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Ξύνδικος e defensor civitatis: avvocati privati con pubbliche funzioni Autorevole dottrina 28 avanzò l’ipotesi che la figura del defensor fosse

L’ambiguo status del defensor civitatis: soggetto pubblico o privato difensore?

3. Ξύνδικος e defensor civitatis: avvocati privati con pubbliche funzioni Autorevole dottrina 28 avanzò l’ipotesi che la figura del defensor fosse

tributaria di quella del ξύνδικος, come parrebbero far ritenere alcuni ritrova- menti papiracei. Ed infatti, Josef Partsch29, studiando un papiro friburghese

(n. 11 ‘Ein Antrag an den defensor civitatis’), contenente una petizione ad un ξύνδικος dell’Ossirinchite, scorgeva la conferma testuale di quanto già aveva avanzato Moritz August von Bethmann-Hollweg30, per cui la figura

del defensor civitatis avrebbe avuto origine da quella del ξύνδικος inteso nella sua accezione di difensore di una civitas.

Federico Pergami31, che ha dedicato all’argomento un denso contributo,

ricorda come nel 1937 la pubblicazione di nuovi ritrovamenti su papiro ar- ricchirono le nostre informazioni al riguardo.

Trattasi, in particolare, di un fascicolo processuale relativo ad un giudizio svoltosi nel 340 d.C. innanzi al praepositus pagi di Arsinoe32, nel quale il

termine ξύνδικος viene tradotto dagli editori con quello di defensor civita-

tis. Una simile analisi trovava il suggello dell’autorità di Vincenzo Arangio-

Ruiz33, il quale, nel papiro definito della longissimi temporis praescriptio,

dava per pacifico il richiamo al defensor civitatis, con ciò confermando il contenuto del papiro di Friburgo datato al 336 d.C., o meglio la lettura che di questo ne fecero Ludwig Mitteis sulla Rivista della Savigny Stiftung34 e il

già ricordato Partsch.

Riflettendo su questa zona meno esplorata della storia giuridica romana,

28 Cfr. V. mannino, Ricerche cit., 16 ss.

29 j. ParTsch, Mitteilungen aud der Fraiburger Papyrussammlung, rist. italiana, Milano

1974, 45 s.

30 M.A. beThmann-hollweg (Von), Der römische Civilprozess, vol. III, Bonn 1866 (rist.

1959), 107.

31 F. Pergami, Sulla istituzione cit., spec. per la parte filologica 105 ss.

32 Cenni sul praepositus pagi in P. PruneTi, L’archivio di Aurelius Heras praepositus

pagi, in Aegyptus 74, 1994, 33-36.

33 V. arangio-ruiz, Il papiro della ‘longissimi temporis praescriptio’, in Parerga. Note

papirologiche ed epigrafiche, Napoli 1945, 79 ss.

Leanne Bablitz35 si è interrogata, in tempi recenti, sulle esatte funzioni eser-

citate dai ξύνδικοι. Ma la studiosa, in ragione del taglio della sua ricerca, imperniata essenzialmente su actors and audience in the Roman courtroom, tralascia di approfondire la relazione intercorrente tra il ξύνδικος e l’istituto del defensor civitatis.

La polisemia del lemma ξύνδικος propone una serie di interrogativi circa il ruolo giocato nella prassi da tale figura, che a nostro modo di vedere si cre- de essere in rapporto archetipico con il defensor. Più dettagliatamente resta in dubbio non solo in che veste si presentasse innanzi agli organi giusdicenti il ξύνδικος, e di conseguenza, per relationem, il defensor, ma, altresì, quali funzioni queste due figure concretamente esercitassero e di che natura fosse il rapporto con i relativi rappresentati.

Non solo, ma è lecito domandarsi anche se, ogni qualvolta ξύνδικοι/de-

fensores si trovassero a postulare innanzi alla corte imperiale, operassero

attività di ambasceria36 o, piuttosto, vere e proprie udienze nelle quali rap-

presentavano le comunità cittadine in forza di mandati specifici37.

35 l. babliTz, Actors and audience in the roman courtroom, London-New York 2007,

167 ss.

