L’approfondimento del fenomeno dell’invecchiamento passa inevitabilmente per la messa in luce di alcuni elementi legati alla crisi del Welfare State. I due fenomeni sono infatti intrinsecamente collegati, tant’è che uno dei fattori più evocati quando si parla di crisi del welfare, e in particolare della sua sostenibilità nel tempo, è il complesso processo dei cambiamenti socio-demografici intervenuti negli ultimi decenni.
Non è questo il luogo per un approfondimento specifico di tale tema, ma si vuole sottolineare come la crisi del welfare abbia delle ricadute dirette sul tema dell’abitare.
Infatti, con l’aumento dell’aspettativa di vita e il rapporto sempre più sfavorevole tra popolazione attiva e non attiva, tenderà ad aumentare anche l’onere socioeconomico correlato alla cura, all’assistenza e alle spese previdenziali destinate agli anziani, causando il cosiddetto longevity
shock, recentemente sottolineato dal Fondo Monetario Internazionale. È inoltre evidente che
la doppia transizione, epidemiologica e demografica, incrementerà inevitabilmente l’incidenza di numerose patologie neurodegenerative che si caratterizzano per il deficit cognitivo age
associated, prima tra tutte la malattia di Alzheimer, come ha evidenziato il progetto Italian PRoject on the Epidemiology of Alzheimer’s disease (IPREA).
La rilevanza dei cambiamenti demografici in atto fa immaginare che si potranno innescare cambiamenti nei vari segmenti del sistema sociale, da cui deriva la fondamentale necessità di ridefinire le scelte strategiche di sviluppo dei sistemi di welfare, aspetto che avrà necessariamente delle ripercussioni anche con il patto sociale che lega famiglie e servizi e che determina ciò che rimane nella sfera privata e ciò che viene preso in carico dalla comunità. Un ulteriore elemento da tenere in considerazione riguarda la ridotta disponibilità economica
degli istituti previdenziali: infatti, il crescente squilibrio generazionale nella struttura della popolazione sta mettendo in crisi la capacità di far fronte alla crescita del numero di pensionati, cui si accompagna una probabile riduzione della capacità dello Stato di seguire la dinamica evolutiva della domanda e dell’offerta di servizi assistenziali. Di conseguenza, si presume che la terza età, in cui l’anziano diventerà produttore e consumatore del lavoro di cura, sarà caratterizzata dalla difficoltà del sistema di farsi carico della complessità e delle difficoltà che si presenteranno.
Questo fenomeno mette in seria difficoltà le reti pubbliche di assistenza e sostegno che, necessariamente, cercano sempre più di far ricorso alle reti familiari e parentali le quali, d’altra parte, vanno incontro ad una consistente riduzione strutturale e sono sempre più interessate da processi di indebolimento e di rottura, perdendo la loro capacità di tenuta.
È possibile ricondurre questo indebolimento delle reti famigliari e comunitarie ad una specie di effetto paradosso dei moderni sistemi di welfare, tanto che le stesse politiche sociali non sono riuscite a evitare nuove forme di povertà, sia di tipo materiale, sia di tipo relazionale. Si assiste da alcuni anni a fenomeni di progressivo allentamento dei legami familiari e parentali, di ridimensionamento delle reti amicali, di scomparsa dei rapporti di vicinato, accompagnati da una esponenziale crescita di nuove forme di patologia sociale (si pensi solo al grande numero di anziani che vivono in condizioni di solitudine, che rappresenta il campo di interesse precipuo). La realtà attuale dei servizi sociosanitari si deve necessariamente confrontare con queste nuove espressioni del bisogno, e cresce la diffusa consapevolezza della necessità di andare oltre il modello tradizionale di intervento, connotato da una logica riparativa ex post (tipica del Welfare State), anche per l’insostenibilità economica di un approccio che, all’aumento dei bisogni, prefigura solo un aumento delle spese per servizi la cui efficacia e utilità, oltretutto, è costantemente decrescente. Si sono affermati orientamenti culturali che sostengono un ancor più marcato individualismo e privatismo che non possono rispondere in maniera efficace ed equa ai bisogni emergenti. La diffusione ormai estesa a tutti gli strati sociali di una cultura individualista sta producendo, oltre al rilevante impoverimento delle reti primarie di protezione, anche una drastica riduzione del consenso nei confronti delle politiche di solidarietà a favore di determinati gruppi vulnerabili (ad esempio i tossicodipendenti,
i clandestini, gli alcolisti) a cui viene imputata la responsabilità individuale rispetto ai comportamenti che li hanno condotti ad una condizione di bisogno. È proprio a partire da questa argomentazione che nei Paesi occidentali si va sempre più affermando un pensiero che mina alla radice la ragione fondante un sistema di protezione che pretende di essere solidale e universalistico, dove il problema di uno è il problema di tutti.
Si tratta della stessa ragione per cui la risposta sta nei servizi relazionali, condizione che rende possibile l’abitare non istituzionalizzato, che dà senso alla ricerca di spazi come dispositivi di azione per un welfare generativo.
Al fine di studiare gli impatti attesi sul sistema di welfare, è inoltre necessario analizzare il rapporto tra famiglia e servizi, fra ciò che è di interesse della sfera privata e ciò che, invece, è di interesse della sfera pubblica, evidenziando le dinamiche familiari interne al sistema sociale: infatti, l’affermarsi dell’importanza della terza età nella vita degli individui e nell’organizzazione dei servizi di welfare ha determinato una presa di consapevolezza del peso delle dimensioni della presenza degli anziani nella popolazione e dei problemi legati alla gestione della perdita di autonomia degli stessi, aspetti cui si è andata progressivamente a sovrapporre la nuclearizzazione della famiglia, caratterizzata dalla presenza di due generazioni all’interno di uno stesso nucleo familiare. Tali consistenti cambiamenti a livello micro e macrosociale hanno reso più complessa la gestione familiare dei processi di perdita dell’autonomia dell’anziano, per cui la risposta del sistema sociale risulta essere legata all’istituzionalizzazione dei soggetti con ridotta autonomia.
Di fronte a queste problematiche, lo sviluppo della rete di servizi, in modo particolare residenziali, ha portato a una ridefinizione del contratto tra pubblico e privato, influenzato da aspetti quali la natura e le caratteristiche della famiglia, le politiche di sostegno alla capacità della stessa di svolgere il lavoro di cura, il dibattito culturale sul processo di cura e sulla rilevanza o criticità dei processi di istituzionalizzazione, le risorse economiche e di capitale sociale delle famiglie, l’andamento del mercato del lavoro, le risorse a disposizione del pubblico nella gestione dei servizi e nella capacità di definire e rispondere alle priorità socialmente assegnate ai diversi interventi (Donati, 1991; Lazzarini, Gamberini, Palumbo, 2011).