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Se è vero che le politiche dell’abitare devono puntare al benessere della persona e questo passa per la strategia dell’invecchiamento attivo, risulta importante favorire lo sviluppo delle capacità autonome degli anziani, uscendo da visioni che vorrebbero irretire le risposte ai bisogni dettati dal progressivo invecchiamento della popolazione all’interno di schemi rigidi, legati a una logica assistenzialistica. Bisogna quindi partire dall’importanza da attribuire alle potenzialità di cui gli anziani sono portatori.

Al contrario di punti di vista che vedono la vecchiaia come un problema o come un ostacolo per la crescita della società, l’illustrazione dei sopra citati principi è funzionale a mettere l’accento sulla necessità di adottare nuovi punti di vista, che favoriscano una nuova concezione dell’invecchiamento come un’opportunità per la società attuale e per la fioritura di nuovi legami sociali. È dunque importante incentivare approcci basati sull’empowerment e sull’agency della persona, posta al centro del processo di sviluppo.

Un aiuto in tal senso ci è dato dal concetto di capability, elaborato dal filosofo indiano Sen, al fine di contrastare alcuni assunti legati all’economia neoclassica, imputati all’influenza della matrice teorica utilitaristica (Sen, Williams, 1982). In particolare, l’esposizione originale dell’approccio delle capacità da parte di Sen risale al 1980 ed è contenuta nel saggio Equality

of What? (Sen, 2000b: 78). Il contributo del filosofo indiano alla scienza economica è distante

fondatori dell’economia politica classica come Smith e Marx e al pensiero filosofico greco, in particolare di Aristotele. L’approccio, che riprende molti concetti elaborati dagli economisti classici, risulta essere innovativo per il suo tentativo reale di proporre non solo una teoria, bensì strumenti che possano cambiare il modo in cui viene convenzionalmente considerato e valutato lo sviluppo e il benessere. È per questo motivo che tale approccio costituisce il fondamento teorico del paradigma dello sviluppo umano promosso dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite nei Rapporti di Sviluppo Umano, pubblicato con cadenza annuale. Nello specifico, la capability rappresenta un quadro teorico concettuale introdotto nell’ambito dell’area dell’economia del Welfare, che è stato in seguito approfondito e sviluppato da molti studiosi, tra cui un merito particolare va riconosciuto alla filosofa Martha Nussbaum28.

Tale approccio pone al centro la valorizzazione della qualità della vita per lo sviluppo umano dell’individuo. La capability, o capacitazione, rappresenta il processo di autorealizzazione del proprio potenziale di sviluppo umano e comprende tutte quelle caratteristiche positive e funzionali che permettono agli individui di vivere in modo responsabile, partecipe e attivo. Nel porre attenzione alla sfera di benessere dell’individuo, il focus non è posto su variabili normalmente assunte come centrali quali consumo, reddito, bisogni sociali, bensì sulle

capabilities to function, o meglio su quelle che si configurano come le opportunità che gli

individui hanno di essere e di fare ciò che vogliono realmente. La qualità della vita è intesa come la libertà di ciascuno di vivere la vita cui attribuisce valore.

Ciò implica che il contesto di riferimento in cui l’individuo vive debba metterlo in condizione di poter scegliere fra percorsi di azione alternativi. È in tal senso che il filosofo lega la condizione di benessere non alla sfera dell’utile materiale, bensì alla tipologia di vita che la persona intende vivere, mirando al valore che le assegna. Per Sen, il benessere non si trova nelle risorse a disposizione, ma nel well-being, ossia nella libertà di scegliere tra le possibili opportunità che gli si pongono dinanzi, sia in termini di essere che di fare.

Centrale è anche il concetto di funzionamento: la vita dell’individuo è data da un insieme di

funtioning29, stati di essere e di fare. Tra questi rientra l’avere un’abitazione, l’essere in buona

salute ecc.30. È proprio il riconoscimento di tali funzioni e delle capabilities che determina il benessere della persona, il suo star bene. In sintesi, l’ambito delle capabilities è maggiormente appropriato per la valutazione del benessere inteso come well-being, star bene, sia rispetto

