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Constitucionalismo Latinoamericano Defensa del Pueblo y Derechos Humanos Introducción al tema

3. Rappresentanza ed equilibrio dei poter

3.1. Centralismo e sostituzione feudale di volontà

La divisione del potere, in poteri paralleli, “separati” e “in equilibrio” tra loro, è l’istituto “per la difesa della libertà” proprio della forma di governo “monarchica”, nel “modello” feudale di questa, fornito dalla “costituzione” inglese medievale-moderna e il cui istituto-quadro è il Parlamento29.

Questa appartenenza è affermata chiaramente da Montesquieu, il quale definisce tale forma di governo: «gouvernement fondé sur un corps législatif formé par les représentants d’une nation» ovverosia: «gouvernement d’un seul […] mêlé de l’aristocratie»(EdL, 11.8 “Pourquoi les anciens n’avaient pas une idée bien claire de la monarchie”)30.

28 La affermazione della grandissima importanza del tribunato non soltanto segue ma anche ribadisce la affermazione che le parti costitutive della «cité» sono precisamente ed esclusivamente i due segmenti della volizione collettiva (legge e sua esecuzione): «Le Tribunat n’est point une partie constitutive de la Cité, & ne doit avoir aucune portion de la puissance législative ni de l’exécutive, mais c’est en cela même que la sienne est plus gran- de: car ne pouvant rien faire il peut tout empêcher. Il est plus sacré & plus révéré comme défenseur des loix, que le Prince qui les exécute & que le Souverain qui les donne». 29 Il “Model Parliament”, istituito (1295) quaranta anni dopo il tentativo del ribelle Conte di Montfort (1265) e ottanta anni dopo il compromesso, raggiunto tra Re e aristocrazia feu- dale con la Magna Charta (1215).

Hans Kelsen afferma ripetutamente la differenza sostanziale del “parlamentarismo” dalla democrazia. Si veda, in particolare, il saggio Das Problem des Parlamentarismus, Wien – Leipzig 1925; cfr. Th. olechowski, Von der „Ideologie“ zur „Realität“ der Demokratie,

in T. ehs (hrsg.), Hans Kelsen. Eine politikwissenschaftliche Einführung, Baden-Baden /

Wien 2009, 113 ss.

30 La ispirazione feudale di Montesquieu è evidente e nota (E. magnou-norTier, Les “lois

féodales” et la société d’après Montesquieu et M. Bloch ou la seigneurie banale reconsi- dérée, in Revue Historique 586, avril-juin 1993, 321-360; P. ourliac, Montesquieu histo-

rien de la féodalité, in aa.VV., Mélanges P. Vellas. Recherches et réalisations, Paris 1995,

437-449; O. Tholozan, Henri de Boulainvilliers. L’anti-absolutisme aristocratique légit-

Nel vocabolario di Montesquieu è assente la parola “centralismo” (la quale è un ‘ismo’ proto-novecentesco) ma nella sua dottrina è presente la tesi che sia caratteristica della monarchia il determinante ruolo volitivo del “centro”31 e Rousseau riconosce la “concentrazione” del governo come ca- ratteristica della forma di governo monarchica32. La concentrazione della volizione collettiva nell’ “uno” (il “capo”)33 contrappone immediatamente questa forma di governo a quella democratica34, la cui caratteristica prima è, invece e all’opposto, la partecipazione di tutti a quella volizione. La concen- trazione volitiva rende intrinsecamente elementare il modo della volizione.

Section I “Boulainvilliers et Montesquieu : une communauté d’esprit” – § 4 “Convergences et divergences dans la conception de l’histoire des corps intermédiaires”: «Le parlementai- re [Montesquieu] est d’ailleurs convaincu que cette monarchie tempérée par la féodalité, modèle politique idéalisé, a existé»). Tale ispirazione “feudale” non deve fare dimenticare l’inscindibile nesso (anche nel pensiero di M.) del feudalesimo con il «gouvernement d’un seul» ovvero con la «monarchie».

Montesquieu ha perfettamente ragione nell’affermere la assenza presso gli «anciens» della esperienza monarchica-feudale; egli ha, però, gravemente torto quando la spiega con la poca chiarezza delle loro idee. In realtà è proprio lui a non avere «bien claire» la relazione antica (che, tuttavia, usa) tra legge e governo. Per la comprensione di questa relazione oc- correrà attendere Rousseau: P. basTid, Rousseau et la théorie des formes de gouvernement,

in aa.VV., Étu des sur le Contrat social de Jean-Jacques Rousseau, Paris 1964, 316: «La

gran de originalité du Contrat social c’est la séparation définitive de l’Etat (au sens courant du mot) et du gouvernement. Le sens de chacune de ces deux no tions s’est métamorphosé. Le pactum societatis qui est à la base de l’Etat n’a plus rien en commun avec le choix d’un chef: c’est l’acte primordial par lequel “un peuple est un peuple”». Bastid (ibid. 315) ricor- da che nel Di scours sur l’inégalité del 1755, su questi temi, Rousseau si limitava ancora -come egli stesso riconosce- a seguire la “opinion commune”. Cfr., supra, nota 6.

