• Non ci sono risultati.

L’Azienda per i Servizi alla Persona Itis di Trieste, che vanta una tradizione bicentenaria nel settore dell’assistenza agli anziani, ha progettato e realizzato due condomini solidali nel centro storico della città con l’obiettivo di rispondere all’esigenza di ogni persona di vivere in un’adeguata dimensione domestica ed essere allo stesso tempo supportata ed eventualmente assistita, nel caso necessitasse di cure: un tipo di opzione nuova per anziani in condizione di fragilità o di solitudine.

L’esperienza è stata ispirata dai modelli abitativi che si stavano sviluppando in Danimarca negli anni ‘90, e che sono stati studiati e approfonditi dai professionisti dell’Itis, per poi applicarli in un edificio all’interno della zona storica della città, per offrire una soluzione abitativa diversa alle persone anziane ancora autosufficienti, ma in qualche maniera fragili o sole o con bisogni di varia natura che non trovano risposta nella propria abitazione.

A questo riguardo è stato sviluppato un processo di formazione partecipata, finanziato dal progetto Helps38 nell’ambito della progettualità comunitaria europea, interagendo con dei gruppi di lavoro su tre tipologie: i potenziali utenti, le associazioni di riferimento presenti nel contesto urbano e gli operatori sociosanitari della zona, collaborando con i Distretti sanitari e con vari altri enti del terzo settore, in particolare cooperative sociali. In questo modo è stato elaborato un quadro completo dei bisogni e delle potenzialità, per sviluppare valutazioni e criteri che hanno permesso di definire un bando, per fare una selezione dei potenziali interessati agli alloggi. Alla base della stesura del bando sono stati tracciati dei profili dei bisogni a cui dare risposta, con una serie di criteri che inquadrano i soggetti potenziali, le caratteristiche dei fruitori di questi spazi e del reddito per fissare i parametri economici. La progettazione ha rispettato le peculiarità del contesto triestino, non si è trattato di una replica di modelli di altre culture: il progetto è stato preceduto da uno studio per individuare le peculiarità del contesto e dei desiderata dei potenziali fruitori, come sottolinea il Direttore

dell’Itis Fabio Bonetta:

“è stato utilissimo per inquadrare cosa significhi essere cittadino triestino, quali siano i bisogni e le aspettative distintive che sono completamente diverse dal cittadino che abita in in altre aree della regione. Le repliche e generalizzazioni in campo sociale ormai vanno evitate”.

Anche se non c’è stato uno studio sistematico sulla condizione abitativa degli anziani a Trieste, l’esperienza è partita dai dati in possesso del segretariato sociale, da cui emerge che la gran parte delle persone anziane hanno due problemi sostanziali: il primo è dato dalla condizione di progressiva fragilità connaturato all’invecchiamento; il secondo è la solitudine, il dover vivere soli: un aspetto sempre più diffuso che assume carattere di emergenza sociale39. La ricerca di una soluzione adeguata a queste problematiche ha evidenziato che il patrimonio architettonico triestino è per la maggior parte inadeguato alle esigenze della fragilità, perché costituito da edifici e alloggi con barriere architettoniche e caratteristiche dello spazio che impediscono l’accessibilità in autonomia e la fruibilità alle persone con disabilità: edifici senza ascensore, alloggi con bagni vetusti e privi degli spazi minimi per garantire l’accessibilità, arredi difficilmente fruibili e soprattutto che non garantiscono l’adeguata sicurezza.

“La ricerca di soluzioni abitative alternative parte dall’aspetto più difficile che riguarda la scelta da parte delle persone di cambiare il proprio domicilio, che quasi sempre è una scelta obbligata, non libera. È necessario un percorso di accompagnamento per far sì che una persona anziana riesca ad accettare di abbandonare la propria casa, che è diventata una sorta di mito, di protesi rispetto alla propria vita, una difesa, per intraprendere una nuova avventura, magari a 80-85 anni”, afferma Bonetta.

Intervista al dottor Fabio Bonetta

Direttore generale, Azienda di Servizi alla Persona Itis, Trieste

Da quali tipi di esperienze e riferimenti siete partiti per impostare l’esperienza del condominio solidale?