29 Un problema che si è posto nella comprensione dell’approccio delle capacità è relativo alla distinzione tra i due concetti costitutivi dell’approccio, cioè tra i functionings e le capabilities. La scelta dei termini e la loro differenza è discussa da Sen in Capability and Well-Being (Sen, 1993a: 96).“Functionings represent parts of the state of a person – in particular the various things that he or she manages to do or be in leading a life. The capability of a person reflects the alternative combinations of functionings the person can achieve, and from which he or she can choose one collection” (Sen, 1993b: 31). I funzionamenti rappresentano i risultati acquisiti dall'individuo sul piano fisico ed intellettivo, come quello della salute, della nutrizione, della longevità, dell'istruzione e riflettono le varie cose che un individuo è in grado di essere e che ritiene degno di fare nella propria vita. Il funzionamento comprende due componenti: una dinamica poiché richiama alle azioni che l’individuo compie e una statica laddove il concetto rimanda all’idea di uno stato di esistenza o di essere. La capacità esprime invece una idoneità o abilità di carattere generale, ma può essere intesa anche come potenzialità e opportunità, nel senso di condizioni esterne al soggetto favorevoli alla capacità di funzionare nel modo che l’individuo ritiene più consono. La capacità rappresenta le varie combinazioni di funzionamenti (stati di essere o di fare) che la persona può acquisire e per questa ragione la capacità riflette la libertà dell’individuo di condurre un certo tipo di vita piuttosto che un altro.

30 Sen non prescrive una lista definita e pre-determinata dei funzionamenti e delle capacità, ma solo alcuni esempi di capacità, poiché ritiene che la selezione delle capacità dovrebbe essere l’obiettivo di un processo democratico, di una discussione pubblica. A determinati funzionamenti elementari di fare e di essere, come l’essere nutriti adeguatamente o godere di buona salute, fa corrispondere date capacità, come l’abilità di nutrirsi e di essere nutrito, la capacità di evitare la morbilità e la morte prematura, la capacità di mobilità, fino ad arrivare ad acquisizioni più complesse e sofisticate, come la capacità di essere felice, di avere il rispetto di sé, di prendere parte alla vita della comunità, di apparire in pubblico senza vergogna. All’interno del concetto di capacità distingue poi tra capacità di base e capacità secondarie, laddove “the notion of capabilities refers to a very broad range, basic capabilities refer to the freedom to do some things that are necessary to keep one out of poverty”. Le capacità primarie si riferiscono all’abilità di soddisfare funzionamenti essenziali, che consentono agli individui di condurre una vita minimamente accettabile; al di sotto di questo livello minimo le persone sono considerate “vergognosamente svantaggiate”. “Capabilities may relate to things near to survival (the capability to drink clean water) or those that are rather less central (the capability to travel for pleasure, the capability to read ancient history).” (Alkire, 2005: 123) (cfr. Sen, 2005, 1993b; Robeyns, 2003).

allo spazio dell’utilità che dei beni primari. Di conseguenza, la qualità della vita è valutata da Sen non nello spazio delle risorse e dei redditi, ma in relazione alla capacità di conseguire funzionamenti di valore.

L’individuo va messo nella condizione di valorizzare le proprie risorse, trasformandole in

capabilities e di scegliere i funtionings del suo star bene.

Utilizzare il concetto di capability consente di introdurre una concezione per cui il soggetto non è passivo rispetto all’acquisizione/fruizione delle risorse, ma è un soggetto agente. Un altro concetto importante all’interno del capability approach è infatti quello di agency, intesa come possibilità di azione della persona rispetto al perseguimento dei fini e degli obiettivi cui attribuisce valore. Agente infatti è la persona che agisce, realizzando dei cambiamenti nella propria vita, visibili nel raggiungimento di determinati obiettivi.

Il capability approach può dunque rappresentare una risorsa importante, orientando la risposta ai bisogni in termini di avvio di percorsi diretti all’effettivo miglioramento delle condizioni di salute e di autonomia degli individui. Risposte quindi che non vanno basate esclusivamente sulle risorse – che siano esse economiche, personali, strumentali – da conferire alle persone, ma risposte declinate nell’ambito di interventi che siano in grado di incidere sull’ambiente circostante, sui “fattori di conversione”, sulle condizioni di utilizzo delle risorse messe in campo, eliminando gli ostacoli che ne impediscono la piena fruizione.

L’approccio in questione, rappresentando una struttura di pensiero che configura un modo alternativo di concettualizzazione del comportamento umano, può avere ricadute concrete in molti campi, offrendo spunti per la messa in atto di strategie e modelli innovativi.

