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Un accenno ai diritti d’autore

Dalla guerra evitata alla guerra inevitabile. La rinascita dell’impresariato artistico in una città al fronte

1. I primi mesi fino al maggio 1915

1.2 Un accenno ai diritti d’autore

Le canzoni e i pezzi unici del varietà permettevano un richiamo maggiore di folle a prezzi contenuti: vi concorreva la scarsa ottemperanza alla legge sul diritto d’autore che, per quanto riguardava i lavori italiani, risaliva al 1882 e al 1865 per il diritti di traduzione (riservati all’autore

57 Per una disamina comparativa con il caso di Venezia e i suoi luoghi di ritrovo nelle trasformazioni sociali (dai casini ai circoli) durante l’Ottocento si veda a tal proposito Marco Fincardi, I luoghi delle relazioni sociali, in Mario Isnenghi, Stuart Woolf (a cura di), Storia di Venezia.L’Ottocento e il Novecento, vol. 1, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana 2002, pp. 489-512: 494 sgg.

58 Lucio Fabi, Trieste 1914-1918. Una città in guerra, Mgs Press, Trieste, p. 23. 59 «Il Lavoratore», 18 aprile 1915.

60 Lucio Fabi, Trieste 1914-1918 cit., p. 24 e sgg.

61 Diversamente da quanto accadde nella Venezia rivoluzionaria dove, tra il 1859 e il 1866, si assiste ad uno sciopero della sociabilità, disertando i luoghi che gli austriaci frequentavano abitualmente e astenendosi dai rituali mondani in segno di lutto collettivo, mentre nei luoghi di passeggio avvenivano frequenti tafferugli tra giovani e militari austriaci: Marco Fincardi, I luoghi delle relazioni cit., p. 502.

per 10 anni), mentre nell’impero austro-ungarico, il cui target era composto dalle tante appartenenze linguistiche, l’esclusiva sulla traduzione era praticamente affrancata dall’intera durata del copyright. E questo era, inoltre, strumento di una maggior circolazione internazionale della cultura, in particolare, ovviamente, di quella austro-tedesca.62 Tra tutti i varietà citati nel documento della polizia, il Varieté-Cabaret Maxim era sicuramente quello più costoso (entrata a 1 e 2 corone, per i primi e secondi posti), frequentato perlopù dalla comunità benestante austriaca e con programmi misti italo-austriaci.63

In Italia, per quanto riguarda la produzione cinematografica, la legge sul diritto d’autore trovava scarsa applicazione nelle sentenze dei tribunali.64 Nel novembre 1912 ci fu la prima riunione dei «cinematografisti» (produttori, noleggiatori, rappresentanti esercenti) che ebbe, però, esiti più formali che sostanziali. 65 Nello stesso anno, invece, il ministero degli interni austriaco aveva normato minuziosamente l’attività cinematografica, decretando limiti e concessioni delle licenze, dell’uso delle sale, delle prerogative di esercizio e, soprattutto, delle decisioni riservate all’ autorità; dunque, nel 1912, la cinematografia era già ‘affare di Stato’ nei territori asburgici.

Ma anche per la produzione musicale in Italia le cose non andavano meglio, dato che il fonografo riproduceva brani d’opera senza il riconoscimento dei diritti d’autore; le lamentele di Puccini, ad esempio, nulla potevano contro le leggi sulle opere dell’ingegno che non erano estese ai mezzi con cui le opere venivano diffuse al pubblico (permettendo in tal modo le fortune dei vari Caruso e Scotti).66 Il problema diventava ancora più spinoso per quanto riguardava i soggetti tratti dalle opere letterarie, sulle quali i produttori cinematografici cercavano di lucrare, anche semplicemente variando il titolo del film o i nomi dei personaggi. Il permesso dell’autore del testo letterario era obbligatorio e, come già argomentato nel capitolo precedente, erano molti gli scrittori che, nonostante una teorica riluttanza, aumentavano i propri introiti grazie al cinematografo. Ma se veniva riconosciuto il diritto di edizione, cioé della paternità del soggetto, non altrettanto avveniva