Ci siamo ispirati alle esperienze che si stavano sviluppando in Danimarca, e abbiamo scelto di conoscerle in modo approfondito attraverso una visita fatta da alcuni professionisti sociali dell’Itis oltre 30 anni fa. Da li nacque l’ispirazione di realizzare, in un edificio che avevamo all’interno della zona storica della città, in via della Valle, quella che è diventata Casa Rusconi, con 18 appartamenti complessivi tra mono-vano e bi-vano, per offrire una soluzione abitativa diversa alle persone anziane ancora autosufficienti, ma in qualche maniera fragili o sole o con bisogni di varia natura che non trovavano risposta nella propria abitazione, in una struttura comunitaria in cui fossero garantiti, oltre a degli spazi individuali adeguati, dei servizi che aiutassero le persone a mantenere l’autonomia, garantendo la pulizia dello stabile, i pasti, la lavanderia, il supporto da parte dell’operatore sociale e degli spazi comuni che permettessero le relazioni e la socialità. Dalla realizzazione dei 18 appartamenti, la situazione si è evoluta e, dopo aver tentato di creare un centro diurno assistito, esperienza purtroppo fallita a causa dei costi troppo elevati a Trieste, abbiamo realizzato tre appartamenti domoticizzati, molto belli, che hanno trovato grandissimo apprezzamento da parte di chi li usa.

Per quanto riguarda il Condominio solidale di via Manzoni, l’idea parte dal fatto che avevamo una struttura disponibile, che era stata abbandonata dalla precedente amministrazione dell’Itis e decidemmo di realizzare un condominio solidale, articolando il processo sulla base di una serie di analisi che hanno portato alla realizzazione nella forma e organizzazione attuali. Anche in questo caso si tratta di 18 appartamenti di diversa metratura, in cui l’applicazione concetto di solidarietà, di attenzione, di supporto alle persone sta dando degli ottimi risultati.

In particolare c’è stato uno studio sulla condizione abitativa degli anziani a Trieste?

Noi siamo partiti dalle evidenze che avevamo dal lavoro del segretariato sociale. La gran parte delle persone anziane, che poi di fatto si rivolgono ai servizi residenziali, hanno due problemi: il primo è dato dalla condizione di progressiva fragilità connaturato nella condizione anziana; il secondo è la solitudine. Nella valutazione di quale potesse essere una soluzione adeguata a questo tipo di problematiche, abbiamo anche pensato che mediamente il patrimonio architettonico triestino è inadeguato alle esigenze della fragilità, perché costituito da edifici e alloggi con barriere architettoniche che spesso impediscono l’accessibilità autonomia alle persone e la fruibilità: edifici senza ascensore, con bagni

vetusti e privi degli spazi minimi per garantire l’accessibilità, arredi difficilmente fruibili e soprattutto che non garantiscono l’adeguata sicurezza. Si tratta di una valutazione non scientifica, ma basata sulle evidenze di cui disponevamo. Da queste considerazioni abbiamo cominciato a ragionare su due logiche: da un lato come superare il problema che riguarda la scelta da parte delle persone di cambiare la propria residenza, il proprio domicilio. Questo è l’aspetto più difficile, perché per far sì che una persona anziana riesca ad accettare di abbandonare la propria casa, che è diventata una sorta di mito, di protesi rispetto alla propria vita, una difesa, per intraprendere una nuova avventura, magari 80-85 anni, non è facile. Questo è senz’altro l’aspetto più problematico. Ma la cosa interessante è stata che, grazie anche al progetto Helps, finanziato nell’ambito della progettualità comunitaria europea, noi abbiamo avuto l’opportunità di sviluppare un processo bellissimo, dal punto di vista professionale, di formazione partecipata. Abbiamo interagito con dei gruppi di lavoro su tre tipologie: i potenziali utenti, le associazioni di riferimento già presenti nel contesto urbano, le persone del territorio circostante e gli operatori socio-sanitari della zona, collaborando con i Distretti sanitari e con vari altri enti del terzo settore, in particolare cooperative sociali. In questo modo abbiamo potuto formare un quadro completo dei bisogni e delle potenzialità, per sviluppare dei criteri che ci hanno permesso di definire un bando, che è ancora attivo e pubblicato, attraverso il quale operare una selezione dei potenziali interessati alla locazione presso gli spazi del condominio solidale. Nell’arco di sei mesi dall’apertura del bando, abbiamo avuto la completa utilizzazione degli alloggi. Il bando ha cercato di tracciare un profilo dei bisogni, in ordine decrescente, a cui dare risposta. Ci sono una serie di criteri che individuano i soggetti potenziali, tenendo conto anche del reddito per fissare i parametri economici: gli appartamenti vengono dati in affitto e i canoni sono stati definiti in base ai valori di mercato, che tengono conto della qualità degli spazi e delle dimensioni; siamo riusciti a garantire un equilibrio, tanto che nessuno ha mai protestato per il valore delle locazioni. In più, con il cosiddetto contratto di servizio, possiamo fornire alle persone anziane servizi personalizzati e accessori, per rispondere a bisogni particolari, da quelli di tipo alberghiero, a quelli legati ai pasti, con diete bilanciate e tarate per eventuali intolleranze; siamo in grado di fornire prestazioni socio-sanitarie; e nell’ambito di questi servizi forniamo una copertura complessiva, per quanto riguarda la funzione della mediazione sociale, a vari livelli, fornita dal nostro servizio sociale, insieme al portierato sociale, servizio fornito da una famiglia che si è assunta volontariamente questo onere. Inoltre, sono assicurati i servizi manutentivi sul piano edilizio e impiantistico.