36 Solo per inciso si fa presente che anche l’originario significato della parola orator, che rappresenta il difensore in giudizio per antonomasia nel periodo tardorepubblicano, era quello di ambasciatore, ciò è testimoniato da Festo, in w.m. lindsay (edidit), S. Pompei

Festi de verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, Lipsiae 1913, 218: … nunc quidem legati, tunc vero oratores, quod rei publicae mandatas partis agebant. Una

simile accezione del vocabolo è registrata anche in Plauto (Amph. 50; 384). Più approfondi- tamente sul significato di orator cfr. W. neuhauser, Patronus und Orator. Eine Geschichte

der Begriffe von ihren Anfangen bis in die augusteische Zeit, Innsbruck 1958, 120: «Orator

ist eine Weiterbildung des lateinischen Verbalstammes ora- mit dem im Lateinischen zu je- der Zeit lebendigen Suffix –tor, das ursprünglich „den Begriff einer dauernden Eigenschaft oder eines unterscheidenden Charakters” bezeichnet. Diese Funktion behält –tor auch noch zur Zeit Caesars und Ciceros. Erst später wird es in allgemeinerer Art zur Kennzeichnung einer Tätigkeit verwendet. Mit –tor werden also nomina agentis gebildet, obei mehr als eine bloße Handlung ausgedrückt warden soll, nämlich die Verkörperung und der Inbegriff einer solchen; so conditor, bellator, amator, pistor, rector (also zur Kennzeichnung von Berufen), sämtlich mehr als bloß „is, qui …”. In derselben Weise ist orator der Inbegriff, die Verkörperung des orare in einer bestimmten Person, die diese Tätigkeit berufsmäßig ausübt»; sul verbo orare cfr. l. gaVoille, orare et «la revendication éloquente» en latin,

in Ktéma 34, 2009, 63 ss.

37 Per alcuni spunti di riflessione sulle attività di simili figure vd. F. millar, The Emperor

in the Roman World (31 BC – AD 337), Oxford 1977, 375-385; 434-446, 507-527, il quale

fa notare circa il ruolo svolto dall’imperatore come «we cannot rigidly distinguish betwe- en the Emperor as benefactor and as judge» (ibidem, 434); r.j.a. TalberT, The Senate of

Per cercare di rispondere a simili interrogativi, o, quantomeno, offrire soluzioni plausibili, appare utile concentrarsi su una serie di iscrizioni ad oggi poco analizzate.

Nella prima si narra di come un certo M. Gavius Gallicus di Attaleia meritasse i più alti pubblici elogi poiché aveva discusso numerose cause in difesa della sua e di altre comunità innanzi alla corte imperiale:

OGIS 567 = IGRRP. 3,778: [...] συνήγορον καὶ προήγορον38 τῆς πατρίδος διηνεκῆ

... πολλοὺς ὑπερ τῆς πατρίδος καὶ πόλεων πλείστων ἀγῶνας εἰρηκότα ἐπί τε τῶν Σεβαστῶν καὶ τῶν ἡγε[μόν]ῶν [...]39.

Nella seconda, un ignoto efesino aveva svolto, in diverse occasioni, la funzione di ξύνδικος al cospetto di Severo e di Caracalla nell’interesse dell’intero popolo asiatico:

I.v. Ephesos, III, nt. 802: […] πρεσ[βεύ]σαντα καὶ συνδικήσαντα ἐπὶ θεοὺς [Σε-]

ουῆρον καὶ Ἀντωνῖνον εἴς τε τὴν βασιλίδα Ῥώμην πλεονάκις […]40.

Le due epigrafi non chiariscono, però, se le comunità provinciali dispo- nessero di magistrature specifiche cui rivolgersi in caso di necessità, o se si trattasse, piuttosto, di professionisti, ai quali, per la loro notorietà, venivano conferite procure, iure privatorum, al fine di postulare in cause nell’interesse collettivo. Oppure, terza eventualità, se si facesse riferimento a delegati che partecipavano ad ambascerie.