È lo stesso Sen ad aver indicato i campi in cui ha cercato di esplorare la possibilità di applicazione dell’approccio delle capacità: quello della povertà, dello standard di vita e dello sviluppo umano, dei pregiudizi sessuali e della divisione tra i sessi, della giustizia e dell’etica sociale.

Tuttavia, tale approccio ha ottenuto particolare riconoscimento nell’ambito delle teorie sociali, soprattutto in relazione all’ambito della valutazione e misurazione del benessere individuale e dell’assetto sociale, dei costi e benefici sociali e nell’individuazione di adeguate politiche sociali.

Nell’ottica di un ripensamento delle politiche relative all’invecchiamento della popolazione, questo approccio non può che rappresentare un’importante punto di partenza, creando i presupposti per ripensare le politiche sociali in relazione all’obiettivo primario di valorizzazione ed espansione delle capacità degli individui. Tali politiche dovrebbero partire dall’empowerment della libertà individuale, creando i presupposti perché gli individui anziani siano messi nelle condizioni di raggiungere funzionamenti e di conferire valore alla propria vita. La libertà31 di scelta infatti rappresenta il parametro più adeguato per permettere alle persone di fare scelte di valore.

L’approccio esposto ha il pregio di rimettere al centro l’analisi antropologica, intesa etimologicamente, come discorso sull’uomo, ovvero sugli individui, uomini e donne, ognuno portatore di storia, memoria, identità distinte da quelle degli altri individui. Nel far ciò, egli tematizza l’individuo all’interno di una realtà interconnessa di relazioni, riconoscendo la complessità del soggetto, nell’essere determinato da caratteristiche proprie e peculiari.

31 Non si discute di libertà dalle restrinzioni ma la libertà è intesa come positive power di fare e di essere ciò che si vuole fare ed essere. Sen sostiene fortemente l'adozione di un concetto positivo di libertà, cioè una visione della libertà come abilità concreta di fare qualcosa e di essere qualcuno, in opposizione a un concetto negativo, che intende la libertà come assenza di impedimenti formali. Per chiarire la distinzione, si pensi al caso di un disabile che intende raggiungere un edificio pubblico: mentre da una parte egli può essere libero di accedervi, nel senso che nessuno glielo vieta legalmente, dall'altra può essere non-libero, ovvero concretamente incapace di accedervi se ad esempio ci sono barriere architettoniche. Un altro esempio è relativo al digiuno: digiunare – per protesta – è diverso – ricorda sempre Sen – da morire di fame. Nel primo caso si ha la libertà e possibilità di scegliere di condurre la propria vita nel modo in cui si ritiene degno; nel secondo caso invece non vi è nessuna possibilità di scelta ma l'assenza di mezzi e risorse economiche, la presenza di date istituzioni e pratiche politiche e sociali limitano la libertà e impediscono lo sviluppo delle capacità individuali.

Tali concezioni, dell’individuo e della società, e soprattutto la critica del benessere inteso come acquisizione di beni attraverso determinati mezzi, consente una riflessione sulle politiche del welfare, prospettando un cambiamento di prospettiva per cui le capacità ed i funzionamenti dell’individuo possano essere gli obiettivi primari.

Servizi relazionali

A questo punto, sulla base dei principi suesposti è possibile parlare nello specifico dei servizi relazionali, sostenendo una visione per cui il miglioramento della qualità dell’abitare deve rientrare all’interno di una logica di sviluppo delle relazioni, attraverso un welfare generativo di legami e relazioni orientati al trascendimento dei singoli bisogni e interessi. Nuovi luoghi dunque favorevoli ad intessere nuovi legami funzionali alla fioritura della comunità, quale luogo primario per il benessere dell’individuo e dell’intera società.