A proposito del tipo di utenza, c’è un’esperienza di inter-generazionalità?

Negli esiti del bando, noi originariamente c’eravamo focalizzati sulla tipologia di anziani residenti, invece poi è emersa la cosiddetta normalità: famiglie che hanno manifestato l’interesse a partecipare

Gli appartamenti del Condominio solidale vengono dati in affitto, aspetto essenziale da segnalare, perché “sancisce”, anche in termini economici, che l’alloggio è la casa propria della persona anziana; si tratta quindi di un modello contrapposto alla visione di abitare istituzionalizzato anche per la distanza dal concetto di retta, che implica che gli anziani siano “ospiti”, secondo il linguaggio ormai entrato nell’uso e ritenuto scontato, quasi fosse un elegante vezzeggiativo. Il concetto di ospite implica una concessione, che esclude la dimensione di appartenenza, aliena una dimensione personale, nega la possibilità di scelta.

Il canone prevede per la persona anziana la possibilità, attraverso il cosiddetto Contratto di servizio, di ottenere servizi personalizzati, da quelli di tipo alberghiero, ai pasti tarati secondo diete bilanciate e calibrate per eventuali intolleranze; prestazioni sociosanitarie e di mediazione sociale, la presenza di un portierato sociale, gestito da una famiglia che si è assunta volontariamente questo onere. Inoltre, sono assicurati i servizi manutentivi sul piano edilizio e impiantistico.

La libertà di scegliere servizi significa anche personalizzare la sfera dell’abitare per favorire l’autonomia e innescare un processo di auto realizzazione.

Le persone possono scegliere anche l’arredamento e portarsi le proprie cose, per dare il senso di casa, casa propria, con le stratificazioni dell’esperienza e della memoria, per adeguarsi al cambiamento di contesto che risulta meno traumatico quanto più vengono vissute la solidarietà e la socialità, possibili ad esempio se la persona vive un nuovo contesto in cui si sente tranquilla perché sa che c’è qualcuno che vigila sulla propria salute e sicurezza; sa che se accade qualcosa può chiamare e ci sono persone che immediatamente intervengono. Questo genere di soluzione risponde ai bisogni della persona, non solo a quelli funzionali, ma anche a quelli sociali e relazionali. In particolare si verificano le condizioni per soddisfare due bisogni essenziali dell’anziano, che spesso vengono sovrapposti, ma sono differenti. Da una parte la soluzione viene incontro al bisogno di sicurezza dell’anziano, che si sente controllato e quindi in un ambiente sicuro e protetto. Dall’altro lato, anche grazie alla personalizzazione di tale soluzione, è possibile che l’anziano si senta oggetto di attenzione continua.

