L’ambiguo status del defensor civitatis: soggetto pubblico o privato difensore?
2. Origini, funzioni, scop
Come è ben noto a partire dal IV secolo d.C. il defensor civitatis era un magistrato cui veniva affidato l’incarico di difendere gli abitanti della co- munità di appartenenza, specialmente i plebei4, da ogni tipo di sopruso. Una simile attività mirava a filtrare eventuali tensioni sociali attraverso una fun- zione mediatrice che veniva esercitata non solo fra le diverse classi sociali, ma soprattutto tra governanti e governati. Ciò ha indotto alcuni autori ad instaurare una analogia tra il defensor civitatis e il tribunus plebis5.
Nonostante l’opinione avversa di Francesco De Martino6, invero, un si-
alcuni strumenti processuali nella unificazione imperiale.
3 Per una attenta ricostruzione delle singole realtà giuridiche provinciali sino alle porte del tardoantico vd. c. leTTa – s. segenni (curr.), Roma e le sue province. Dalla prima guerra
punica a Diocleziano, Roma 2015, 19 ss.
4 Difatti, oltre che con l’appellativo di defensor civitatis, l’istituto viene spesso designato con il nome di defensor o patronus plebis. Basti leggere al riguardo una costituzione di Leone, con la quale si stabilì l’assoluta libertà del donatario di compiere l’insinuazione sia presso i rectores provinciarum sia presso i magistrati delle civitates sia presso il defen-
sor civitatis: C. 1.57.1; C.Th. 1.29.4. Senonchè dobbiamo osservare come si sia sostenuto
che invero il defensor civitatis fosse un personaggio ben distinto dal defensor plebis e che quest’ultimo avrebbe avuto solo la cura della plebe rurale; in altri termini che il defensor
plebis fosse tutt’uno con il defensor locorum, ma diverso dal defensor civitatis. Sul punto
vd. N.D. FusTelde coulanges, Histoire des institutions politiques de la France2, vol. I,
Paris 1877, 595.
5 F. raynouard, Historie du droit municipal en France, vol. I, Paris 1829, 71; r.-j.-a.
houdoy, De la condition et de l’administration des villes chez les Romains, Paris 2016
(ediz. orig. 1875), 647.
6 F. de marTino, Storia della Costituzione Romana, vol. V, Napoli 1975, 502: «[…] seb-
bene la legge dica che il defensor deve proteggere la plebe contro le ingiustizie dei potenti, ciò non significa che esso sia confrontabile, come voleva il Cuiacio, con i tribuni della ple- be, ma può benissimo alludere a funzioni giurisdizionali, che avrebbero appunto permesso
mile accostamento non appare del tutto peregrino se pensiamo ad alcuni in- controvertibili punti di contatto tra le due figure: tra l’uno e l’altro istituto vi sono, infatti, aspetti comuni non marginali, tra i quali non solo lo scopo per il quale erano stati ideati, ma altresì lo strumentario giuridico loro concesso.
Allo ius intercessionis e allo ius agendi cum patribus, che avevano i tri- buni, potrebbe corrispondere, a nostro avviso, tanto lo ius postulationis che il defensor poteva attivare innanzi al praeses provinciae7, quanto il fonda-
di evitare l’ingiustizia dei potenti». Secondo V. mannino, Ricerche cit., 75: «la circostan-
za che all’ufficio, nella pars occidentale dell’impero, sia stato riconosciuto, alle origini, il compito di proteggere la plebs […] fornisce la chiave per intendere la ratio più profonda di C.Th. 1.29.1», infatti a detta dello studioso la ragione che spinse gli imperatori ad emettere la costituzione di cui C.Th. 1.29.1 fu quella di predisporre strutture organizzative operanti in periferia, in grado di assicurare un’adeguata protezione (o un senso di protezione) alle classi meno abbienti. Un’esigenza più generale, questa, che era stata avvertita, per restare nell’ambito temporale in cui si inserisce la prima legislazione imperiale d’Occidente in tema di defensio civitatis, già da Giuliano. In proposito, non deve reputarsi privo di signi- ficato il fatto che l’imperatore Giuliano, accanto ad una politica di non favore nei confronti della religione emergente del Cristianesimo e di rilancio degli altri culti, aveva avviato un ampio processo di riorganizzazione dello Stato, su cui vd. S. mazzarino, L’impero cit., 712.