Uno degli assunti di base è rappresentato dalla centralità dei sistemi di welfare nella produzione di beni relazionali, che sono necessari anche per l’efficienza produttiva delle imprese e per lo sviluppo economico generale. Questo assunto afferma quindi che non ci può essere un adeguato sviluppo senza un adeguato sistema di garanzia del benessere dei cittadini e che, anzi, questo sistema di protezione sociale può rappresentare una leva strategica fondamentale per la competitività delle imprese e per lo sviluppo economico. Il problema è che oggi, per come si sono evoluti in particolare negli ultimi anni, i sistemi di welfare non sono strutturati per essere generatori di beni relazionali; sanno maneggiare oggetti ma non relazioni e, molto spesso, si limitano ad un ruolo di distributori di contribuzioni economiche o prestazioni tecniche che riducono gli utenti a semplici assistiti e destinatari. Nel tentativo di ri-concettualizzare i servizi sociali e di re-interpretarli come organizzazioni in grado di generare beni relazionali, De Leonardis ne evidenzia il potenziale fondativo proprio nell’investimento sulle relazioni. In questo senso il servizio viene visto come una forma organizzativa che è costituita di relazioni che producono relazioni, ossia producono la materia di cui sono fatti, la cui relazionalità è la partnership, la compartecipazione degli attori coinvolti, prestatori e clienti anzitutto, alla produzione dell’eventuale valore aggiunto che si realizza.

Per la De Leonardis nel servizio l’azione è costitutivamente una interazione dove si trasforma, si plasma e si genera quella materia squisitamente intersoggettiva che è costituita di comunicazioni, interscambi, legami sociali e di soggetti che sono tali in quanto condividono questa materia intersoggettiva: perciò il servizio è un processo fondato su, e generativo di partnership, con questo significato.

Se questo vale per tutti i servizi allora, a maggior ragione, dovrebbe essere fatto valere anche per la tematica dell’abitare, che dovrebbe essere ripensata quale possibilità e momento fondamentalmente relazionale e sociale.

Questo risulta molto importante perché molto spesso le scelte sono condizionate da quadri cognitivi di riferimento, di metafore e parole-guida che rendono difficile focalizzare la natura delle relazioni in gioco. Esse soffrono altresì di una visione spesso autoreferenziale per cui risulta difficile configurare relazioni generative quando l’attenzione è prevalentemente centrata sugli attori organizzativi separatamente presi e sui loro interventi prestazionali. Nei servizi sociosanitari il linguaggio corrente è ricco di verbi come domandare e offrire che implicano una cultura dove i servizi funzionano per esclusione e riproducono dipendenza e questo ha avuto importanti ricadute sul tema della residenzialità.

Al contrario, va sostenuto il passaggio verso servizi relazionali e quindi verso la generazione di beni relazionali per l’intera società.

Come si generano i beni relazionali?

Si potrebbe dire che un importante filone di letteratura sociologica che ha affrontato le questioni della crisi del welfare e dei nuovi modelli per informare l’organizzazione dei servizi sociosanitari, in particolare De Leonardis, Bifulco e Donati, abbiano messo chiaramente a fuoco alcune questioni critiche dell’attuale assetto ed ha evocato i principi su cui fondare i nuovi paradigmi. È stato chiarito che i servizi non hanno carattere sociale quando designano una caratteristica costitutiva dei beni (il sussidio) o dei problemi cui rispondono (la malattia), ma quando producono socialità. Quando, cioè, generano e rigenerano legami sociali,

comunicazione, cooperazione e conflitto. Questo accade quando essi operano in modo da moltiplicare interazioni e linguaggi, motivi e soggetti di interazioni (anzitutto i destinatari); quando le materie che essi trattano acquistano uno statuto relazionale, e sono definite non con nomi di cose, ma con verbi: non la casa, in primis, ma l’abitare. Quando questo accade si determina un valore aggiunto rappresentato dalla dimensione pubblica dei beni prodotti che sono tali solo in quanto condivisi, in quanto appartengono ai fondamenti della convivenza civile.

Nella prospettiva che emerge, la care è, prima di tutto, un bene relazionale, un evento continuamente ricreato da agenti interessati nel flusso solo in parte prevedibile delle loro relazioni.

È necessario pertanto sviluppare una nuova concettualizzazione teorica dei servizi su una base relazionale ed avanzare proposte operative per nuovi assetti organizzativi in grado di generare quei beni relazionali di cui non solo il welfare, ma anche l’economia e la stessa vita democratica hanno bisogno; assetti organizzativi senza i quali soluzioni abitative alternative all’istituzionalizzazione non possono risultare sostenibili32.

32 Ci si riferisce a diversi autori che negli ultimi anni hanno affrontato questi argomenti, a partire da Ota De Leonardis e da Lavinia Bifulco. Ma anche Pavolini, Folgheraiter, Colozzi, Prandini e lo stesso Donati.