62 Già nel 1846, almeno teoricamente, era stata introdotta una patente imperiale per la protezione dei prodotti letterari e artistici, contro le pubblicazioni clandestine e le riproduzioni ma, per quanto riguarda i diritti di traduzione, questi erano riservati all’autore per un anno soltanto. La nuova legge sul copyright del 1895 estendeva a soli otto anni la riserva di tali diritti all’autore, trascorsi i quali nulla gli era dovuto dalla vendita delle traduzioni: Michaela Wolf, The Habsburg Monarchy’s Many-Languaged Soul. Translating and interpreting, 1848-1918, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam-Philadelphia 2015, pp 136-137.

63 «Triester Tagblatt», 1 ottobre 1914.

64 Il ruolo effettivo della Società degli autori non era ancora ben definito, figuriamoci nei casi di quelle compagnie estere, non vincolate a un regime internazionale di proprietà letteraria, che si esibivano in programmi di varietà abusivi: si veda a tal proposito Irene Piazzoni, Il governo e la politica per il teatro: tra promozione e censura (1882-1900), in Carlotta Sorba (a cura di), Scene di fine Ottocento cit., pp. 61-100: 86-88.

65 Gian Piero Brunetta, Il cinema muto italiano. Da “La presa di Roma” a “Sole” 1905-1929, Roma-Bari, Laterza 2008, p. 55.

per quello di rappresentazione pubblica, per la quale l’autore non percepiva una percentuale; e in quegli anni il problema era appena stato sollevato presso le magistrature. 67

A tal proposito, nonché a corollario di tutte le rappresentazioni teatrali portate dalle compagnie drammatiche a Trieste tra il 1914 e il 1915, è doveroso il confronto con la legislazione austriaca che regolava la produzione di opere letterarie e artistiche. Sebbene l’Austria-Ungheria avesse firmato dei trattati sul copyright con alcuni paesi, come l’Italia nel 1890 e la Spagna nel 1912 (e questo spiegherebbe, tra l’altro, anche l’ampia presenza di repertori italiani e di compagnie di zarzuele spagnole fino al 1915, vedi oltre,), gli Asburgo non sottoscrissero la Convenzione internazionale di Berna del 1886 per il riconoscimento del diritto d’autore tra i paesi aderenti (riveduta dall’ Atto di Berlino nel 1908), dalla quale erano, dunque, svincolati gli autori austriaci e ungheresi, che facevano pertanto circolare i loro prodotti perlopiù sul mercato linguistico tedesco.68 E’ molto chiarificativo quanto spiega Michaela Wolf: il rifiuto della monarchia di sottoscrivere la Convenzione di Berna era una misura politica che rispondeva ad una logica di Stato etnicamente composito. Le traduzioni erano concentrate nella letteratura popolare (o meglio, letterature) e di intrattenimento e solo una piccola parte poteva esser classificata come cultura di «promozione»; dunque gli interessi culturali dei popoli della monarchia non potevano essere compromessi. 69

1.3 La cinematografia ‘in guerra’ al Theater-Kino-Varieté Fenice. Film italiani che arrivano da Vienna

Il teatro-cine-varietà Fenice rappresenta un caso esemplare per capire le trame ordite dai gestori dei cinematografi triestini per non abdicare ai messaggi di opposizione antiaustriaca, senza per questo trasgredire le disposizioni vigenti. Le traiettorie utilizzate si annidavano in diverse forme, prima fra tutte la ridondanza della cinematografia italiana nelle programmazioni. La neutralità permise all’Italia di espandere la propria produzione in Austria e in Germania, come in altri paesi europei, mentre gli Stati Uniti, dall’agosto del 1914, approfittarono dello scoppio della guerra per chiudere le importazioni dall’Europa, Italia compresa, e l’Inghilterra si preparava a fare altrettanto.