Sul modo di gestire la giustizia da parte di Giuliano, soprattutto da quanto emerge dall’ope- ra di Ammiano Marcellino, vd. j. FonTaine, Le Julien d’Ammien Marcellin, in L’Empereur
Julien. De l’histoire à la légende (331-1715), scritti raccolti da R. Braun e J. Richer, Paris
1978, 51; V. neri, Costanzo, Giuliano e l’ideale del civilis princeps nelle Storie di Ammiano
Marcellino, Roma 1984, passim; a. selem, L’atteggiamento storiografico di Ammiano nei
confronti di Giuliano dalla proclamazione di Parigi alla morte di Costanzo, in Athenaeum
49, 1971, 89-110. Per ulteriori indicazioni bibliografiche sul punto vd. m. calTabiano, Un
quindicennio di Studi sull’imperatore Giuliano (1965-1980), in Κοινωνία 7, 1983, 113-116;
ead., Un decennio di Studi sull’imperatore Giuliano (1981-1991), in Κοινωνία 17, 1993,
149-156.
7 Alla figura del praeses provinciae nelle opere ulpianee ha dedicato un approfondito esame d. manToVani, Il «bonus praeses» secondo Ulpiano. Studi su contenuto e forma del
«de officio proconsulis» di Ulpiano, in BIDR. 96-97, 1993-1994, 203 ss., soprattutto per
quanto concerne la sua specificità rispetto alla figura del proconsul nel de officio proconsu-
lis. Dario Mantovani nota come sia opportuno distinguere l’impiego in funzione appositiva
del vocabolo praeses da quello in funzione denominativa. Dalle epigrafi del II e III secolo d.C. risulta che praeses in funzione appositiva era utilizzato raramente per indicare i legati
Augusti pro praetore e ancor meno in sostituzione di proconsul. Diverse, invece, le consi-
derazioni fatte dallo studioso in merito all’impiego in funzione denominativa di praeses. Le fonti letterarie testimoniano, infatti, un uso promiscuo dei due vocaboli: praeses veniva im- piegato sia con il significato di governatore provinciale in generale, che in contrapposizione a proconsul. All’inizio del III secolo d.C. al termine praeses, invece, non era assegnata un’assoluta portata topica: è necessario, pertanto, vagliare caso per caso l’utilizzo semanti- co che ne fa Ulpiano, sul punto v. m. scognamiglio, L’analogia tra tutor e qui officium in
mentale diritto di essere, ogni qual volta lo ritenesse opportuno (C. 1.55.4)8, ricevuto sia dal governatore provinciale che, ma in un momento successivo, dal praefectus praetorio, dai magistri militum e dai magistri officiorum.
Giova, però, ricordare come le molteplici attribuzioni delle quali il defen-
sor venne ad essere titolare furono il risultato di lente, e non sempre facili,
conquiste.
L’eterogeneità delle funzioni rende evidente, più di altri aspetti, la man- canza di una idea chiara nella politica legislativa sulla natura giuridica del
defensor. I singoli poteri vennero, infatti, concessi e revocati al defensor in
modo del tutto occasionale senza alcun ordine sistematico, ma solo seguendo quanto richiedessero le circostanze specifiche. Ciò impedisce, com’è chiaro, di esporle schematizzandole in modelli organizzativi omogenei, e pertanto di seguito, per meglio comprenderne la portata nella costruzione identitaria del defensor, se ne daranno brevi cenni enumerandole, almeno per alcune, in ordine cronologico.