31 EdL, Livre III. “Des principes des trois gouvernements », ch. VII “Du principe de la monarchie” «il en est comme du système de l’univers, où il y a une force qui éloigne sans cesse du centre tous les corps, et une force de pesanteur qui les y ramène.»; cfr. Livre X. “Des lois dans le rapport qu’elles ont avec la force offensive”, ch. IX. “D’une monarchie qui conquiert autour d’elle”.

32 Nel CS (livre III., ch. III. “Division des Gouvernemens”) Rousseau definisce «Monarchie ou Gouvernement royal» la forma di governo in cui tutto il governo è «concentrato» nelle mani di un magistrato unico.

33 Sulla nozione di “capo” in relazione alle organizzazioni collettive, vedi G. lobrano,

Società cit. (cfr. anche, infra, nt. 42).

34 L’ossimoro “centralismo democratico” (del Programma della internazionale comuni-

sta del 1928, preceduto dal “centralismo” del Che fare? del 1902, e dal “centralismo orga-

nico” delle Tesi di Lione del 1926) appartiene al linguaggio politico ma è un prodotto della scienza giuridica ’900esca, prodotto – a sua volta – di quella ottocentesca (vedi, infra, § 5.

Nella specie feudale/parlamentare (westminsteriana) del genere mo- narchico di forma di governo, la volizione ‘pubblica’ resta assolutamente concentrata/elementare.

Non complessa ma complicata35 e oscura è resa, invece, la sua raffigura- zione, mediante una sorta di ‘chicane’ più terminologica che concettuale. È la contraddittoria novità della affermazione della sovranità (della volontà) popolare e – nel medesimo tempo – della sua negazione mediante la nozione di “rappresentanza”.

La affermazione della sovranità della volontà popolare è l’apice concet- tuale di una serie di fenomeni tra loro connessi e sinergici. Questi fenome- ni, i quali hanno avuto inizio durante il secolo XII, in luoghi diversi della Europa per interessarla quindi nella sua totalità, hanno in comune il ritorno alla romanità contro il feudalesimo. Essi, infatti, sono, in ordine cronolo- gico: la crisi del feudalesimo, il rifiorire di quelle città, ora “Comuni”, re- taggio romano (come osserveranno Fustel de Coulanges e Mommsen)36, la cosiddetta “riscoperta” (in particolare presso lo Studium del “Comune” di Bologna e ad opera principalmente del giurista Irnerio) del Diritto romano nel Corpus Juris Civilis37 e la convocazione di delegati dei Comuni a vari

35 Sulla distinzione tra complessità e complicazione nel diritto, si può vedere il recente con- tributo di M. bombardelli, Semplificazione normativa e complessità del diritto amministrati-

vo, in Diritto pubblico 3, 2015, 985 ss.; ivi, in part., il rinvio (1018 nt. 57) a F. osT – M. Van

de kerkoVe, Pensare la complessità del diritto: per una teoria dialettica, in Soc. dir., 1997, 5

ss.; M. miTchell, Complexity. A guided tour, Oxford 2009; A.F. de Toni – L. comello, Prede

o ragni. Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità, Torino 2009, 13 ss.

36 Vedi, infra, nt. 39.

Per quanto concerne il giudizio sulla nozione di rappresentanza come “chicane termino- logica”, ricordo che almeno dagli anni ’80, la dottrina costituzionale ha preso atto della inconsistenza razionale della nozione di rappresentanza politica: A. Torres del moral,

Crisis del mandato representativo en el Estado de partidos, in Revista de Derecho político

14, verano 1982; H. eulau, Changing Views of Representation, in H. eulau – J.C. wahlke

(eds.), The Politics of Representation. Continuities in Theory and Research, Beverly Hills 1978, 32; seguito da D. Fisichella, La rappresentanza politica, Milano 1983, 5; cfr. id.,

Elezioni e democrazia: un’analisi comparata, Bologna 1982; D. nocilla – l. ciaurro,

voce Rappresentanza politica, in EdD, vol. XXXVIII, Milano 1987; G. Ferrari, voce

Rappresentanza istituzionale, in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. XXV, Roma 1991.

