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Il rapporto tra l’art 96, 3° comma e l’art 96, 1°

L’art 96, 3° comma c.p.c.

2.3. La natura del 3° comma

2.3.1. Il rapporto tra l’art 96, 3° comma e l’art 96, 1°

comma c.p.c.

La tematica relativa alla natura dell’art. 96, 3° comma c.p.c. presuppone una valutazione del ruolo che il medesimo riveste in rapporto alla fattispecie di cui al 1° comma.

Secondo parte della dottrina, l’intervento del legislatore non avrebbe il pregio di definire con precisione i confini esistenti tra le due previsioni e indurrebbe a opinare per un’analoga natura risarcitoria delle stesse. Seppur la locuzione “in ogni caso” lasci intendere una concorrenza tra le due fattispecie, l’orientamento in esame fa leva sulla lacuna contenuta all’interno del 3° comma in ordine alla condotta causativa del nocumento, la quale non consentirebbe di comprendere quali siano gli autonomi e distinti presupposti alla base del contegno111.

Ne conseguirebbe implicitamente il rimando all’agire o al resistere in giudizio connotato da mala fede o colpa grave di cui al 1° comma112. Alcuni autori segnalano un ulteriore difetto della nuova fattispecie, in relazione alla prospettazione della pronuncia d’ufficio di un provvedimento di condanna non richiesto, la quale si tradurrebbe in una violazione del principio della domanda ai sensi dell’art. 99 c.p.c. e del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.113 Tale evenienza andrebbe a integrare una ipotesi di

riparazione del danno insolita e atipica.

111 Scarselli G., Le modifiche in tema di spese, in Foro it., 2009, p. 258; Scarselli G.,

Il nuovo art. 96 3° comma c.p.c.: consigli per l’uso, cit., p. 2237; Porreca P., L’art 96, 3° comma, fra ristoro e sanzione, cit., p. 2241.

112Della Massara T., Terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ.: quando, quanto e

perché?, in Nuova giur. civ. comm., Padova, 2011, p. 64.

113Arena G., Le modifiche al libro primo del codice di procedura civile, in

Strumentario Avvocati, IX, p. 12; Menchini S., in Balena G.-Caponi R.-Chizzini A.-Menchini S. (a cura di), La riforma della giustizia civile. Commento alle

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In giurisprudenza ha trovato terreno di applicazione l’orientamento opposto, secondo il quale l’art. 96, 3° comma c.p.c. avrebbe le caratteristiche di una condanna punitiva. Le pronunce delle corti, sostenendo che la novella introduca una vera e propria pena pecuniaria e non sia, invero, connotata dalla natura di rimedio risarcitorio, giungono alla conclusione in forza della quale non sarebbe integrata la violazione dei suddetti principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Il legislatore avrebbe, infatti, introdotto una fattispecie indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla prova del danno derivante dal contegno processuale del soccombente114. Ad avviso della giurisprudenza di merito, l’art. 96, 3° comma c.p.c. non avrebbe una natura risarcitoria, in quanto, in caso contrario, andrebbe a realizzare un’inutile e impropria ripetizione dei precedenti commi, bensì rappresenterebbe l’evoluzione normativa della disposizione contenuta nell’abrogato art. 385, 4° comma c.p.c. L’istituto sarebbe diretto a tutelare, da un lato, l’interesse del privato a non contrastare iniziative processuali incaute e infondate e, dall’altro lato, l’interesse pubblico diretto a preservare le funzionalità del sistema giustizia115. La norma perseguirebbe, pertanto, una funzione tanto sanzionatoria per il passato, quanto deterrente per il futuro116. In questo senso, i giudici di merito ritengono che l’art. 96, 3° comma c.p.c. prescinda dalla necessaria integrazione di un danno nei confronti della controparte, questione peraltro già messa in evidenza nei lavori preparatori, mirando

disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, Torino, 2009, p. 27; Proto

Pisani A., La riforma del processo civile: ancora una legge a costo zero (note a

prima lettura), in Foro it., 2009, p. 222; Balena G., La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in Giusto proc. civ., 2009, p. 749.

114 Cfr. Cass., 30 luglio 2010, n. 17902, in Foro it., 2011, I, 3134.

115 Cfr. Trib. Varese, Sez. dist. Luino, 23 gennaio 2010, in Foro it., 2010, I, 2229. 116 Cfr. Trib. Pistoia, 20 gennaio 2011, in Riv. crit. dir. lav., 2011, 513.

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piuttosto a punire la condotta di chi violi il principio costituzionale della ragionevole durata del processo117. Tale contegno comporterebbe l’integrazione di una forma di abuso del processo e un’alterazione delle finalità perseguite dall’art 24 Cost., in tutti i casi in cui le parti tengano comportamenti volti ad ostacolare la realizzazione del diritto oggetto di tutela ovvero instaurino il processo in assenza di valide ragioni. La giurisprudenza ha affiancato a siffatte ipotesi la figura del c.d. processo simulato, nel quale le parti si accordino al fine di utilizzare la macchina giudiziaria come espediente per perseguire scopi comuni, e non già con l’intento di risolvere una controversia.