Il defensor possedeva di certo limitata giurisdizione per quelle cause che non dignae forensi magnitudine videbantur (CTh. 1.29.2), allo scopo di ren- dere una pronta giustizia ai più indigenti e salvaguardarli dalla avidità dei funzionari di cancelleria e dalla pravitas degli avvocati, che, come ha evi- denziato Lucio De Giovanni9, ammorbava la società di allora.
provincia gerebat: osservazioni sull’amministrazione provinciale in età classica, in φιλία. Scritti per Gennaro Franciosi, Napoli 2008, 2439 ss.
8 Su questo ultimo aspetto cfr. S. romano, voce Defensor Civitatis, in NNDI., vol. V,
Torino 1960, 313. A detta di Mannino si tratta di una costituzione assai significativa per il suo valore generale, in quanto tra l’altro, «costituisce, verosimilmente, il segno della volon- tà imperiale di uniformare, almeno sotto l’aspetto della durata della funzione, la condizione dei defensores orientali, dando così loro una stabilità maggiore: infatti, con la legge in esa- me si fissò in 5 anni la durata della carica e si stabilì l’esistenza di un rapporto diretto tra i titolari di essa ed il governatore provinciale, presso cui i defensores potevano farsi ricevere ogniqualvolta l’avessero reputato necessario»: V. mannino, Ricerche cit., 114-15.
9 l. de gioVanni, I «mali della giustizia» in una testimonianza di Ammiano Marcellino, in
c. cascione – c. masi doria (curr.), Fides, humanitas, ius. Studii in onore di Luigi Labruna,
vol. III, Napoli 2007, 1401-1406. Ammiano Marcellino (30.4.3-22) descriverà l’avvocatura a lui coeva, rimpiangendo dolorosamente gli oratori di un passato tanto glorioso quanto lontano. Nelle parole dello storico antiocheno coloro che esercitano la professione forense appaiono accomunati da una natura violenta e rapace, tutti intenti in una smodata ricerca di incarichi giudiziari. Solo apparentemente laboriosi ma in realtà avvezzi a volare affac- cendati da un foro all’altro e dediti a fiutare, come cani spartani o cretesi, le tracce di cause lucrose (Amm. 30.4.8: At nunc videre est per eos omnes tractus violenta et rapacissima
genera hominum per fora omnia volitantium, et subsidentium divites domus, ut Spartanos canes aut Cretas, vestigia sagacius colligendo ad ipsa cubilia pervenire causarum). A simi-
La codificazione teodosiana ci informa che sin dalla sua istituzione il
defensor avrebbe potuto provocare in materia di imposte un vero e proprio
giudizio, qualora le subscriptiones nelle liste censuarie non fossero state re- datte secondo diritto (CTh. 13.10.7).
A queste funzioni vennero ad aggiungersene altre che potremmo qualifi- care ‘commissariali’, tra le quali la repressione del brigantaggio (C. 1.55.6) o la persecuzione dei pagani e degli eretici (C. 1.55.8), attività, queste, che già denotano una nuova dimensione dell’istituto sempre più distante dal rea- le significato della denominazione che lo contraddistingueva in origine.
