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Le politiche odierne più recenti, promosse a livello europeo per la sostenibilità dei sistemi sanitari, individuano come strategia di riferimento l’invecchiamento attivo, partendo dal presupposto che “le opportunità di benessere in futuro, a livello sia collettivo sia individuale, dipenderanno molto dalla qualità degli anni di vita guadagnati, ovvero dal numero di anni vissuti in buona salute e senza limitazioni dell’autonomia personale” (ivi: 18).

Da più parti viene infatti riconosciuto che invecchiare nel ventunesimo secolo rappresenta una sfida, ma anche un’opportunità che richiede la promozione di strategie volte a garantire un’attenzione particolare alla popolazione anziana attiva, e non solo24.

Proprio per la rilevanza di tale problematica, a partire dal 1979, anno dell’istituzione della prima Conferenza mondiale sull’invecchiamento di Vienna, si è data sempre maggiore attenzione al tema della popolazione anziana25, attenzione data dalla nuova consapevolezza che le persone

24 La tradizionale visione di protezione sociale con cui è stato affrontato il tema dell’invecchiamento richiede nuovi principi con cui elaborare nuove ipotesi di intervento e catalizzare nuovi processi di costruzione di capitale sociale. La ricerca sull’invecchiamento è spesso vista come un’attività di ricerca relativa alle patologie e alterazioni che si manifestano nell’anziano (Ca’ Foscari, 2006), portando a sottovalutare la complessità dell’invecchiamento, ma soprattutto a non considerarlo all’interno di una prospettiva sociale. Il mancato inquadramento dell’invecchiamento in tale prospettiva produce inevitabilmente visioni parziali che impediscono di conferire all’anziano quel ruolo attivo che gli va riconosciuto all’interno della società.

25 Alla Conferenza seguì infatti, nel 1994, la Conferenza sulla Popolazione del Cairo, cui fece seguito la proclamazione dell’“Anno degli anziani” nel 1999, con ulteriore seguito attraverso l’organizzazione della Seconda assemblea mondiale sull’invecchiamento di Madrid nel 2002. In questa occasione, intervenuta a più di vent’anni dalla prima conferenza di Vienna, la portata e le implicazioni sociali del fenomeno hanno acquisito consapevolezza e maturità.

anziane rappresentano nella società attuale una risorsa, dal punto di vista umano, ma anche economico e che quindi tenere le persone in salute più a lungo possibile significa poter contare su risorse in più rispetto al passato (Ageing in the Twenty-First Century, 2012).

Un tale orientamento è stato recepito dall’Unione Europea, che ha proclamato il 2012 “Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni”, e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha dedicato la Giornata Mondiale della Salute 2012 a “Invecchiamento e salute: la buona salute aggiunge vita agli anni”.

Di fronte “al più grande cambiamento demografico mai accaduto prima d’ora nella storia”, come affermato dal World Health Organisation, il mantenimento attivo della popolazione è dunque una necessità, non un lusso.

In linea con tali considerazioni, al fine di far fronte all’invecchiamento della popolazione, la WHO ha delineato come framework di riferimento l’Active Ageing, con lo scopo di creare e rafforzare le condizioni per un “invecchiamento attivo”, le cui basi sono da porre ben prima dell’età anziana. “Salute, Partecipazione e Sicurezza delle persone anziane” sono i tre pilastri dell’Active Ageing. L’obiettivo è favorire il passaggio da politiche basate sui bisogni delle persone più anziane, considerate come soggetti passivi, a politiche che riconoscono a ogni persona il diritto e la responsabilità di avere un ruolo attivo e partecipare alla vita della comunità in ogni fase della vita, inclusa l’età anziana.

