Tribunato e diritto di sciopero: un aspetto del costituzionalismo di Giuseppe Grosso
3. Il concetto di «potere negativo» ed il suo «valore positivo»
4.1. L’istituto della “disapplicazione”
Il primo consiste nell’istituto della “disapplicazione”. Esso, introdotto nel nostro ordinamento già nel 1865 (artt. 2, 4 e 5 della l. n. 2245/1865), è tale per cui il giudice ordinario, al fine di tutelare un diritto, ha il potere di non far derivare gli effetti che l’atto amministrativo (disapplicato) è idoneo a produrre, pur senza poterlo annullare23. E ricordo che tra gli atti ammini- strativi vi sono anche i regolamenti, fonti del diritto, secondarie certo, ma pur sempre fonti.
Certamente, è il giudice che disapplica; parrebbe, pertanto, esplicazio- ne di quel controllo (generale ma anche specifico) che il potere giudiziario esercita sul potere esecutivo circa l’osservanza delle leggi24. Ma la disap-
23 Art. 4: «Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso». Art. 5: «In questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi».
24 È evidente la preoccupazione di conservare gli equilibri tra i poteri dello Stato da parte dei parlamentari che appoggiavano la proposta di legge. A tal riguardo, si rilegga un passag- gio di uno dei discorsi tenuti alla Camera dei deputati da Pasquale Stanislao Mancini a soste- gno dell’intangibilità del testo dell’art. 4, come formulato dalla Commissione: «L’articolo 4, io lo dichiarai già altra volta, non ha che un solo scopo, quello di attuare praticamente il principio della separazione dei due poteri amministrativo e giudiziario, d’introdurre una delle precauzioni necessarie a impedire che l’uno e l’altro escano dalla sfera della rispettiva competenza» (Camera dei Deputati. Sessione 1863-1864, Roma 1889, 5467. Si tratta di un discorso tenuto il 18 giugno 1864). Rammento che il testo dell’art. 4 formulato dalla Commissione era il seguente: «Quando innanzi alle autorità giudiziarie la contestazione cada sopra un diritto che si pretenda leso da un atto dell’autorità amministrativa, l’autorità
plicazione non è, a rigore, estrinsecazione del potere di controllo sull’atto amministrativo; quest’ultimo, infatti, è svolto dal giudice amministrativo e produce il suo annullamento. Qui invece c’è la paralisi degli effetti dell’atto, basata su un sindacato non finalizzato all’annullamento e, quindi, limitata alla controversia in atto25. Ed a fondamento di tale potere c’è la legge, e pre- cisamente l’art. 113 della Costituzione; ma c’è anche la scienza giuridica, di cui il giudice è appunto parte26.
Certo, non so se la “disapplicazione” si possa definire un’“arma rivolu- zionaria”, ma di sicuro contiene una potenzialità negativa (la paralisi degli effetti) per una finalità positiva, che non è l’annullamento dell’atto, ma è la tutela di diritti, la difesa, in senso più ampio, della ‘legalità’. E non si dimen-
giudiziaria dovrà limitarsi a dichiarare le conseguenze giuridiche dell’atto stesso, senza che questo possa essere revocato o modificato altrimenti che per ricorso alle autorità ammini- strative». Mi sembra chiaro che all’indomani dell’Unità d’Italia quel che maggiormente preoccupava era la difesa ad ogni costo della separazione tra i poteri cui, evidentemente, non pareva recare minaccia l’istituto della “disapplicazione”.
25 Emblematiche sono le parole con cui Stanislao Pasquale Mancini, il 9 giugno 1864, palesava alla Camera dei deputati la ratio dell’articolo 5 della proposta di legge sulla sop- pressione dei tribunali del contenzioso amministrativo: «Ecco adunque come un legittimo corollario della missione da noi riconosciuta nell’autorità giudiziaria sia la facoltà di non eseguire ed applicare gli ordini di qualsiasi autorità che siano in opposizione alla legge. È questo agli occhi nostri un diritto di resistenza forse ancora più prezioso ed utile del- la sorveglianza stessa che appartiene ai grandi corpi politici e che può spingerli soltanto ad intervalli ed in alcune grandi occasioni ad opporsi alla volontà del potere esecutivo. Quella dell’autorità giudiziaria sarà una resistenza alle usurpazioni, alle negligenze, agli errori, alle inavvertenze del Governo; ma una resistenza legale…» (Camera dei Deputati.
Sessione 1863-1864 cit., 5154). La ‘resistenza’ alle usurpazioni del Governo era percepita
chiaramente come un elemento di equilibrio tra i poteri giudiziario ed esecutivo. Pasquale Stanislao Mancini si distinse, circa vent’anni dopo, nella difesa dei diritti del popolo di Roma contro la famiglia Borghese e la pretesa di voler chiudere il parco della celebre villa; anche in questa occasione, Mancini evidenziò la sua formazione di giurista a tutto tondo, fortemente ispirato dal diritto romano (sulla storica controversia e sulla conseguente pro- nuncia della Corte di Cassazione, v. A. di PorTo, Res in usu publico e ‘beni comuni’. Il nodo
della tutela, Torino 2013, 52 ss.).
26 L’art. 113 della Costituzione della Repubblica Italiana stabilisce che «Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e de- gli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione posso- no annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa». Ai fini del presente studio, mi limito a citare la più recente voce enciclope- dica sull’argomento: M. gambardella, voce Disapplicazione degli atti amministrativi, in
tichi che l’introduzione della ‘disapplicazione’ nel nostro ordinamento trae origine anche dalle riflessioni sui poteri del pretore romano verso il diritto civile, volti – traduco dal latino – ad “aiutare, supplire, correggere” il diritto (civile) stesso27.