E in questa prospettiva mi pare assuma una certa rilevanza il fatto che dal 409 d.C. in poi venne affidata al defensor la tutela dei possessores terrieri av-
berie e soprusi consumati per mano di giudici e avvocati pronti ad avviare un vero e proprio mercimonio delle cause, ridotte solo a fonte di ricchezza e cariche pubbliche (Amm. 30.4.2:
laxavitque rapinarum fores, quae roborabantur in dies iudicum advocatorumque pravitate sentientium paria, qui tenuiorum negotia militaris rei rectoribus vel intra palatium validis venditantes, aut opes aut honores quaesivere praeclaros). La requisitoria dello storico sui
propri tempi non si limita a recriminare su tali protagonisti, giudici o avvocati, bensì si di- pana dilatandosi in una condanna capillare dei soggetti coinvolti a vario titolo nell’esercizio giurisdizionale. L’esigenza di fotografare la varietà di violazioni compiute nell’assolvimen- to di mansioni diversificate nell’amministrazione della giustizia della seconda metà del IV secolo d.C., aldilà della effettiva identificabilità storica dei quattro gruppi professionali che lo storico menziona, giustifica la scelta di stilare, nei brano richiamato (30.4.3-22), una vera e propria classificazione in materia: che ci consegna uno scenario popolato innanzitutto da malvagi profittatori, proclivi ad acuire contrasti familiari e strumentalizzare il proprio ingegno per ricavarne orazioni in realtà esclusivamente finalizzate ad ingannare i giudici. Non può meravigliare, dunque, che in una simile temperie il legislatore imperiale fosse sollecitato su più fronti per intervenire sugli aspetti etico-professionali della difesa in giudi- zio, in particolare, come si vedrà, relativamente all’honorarium. Innanzitutto era necessario disciplinare l’esercizio dell’avvocatura, sperando di poterne raddrizzare le plurime stortu- re. Vd. i.g. masTrorosa, Ammiano Marcellino e l’oratoria forense tardorepubblicana: un
antidoto contro la pravitas giudiziaria dell’età di Valente?, in F. leonardelli – g. rossi
(curr.), Officina humanitatis. Studi in onore di Lia de Finis, Trento 2010, 87-98; o. bucci,
La professione forense, “odiosa alle persone oneste” (Ammiano Marcellino), “ombra di una parte della politica” (Platone) e “mala arte” (Epicuro), in C. russo ruggeri (cur.),
Studi in onore di Antonino Metro, vol. I, Milano 2009, 181-221; m. calTabiano, Studium
iudicandi e iudicum advocatorumque pravitas nelle Res Gestae di Ammiano Marcellino, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana. XI Convegno Internazionale in onore di Flix B.J. Wubbe, Napoli 1996, 465-484, spec. 465 s. Più in generale per quanto concerne
l’avvocatura nel tardo antico H. wieling, Advokaten im spätantiken Rom, in Atti dell’Ac-
cademia Romanistica Costantiniana. XI Convegno Internazionale in onore di Felix B.J. Wubbe, Napoli 1996, 419, il quale ha osservato che «später wurde der Ausdruck patronus
allgemein für den Gerichtsredner verwandt» quando il vocabolo verrà, definitivamente, uti- lizzato «als Synonym für orator».
verso le rapacità degli agenti del fisco (C.1.55.8.1), così divenendo, di fatto, il garante del potere imperiale circa l’esatta riscossione delle tasse.
Dunque, il defensor acquisì sempre più i connotati di un magistrato al servizio del potere, preposto ad uniformare, anche attraverso una diffusa pace sociale, lo sconfinato territorio dell’impero, sia sotto il profilo giuridico che fiscale.
Non a caso un’altra attribuzione, prima spettante ad altri magistrati, ven- ne in questo medesimo tempo conferita quasi nella sua totalità al defensor: l’amministrazione degli acta e dei gesta, che erano dei pubblici registri dove i privati registravano le ingiustizie di cui credevano essere stati vittime (C. 1.55.9.1).
Infine, la legislazione giustinianea riformò completamente l’istituto (Nov. 8; 15), rendendolo poco più che un luogotenente del governatore.
Alla luce di queste brevi nozioni si spiega l’opinione di chi ritiene che il defensor, più di ogni altra figura, è una istituzione «dei tempi corrotti, che trova la sua spiegazione nella necessità impellente di porre un rime- dio all’anarchia, che oramai dominava l’intera amministrazione dell’Impero romano»10.