La definizione di invecchiamento attivo più diffusa è quella della World Health Organisation’s

Ageing and Life Course Programme, inserita successivamente anche all’interno del documento

della Seconda Assemblea dell’UN World sull’invecchiamento, redatta nell’aprile del 2002 in occasione della seconda Assemblea Mondiale sull’Invecchiamento tenuta a Madrid. In quest’ambito l’invecchiamento attivo venne definito quale

“processo per ottimizzare le opportunità relative alla salute, partecipazione e sicurezza al fine di migliorare la qualità della vita delle persone anziane”, in vista di ricadute positive sull’intera società. Nell’Europe 2020 è stato definito invece quale “strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”, che sottolinea in

particolare l’importanza di rispondere a “la sfida di promuovere un invecchiamento sano e attivo per consentire una coesione sociale e una maggiore produttività” (Commission of the European Communities, 2010: 18).

Tale concetto (WHO, 2002; Walker e Maltby, 2012) si trova da diversi anni in agenda a livello europeo, dal momento che viene considerato “strumento utile per contribuire a risolvere a tutti i livelli alcune delle principali sfide legate all’invecchiamento della popolazione: società nel suo complesso, organizzazioni e singoli individui” (Lamura et al., 2017).

La promozione di questa strategia non è in realtà un concetto recente. Infatti, il “Primo piano d’azione internazionale sull’invecchiamento” fu concordato dall’ONU a Vienna nel 1982; il 1999 è stato proclamato “Anno internazionale degli anziani” ed il 2012 “Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale”. Durante quest’ultimo anno è stato messo a punto l’indice di invecchiamento attivo26, il quale è relativo alla misurazione della possibilità degli anziani di realizzarsi in termini di autonomia, occupazione, partecipazione sociale e culturale. Gli indicatori di tale indice sono: il tasso di occupazione, lo svolgimento di attività di volontariato, la partecipazione politica, lo svolgimento di esercizio fisico, l’accesso ai servizi sanitari ed infine la sicurezza economica. Altri indicatori valutati sono strettamente correlati all’ambiente esterno e quindi: l’aspettativa di vita, il benessere psicologico, l’uso delle tecnologie. Secondo questo indice l’Italia è al 15esimo posto su 27 Stati Europei (Lamura, Principi, Socci, 2017).

Non essendo questo il luogo per un approfondimento esaustivo sul tema, basti considerare che la prospettiva dell’invecchiamento attivo consente di ripensare il tema dell’abitare in un’ottica del tutto nuova, che permette di mettere il focus sul mantenimento dell’autonomia

26 Da anni questo approccio è costantemente promosso a livello europeo, attraverso una serie di iniziative, di cui alcune pietre miliari sono state la creazione del Partenariato Europeo per l’Innovazione sull’Invecchiamento Attivo e in Buona Salute nel 2011; la designazione del 2012 come anno europeo dell’invecchiamento attivo; lo sviluppo e il lancio, nello stesso anno, dell’Indice di Invecchiamento Attivo, voluto da Commissione Europea e Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE), al fine di poter misurare il livello di invecchiamento attivo in un dato contesto geografico in base a una serie di indicatori selezionati.

dell’anziano il più a lungo possibile, attraverso una rinnovata attenzione alle reti sociali e relazionali.

Nel caso dell’abitare ad esempio, la prospettiva sull’invecchiamento attivo insiste sull’ampliamento di attività che promuovono l’utilizzo delle nuove tecnologie, utilizzate sia per tenere attiva la mente dell’anziano sia per sviluppare e implementare le reti e la partecipazione sociale. Si fa riferimento a soluzioni quali la telemedicina e i dispositivi per l’abitare assistito, soluzioni tutte che intendono rispondere alle necessità e ai bisogni degli anziani oggi27. Dal punto di vista dei vantaggi ad esso collegati, l’invecchiamento attivo è stato descritto come un concetto “win-win”, dal momento che favorisce una visione della persona anziana come risorsa e protagonista della vita sociale (Walker, 2011).