67 Il teatro italiano. Anno 1913 cit., pp. 406-407.

68 La protection internationale des œuvres cinématographiques d’aprés la Convention de Berne revisée à Berlin en 1908, a cura di M.E. Potu, Momo, Torino 1912 (rivista a Roma nel 1928, a Bruxelles nel 1948 e a Stoccolma nel 1967: in Actes de la Conférence de Stockholm, 1967, pp. 1295-1320). Dal 1908 i sistemi di copyright e dei diritti d’autore seguirono due diversi approcci di protezione dei film: Pascal Kamina, Film Copyright in the European Union, Cambridge University Press 2016, pp. 18-19.

69 Michaela Wolf, The Habsburg Monarchy’s, p.137. Per una panoramica, invece, sullo sviluppo legislativo della materia sul diritto d’autore in Italia a fine Ottocento, che doveva fare i conti con il monopolio degli editori soprattutto musicali e che aveva messo in crisi l’imprenditoria teatrale, si veda Irene Piazzoni, Il governo e la politica per il teatro cit., in Carlotta Sorba (a cura di), Scene di fine Ottocento.cit., pp. 86-87.

70 I film italiani erano richiestissimi, tanto che in Austria vennero importati nel 1914-1915 ben 60 film italiani; a Berlino la Cines aprì un maestoso “Cineskino” e pubblicò una sontuosa rivista, la «Cines AZ», per divulgarne la produzione, mentre un grosso distributore di nome Max Reinhardt (omonimo del regista teatrale) provvedeva a far circolare i film italiani anche nei paesi baltici e nell’Europa centrorientale.71

Anche Trieste si collocava ‘in prima linea’ nella ricezione dei capolavori italiani, che vennero accolti nella prima metà del 1915 nelle sale cittadine a pochi mesi di distanza dalle prime visioni nazionali della fine del 1914, mentre in misura minore erano presenti quelli stranieri, francesi e americani soprattutto.72 Sono sufficienti i pochi esempi per farsi un’idea convincente di una pratica di ‘resistenza passiva’, potremmo definirla, condotta sotterraneamente e tacitamente contro la censura e la propaganda culturale filotedesca promossa dalle autorità governative cittadine. Il caso del Fenice illustra un’abile dinamica nelle scelte organizzative della direzione teatrale che, di fronte agli aumentati lungometraggi di produzione italiana, decise di anticipare l’inizio delle cinque proiezioni pomeridiane festive alle ore 3 pomeridiane, pur di non deludere le richieste del pubblico.73 Il lancio pubblicitario era essenziale per incrementare l’affluenza e i box- réclame sul «Lavoratore» e sul «Piccolo» occupavano spazi di un certo rilievo, accanto a quelli dell’Eden e del Rossetti, rispetto agli altri saloni. Quando poi si annunciava l’esclusività di una pellicola, la critica non risparmiava accenti enfatici, come nel caso del film La gerla di papà Martin, uno dei cavalli di battaglia dell’attore Ermete Novelli, della Ambrosio di Torino, tratto dalla commedia di successo di Eugène Cormon e Eugène Grangé (1858), un «successo dei più celebri teatri del Regno, un avvenimento d’arte cinematografica, tanto più che Novelli ha per sempre abbandonato la scena, e l’azione muta di Novelli non è meno efficace di quella parlata».74 Film di questa levatura rimanevano in cartellone, mediamente, per una settimana, registrando un costante «teatro esaurito».75

70 Vittorio Martinelli, Il cinema italiano in armi, in Sperduto nel buio il cinema muto italiano e il suo tempo (1905-1930), a cura di Renzo Renzi, Cappelli Editore Bologna 1991, pp. 35-42.

71 Ibid., p. 38.

72 Ibid., p. 37. Fenomeno identico a quanto accadeva in Italia: a Torino, capitale del cinema degli anni Dieci, su 1376 titoli, programmati tra l’agosto del 1914 e il dicembre del 1918, 945 erano di produzione italiana e solo 54 erano americani: Giaime Alonge, La prima ondata. L’arrivo del cinema americano in Italia, in Over There in Italy. L’Italia e l’intervento americano nella Grande Guerra, «Società Italiana di Storia Militare», Quaderno 2017, Nadir Media, Roma, pp. 375-386: 379-380.