Appare utile considerare sul punto una serie di testimonianze di Filostrato41, il quale narra come il sofista Scopeliano di Clazomene si fosse

una serie di testimonianze, soprattutto di natura epigrafica, nota, in particolare, come queste «demostrate how iussues of public and private law and disputes between cities, between them and the government, and between them and their own citizens, were intertwined in the daily affairs of the empire» (J.A. crook, Legal Advocacy in the Roman World, London

1995, 50). I provinciali, infatti, avrebbero inviato ambascerie in città «to accuse de repe-

tundis, to ask for titles or money or other direct gifts, to plead for releases from this or that

tax, about boundaries, the right to raise internal revenues, the fulfilment of pollicitationes by their own citiziens or the right to receive legacies from them» (ibidem, 51). Le testimo- nianze in oggetto sono state analizzate da ultimo da F. giumeTTi, Per advocatum defenditur.

Profili ricostruttivi dello status dell’avvocatura in Roma antica, Napoli 2017, 91-95.

38 «Constant advocate and pleader» così traduce l’espressione J.A. crook, Legal advo-

cacy cit., 49 s.

39 Cfr. J.A. crook, Legal advocacy cit., 49 s.

40 Cfr. J.A. crook, Legal advocacy cit., 50.

recato a Roma per persuadere Domiziano42 «on behalf of the whole province

of Asia and not only the Smyrnaeans̕ to rescind the government’s prohibition against planting vines»43.

Filostrato menziona, altresì, il sofista Polemone di Laodicea44 scelto per

rappresentare Smirne di fronte all’imperatore in un processo che concerneva i templi e i diritti della città:

Philostr., VS 1.25.539: […] ἤριζεν ἡ Σμύρνα ὑπὲρ τῶν ναῶν καὶ ἐπ’αὐτοῖς δικαίων […].

Anche in questo caso la natura dei ruoli rivestiti da Scopeliano e da Polemone, eletto dagli abitanti di Smirne quale ξύνδικος, risulta di contenu- to complesso.

Il retore di Lemno, per quanto riguarda Polemone, si limita, infatti, ad informarci che, poiché questi si trovava fuori zona per motivi professionali, la città fu costretta a rivolgersi ad altri patroni, ma l’imperatore sospese il giudizio fino a quando non gli fu portata la difesa redatta da Polemone, il quale chiese che il discorso fosse letto e, basandosi su di esso, fu sentenziato in favore di Smirne.

La circostanza che i soggetti menzionati comparissero innanzi alla corte imperiale per interessi collettivi ha un significato non decisivo, infatti indica solo come le parti in causa fossero ben consapevoli dell’importanza di farsi rappresentate da un abile patrocinatore, in quanto le ripercussioni derivanti dal mancato ricorso a difensori capaci potevano rivelarsi disastrose.

Filostrato racconta, al riguardo, la storia di Eraclide di Licia che, nel bel mezzo di un discorso ex tempore davanti a Settimio Severo, si bloccò perché intimorito dalla presenza dell’affollato auditorio e dalle guardie imperiali45.

Lo stesso Filostrato riporta i motivi dell’empasse:

Philostr., VS. 2.26.613: […] τουτὶ δὲ ἀγορῖος μέν τις παθὼν κἂν αἰτίαν λάβοι, το γὰρ τῶν ἀγοραίων ἔθνος ἰταμοὶ καὶ θρασεῖς, σοφιστὴς δὲ ξυσπουδάζων μειρακίοις τὸ πολὺ τῆς ἡμέρας πῶς ἂν ἀντίσχοι ἐκπλήξει.

Cambridge 2009, 33 ss.

42 Philostr., VS 1.21.519-520, sul passo cfr. L. BabliTz, Actors cit., 167 ss.

43 J.A. crook, Legal advocacy cit., 51.

44 Su questa figura vedi m.d. camPanile, La costruzione del sofista. Note sul βίος di

Polemone, in Studi Ellenistici 12, 1999, 269 ss.; Philostr., VS 1.25.539; sull’episodio si veda

g. miglioraTi, Cassio Dione e l’impero romano da Nerva ad Antonino Pio. Alla luce dei

nuovi documenti, Milano 2003, 239 ss.

Egli opera una netta distinzione tra colui che è ἀγορῖος e colui che è σοφιστὴς, osservando che solo alla prima figura non poteva essere perdona- to un simile errore: infatti, Eraclide era un σοφιστὴς, abituato, come tale, a trascorrere la giornata dedicandosi all’insegnamento lontano dai tribunali.