37 Osserva V. Piano morTari, voce Glossatori, in EdD, vol. XIX, Milano 1970, 625, che

il «ritorno dello studio del diritto civile compreso nella codificazione di Giustiniano», il quale dà «inizio alla civiltà giuridica europea», avviene a opera dei Glossatori bolognesi nel secolo XII quando «i Comuni italiani raggiunsero il momento del loro fiorire maggiore». È stato ampiamente osservato che il vero significato ‘costituzionale’ del risveglio de gli studi di Diritto romano, a partire dal secolo XII, è la individua zione nel popolo della fonte della autorità dell’Imperatore e l’avvio della dottrina della “sovranità popolare”: R.W. e A.J.

consilia di regni della epoca, ad iniziare al Consilium del Regno di Castiglia

(1188)38. Il consiglio regio, così trasformato in “Parlamento”, ripropone la partecipazione – già propria all’Impero romano – delle città (collettività ‘po- litiche’ minori, di base) alla volizione delle rispettive province (collettività maggiori, le quali le comprendono)39.

carlyle, Il pensiero politico medievale, 1903, tr.it. di S. Costa, a cura di S. Firpo, Bari 1956,

vol. I, 369; vol. IV, 246 s.; cfr. id., Some aspects of the relations of Roman Law to Political

Principles in the Middle Ages, in Studi onore E. Besta, Milano 1937-1939; E. chenon, Le

droit romain à la Curia regis de Phi lippe Auguste à Philippe le Bel, in Mélanges Fitting,

vol. I, 1907, 1975 ss.; M. caValieri, Di alcuni fondamentali concetti politici contenuti nella

Glossa d’Accursio, in Archivio giuridico 88, 1910; E. crosa, Il principio della sovranità

popolare dal Medioevo alla Rivoluzione Francese, Milano – Torino – Roma 1915, 27; cfr.

id., Diritto costituzionale3, Torino 1951, 18 e 77; M.P. gilmore, Argument from Roman Law

in Political Thought. 1200 – 1600, Cambridge, Mass. 1941; D. maFFei, Gli inizi dell’uma-

nesimo giuridico, Milano 1956; F. calasso, I glossatori e la teoria della sovranità. Studio

di Diritto comune pubblico2, Milano 1951, in part. 90 ss.; M. galizia, La teoria della sovra-

nità dal Medio Evo alla Rivoluzione francese, Milano 1951; A. Passerin d’enTreVes, recen-

sione a W. ullmann, Principles of Government and Politics in the Middle Ages (London

1961), in Riv. storica italiana 75.2, 1963, 389; E. corTese, Il problema della sovranità nel

pensiero giuridico medievale2, Roma 1982; e persino N. bobbio, Democrazia, in N. bobbio

– N. maTTeucci – G. Pasquino, Di zionario di politica2, Torino 1983, 308 ss.

38 Nonostante alcune discussioni, è tesi decisamente prevalente che la prima partecipa- zione di delegati delle città (“cives electi”) alla feudale Curia regis sia avvenuta presso il Regno di Castilla-León agli inizi del 1188, convocati dal re Alfonso IX: J. o’callaghan,

The beginnings of the Cortes of Leon and Castille, in American Historical Review 74.5,

1969, 1503 ss.; id., The Cortes of Castile-León, 1188-1350, Philadelphia 1989; V. Piskorski,

Las Cortes de Castilla en el periodo de tránsito de la Edad Media a la Moderna 1188- 1520, Barcelona 1897 (ried. 1977); E. ProcTer, Curia and Cortes in León and Castile,

1072–1295, Cambridge and New York 1980; E. miTre Fernández, A ochocientos años de

las ¿primeras? Cortes hispánicas (León 1188): mitos políticos y memoria histórica en la formación del parlamentarismo europeo, in Myurqa: revista del Departament de Ciènces Històriques i Teoria de les Arts 22.1, 1989, 415 ss.; aa.VV., Las Cortes de Castilla y León,

5 voll. di atti congressuali, Valladolid 1988-1990; J.M. cerdá, La presencia de caballeros y

ciudades en la curia regia y el origen de las asambleas parlamentarias en Inglaterra y los Reinos Hispánicos (s. XII – s. XIII), in Revista Kinesis 1, 2004, riprodotto in J.F. jiménez

(ed.), Actas II Simposio de Jóvenes Medievalistas, Lorca 2004, 11 ss.

Per la attribuzione del “pieno potere” ai delegati delle città di esprimere la volontà di queste nel Parlamento, per fare dei delegati i rappresentanti occorre però attendere il 1295 (vedi,

infra, nt. 47).

39 Sui Concili provinciali delle città nell’impero romano, vedi G. lobrano, Le Assemblee

provinciali delle Città dell’Impero romano, comunicazione al XXXVII Seminario inter- nazionale di studi storici – Da Roma alla terza Roma. Le Città dell’Impero da Roma a