologico e dalla leva della frustrazione sociale e politica delle comunità musulmane sia all’estero sia in “patria”.

La propaganda qaidista si è sviluppata attorno ad un messaggio semplice e ad un progetto politico effettivamente poco sostanzioso e poco lungimirante: scacciare gli infedeli (esercito, multinazionali statunitensi e occidentali) dai luoghi santi dell’Islam (la Penisola Arabica). Tale obiettivo non prevedeva, non prevede tuttora - sulla base dell’odierna dichiarazione di Ẓawahiri143 - un programma politico specifico. Di qui si ripropone la necessità della continua ricerca di un nemico. Per AQ la priorità è il nemico lontano, straniero: tale scelta è strategica ed ha un doppio scopo. Il primo è

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A due giorni del quindicesimo anniversario degli attacchi al WTC da parte di AQ, il suo commander in chief,

rinnova l’appello al ğihād e ribadisce la strategia contro il nemico lontano. Come sempre, ideologia, comunicazione e

strategia del terrore si sovrappongono per convergere nel medesimo scopo. Più che una commemorazione degli attentati del 11/9, il messaggio è una risposta al recentissimo accordo tra Russia e Stati Uniti per mettere in atto azioni congiunte in Siria contro i gruppi militanti jihadisti (tra i quali lo stesso AQIS e Fataḥ al-Šām di Ğawlānī, alleato qaidista). Si tratta del contrattacco, dell’avvertimento mediatico, tipico del modus operandi di AQ da quasi vent’anni. Ciò che provoca un senso

di inquietudine è il fatto che Ẓawahiri sia apparso sui media di tutto il mondo, rappresentato come il primo e fino ad ora

165 quello di avere il maggior consenso possibile dalla comunità islamica: canalizzare l’odio e le rivendicazione verso un avversario comune ha funzione aggregante e coesiva. Il secondo è quello di costringere - attraverso atti terroristici - le potenze internazionali ad appoggiare i governi “musulmani” corrotti e murtaidīn, obiettivo secondario ma non meno importante.

A differenza di AQ, lo SI ha costruito un messaggio più articolato e un progetto politico a lungo termine più solido e preciso. Esso si snoda a partire dai presupposti seguenti:

1. La vera battaglia per l’Islam globale deve essere combattuta sotto la sovranità dalla pura istituzione del califfato, rappresentativa di tutta la comunità islamica sunnita. Quindi:

a. è prioritario sgominare le opposizioni locali (governi nazionali, potentati regionali, minoranze etniche e religiose).

b. è necessaria la credibilità e l’affidabilità di uno Stato per garantire il successo del

ğihād.

2. Ogni musulmano nel mondo deve essere informato e consapevole dell’esistenza di uno “stato” in cui vige il più totale rispetto per la šarī‘a, dove i precetti islamici sono alla base della quotidianità. Chi abita al di fuori dei confini del califfato può: migrare

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(hiǧra144) e concorrere alla costruzione della nuova patria musulmana oppure

combattere il ğihād dovunque si trovi con qualunque mezzo a disposizione.

3. Ogni mezzo è legittimo se ha come fine la vittoria dello SI e la lotta per il volere di Allāh.

4. Chiunque non riconosca il califfo quale unico e vero vicario del profeta sulla terra e capo di tutti i credenti e non gli giuri fedeltà non è riconosciuto come musulmano: è quindi passibile di accuse di apostasia, persecuzione “giuridica” e condanna.

La centralità del nemico nella struttura ideologica dello SI è simile a quella di AQ. Tuttavia per il primo il termine indica una gamma vastissima di attori a più livelli:

dalle potenze internazionali, ai governi, agli altri gruppi jihadisti, alle minoranze etniche e religiose. Chiunque si rifiuti di pronunciare il giuramento di fedeltà al califfo è nemico. “Fin dall’inizio IS ha sottratto al suo nemico il “diritto” di definire chi esso fosse, facendo dell’esposizione diretta, sfrontata e provocatrice il faro del proprio agire. La comunicazione è quindi nel Dna di quest’organizzazione, al di fuori delle abilità tecnologiche e della conoscenza dei tempi e dei suoi riti mediali.”145

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Dal cui termine Egira, la migrazione di Muḥammad e dei suoi primi seguaci nel 622 d. C. da la Mecca a Medina. Il chiaro riferimento alle origini dell’Islam fornisce un ulteriore attraente alone di sacralità alla retorica propagandistica dello SI, nella quale nulla è mai lasciato al caso.

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