Volendo trarre qualche conclusione sull’episodio sinteticamente richia- mato sembra possa evincersi che i soggetti inviati alla corte imperiale fosse- ro da considerarsi come avvocati di singole collettività, le quali, attraverso un rapporto di mandato, conferito con atti pubblici, legittimavano noti ora- tori a postulare alieno nomine. Ed infatti Polemone viene designato come ξύνδικος, utilizzando, pertanto, il vocabolo abitualmente riferito agli avvo- cati «du démos d’une ville, envoyés devant l’Empereur ou le gouverneur de province, pour plaider une cause où la ville s’est engacée»46.

La testimoninza lascia intravedere come il ξύνδικος, e quindi il defensor, venisse eletto da una civitas per patrocinare in favore di un «démos d’une ville», ricoprendo, con ciò, un incarico a valenza pubblica ma sulla base di un mandato privato, come un qualunque altro advocatus47.

Si è consapevoli della difficoltà di prendere una posizione precisa sul tema, difficoltà comprovate dall’ambiguità che caratterizza il rapporto tra ξύνδικος e defensor civitatis sulla base della presunzione iuris tantum che il primo sarebbe l’antecedente del secondo e rappresenterebbe un «avvocato privato o pubblico»48.

Sull’ipotesi avanzata nella presente analisi di ritenere il defensor, alme- no nelle sue manifestazioni originarie, un avvocato del tutto svincolato da poteri magistratuali è doveroso dare atto che il Pergami ha rilevato come il sostantivo ξύνδικος sia adoperato per riferirsi a delle funzioni giudicanti e che conseguentemente la traduzione con defensor civitatis sia del tutto arbitraria.

Ma a ben vedere la nostra ricostruzione del defensor come un vero e proprio avvocato eletto dalla civitas per la postulatio o la cognitio di singole cause non sembra trovare elementi ostativi nella circostanza che il ξύνδικος, inteso come un proto defensor, potesse svolgere anche funzioni giudicanti.

La cumulabilità delle due funzioni, infatti, viene confermata da più luo- ghi della compilazione giustinianea ed in particolare da una disposizione del codice, come in principium di C. 2.6.6 (Imp. Valentinianus et Valens AA. Ad

Olybrium p.u. – a. 370), per cui:

46 A. dimoPoulou, La rémunération de l’assistence en justice. Étude sur la relations avo-

cat-plaideur à Rome, Athens 1999, 262.

47 F. giumeTTi, Per advocatum defenditur cit., 92 ss.

48 b.r. rees, The defensor civitatis in Egypt, in JJP. 6, 1952, 73 ss. Sul punto il Liddell-

Scott, A Greek-English Lexicon, ad h.v. registra il concetto di assistenza e rappresentanza in giudizio che avrebbe avuto il termine ξύνδικος.

Quisquis vult esse causidicus, non idem in eodem negotio sit advocatus et iudex, quoniam aliquem inter arbitros et patronos oportet esse delectum.

Il brano pone in evidenza uno dei cardini del sistema giudiziario, ovvero la necessità della separazione del ruolo di giudice e di avvocato nel medesi- mo processo.

Il fatto che il divieto imposto al iudex di giudicare in sua causa, obbligan- do chiunque si accingesse al patrocinio di scegliere tra l’advocatio e l’offi-

cium iudicis, venga espresso in più fonti49 testimonia la frequente violazione

di un simile precetto50.

D’altronde, è la stessa costituzione (C. 2.6.6.6) che, in chiusura, confer- ma come dal punto di vista strettamente giuridico non vi fossero, invero, cause d’incompatibilità sostanziale tra i due ruoli. Chiunque desiderasse, infatti, svolgere l’attività di causidicus51 non avrebbe dovuto avere ragione

di alcuna doglianza ritenendo di aver perso in honor per non aver svolto la funzione di giudice.

Come ha osservato Salvatore Puliatti «tra professione legale e funzione giudicante non esisteva incompatibilità se non in caso di contemporaneità dell’esercizio di entrambe le attività da parte del medesimo soggetto»52. Lo

49 CTh. 2.2.1; C. 3.5.1; C. 4.20.10.

50 r. lamberTini, Sulla responsabilità del giudice nel diritto romano tardoantico, in Testi

e percorsi di diritto romano e tradizione romanistica, Torino 2010, 196.

