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Cavalleria rusticana e Pagliacci chiudono il cine-teatro Rossetti alla vigilia del ‘tradimento’ italiano ‘tradimento’ italiano

Dalla guerra evitata alla guerra inevitabile. La rinascita dell’impresariato artistico in una città al fronte

1. I primi mesi fino al maggio 1915

1.4 Cavalleria rusticana e Pagliacci chiudono il cine-teatro Rossetti alla vigilia del ‘tradimento’ italiano ‘tradimento’ italiano

Ad aprile la mancanza di macinati, lo strozzinaggio e la disoccupazione alimentavano le dimostrazioni popolari, alle quali si intrecciavano quelle contro la guerra: scrive Silvio Benco che già intorno al 15 di aprile guardie ed agenti si erano recati per le case per verificare gli indirizzi dei regnicoli (e non solo) e i confini erano più strettamente vigilati.97 Il 28 aprile tremila operai erano stati trasportati a Monfalcone per i lavori di fortificazione e il 1 maggio fu dato l’allarme alle guarnigioni di Cormons e Gorizia.98 Le chiusure dei teatri, a cominciare dal Fenice come già esposto, erano probabilmente in stretta relazione con le misure precauzionali disposte dalla Polizia, ad iniziare dal politeama Rossetti, dove erano previsti i festeggiamenti per il 25° dell’opera Cavalleria rusticana: «L’opera sarà preceduta dal preludio dell’Amico Fritz, e completerà lo spettacolo l’opera granguignolesca Lia, del maestro concittadino Luciano Caser, che dirigerà personalmente il suo spartito».99 Cavalleria sarà una delle musiche operistiche più riprese nel corso del conflitto, in innumerevoli versioni.100 Luciano Caser, che dirigeva una propria scuola di musica e morì nel 1917 in divisa grigio-azzurra, godeva di diversi incarichi: a lui venne affidato, forse proprio per la sua credibilità, la composizione dell’Inno dei Ricreatori, su versi di

96 CMTTs “Carlo Schmidt”, Storia del Teatro Fenice di Teodoro Hermannstorfer: Storia del Teatro Fenice di Trieste nei primi 50 anni di sua esistenza, 1879-1929, Dattiloscritto, con dedica autografa con dedica a Teodoro Costantini, commissario del teatro Comunale GiuseppeVerdi, firmato T.H., Trieste, novembre 1929, pp.29 sgg

97 Silvio Benco, Gli ultimi anni della dominazione austriaca a Trieste, Milano, Casa editrice Risorgimento, 1919, I, pp. 188-189 e Giuliano Gaeta, Trieste durante la prima guerra mondiale cit., pp. 75 sgg.

98 Silvio Benco, Gli ultimi anni della dominazione cit., I, pp. 191-192. 99 «Il Piccolo», 19 aprile 1915.

100 Alla rappresentazione viennese del 1893 Pietro Mascagni venne preso d’assalto dalla folla: Ario Tribel, Prose musicali, Trieste, Trani 1922, pp. 56-57.

VittorioLöwenthal, approvato dalla censura che, al contrario, aveva rigettato il testo del più sferzante poeta Flaminio Cavedali.101