In un clima del genere, come tramandano le fonti, sembrò opportuno cre- are una nuova figura:
CTh. 1.29.5: Imppp. Valentinianus, Valens et Gratianus AAA. ad Senatum. Utili ra-
tione prospectum est, ut innocens et quieta rusticitas peculiaris patrocinii beneficio fruatur, ne forensis iurgii fraudibus fatigata, etiam cum ultionem posceret, vexare- tur; dum aut avarior instruitur advocatus aut obsessor liminis maioribus princeps praemiis exoratur, dum acta ab exceptoribus distrahuntur, dum commodi nomine amplius ab eo qui vicerit intercessor exposcit quam redditurus est ille qui fuerit superatus. hoc fieri dignitas non patitur senatoris, sed exortas contentiones cita de- finitione compescet; nam erepta perperam amota dilatione restituit ordin[…] sine dubio rectoris habeatur auctoritas, quae meliore in bonos condicione retinetur; nam ille patitur humani cruoris horrorem, hic innoxiam sibi vindicat potestatem. dat. iiii id. aug. hierapoli valentiniano et valente iii aa. conss. (370 aug. 10),
che, come tramanda la codificazione teodosiana, innocens et quieta rusti-
citas peculiari patrocinio fruatur. Per l’impossibilità effettiva di conseguire
un così alto obiettivo, il defensor si trasformò così in magistrato municipale, divenendo parte integrante di quella stessa amministrazione su cui avrebbe dovuto vigilare.
Come è noto, l’istituzione del defensor civitatis11 viene collocata in Illiria nell’anno 364 d.C. per volontà degli imperatori Valentiniano I e Valente12: CTh. 1.29.1: Impp. Valentinianus et Valens AA. ad Probum Praefectum Praetorio.
Admodum utiliter edimus, ut plebs omnis illyrici officiis patronorum contra poten- tium defendatur iniurias. super singulas quasque praedictae dioeceseos civitates aliquos idoneis moribus quorumque vita anteacta laudatur tua sinceritas ad hoc
11 Sulla nascita dell’istituto, e sul suo sviluppo, è d’obbligo la lettura di V. mannino,
Ricerche cit., 13 ss. e di F. Pergami, Sulla istituzione del defensor civitatis, in SDHI. 61,
1995 (= in id., Studi di Diritto Romano Tardo Antico, Torino 2011, 105 ss. da cui si cita).
Pergami avanza, però, seri dubbi sull’attendibilità della data risultante dalla lettura della
subscriptio, che lo studioso riconduce a due ordini di ragioni, l’uno di ordine prosopografi-
co, attinente alla qualifica del destinatario; l’altro, di carattere sostanziale, relativo ai tempi di introduzione del defensor civitatis nella legislazione tardo-antica. Per quanto concerne il dato prosopografico, lo studioso ritiene che nella data indicata non vi sia stata alcuna prefettura di Probo, ricorda infatti che «le inscriptiones e le subscriptiones radicalmente alterate nel Codice Teodosiano sono molto frequenti, senza che spesso sia possibile offrire una soluzione plausibile» (ibidem, 117). In merito alla impossibilità sostanziale di collocare in quella data la creazione dell’istituto Pergami evidenzia come appaia poco credibile che un progetto di tale rilevanza politica possa essersi concretizzato nel breve tempo intercorso dall’avvento al potere di Valentiniano. Infatti, trascorsi dieci giorni dalla morte di Gioviano,
Valentinianus nulla discordante sententia numinis adspiratione caelestis electus est (Amm.
26.1.5). Sul contenuto della costituzione in esame cfr. i rilievi di V. mannino, Ricerche cit.,
13 ss.; 69 ss.