51 In rapporto ai nuovi vocaboli affermatisi in età imperiale per indicare la difesa in giu- dizio, uno dei vocaboli maggiormente utilizzati è sicuramente quello di causidicus che, come ha puntualizzato Wieling, «kommt in den Rechtstexten dieser Zeit nicht ein einzi- ges Mal vor, obwohl er sonst verbreitet ist»: H. wieling, Advokaten cit., 420. Sul reale

significato del termine – che, a detta di m. grelleT-dumazeau, Le Barreau Romain, Paris

1972, 74, divenne di uso comune sotto il regno di Domiziano – vi sono teorie divergenti: infatti, da una parte per A. dimoPoulou, La rémunération cit., 260 indicherebbe sempli-

cemente «une caricature de l’avocat, qui rassemble magnifiés tous les excès et les vices de la profession»; dall’altro K. zolTán méhész, Advocatus Romanus, Buenos Aires 1971,

66, ritiene che il vocabolo sarebbe stato utilizzato per rivolgersi a tutti i difensori «muy estimados, aunque antes bien por su elocuencia conmovedora, que por su pericia en las cuestiones de Derecho». Tra le due opposte posizioni sembra preferibile una terza offerta da W. Neuhauser, Patronus und Orator. Eine Geschichte der Begriffe von ihren Anfängen

bis in die augusteische Zeit, Innsbruck 1958, 111, a detta del quale il termine «drückt eine

niedrige Stufe des Gerichtsredners aus, dar vor allem nur auf die praktische Bewährung Wert legt, auf den Erflog ausgeht und sich nicht um die Ideale des orator kümmert». 52 S. PuliaTTi, «Officium» cit., 93.

studioso adduce la testimonianza accolta in C. 1.51.14pr.-4.53 quale emble-

matica rappresentazione di una amministrazione della giustizia tutt’altro che esemplare. Tra i mali denunciati nella costituzione spicca la sovrapposizione dei ruoli di adsessor e di advocatus, nonché il decidere liti nel ruolo di ad-

sessores da parte di soggetti che precedentemente avevano patrocinato gli

stessi interessi in veste di advocati.

Il rimedio adottato dall’imperatore al fine di evitare simili conflitti di in- teressi è la previsione d’incompatibilità tra le due funzioni. Incompatibilità funzionale – si badi bene – eccepibile solo se nel medesimo iudicium lo stesso soggetto si trovi a ricoprire la veste di giudice e di avvocato.

Il compilatore giustifica siffatto precetto puntualizzando come gli incari- chi di adssessor e di advocatus esigano debita solertia, ossia una dedizione totale, e come non tollerino il festinare ad utrumque, cioè il frenetico simul- taneo esercizio54.

53 C. 1.51.14pr.: Nemo ex his, qui advocati causarum constituti sunt vel fuerint et in hac

regia urbe in quocumque iudicio deputati et in aliis omnibus provinciis nostro subiectis im- perio, audeat in uno eodemque tempore tam advocatione uti quam consiliarii cuiuscumque magistratus, quibus res publica gerenda committitur, curam adripere, cum sat abundeque sufficit vel per advocationem causis perfectissime patrocinari vel adsessoris officio fungi, ne, cum in utrumque festinet, neutrum bene peragat: sed sive advocatus esse maluerit, hoc cum debita sollertia implere possit, vel si adsessionem elegerit, in ea videlicet permaneat, ita tamen, ut post consiliarii sollicitudinem depositam liceat ei ad munus advocationis re- verti. (a. 529); C. 1.51.14.1: Nec sit concessum cuidam duobus magistratibus adsidere et utriusque iudicii curam peragere (neque enim facile credendum est duabus etiam necessa- riis rebus unum sufficere: nam cum uni iudicio adfuerit, altero abstrahi necesse est sicque nulli eorum idoneum in totum inveniri), sed altera adsessione penitus semota unius magi- stratus esse contentum iudicio. (a. 529); C. 1.51.14.2: Nec callidis machinationibus huiu- smodi legem putet quis esse circumscribendam et, si non consilarii signum quod solitum est chartis imponat, sed alias quasdam litteras excogitatas adsimulaverit, existimari ei licere fungi quidem memorato officio, sub huiusmodi tamen umbra latere, cum in legem commit- tunt hi, qui vigorem eius scrupulosis et excogitatis artibus eludere festinant. (a. 529); C.