La passione dei triestini per Mascagni aveva la sua genesi nella passione del compositore livornese per l’operetta. La sua formazione musicale si era forgiata, infatti, sull’esperienza di direttore d’orchestra delle compagnie italiane di operetta.102 I maestri del cosiddetto ‘verismo’ musicale italiano accompagnarono i tumulti dell’aprile 1915, quasi un’eco alle proteste di piazza : dal 4 al 17 aprile fu rappresentata l’opera I pagliacci, di Leoncavallo, sotto la direzione di quello che ancora si chiamava «maestro concertatore e direttore d’orchestra», nella persona di Emilio Curiel (figlio dell’impresario Angelo Curiel) e del maestro di coro Pino Klun.103 E il 18 aprile ebbe luogo la rappresentazione dell’ultima opera in cartellone, Cavalleria rusticana.104 Ma il 21 aprile seguente «Il Piccolo» riporta, nella prima parte di una colonna parzialmente censurata, che «l’annunciata rappresentazione commemorativa del 25° anniversario della Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni è stata iersera sospesa»; e, nei giorni seguenti, non si fa più alcun accenno a tale opera nei tamburini degli spettacoli al Rossetti. Erano quelli i giorni dei «moti del pane» in città, di fronte ai quali le autorità, pur di mantenere l’ordine pubblico, da un lato tendevano a sottovalutare (come emerge dai verbali di polizia) il grado di eversione di quei moti, considerando il pericolo di una possibile intromissione politica, dall’altro si sforzavano di imporre limitazioni alle proteste della popolazione in rivolta, soprattutto femminile.105 In quel mese si erano parimenti inasprite anche le posizioni italiane, con le restrizioni di quei giorni, ad esempio, emesse verso i cittadini austriaci, ungheresi e germanici residenti nelle province italiane (come quella di non poter essere querelanti o attori in giudizio) e con il decreto sulla requisizione nei loro confronti emesso il 22 aprile 1915.106 Per lo stesso motivo, probabilmente, la stagione al Rossetti proseguiva solo con la compagnia tedesca di operette dell’artista viennese, già noto a Trieste, Paul Guttmann.107 Ma l’assenza di Mascagni dalle scene triestine, come quella di Leoncavallo, non durerà molto: solo

101 «Il 1913 a Trieste e nel mondo». Raccolta di notizie, prima puntata, febbraio 1913 e «Il 1914 a Trieste e nel mondo». Raccolta di notizie, quinta ed ultima puntata; «Il Lavoratore», 26 dicembre 1915.

102 Il teatro italiano cit., 1913, p. 341.

103 Pagliacci, opera in un Prologo e 2 atti, proprietà Casa editrice Sonzogno. Personaggi: Nedda (Colombina): Mari Bellini, Canio (Pagliaccio): cav. Luigi Colazza. Tonio (Taddeo): Giovanni Corà. Peppe (Arlecchino): Ernesto Botteghelli. Silvio (Campagnolo), Augusto Causi (Paggiaro Arturo). Manifesto Schmidl 18.4 Cavalleria rusticana e Pagliacci. Ingressi: 1 cor, ragazzi e militari 0,50. Poltrone: 1, palchi piè piano: 10, Palchi I ordine 6. Ingresso al loggione: 0,40, Stabilimento tipografico Giovanni Werk, via Settefontane 4. Ingressi: 1 cor, ragazzi e militari 0,50. Poltrone: 1, palchi piè piano: 10, Palchi I ordine 6. Ingresso al loggione: 0,40, Stabilimento tipografico Giovanni Werk, via Settefontane 4.

104 Opera in un atto, di Mascagni, proprietà Sonzogno. Santuzza Amalia Canzio, Lola Aurelia Vosachi, Turiddu Carlo Bearzi, Alfio Giovanni Corà, Mamma Lucia Lina Grisovelli.

105 Lucio Fabi, Trieste 1914-1918, cit, pp. 28-32.

106 Riportato sulla «Gazzetta di Trieste», il 23 aprile 1915.

107 «Il Piccolo», 15 aprile 1915. «Oggi la popolazione è colpita da un grave aumento della carne, Si è costituito un Comitato cittadino di soccorso per le famiglie dei disoccupati. Per alleviare le condizioni d’indigenza della popolazione vengono forniti susiidi dalla attività della Beneficenza pubblica: «Il Piccolo» 27 marzo 1915.

alcuni mesi dopo, infatti, il 20 ottobre, ricomparve sulla stampa l’annuncio del film La reginetta delle rose, tratto dall’ omonima operetta.108