In accordo al documento “Strategia e piano d’azione per l’invecchiamento sano in Europa, 2012-2020”, il presente lavoro intende avvalersi dei principi guida sull’invecchiamento attivo, sostenendo forme di abitare a misura di anziano, forme dunque non istituzionali e contenitive, ma al contrario che si misurino sui bisogni integrati dell’anziano, visto quale soggetto portatore di opportunità per la società. Questo in accordo alle strategie europee che sostengono il diritto fondamentale di ognuno al godimento del più elevato livello raggiungibile di salute

27 La promozione dell’invecchiamento attivo può dunque contribuire alla creazione di una nuova cultura rispondente non solo alle esigenze degli anziani, ma anche alle loro caratteristiche. Sono infatti molti gli studi che hanno messo in luce come, diversamente da quanto in parte poteva avvenire in passato, un numero crescente di anziani vuol oggi essere tutt’altro che inoperoso, ha anzi interessi di ogni genere ed è motivato a mantenersi in qualche modo partecipe e solidale (Schippers e Principi, 2014). Altri studi hanno messo in luce i vantaggi che ne deriverebbero a livello di benessere psicologico, di qualità della vita e di inclusione sociale (Thoits e Hewitt, 2001; Silverstein e Parker, 2002; Ehlers, Naegele e Reichert, 2011). Gli aspetti positivi non si limitano a queste sfere, ma toccano anche quella della salute fisica, in termini di meno malattie e minor presenza di comorbidità (Li e Ferraro, 2006). Questi benefici hanno buona probabilità di non rimanere relegati alla sfera individuale, ma di poter produrre effetti positivi sulla sfera sociale, ad esempio tramite il prolungato apporto produttivo derivante dall’attività delle persone anziane, esercitata in molti modi diversi (sul mercato del lavoro, come volontariato, in forma di tutoring, ecc.), e dall’altro, il contenimento della spesa per servizi socio-sanitari e consumo di farmaci, come conseguenza del loro minor utilizzo da parte di chi si spende nelle varie forme di invecchiamento attivo (Lamura et al., 2017).

fisica e mentale, senza distinzione di età, in conformità con quanto espresso nella Costituzione dell’OMS e con gli impegni assunti dagli Stati Membri della Regione Europea dell’OMS nell’ambito di vari trattati internazionali, sia a livello mondiale sia regionale (14-17).

In particolare, l’investimento sull’ambiente rientra tra gli obiettivi più ampi di permettere a un numero sempre maggiore di persone di vivere a lungo, ma si configura anche come uno dei presupposti per la lotta alle disuguaglianze. Infatti, investire sugli ambienti di vita significa anche incentivare la diffusione di luoghi accessibili e fruibili da più persone, presupposto fondamentale per il mantenimento delle capacità funzionali dell’anziano, limitando l’opzione residenziale, anche grazie ad un contenimento dei costi. Questo aspetto non può che rappresentare una nuova base da cui partire per garantire condizioni di vita più eque e più sostenibili. Partendo dal presupposto che le disuguaglianze si accumulano nel corso dell’esistenza, la suddetta strategia pone infatti enfasi sull’equità con particolare riguardo ai gruppi di anziani vulnerabili o svantaggiati insistendo sul fatto che le politiche per l’invecchiamento sano possono contribuire a colmare il divario delle disuguaglianze nella salute. Migliorare i luoghi, costituendo un potenziale punto di partenza per migliorare la qualità della vita, costituirebbe dunque la base per rendere più equa l’aspettativa di vita delle persone, oltre ad essere strettamente collegato ad una visione fondata sulla sostenibilità e sul rapporto costo-benefici. Tale obiettivo riflette inoltre l’importanza del principio di adeguatezza, nell’importanza data alla ricerca di soluzioni adeguate.

In sintesi, si vuole insistere sulla necessità di passare dal drastico cambiamento demografico, foriero di tutte la problematiche e sfide esposte, a una logica di invecchiamento attivo, collocando la dimensione dell’abitare in quest’ultima sfera, in considerazione di quest’ultimo quale dimensione della vita indipendente.

In questo senso, va incoraggiato il passaggio a una nuova tipologia di servizi, quelli “relazionali” (Folgheraiter, 2000), che abbiano come proprio fondamento la relazione sociale, sia come punto di partenza sia come punto di arrivo.