all’esperienza, famiglie con un bambino con disabilità, persone disabili in età attiva: si è creata una comunità legata dal vincolo della solidarietà. L’aspetto maggiormente apprezzato, oltre alla qualità degli spazi, è proprio il senso di comunità che si è sviluppato grazie agli spazi comuni e alle iniziative di mediazione, sviluppate progressivamente nella quotidianità. Io non credo alla replica dei modelli fatti da altre culture, sia europei sia nazionali, perché ogni zona ha la sua peculiarità che va rispettata; per questo lo studio pregresso per individuare le caratteristiche del contesto e dei desiderata dei potenziali fruitori è stato utilissimo per inquadrare cosa significhi essere cittadino triestino, quali siano i bisogni e le aspettative distintive che sono completamente diverse da altre zone. Le repliche e generalizzazioni in campo sociale vanno evitate.

Mi interessa specialmente la questione degli spazi. Sono state studiate delle tipologie particolari degli appartamenti?

Abbiamo cercato di utilizzare in maniera adeguata la struttura dello stabile, le tipologie di appartamenti sono monolocali e bilocali, progettati per diverse tipologie di potenziali fruitori. Abbiamo realizzato appartamenti attrezzati per la disabilità motoria: un appartamento è dotato di binari a soffitto per lo spostamento in autonomia, due appartamenti sono dotati di cucina fruibile a persone su sedia a ruote. Ci sono tante piccole particolarità che distinguono le singole unità, oltre all’applicazione di tecnologie a supporto dell’autonomia: sensori, collegamenti con la portineria, forme di apertura facilitata. Gli appartamenti domotici veri e propri sono stati realizzati a Casa Rusconi: sono totalmente automatizzati e informatizzati secondo la tecnologia ICT, permettendo il controllo a distanza e quindi assicurando al fruitore la fondamentale sensazione di sentirsi protetto.

Stiamo lavorando sulla personalizzazione dei percorsi di vita: avevamo anche progettato una palestra per la fragilità e la disabilità, per insegnare l’autonomia prima di occupare un alloggio, collocata in uno degli appartamenti, perché la tecnologia non è così intuitiva come appare, e non tutte le soluzioni sono adeguate alla singola persona. Il progetto aveva l’obiettivo di trasmettere come si può realmente essere autonomi grazie alla tecnologia, ma non ha riscontato l’interesse sperato.

Il secondo aspetto sulla spazialità riguarda gli spazi comuni. Li può descrivere e quali sono stati i criteri per definirli?

Abbiamo prima di tutto privilegiato l’accessibilità, dati i problemi da un edificio storico con scale, non complanare con la strada. Rispetto a questo ultimo punto, il Comune, dopo varie sollecitazioni, ha realizzato il rifacimento dei marciapiedi, per garantire l’accesso dalla strada.

In termini di rapporti di vicinato sono state intraprese azioni da parte degli operatori sociali di conoscenza e informazione, sia per gli abitanti, sia per il quartiere:

“si è realizzata una forma di solidarietà fra gli abitanti del condominio, che si è allargata al quartiere, grazie anche alla funzione di socializzazione data dai negozi: una serie di esercizi pubblici, dalla panetteria alla drogheria, che sono diventati amici del Condominio solidale”, racconta Bonetta, “e per esempio, nel caso di una persona che non riesce a deambulare, portano la spesa a casa, il pane”. Si sta realizzando spontaneamente una prospettiva favorevole e auspicata. La creazione progressiva di forme di buon vicinato, che in qualche maniera si vanno disperdendo in molti contesti, anche triestini, si afferma in queste piccole realtà, ed è stimolata proprio da un’esperienza come il Condominio solidale, che contribuisce allo sviluppo della matrice sociale solidale in Friuli Venezia Giulia”.

L’altro aspetto essenziale dei condomini solidali riguarda la dotazione di spazi comuni, che permettono le occasioni d’incontro tra residenti e vicinato di quartiere, per arricchire la realtà sociale e relazionale.

A fronte di queste constatazioni, emerge che il Condominio solidale è in grado di generare una vita sociale di quartiere che prima non esisteva, a dimostrazione che sostenere questo tipo di processi assume importanza strategica ai diversi livelli: per incidere sulla dimensione del quartiere, sul piano sociale e sulla qualità degli spazi. Si tratta di una strategia percorribile ed efficace per la rigenerazione della città, tenuto presente che è urgente in Italia la riqualificazione del patrimonio edilizio, e gli interventi devono rispondere alle istanze dell’invecchiamento attivo. Questo scenario configura un’opportunità e una sfida anche per la progettazione, dalla scala architettonica, raccogliendo le istanze e i desiderata dei fruitori, estendendosi al livello del quartiere.

