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Affrontare il tema dell’abitare nel contesto della sfida portata dai cambiamenti demografici, significa in primis porsi il problema dei significati dell’abitare per gli anziani, che si condensano nella necessità di soluzioni alternative all’istituzionalizzazione, perché l’abitare è inclusivo, permette all’anziano di vivere nel contesto del proprio vissuto, costituisce la dimensione relazionale che favorisce il benessere totale della persona, è il luogo in cui potenzialmente si sviluppa la capability della persona anziana, fondamento dei percorsi di co-produzione che la valorizzano affrontati nella prima parte: tutto questo significa abitare BENE. La soluzione istituzionalizzata, nella pretesa di dare soluzione assistenziale ai bisogni della persona anziana, la de-capacita, innescando un circolo vizioso che accentua il problema invece di risolverlo, la distoglie dal proprio contesto, rende difficoltose le relazioni in quanto segregante rispetto al contesto urbano.

Come messo in luce da Vincenzo Marrone (2014), è stato a seguito dell’industrializzazione e dell’affermazione della classe borghese, che l’abitare ha assunto “i caratteri razionalistici e funzionali che si sono spinti per tutto il Novecento e che ha coinciso sempre di più con l’abitazione”.

Scrive Marrone:

“L’abitare è una modalità con cui si edifica la società. È il modo attraverso cui il sistema sociale manifesta il suo più forte carattere ordinativo, ma è anche la modalità con cui agiamo entro una condizione che pensiamo anonima e spersonalizzante, rischiosa e incerta, o accogliente, integrata, coesa e solidale. L’abitare è contemporaneamente il modo in cui il sistema sociale e culturale dominante ordina le relazioni sociali intersoggettive ed il modo in cui i soggetti costruiscono questa ideologia. È sia un modo espressivo e strumentale della società verso i soggetti individuali che una modalità di azione dei soggetti di costruzione della società” (ivi: 7).

Alla luce di queste considerazioni, appare chiaro che il modo di intendere l’abitare è ad un nuovo punto di svolta che deriva, presumibilmente, dal modo stesso in cui percepiamo la società. Non a caso, oggi il tema “casa” emerge con forza.

“La casa rappresenta tanto materialmente quanto simbolicamente la condizione di ‘stabilità’ e, in un periodo di forti accelerazioni e cambiamenti, tale accezione non può che esserne amplificata. Il numero di incidenti e di violenze domestiche ci porterebbe a definire la casa come un luogo pericoloso. Ma, nonostante tutto, questa è sempre percepita come luogo della sicurezza. Ciò perché in essa esprimiamo il senso di controllo sullo spazio e sugli oggetti. Nella casa proiettiamo le nostre riflessioni ed il nostro agire, tanto che questo si fa automatico. Qui siamo sicuri perché abbiamo il pieno possesso del controllo personale, derivato dalle routine della quotidianità e della libertà di azione. La casa è il luogo che permette di sperimentare un rischio ‘controllato’, è il luogo della sperimentazione, un laboratorio psicosociale” (ivi: 7).

L’importanza della casa per l’anziano, la possibilità di invecchiare nella propria casa non ha un significato solo materiale, ma è un’esigenza del cambiamento epocale che stiamo vivendo, data la crescente necessità di garantire efficaci aiuti sociali. È per questo motivo che la domiciliarità si configura sempre più come risposta agli attuali bisogni dell’anziano rappresentando “quell’insieme di misure, azioni, condizioni che consentono alla persona anziana di vivere più pienamente possibile il proprio ambiente di vita fatto della propria abitazione, ma anche dell’ambiente urbano e comunitario che lo circonda, cioè l’habitat collegato alla sua storia, alla sua esperienza, alla sua cultura, alla sua memoria, al paesaggio, alla gioia e alla sofferenza che lo legano a quei luoghi di ognuno” (Auser, 2018).

Queste considerazioni sono rafforzate dal fatto che in Europa si diffonde e si consolida il concetto di “ageing in place”, ovvero la “possibilità per una persona di vivere nel luogo che ha scelto – casa propria, nella sua comunità – in modo sicuro, indipendente e confortevole indipendentemente dall’età, dal reddito o dalle proprie capacità” (Hooyman & Kiyak, 2011). Questa scelta di vita è molto apprezzata dalle persone anziane in quanto consente loro di mantenere la propria indipendenza e la possibilità di vivere circondati da famigliari e amici.