Al di là del peggioramento della situazione alimentare, la tensione tra gli imperi centrali e l’Italia non poteva non ripercuotersi sul fronte interno, dopo mesi in cui i giornali riportavano, sia pur nella versione vittoriosa degli eserciti austroungarici, l’allargamento dei fronti sui Vosgi, in Galizia centrale, sul Baltico, sui Dardanelli, sui Carpazi, tra Mosa e Mosella e tra Ypres e Lilla. Gli echi nella seconda metà di maggio sulla mutata alleanza dell’Italia, dopo il ritorno di Salandra, e i preparativi di partenza da Trieste delle autorità locali, non potevano non avere effetti anche sulla vita pubblica e teatrale. Sfogliando le pagine dei giornali, si nota che dopo il 17 maggio, quando era già stato chiuso il Fenice, vengono ridotte le programmazioni dei tamburini ai soli cine-teatri Eden, Minimo e Alfieri e il repertorio rimane quasi esclusivamente cinematografico. Se il 21 maggio tutti i giornali riferivano del resoconto della discussione alla Camera italiana, che aveva rifiutato l’estremo tentativo di conciliazione pervenuto da Vienna, e in Italia venivano assaltate le sedi dei consolati austriaci, a Trieste i circoli patriottici austriaci mostravano esasperazione.109 Le manifestazioni di ostilità italiane da parte dei circoli nazionalisti austriaci, rendicontate nelle cronache locali già a partire dal 20 maggio, arrivarono al noto tragico epilogo del 23 maggio, con le famigerate devastazioni a danno delle sedi dei liberal-nazionali. Eppure i teatri attivi continuavano a registrare i pienoni.

Per distruggere il partito liberal-nazionale in città bisognava prima di tutto colpire le associazioni e le scuole e snaturare i ricreatori, creazioni della Lega Nazionale. In quel 23 maggio a Trieste, quando vennero bruciate le sedi del quotidiano «Il Piccolo», nato nel segno dell’irredentismo, e dei principali caffè e ritrovi associativi irredentistici (anche musicali come quello della Società Filarmonica Drammatica), i vessilli giallo-neri imperversavano fra grida di ‘morte ai traditori’ per le vie della città.110 Dal mese di giugno vennero sciolte tutte le associazioni filoitaliane. 111

108 Al cinematografo Edison: «Il Lavoratore», 29 settembre 1915. Nel 1911 Leoncavallo si trovava a Londra per un allestimento di Pagliacci, dove scrisse l’operetta La reginetta delle rose, ambientata proprio a Londra. Già nel 1914 fu girato l’omonimo film muto, prodotto dalla Musical Films: Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, seconda parte, pp. 198-199.

109 Lucio Fabi, Trieste 1914-1918 cit., p. 35.

110 Incendi e atti vandalici, riportati in numerosi studi della storiografia locale, si verificarono, oltre alla sede del quotidiano «Il Piccolo», anche nei locali della Lega Nazionale, del Ricreatorio di San Giacomo, del monumento a Verdi in piazza San Giovanni, del caffè Stella Polare, del caffè ai portici di Chiozza, caffè Fabris, caffè Milano, caffè San Marco, caffè Edison: valgano per tutti e rievocazioni di quella giornata in Silvio Benco, Gli ultimi anni della dominazione austriaca a Trieste, I, Milano, Casa Editrice Risorgimento 1919, pp. 222 sgg. e Gianni Pinguentini, Il ribaltone dell’Austria Absburgica: 1915-1918. (Ricordanze d’un triestino), Trieste, Libreria Internazionale Cappelli Editrice 1968, pp. 118 sgg.. Il proprietario-direttore del giornale «Il Piccolo», Teodoro Mayer, risiedeva parte dell’anno a Roma, dove era diventato amico degli uomini di governo.

111 Ad esempio l’Associazione Patria, l’Associazione del libero pensiero, l’Alpina delle Giulie e, soprattutto, la Lega Nazionale: per un’accurata disamina sulle associazioni sciolte dalle autorità cfr. Almerigo Apollonio, La “Belle

2. Gli impresari ai margini dell’irredentismo non sopito: «eludere senza violare». Un rapporto segreto del luogotenente Fries-Skene