Il Condominio solidale è un modello replicabile: le condizioni a livello architettonico sono l’individuazione di condomini, di edifici con caratteristiche di accessibilità complessiva nel contesto urbano, caratteri tipologici che permettano al loro interno mix tra spazi abitativi, spazi di relazione e possibilmente un piano terra con spazi per attività, per rafforzare il rapporto

open space, che incentiva la relazione, una lavanderia comunitaria, per favorire ulteriori occasioni di incontro, una zona con TV, un bagno assistito e accessibile a persone con disabilità motoria. Il sottotetto ha una bellissima terrazza, che permette di vedere il mare: un ulteriore spazio di relazione dotato di una vista di particolare bellezza che doteremo anche di una tenda, appena troveremo un finanziamento.

Riguardo all’arredamento: c’è la possibilità di scelta da parte delle persone?

Possono portarsi le loro cose, per dare appunto il senso di casa: questo aspetto aiuta la persona anziana a superare i problemi derivanti dal cambio di casa, che possono essere superati efficacemente soprattutto se la persona vive un contesto in cui si sente tranquilla perché può contare su persone che immediatamente intervengono in caso di bisogno.

In termini di rapporti di vicinato, quali azioni avete intrapreso?

È stata un operazione molto gratificante per noi operatori sociali, perché si è realizzata una solidarietà allargata al quartiere, grazie anche alla funzione di socializzazione data dai negozi, dalla panetteria alla drogheria, che forniscono servizi a domicilio nel caso una persona non riesca a deambulare. Si sta realizzando spontaneamente la prospettiva auspicata di forme di buon vicinato, che si vanno disperdendo in molti contesti, anche triestini, stimolate proprio da un’esperienza come il Condominio solidale. La progettazione degli edifici deve avere l’obiettivo della socialità a livello di quartiere, proprio perché abbiamo visto nei fatti che il Condominio è in grado di generare relazioni sociali che prima non esistevano.

Parliamo di sostenibilità economica: le esperienze funzionano anche sotto questo aspetto?

Il condominio solidale è stato finanziato dall’lTIS, grazie alla vendita di edifici che appartenevano al patrimonio dell’ente. I costi di costruzione oscillano dai 1.300 € ai 1.500 € al metro quadrato, ma l’investimento è importante per le implicazioni sul tessuto sociale e soprattutto per permettere di mantenere nel proprio ambito di vita la persona, con sue abitudini e le sue conoscenze, recuperando gli spazi della città. La sostenibilità dipende da questa complessità, nella volontà di dare risposte ai bisogni dei cittadini; nello specifico, i canoni di locazione supportano la gestione con costi per i fruitori inferiori alle rette delle residenze sanitarie.

Questo è un modello replicabile? A quali condizioni?

Le condizioni sono l’individuazione di condomini, di edifici che abbiano delle caratteristiche di accessibilità complessiva nel contesto urbano di riferimento; che permettano di realizzare combinazioni di spazi abitativi e di spazi di relazione, oltre possibilmente un pianterreno a contatto con la strada per

con lo spazio pubblico e favorire la socialità.

È auspicabile calibrare attentamente il mix fra anziani, giovani, persone in età lavorativa, in relazione allo studio del territorio di intervento o delle esigenze che vengono rappresentate dal territorio.

Un’accezione di abitare che può essere destinato alle persone anziane anche non autosufficienti, grazie all’assistenza domiciliare organizzata, gestita e coordinata dal Distretto dell’Azienda Sanitaria, sostenuta da reti informali di famigliari, di vicinato, tramite associazioni del territorio: nuovi supporti e strumenti alternativi al ricorso pressoché esclusivo alle badanti. Il condominio è collocato nel tessuto urbano storico di Trieste, al vertice di un isolato trapezoidale, con accesso diretto sulla strada, mediato da un marciapiede piuttosto stretto che permette comunque l’accessibilità anche a persone su sedia a ruote, in una zona con