In dottrina non mancano orientamenti volti a ricostruire la nuova fattispecie sotto un’ottica sanzionatoria, anziché risarcitoria. Alcuni autori, allineandosi alla soluzione offerta dal predetto filone giurisprudenziale, ritengono che dall’art. 96, 3° comma c.p.c. emergerebbe una vera e propria condanna punitiva, la quale assumerebbe le forme di «pena privata»118. La disposizione mirerebbe

a sanzionare colui che abusi del processo o tenga un comportamento contrario ai doveri di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c., potendo, pertanto, costituire un deterrente nei confronti di liti temerarie ovvero di attività processuali condotte con fini meramente dilatori119. La

117 Cfr. Trib. Bari, 14 febbraio 2012; Trib. Piacenza, 15 novembre 2011, in Danno e

resp., 2012, 5, 523.

118Cecchella C., Il nuovo processo civile, Il Sole 24 Ore, Milano, 2009, p. 89; Ghirga

M.F., La riforma della giustizia civile nei disegni di legge Mastella, Riv. dir. proc., 2009, p. 459; Rizzo M., Il regime delle spese nei procedimenti ordinari, sommari,

previdenziali. La disciplina della riunione delle controversie, relazione tenuta

presso l’incontro di studio organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura sul tema “l’organizzazione del giudice del lavoro e della previdenza”, Roma, 25- 27 gennaio 2010, p. 20.

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Barreca G., La responsabilità processuale aggravata: presupposti della nuova

disciplina e criteri di determinazione della somma oggetto della condanna, in

Giur. mer., Milano, 2011, p. 2704; Nappi P., in Consolo C. (a cura di), Codice di

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modifica apportata dal legislatore avrebbe introdotto una previsione del tutto nuova di responsabilità processuale, conferendo in capo al giudice il potere di condannare la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria equitativamente determinata, a prescindere dall’accertamento di alcun danno derivante dalla condotta processuale. Ne conseguirebbe la natura autonoma della fattispecie di cui all’art. 96, 3° comma c.p.c. rispetto a quelle contenute al 1° comma e una non sovrapponibilità dei rispettivi ambiti applicativi120. Ad avviso di alcuni autori, la soluzione consentirebbe di ammettere un cumulo delle due domande, non risultando espressamente escluso lo stesso121. Infine, secondo tale orientamento, l’accessorietà della pronuncia potrebbe essere desunta anche dalla formulazione letterale dell’art. 96, 3° comma c.p.c., il quale precisa che “in ogni caso”, e dunque anche nei casi di cui ai commi precedenti, il giudice può “altresì”, e pertanto in aggiunta, condannare la parte soccombente122.

Un diverso e più recente orientamento va a collocarsi in una posizione intermedia rispetto alle letture volte a inquadrare la novellata fattispecie sotto l’ottica di rimedio risarcitorio ovvero sanzionatorio. Secondo tale temperato indirizzo, la condanna ex art. 96, 3° comma c.p.c. avrebbe una duplice anima: risarcitoria-riparatoria e sanzionatoria-punitiva. Coloro che aderiscono a questa tesi qualificano la fattispecie, tanto quale sanzione processuale legata al pregiudizio cagionato al regolare funzionamento del sistema giudiziario, quanto

120 Buffone G., Regolamentazione delle spese di lite, cit. p. 13. 121

Arena G., Le modifiche al libro primo del codice di procedura civile, cit., p. 12; Potetti D., Novità della L. n. 69 del 2009 in tema di spese di causa e responsabilità

aggravata, in Giur. mer., 2010, p. 948; Ghirga M.F., Abuso del processo e sanzioni, cit., p. 88.

122 Balena G., La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, cit., p. 768; Buffone G.,

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come rimedio sanzionatorio/risarcitorio provocato dal processo ai diritti costituzionalmente tutelati delle parti123. Una sentenza del Tribunale di Piacenza124 ha offerto consistenti spunti a sostegno di siffatta posizione. Il giudice di merito ha argomentato per la natura sanzionatoria della condanna, poiché «la norma è stata introdotta nell’ambito di una novella legislativa che persegue nel suo complesso la finalità di ridurre i tempi del giudizio civile e di deflazionare il carico del contenzioso civile, e tale scopo, nel caso di specie, viene perseguito mediante uno strumento di “coazione indiretta” (verrebbe da dire, usando una terminologia tipica del diritto penale, che l’istituto ha una funzione generalpreventiva), poiché la probabilità di subire una condanna ulteriore (rispetto a quella nel merito e al rimborso delle spese di lite avversarie) dovrebbe scoraggiare iniziative giudiziarie “avventate”, pretestuose o meramente dilatorie, rendendo non più economicamente convenienti tali atteggiamenti». Il giudice ha nondimeno proseguito, ritenendo che «l’istituto partecipi nel contempo della natura risarcitoria tipica della condanna di cui al primo comma dell’art. 96 c.p.c., perseguendo anche finalità di ristoro per la parte che è stata indebitamente costretta ad agire o resistere in giudizio», infatti «solo in quest’ottica si giustifica il fatto che la condanna sia posta comunque a favore di una parte del giudizio e non dello Stato (come sarebbe stato più coerente ove si fosse voluta introdurre una vera e propria pena)». Il legislatore ha, pertanto, voluto «superare la inapplicabilità di fatto