L’espressione adottata nel titolo, «eludere senza violare», è presa in prestito dall’economista nazionalista Mario Alberti, per spiegare la politica adottata dagli impresari cinematografici tra il 1914 e il 1915, idonea a riassumere la natura delle controversie tra le autorità governative locali e gli interessi economico-ideologici di quest’industria al suo apogeo.112 Come vedremo, il fenomeno si radicava in una capillare rete distributiva di pellicole, che coinvolgeva diversi settori commerciali triestini, in contatto tra loro grazie alle società professionali di settore, almeno fino al maggio del 1915, nonostante le pressioni della Polizia sui simpatizzanti filoitaliani recidivi. Dopo il capovolgimento bellico delle alleanze, seguirono gli internamenti, subiti anche da alcuni di loro: e, in tali casi, furono spesso le mogli, o altri delegati di fiducia, a proseguire l’attività cinematografica. Che il sentimento filoitaliano avesse pervaso ogni strato della popolazione, pur vagheggiato come mitica appartenenza linguistica ad uno stato di cui in realtà si conosceva ben poco, lo testimonia il nazionalista Ruggero Fauro-Timeus, che nel 1912 osservava come «l’irredentismo non è un partito, è una tendenza naturale di tutte le persone prese una per una, è un sentimento innato delle condizioni del luogo, è una di quelle realtà che materialmente compaiono di rado, ma spiritualmente sono dappertutto».113

Questa considerazione ci introduce alla comprensione di quanto i professionisti della comunicazione cercassero di contribuire alla causa della voluta ‘liberazione’. Lontani dalla retorica interventista del dibattito letterario e delle agitazioni giovanili delle piazze italiane, gli impresari teatrali e cinematografici filoitaliani erano quelli che seppero dare al mezzo comunicativo cinematografico un potere di alto simbolismo patriottico, capace di incidere con maggior vigore sulla pubblica opinione (se tale possiamo definirla) e diffondendo le allusioni antiaustriache tramite la forza delle immagini mute; ma anche ottenendo, contestualmente, vantaggi lucrativi eccezionali, rispetto al generale regime di sopravvivenza degli anni bellici. Il sentimento irredentista era per loro anche un business, che attirava diverse categorie professionali, come avvocati, uomini d’affari, politici, rappresentanti dei settori manifatturiero e di caffetteria; le relazioni intessute con tali figure

Époque” e il tramonto dell’impero asburgico sulle rive dell’Adriatico (1902-1918), II, Trieste, Deputazione di storia patria per la Venezia Giulia, 2014, pp. 682 sgg. e 951-952.

112 «L’Austria è perita per la inconciliabilità di due principi opposti: quello dell’autorità che deve tenere insieme un aggravato sociale eterogeneo centrifugo come quello della monarchia degli Asburgo, e quello della scrupolosa osservanza costituzionale di leggi, che l’astuzia dei gruppi etnici desiderosi di altra appartenenza politica sapevano eludere senza violare, sapevano girare senza contravvenire»: Mario Alberti, L’irredentismo senza romanticismi, Como, Cavalleri 19382, p. 76.

permetteva loro, inoltre, di acquisire sufficienti poteri di contrattazione nei confronti delle autorità, tanto per non pagare eventuali infrazioni o scontare arresti troppo lunghi, almeno.

Una grossa parte, nel gioco commerciale di richiamo del pubblico, la ricoprivano gli annessi laboratori per la lavorazione delle pellicole, i depositi e la réclame (avvisi, manifesti, locandine, box pubblicitari sulla stampa, pieghevoli di sala), segmenti della filiera cinematografica spesso riuniti o nella stessa persona o affidati a un familiare, che era anche socio. Scriveva Prezzolini nel 1907 a proposito della réclame: «Gli americani hanno raggiunto il maximum di ingegnosità nella réclame, che stupisce noi europei, che tanto spesso poi ne sopportiamo le conseguenze e ne facciamo le spese. Presto si capirà anche da noi che le case che organizzano la réclame sono organismi assai più forti nel mondo di molti ministeri e di molte prefetture e che in un direttore di giornale c’è spesso una potenza maggiore che in molte altre tradizionali cariche».114 Il fatto che le réclame pubblicitarie delle sempre più numerose sale cinematografice si fossero incrementate negli anni di guerra, al punto da occupare nel 1917 anche un’intera facciata delle quattro di cui si componeva «Il Lavoratore», divenuto quotidiano, è indice dell’aumento del volume d’affari di quest’industria del divertimento. La mobilitazione della società, meno nota e di difficile ricostruzione, diventa pertanto altrettanto necessaria di quella militare, per capire la reale declinazione locale che ebbe l’evento bellico.115