12 Appaiono interessanti le osservazioni fatte da Ammiano Marcellino sulla amministra- zione della giustizia da parte di Valentiniano I e Valente. In particolare nel XXX libro delle
Res Gestae, lo storico antiocheno osserva che, mentre la situazione dell’impero poteva dirsi
tranquilla relativamente ai rapporti con i popoli stranieri, non lo era altrettanto all’interno a causa degli amici e dei familiari dell’imperatore Valente, che, preoccupati più del vantaggio personale che dell’onestà, si davano da fare con grande diligenza ut homo rigidus audire
cupiens lites a studio iudicandi revocaretur. L’insistenza degli amici, infatti, soprattutto
quella del prefetto del pretorio Modesto, convinsero l’imperatore che l’esercizio della giu- risdizione sarebbe stata una attività umiliante per la maestà del potere imperiale e pertanto lo portarono ad astenersene. Ma in questo modo, del tutto inopinatamente, l’imperatore favorì il continuo accrescersi delle ruberie, che divennero sempre più sfacciate per la per- versità degli avvocati. In questo contesto risultano strettamente connesse la mancanza da parte dell’imperatore dello studium iudicandi, il quale suppone, oltre alla competenza del sovrano ad amministrare la giustizia personalmente o delegandone il compito ad altri, anche la consapevolezza del dovere personale e dello zelo diligente ed appassionato di compierlo con equità, e la iudicum advocatorumque pravitas, cioè la disponibilità dei giudici e degli avvocati a lasciarsi corrompere. Sulla amministrazione della giustizia per quanto concerne l’impero di Valente e Valentiniano vd. M. calTabiano, Studium cit., 465 s.; F. Pergami, La
eligere curet officium, qui aut provinciis praefuerunt aut forensium stipendiorum egere militiam aut inter agentes in rebus palatinosque meruerunt. decurionibus ista non credat; his etiam, qui officio tui culminis vel ordinariis quibuscumque recto- ribus aliquando paruerint, non committat hoc munus; referatur vero ad scientiam nostram, qui in quo oppido fuerint ordinati. dat. v k. mai. divo ioviano et varronia- no conss. (364 [immo 368 posteave] apr. 27).
Sulla base dei dati desumibili dalla legge, dunque, si rileva come essa fu diretta a Probo, il prefetto del pretorio d’Italia, d’Illirico e d’Africa. Il richiamo all’Illirico e la particolare posizione di Probo, nonché i rapporti burocratici esistenti nel basso impero, fanno pensare ad una possibile esten- sione di CTh. 1.29.1, se non altro, all’Italia e all’Africa, poste pure sotto il controllo di quel prefetto del pretorio, mentre è meno probabile l’estensione anche alla pars Orientis, soprattutto per la mancanza di adeguate notizie in tal senso13. Non si deve, in ogni caso, dimenticare che cenni a defensores ci-
vitatum si ritrovano anche in alcune opere di giuristi precedenti, come Paolo
ed Ermogeniano14, e proprio questo dato si crede debba essere preso in mag- giore considerazione rispetto a quanto sino ad oggi è stato fatto.
Al fine di meglio comprendere la reale natura dell’istituto15, appare op- portuno evitare di ridurre le testimonianze precedenti al provvedimento im- periale a meri riferimenti a soggetti che i municipi avrebbero eletto, a vario titolo, per difendere le proprie ragioni in cause specifiche: qui ad certam
causam agendam vel defendendam eligitur16.
Sembra, infatti, plausibile che Valentiniano I e Valente abbiano dato veste isti- tuzionale a prassi da tempo seguite: intento degli imperatori sarebbe stato quello di rendere, in ossequio all’ideologia imperiale, parte dell’amministrazione cen- trale una figura diffusa, inquadrandola in una visione organicistica statuale.
L’introduzione di un fitto sistema sanzionatorio e la regolamentazione giuridica dell’istituto non fece altro che “statualizzare” lungo gli anni ciò che già esisteva, volendo in tal modo eliminare eventuali spiragli di libertà
13 Dalla formulazione della costituzione richiamata Vincenzo Mannino trae alcuni signifi- cativi elementi che di seguito, in parte, si sintetizzano: 1) in Illirico non esisteva un patronato munito delle caratteristiche indicate nel provvedimento ricordato in C.Th. 1.29.1; 2) nel prov- vedimento il patronato viene configurato come un ufficio imposto dal governo centrale alla stregua di un organo periferico dello stato; 3) questo ufficio di natura pubblica e statale non sarebbe stato adibito alla protezione generalizzata di tutti i cittadini, bensì dei soli appartenenti alla classe plebea contro le ingiustizie dei potentes, cfr. V. mannino, Ricerche cit., 26.
14 Vd. S. romano, voce Defensor cit., 313 nt. 6.
15 e. PhiliPPs, Zur Geschichte des Patronats über juristische Personen, in Rheinisches
Museum für Philologie 8, 1853, 451 ss.
alle diverse realtà municipali che da allora in poi avrebbero dovuto rivolger-