1.51.14.3: Neque sibi blandiri quemquam oportet, quod et praesentis legis aculeos possit

evadere, quemadmodum et anteriores leges super hac re positas deludebat. si quis etenim in tali commisso fuerit inventus, sciat se de matriculis advocatorum penitus esse delendum et decem librarum auri multam nostris privatis largitionibus illaturum, per virum illustrem comitem rerum privatarum exigendam, et aliam maiorem regalis culminis subiturum offen- sam, cum nec ipse iudex, qui hoc fieri passus est et sciens prudensque hoc commiserit, sine imperiali commitione remanebit. (a. 529); C. 1.51.14.4: Eadem poena subiciendo etiam eo vel eis, qui in his causis, quarum patrocinium adepti sunt quibusque advocationem suam praestiterint, adsessionis cuiuscumque magistratus colore audeat vel audeant iudicare, ne adfectionis suae advocationis memor incorrupti iudicis non possit nomen perferre. (a. 529).

Se è dunque vero che, come testimonia Arcadio Carisio55 in

D. 50.4.18.13 (Arc. Char. lib. sing. de muneribuis civilibus): Defensores quoque,

quos Graeci syndicos appellant, et qui ad certam causam agendam vel defenden- dam eliguntur, laborem personalis muneris adgrediuntur,

e, dopo di lui, Ermogeniano, in un altro passo escerpito dai Digesta giustinianei:

D. 50.4.1.2 (Ermog. 1 epit.): Personalia civilia sunt munera defensio civitatis, id

est ut syndicus fiat: legatio ad census accipiendum vel patrimonium: scribatus: kamylasia: annonae ac similium cura: praediorumque publicorum: frumenti com- parandi: aquae ductus: equorum circensium spectacula: publicae viae munitiones: arcae frumentariae: calefactiones thermarum: annonae divisio et quaecumque aliae curae istis sunt similes. ex his enim, quae rettulimus, cetera etiam per leges cuiusque civitatis ex consuetudine longa intellegi potuerunt,

che, illustrando il concetto di munera civilia, poneva tra questi la defensio

civitatis, precisando che id est ut syndicus fiat, è, altresì vero che in entrambi

i giuristi il munus civile di cui si parla è quello della rappresentanza in giu- dizio delle città: ed in questo senso il termine syndicus era già utilizzato sia da Gaio:

D. 3.4.1 (Gai 3 ad ed. provinc.): Quibus autem permissum est corpus habere colle-

gii societatis sive cuiusque alterius eorum nomine, proprium est ad exemplum rei publicae habere res communes, arcam communem et actorem sive syndicum, per quem tamquam in re publica, quod communiter agi fierique oporteat, agatur fiat,

che da Paolo:

D. 3.4.6.1 (Paul. 9 ad ed.): Si decuriones decreverunt actionem per eum movendam

quem duumviri elegerint, is videtur ab ordine electus et ideo experiri potest: parvi enim refert, ipse ordo elegerit an is cui ordo negotium dedit. sed si ita decreverint, ut quaecumque incidisset controversia, eius petendae negotium titius haberet, ipso iure id decretum nullius momenti esse, quia non possit videri de ea re, quae adhuc in controversia non sit, decreto datam persecutionem. sed hodie haec omnia per syndicos solent secundum locorum consuetudinem explicari,

ed Ulpiano:

D. 43.24.5.10 (Ulp. 70 ad ed.): Idem ait et adversus procuratorem tutorem curato-

rem municipumve syndicum alieno nomine interdici posse.

Secondo Puliatti appare «inaccettabile la tesi che fa risalire agli anni pre- cedenti il 336, e addirittura al 319, l’introduzione dell’istituto del defensor civitatis nella normativa imperiale»56, e pertanto la creazione dell’istituto

deve essere esclusivamente attribuita alla legislazione di Valentiniano I e Valente.

Alla luce di queste ultime considerazioni, sembra evidente dalla lettu- ra delle fonti che tanto la legislazione orientale quanto quella d’Occidente, autonomamente e parallelamente, finirono per conferire ai defensores civi-

tatum operanti nelle due partes dell’impero varie funzioni riconducibili a

molteplici competenze di natura protettiva, amministrativa e giudiziaria. In particolare in Occidente dove le fonti non parlano più di defensores