73 Avveniva spesso che un film, che aveva avuto grande successo durante la settimana, non poteva mantenere lo stesso numero di proiezioni giornaliere nei giorni festivi per la sua eccessiva lunghezza, dovendo dare spazio agli altri spettacoli: «Per venire incontro alle rimostranze del pubblico da oggi la Direzione fissa gli orari per le cinque rappresentazioni pomeridiane con inizio alle 3, cessando la possibilità di entrare continuamente in sala, che dopo ogni spettacolo dovrà essere sgomberata. Formando la film l’ultimo numero del programma, anche i ritardatari potranno vederla»: «Il Piccolo», 7 febbraio 1915.

74 «Il Piccolo», 17 febbraio 1915. Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, prima parte, pp. 234-235. 75 Era la versione di Eleuterio Rodolfi del 1914: «Il Piccolo», 25 febbraio 1915.

Nel marzo successivo al Fenice fu proiettato il «film d’arte» La venere orgiastra ovvero Circe moderna, tratto dal racconto di Luigi Chiarelli, con Mario Bonnard (celebre attore fino agli anni del Neorealismo) ed Elisa Severi (protagonista), della Gloria film di Torino (ottobre 1914).76 Il successo del soggetto, tratto da un ardente e febbrile romanzo di Annie Vivanti, era molto atteso: «per questo spettacolo era stata anticipata di due ore l’apertura del teatro; ad onta di ciò, a tutte e 5 le rappresentazioni il teatro era strabocchevole e molta gente fu dovuta rimandare».77 Nonostante rappresentasse la perfida sensualità di una donna, per la quale un giovane si rovina, e si concludesse con un doppio suicidio, era permesso ai ragazzi oltre i 14 anni, mentre la critica italiana del tempo ne biasimava il truce svuotamento di contenuto e la deviazione della trama dall’originale letterario.78 Il motivo di tale successo è desumibile, con tutta probabilità, oltre che dall’interpretazione della protagonista, dall’abbondanza di riprese di paesaggi italiani, rimarcati da «Il Piccolo»: «Il paesaggio italiano è stata scelta una serie di posizioni incantevoli fra quante al bel paese abbiano dato la natura».79 Non è improbabile, pertanto, che nell’«italianità» delle scene risiedesse il vero movente dello straordinario numero di repliche. Inoltre, la categoria politica di italianità in veste cinematografica non veniva nemmeno celata dalla pubblicità, che annunciava il film La corsa all’amore, della Gloria, «celebrato da tutti i giornali del Regno» (con la coppia Severi-Bonnard), e la serie Hesperia, «una delle più applaudite artiste cinematografiche italiane», della Milano Films.80

Dopo Rose e spine, della Celio Film, con Leda Gys nella parte della maestra ingiustamente vilipesa nell’onore, 81 altre «folle impressionanti» assistettero al lavoro interpretato dall’attrice Tina di Lorenzo La scintilla dell’amore, film del suo debutto cinematografico.82 Il giornale riporta la critica della fortunata proiezione triestina al Fenice, protrattasi dal 19 al 31 marzo 1915: «La Direzione del teatro si è assicurata una primizia, un film con Tina di Lorenzo e Armando Falconi, la cui trama è stata scritta dal comm. Alfredo Testoni, della casa Ambrosio, La scintilla dell’amore. Anna Maria è una donna che sa ritrovare in sé la donna onesta al momento critico. Tina di Lorenzo non è la giovane gaudente e sorridente, ma una donna matura che dei misteri della vita conosce il

76 Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, prima parte, pp. 106-107. 77 «Il Piccolo», 16 marzo 1915.

78 «Il Piccolo», 9 e 16 marzo 1915. 79 «Il Piccolo», 16 marzo 1915.

80 «Il Piccolo», 19 e 26 aprile 1915. Hesperia era lo pseudonimo di Olga Mambelli. Aveva esordito nei varietà napoletani e, come attrice cinematografica, interpretò dal 1912 (tra gli latri), Cuore d’acciaio, La dama di picche e La madre (con Leda Gys). Scaduto il contratto con la Cines, passò dal gennaio 1914 alla Milano Films, che lanciò la sua ‘serie’: Tonino Simoncelli, Hesperia stella del varietà e diva del muto, Forlì, Vespignani 1995, pp. 25-41.