123 Pacifici A., Per la temeraria resistenza e le conseguenze del mancato tempestivo

sgravio l’agenzia va condannata per responsabilità aggravate al risarcimento dei danni morali, comunicato il danno erariale, in Giur. mer., 2009, p. 2399; Morano

Cinque E., Lite temeraria: la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., tra funzione

punitiva e funzione risarcitoria, cit., p. 1851; Mazzola M.A., Responsabilità processuale, cit., p. 139.

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dell’istituto del risarcimento dei danni per lite temeraria, alla luce della consolidata giurisprudenza della Cassazione […], che richiede la prova rigorosa di aver subito un danno ulteriore rispetto a quello costituito dall’esborso delle spese di lite, e ciò ha fatto introducendo un’ipotesi di condanna che prescinde da qualsiasi accertamento di un effettivo danno; ma, così facendo, il legislatore ha ritenuto anche di perseguire indirettamente interessi pubblici, quali il buon funzionamento e l’efficienza della giustizia civile e, più in particolare, la ragionevole durata dei processi (che dovrebbe essere garantita dalla diminuzione del contenzioso, mediante l’eliminazione delle cause pretestuose o strumentali)». Ne deriva una «natura ambigua o ibrida dell’istituto in esame, che può perciò essere accostato all’istituto (tipico dei sistemi giuridici di common law, in particolare inglese e statunitense) dei punitive (o exemplary) damages (danni punitivi o esemplari)». In questo senso, si sono espresse ulteriori pronunce delle corti di merito125, tra le quali il Tribunale di Varese che, nel 2012126, ha attribuito

all’istituto una valenza «anfibologica», poiché «resta un risarcimento (copre un danno "presunto" della parte) ma ha funzione sanzionatoria (il giudice rende la condanna consapevole degli importanti effetti che essa avrà anche "fuori" dal singolo processo e per rimarcare la disapprovazione per l'utilizzo emulativo dello strumento processuale)». Ad avviso di tale orientamento intermedio sarebbe possibile riportare la responsabilità processuale aggravata all’interno dei cardini del sistema, subordinando la condanna all’accertamento di un danno ingiusto patito dalla parte vittoriosa.

125 Cfr. Trib. Lamezia Terme, 15 giugno 2011, n. 776, in Banca dati De Jure; Trib.

Piacenza, 15 novembre 2011, n. 855, in Giur. it., 2012, 2114; Trib. Cagliari, 22 febbraio 2012, n. 499, in Persona e Danno.

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Una non omogeneità di opinioni è presente anche in ordine all’ammissione di un cumulo tra la condanna ex art. 96, 3° comma c.p.c. e quella ai sensi dell’art. 96, 1° comma c.p.c. Secondo parte della dottrina127 e della giurisprudenza di merito128, la natura delle due fattispecie consentirebbe di determinare astrattamente un loro concorso. Lo stesso c.d. disegno di legge Mastella e i lavori preparatori alla base dell’intervento del 2009 avrebbero ammesso la coesistenza delle condanne, in forza dell’utilizzo della locuzione “altresì”. Tale orientamento fa, infatti, leva sul dato letterale, in base al quale si andrebbe a configurare una fattispecie concorrente rispetto a quelle previste ai commi precedenti. Una diversa e opposta ricostruzione129 argomenta nel senso di ritenere un eventuale cumulo inammissibile, sebbene il 1° e il 3° comma abbiano una autonoma veste. Secondo questa impostazione, la fattispecie introdotta con la novella del 2009 avrebbe una natura residuale, ne consegue che il giudice possa condannare la parte soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata, a favore della controparte, solo qualora il risarcimento del danno non sia regolato dai precedenti commi. La soluzione contraria andrebbe a determinare un’eccessiva penalizzazione, da un lato, e un indebito arricchimento, dall’altro. Infine, lo stesso richiamano alle espressioni “in ogni caso” e “altresì”

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Potetti D., Novità della L. n. 69 del 2009 in tema di spese di causa e responsabilità

aggravata, in Giur. mer., 2010, p. 948; Ghirga M.F., Abuso del processo e sanzioni, cit., p. 88.

128 Cfr. Trib. Piacenza, 15 novembre 2011, in Danno e resp., 2012, 5, 523; Trib.

Reggio Emilia, 18 aprile 2012.

129 Scarselli G., Le modifiche in tema di spese, cit., p. 258; Porreca P., L’art 96, 3°

comma, fra ristoro e sanzione, cit., p. 2241; Trapuzzano C., La responsabilità processuale aggravata, Roma, 2014, p. 88.

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rimanderebbe a una tutela a carattere alternativo, piuttosto che cumulativo.