3. Le tre “I” di Terrorismo: Identità, Ideologia, Informazione
3.1 Origini e sviluppi dell’ideologia jihadista
3.1.4 Tafkir e al-wala’ wa al bara’: manipolazione del messaggio religioso,
“L'esperienza del carcere fu l'incudine su cui si forgiò l'Islam radicale in Egitto”140
D. Cook , Storia del Jihad.
La dottrina “schematica” di al-walā’ (la fedeltà) wa al-barā’ (l’ostilità) definisce l’Islam sia sulla base della volontà di combattere sia sul binomio amore-odio: amore per ciò che è “puramente” musulmano e odio per tutto ciò che non lo è o è
antimusulmano, ed è spesso accompagnata dalla pratica del takfīr. Tale dottrina è proposta quasi esclusivamente dai radicali ed è solitamente finalizzata ad acquisire prestigio presso la comunità islamica. Attraverso questa logica dicotomica essi si
140
160 arrogano il diritto ed il potere di definire il “vero” Islam ed ergersi a suoi legittimi ed integerrimi difensori. Il tafkīr e la ridda ne sono la naturale conseguenza. Dichiarare un musulmano apostata e ipocrita significa condannarlo a morte. Per tale ragione, l’abuso di questa pratica ha un grande successo presso gruppi radicali e terroristi specialmente per l’eliminazione degli oppositori o per la legittimazione della violenza indiscriminata.
Molti studiosi, come è già stato sottolineato nel primo capitolo, all’inizio degli anni 2000, hanno identificato nell’elemento religioso la causa della maggiore violenza degli attacchi terroristici. Sulla base dell’analisi attuale di questa dottrina e dell’ideologia jihadista, appare più evidente che la violenza abbia trovato la legittimazione nella manipolazione e nell’uso illecito e indiscriminato di precetti religiosi, piuttosto che esserne conseguenza.
Ricercare le radici della violenza nella religione è rischioso: ciò può infatti
distogliere l’attenzione dalle cause oggettive e intrappolare nella logica dello scontro delle civiltà, tanto cara ai musulmani radicali.
Il terrore e la brutalità delle azioni sembrano essere fondati principalmente sulla logica della vendetta, della ritorsione all’interno della concezione di una lotta analoga a quella tra Davide e Golia: la disparità delle forze militari, della tecnologia e delle risorse legittima ogni tipo di strategia, che di sovente, attraverso una fatwa prête-à-
161 l’esperienza del carcere e sovente della tortura, subita da quasi tutti gli elementi di spicco dei gruppi terroristici contemporanei, ha concorso in maniera decisiva alla radicalizzazione. Da una parte le carceri (in Egitto, in Siria, In Iraq) hanno infatti costituito un’ incubatrice dell’Islam radicale: oppositori politici, ribelli e militanti condividevano ivi oltre, alla durezza delle condizioni di vita, obiettivi politici, idee, progetti. Dall’altra l’incarcerazione forzata, le pratiche barbariche di tortura e l’assenza di garanzie legali hanno contribuito a rafforzare non solo la convinzione di essere nel giusto ma anche il desiderio di vendetta e di rivincita contro i governi dai quali hanno subito tale repressione. Spesso, alla fine del periodo di detenzione coloro che erano entrati come individui escono come membri di organizzazioni ed oppositori politici come militanti dediti a pratiche terroristiche.
Dietro alla pratica del tafkīr si trova un perverso meccanismo: la de-
umanizzazione del nemico vicino o lontano che sia. L’elemento personale mostra qui la sua rilevanza: la spoliazione dalla dignità e dalla umanità subita in carcere o in trincea lascia un solco irreparabile nelle dinamiche percettive dell’altro, considerato soltanto come nemico. La pratica della scomunica riflette e legittima questo
meccanismo di scissione. Il tafkīr nell’ottica islamica radicale corrisponde
all’ostracismo: l’individuo è svuotato della sua intrinseca umanità ed è spogliato di ogni diritto: la sua morte e la sua vita risultano privi di valore. La perpetrazione dell’estrema violenza passa sempre attraverso tale meccanismo: la dicotomia
162 dell’umanità in Noi/Degni/Sacri e Loro/Indegni/Miscredenti. Questa dissociazione fomenta la violenza e innesca funesti circoli viziosi: da notare che essa è sempre bilaterale nello scontro delle civiltà. Se i militanti dell’islam radicale dedito al terrorismo non considerano i nemici (i paesi occidentali, i governi laici, il sistema capitalistico) come parte del loro stesso genus lo stesso fanno coloro che li
combattono, dicono di farlo o ne subiscono loro strategia.
L’ideologia qaidista, ancor più quella dello SI, sono imperniate proprio su tale dualismo: il nemico è centrale nella loro retorica. Senza il principio della necessità di combatterlo, la conditio sine qua non dell’esistenza stessa di queste organizzazioni svanirebbe. Questo conduce principio di esclusione di qualsiasi compromesso con l’altro, che spogliato dalla propria identità, viene rivestito dall’abito dell’antagonista.
Questo meccanismo costituisce una trappola infida ben nota e costruita dagli ideologi del terrore, che non perdono occasione di rimbalzare le accuse di terrorismo verso i governi che usano metodi e armi letali contro cittadini innocenti, che privano la popolazione delle risorse necessarie per sopravvivere, che rubano ai legittimi
proprietari le materie prime. Tale retorica è potentissima e spesso inattaccabile agli occhi delle popolazioni musulmane abitanti in Iraq, Siria, Yemen, Sudan, Mali,
Somalia, Afghanistan, Bosnia, Cecenia che per decenni hanno subito violenze, soprusi, razzie da parte dei loro stessi governanti con la connivenza e il tacito sostegno della comunità internazionale.
163 La dottrina del a-walā’ wa al-barā’ unita alla pratica indiscriminata del tafkīr e il meccanismo di de-umanizzazione costituiscono delle armi letali nelle mani dei gruppi radicali terroristi contemporanei dinnanzi alle quali le obiezioni e le denunce dei musulmani moderati risultano deboli, inadeguate perciò inascoltate e prive di risposta. La “carenza di elaborazione di un discorso politico alternativo, esito di una
stagnazione e perfino di una regressione intellettuale”141 aggrava maggiormente la situazione: la forza propagandistica di un messaggio dualistico ed aggressivo rischia di ottenere il monopolio mediatico e politico.