Preservare la propria autonomia vuol dire possedere il controllo decisionale e di scelta nel determinare la propria vita (Aricò, 2017). Nella prospettiva dell’ageing in place vengono portati in risalto i vantaggi dell’assistenza in casa dell’anziano, anche in termini economici, anche se naturalmente il vantaggio maggiore è la migliore qualità della vita per la persona anziana: l’assistenza istituzionale è molto più costosa rispetto all’assistenza in comunità e in casa della persona anziana (Chappell et al, 2004). Le elevate spese pubbliche relative all’assistenza residenziale hanno quindi spinto i soggetti politici a pensare ad alternative che consentano di aiutare gli anziani fragili nelle loro abitazioni e nelle loro comunità.

“Il termine “place”, infatti, non si riferisce soltanto all’abitazione fisica dell’anziano ma anche alla sua comunità, che si concretizza nei membri della famiglia, i vicini, la chiesa e i diversi servizi disponibili sul territorio” (Aricò, 2017).

Gli studi sul tema dell’ageing in place spesso si riferiscono alla possibilità di rendere la propria casa più funzionale e meno rischiosa, fornendo aiuti per facilitare lo svolgimento dei compiti della vita quotidiana. L’idea alla base è che la persona anziana possa vivere nella propria abitazione in sicurezza finchè i diversi servizi e supporti lo consentano: per questo, le reti di servizi sul territorio sono essenziali per la qualità della vita degli anziani.

Lau e colleghi (2007) hanno individuato una serie di caratteristiche importanti per vivere e invecchiare nel luogo scelto in sicurezza, tra queste: le caratteristiche biologiche e psicologiche del soggetto, la rete di supporto sociale, i servizi formali ed il coordinamento con quelli informali, i servizi assistenziali, la struttura dell’abitazione e del vicinato.

Questo ed altri contributi teorici riconoscono chiaramente che le varie strategie dovrebbero tenere in considerazione non solo l’ambiente privato della persona, ma anche la comunità di riferimento e le diverse componenti strutturali (Oswald et al., 2011).

È in questo senso e in relazione alle sfide attuali che “la persona anziana deve essere messa in condizioni di poter rivendicare, qualora lo desideri, una sorta di ‘diritto alla domiciliarità’ creandone le condizioni nel contesto urbano di vita e attivando una rete di risorse e servizi come supporto alla garanzia di domiciliarità nei confronti della persona e della famiglia” (Falasca, 2017: 62).

Come sottolinea Renzo Scortegagna, i cambiamenti demografici segnati dall’invecchiamento della popolazione costituiscono la sfida per affrontare il tema dell’abitare per gli anziani, che si condensano nella necessità di costruire soluzioni alternative all’istituzionalizzazione, ricercando la dimensione della domiciliarità in luogo della residenzialità, che connota la dimensione della residenza assistenziale di tipo sanitario.

La possibilità di scegliere l’abitazione e non essere costretti a ricorrere a strutture residenziali è un diritto di libertà sancito anche dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (quindi anche per anziani non più autonomi) ratificata dall’Italia con la Legge 18 del 3 marzo 2009 all’art. 3, che sancisce “la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società” e all’art. 19, riguardante la vita indipendente e l’inclusione nella società, in cui viene affermato che “le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione”.

Spesso l’assenza di reti assistenziali, di servizi sul territorio, o la cultura radicata dell’istituzionalizzazione come unica risposta alla perdita di autonomia da parte della persona anziana o con disabilità, costringono a scelte abitative prive di libertà.

La dimensione abitativa è condizione essenziale per favorire la socializzazione nel contesto di appartenenza della persona, dell’opportunità di vivere affetti e relazioni inter-generazionali, di mantenere le proprie radici, di trasmettere le proprie conoscenze ai più giovani, di raccontare, di tramandare la memoria collettiva apportatrice di identità, ovvero gli elementi per superare la mera dimensione funzionale dell’abitare e restituire un ruolo sociale all’anziano.