81 Film del 1914, regia Maurizio Rava, con Leda Gys, Ida Carloni-Talli, Angelo Gallina, Della Celio Film Roma, ddc 19.6.1914, m. 650: Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., prima parte, pp. 200

82 «Il Piccolo», 7 aprile 1915. Per questo film della Ambrosio, che segnò il debutto cinematografico di Tina di Lorenzo e tratto da un commedia di Alfredo Testoni, cfr .Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, seconda parte, pp. 167-168.

fascino e i pericoli. Questo è il primo suo debutto cinematografico. Folla impressionante».83 Ad ogni rappresentazione il teatro registrava il tutto esaurito. Il 12 aprile seguente fu proiettata un’altra novità, il dramma della Volsca Film di Velletri, Pace mio Dio!, dal romanzo di Luigi Clumez, con Lola Visconti-Brignone.84 Il soggetto venne reputato dalla critica nazionale banale e ritrito, nonostante il trionfo finale dell’innocenza, poiché riproponeva la storia di un amante respinto e vendicativo che si pente, prima di morire, mentre il lieto fine veniva accompagnato dalle celebri note della romanza (che dà il titolo al film) tratta dall’opera La forza del destino e cantata dalla protagonista accompagnandosi all’arpa: ma si può anche arguire quale ‘altro suono’, bramato in quei tempi, avesse tale titolo.85 Secondo le liste di censura del marzo del 1915 il film era vietato per i minori di 16 anni; ma poichè il numero progressivo risulta sul documento tagliato a matita, si può ipotizzare che il divieto sia poi stato revocato 86

Sulla stessa linea interpretativa si può collocare anche il successivo film Rataplan, della Cines, dal nome del cavallo protagonista, reclamizzato per le sue «scene dal vero di un allevamento di cavalli della campagna romana».87 Ancora più convincente, infine, appare il caso di Oro maledetto, della Celio Film, che offre un altro spunto per riflettere su uno dei temi portanti, di natura politica, di questa mia ricerca, quello del ruolo della censura: il film, infatti, era stato integralmente censurato dall’ufficio di polizia nel febbraio del 1915: nelle liste di proibizione si riporta il titolo tedesco di Tötliches Geld della Milano Film (poiché la Celio di Roma era passata alla Milano Film nel 1914).88 Eppure «Il Lavoratore» del 29 marzo ne riporta la proiezione al Fenice per quell’unico giorno.

Figure femminili, di umili origini o condizione socio-lavorativa, vittime di ingiustizie e pregiudizi, incarnavano spesso i valori della propaganda bellica rivolta alle donne. In quella primavera del 1915 le proposte italiane arrivavano con due film: Giovinezza trionfa! della Cines, con Pina Menichelli, protagonista ingiustamente umiliata, costretta a mascherare la propria bellezza per trovare lavoro come istitutrice, 89 e Il diritto di uccidere, film artistico della Gloria, con Elisa Severi e Dante Cappelli. Lo spunto di quest’ultimo film di cronaca (tratto dal processo Murri-Bonmartini, che aveva occupato anche le pagine dei giornali italiani de tempo) è la storia di una

83 «Il Lavoratore», 19 e 31 marzo 1915.

84 Prima visione nel dicembre 1914: Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, seconda parte, pp. 100-102. 85 Ivi, pp. 101-102.

86 ASTs LGT AG, b. 2425, fasc. 70, Friede mein Gott. Verbotene kinematographische Aufführungen, 18. bis 24 März 1915.

87 «Il Piccolo», 15 aprile 1915.

88 ASTs, LGT AG Verbotene kinematographische Aufführungen cit., 7. bis 13. Februar 1915.

89 «Il Piccolo», 17 aprile 1915. La critica evidenzia l’assurdità del soggetto, ma il pubblico «che non è più quello ostico e ignorante dei tempi andati, è il miglior critico e giudice», Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, prima parte, pp. 239-240.

donna ingiustamente ripudiata dal marito che alla fine si suicida.90 Su un soggetto di Lina Cazzulino-Ferraris, compare nelle liste di censure del 1915 con il titolo Du sollst nicht töten (Gloria), vietato ai minori di 16 anni, ed esemplifica un’altra ricorrente pratica, che ritroveremo anche negli anni successivi di guerra: cioè il riutilizzo da parte dell’industria cinematografica tedesca dello stesso titolo di un film italiano ma in una versione ‘germanizzata’ (in questo caso distribuito dalla Union-Vitascope), forse intenzionalmente destinata a sostituire la precedente versione italiana.91 Infatti ricompare nella réclame del Lavoratore del 1917 come «nuovissima tragedia in tre atti, prima visione, con Alberto Bassermann, attore berlinese».92

E arriviamo al fatale maggio del 1915, quando il regime militare sospese ogni attività pubblica. Proprio in quei giorni «Il Piccolo» avvertiva: «Con oggi il teatro Fenice rimane chiuso fino a nuovo avviso, dovendosi ultimare i lavori per la nuova cabina cinematografica, che sarà dotata di tutti i più moderni apparati cinematografici e di proiezione e per cui è necessario spostare tutte le condutture elettriche».93 Nel fascicolo dedicato al teatro Fenice per gli anni 1912-1915, conservato presso l’Archivio di Stato di Trieste, si fa riferimento ai piani per una nuova cabina di cinematografia, nella parte opposta del palcoscenico (sono allegati il progetto e i piani statici), con anticabina sopra l’atrio del teatro, Alla cabina, addossata al muro maestro sovrastante l’atrio, si poteva accedere attraverso un corridoio separato, con via di fuga sulla via S. Francesco, opposta all’entrata di via Stadion. La costruzione era prevista in ferro, cemento armato e mattoni. Il progetto venne approvato il 10 febbraio 1915. 94 Nel fascicolo è conservata anche la documentazione relativa alla sostituzione del vecchio sipario con quello a norma in ferro, dei cui lavori di adeguamento, iniziati nel 1912, si prevedeva la conclusione nel settembre 1915 «date le condizioni eccezionali del momento».95 Tuttavia le parole del direttore Hermannstorfer testimoniano che nell’aprile del 1915 il teatro fu costretto a chiudere, come tutti gli altri, per poi risorgere, però, in autunno grazie alla proiezione di film italiani provenienti da Vienna, recanti didascalie tedesche che venivano ritradotte in italiano da un imbonitore in sala, l’Erklärer, il quale aveva anche il compito di tener d’occhio il pubblico e di farlo uscire (figura sostituita poi dall’introduzione delle didascalie):

90 «Il Piccolo», 5 maggio 1915, Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, prima parte, pp. 155.156. Essendo perdute molte pellicole di questi anni è difficile risalire alla congruenza con la vicenda relativa al processo del genero della figlia del medico e deputato Augusto Murri, del 1902. La vicenda viene raccontata nel film di Mauro Bolognini del 1974 Fatti di gente perbene La versione italiana del film, uscito nel 1914, che svolge un dramma a tesi, è descritta in Ivi pp. 155-156.

91 ASTs, LGT AG, Verbotene kinematographische Aufführungen cit., 28 Jänner bis 3 Februar 1915.

92 «Il Lavoratore», 19 gennaio 1917. Du sollst nicht töten. Der letzte Tag, tradotto in Solo non uccidere che nel 1916 viene dato come Il diritto di uccidere, quindi con il titolo rimaneggiato: al Teatro Cine Ideal («Il Lavoratore», 9 gennaio 1916) e al Famigliare come film sensazionale Il potere di uccidere («Il Lavoratore», 7 marzo 1916).

93 «Il Piccolo», 11 maggio 1915. La piantina della nuova cabina cinematografica è contenuta in LGT-AG, b. 2426, fasc. 197.

94 Ivi, 10 febbraio 1915. 95 Ivi, 23 ottobre 1914.

Il teatro si trova quindi nell’impossibilità di fare nuove scritture e si trova costretto a continuare gli