Ė opportuno approfondire l’aspetto legato al sentimento degli italiani ‘irredenti’ per introdurre la casistica successiva di impresari cinematografici che si fecero interpreti di tali aspirazioni. Il socialismo aveva rappresentato per la Luogotenenza, nella sua politica filoslava, un deterrente contro la battaglia filoitaliana dei liberal-nazionali, tanto che il luogotenente di Trieste e del Litorale Hohelohe veniva chiamato «il principe rosso»; l’acredine nei suoi confronti toccò il vertice nel 1913, quando emise una serie di decreti per espellere i regnicoli dagli impieghi pubblici.116 In quell’anno fu rimosso dal suo incarico, forse per questa scomoda sua intransigenza, nei mesi in cui era necessario non inasprire i rapporti con l’Italia, mentre erano in corso i negoziati con il governo di Roma, prima del Patto di Londra. Il suo successore, il barone Fries-Skene, prometteva, invece, una veduta più largheggiante e politicamente necessaria in quel momento, quando la nuova politica militare di guerra era «pronta a germanizzare con la forza una popolazione rimasta italiana in cinquecento anni di dominio tedesco».117 E forse questo spiega anche perché, in questo stesso arco di tempo, tra la fine del 1914 e il maggio del 1915, si verificarono a Trieste i

114 Giuseppe Prezzolini, L’arte del persuadere, Firenze, Francesco Lumachi Editore 1907, p. 65.

115 Sulla propaganda e la mobilitazione degli spiriti durante il primo conflitto mondiale si veda Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, La Grande guerra 1914-1918, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 318 sgg.

116 ASTs, Fondo Attilio Gentile, b. IV, fasc. 853, «Il Piccolo della Sera di Trieste», 3 settembre 1925. La politica dei luogotenenti imperiali a Trieste. L’articolo è firmato da Silvio Benco. Sui famosi ‘decreti Hohenlohe’ si veda Marina Silvestri, Lassù nella Trieste asburgica cit., pp. 188 sgg.

tentativi più numerosi di proiettare film che esaltavano luoghi o persone d’Italia, di fronte ad autorità censorie che, alla fine, risolvevano i contenziosi con leggere sanzioni o patteggiamenti.

Ma qual era il ruolo di questo ‘irredentismo di guerra’ che trasudava dall’operato degli impresari cinematografici filoitaliani? E qual era il comportamento che la luogotenenza dovette adottare per farvi fronte senza urtare i precari equilibri tra le potenze alleate? Lo possiamo comprendere dalle stesse parole del luogotenente Fries-Skene, in un rapporto segreto dattiloscritto (fonte di cui esistevano pochissime copie), reso pubblico sul «Piccolo della Sera» nel 1926, scritto nel novembre del 1916 e intitolato Die politische Verwaltung des Küstenlander in eineinhalb Kriegsjahern, indirizzato al Governo austriaco.118 Il punto di vista adottato, austriaco e ufficiale, presenta l’insolita complessità di problemi che l’amministrazione locale dovette affrontare negli anni di guerra in una zona di confine: accanto alla necessità di tutelare gli interessi dello Stato emergeva, infatti, anche quella di incoraggiare la popolazione duramente provata, «con occhio vigile ma senza la coazione di forme restrittive».119 Sono informazioni che il luogotenente raccolse giorno per giorno nel primo anno e mezzo di guerra, sotto l’impressione immediata degli avvenimenti, ai quali facevano da sfondo le inadeguate misure sia economiche che politiche dello Stato, per riguardo «al nostro creduto alleato», le sole che avrebbero potuto debellare invece l’irredentismo, strettamente legato ai circoli parlamentari e governativi italiani. E confessa che l’autorità locale «era limitata ad atti di difesa occasionali in singoli casi manifesti, e perciò poco efficaci, appunto in quel campo sul quale avrebbe dovuto estrinsecare la sua più importante azione. Ripetutamente e soprattutto negli anni avanti la guerra essa aveva richiamato l’attenzione su tali apparizioni preoccupanti e si vide sempre condannata a una penosa inazione, mentre l’irredentismo alzava il capo più che mai». 120 L’irredentismo, dunque, si era tutt’altro che indebolito sia a ridosso del conflitto che nel primo anno di guerra, grazie soprattutto ad «un’amministrazione comunale, che sapeva esercitare in modo perfetto in direzione ostile allo Stato, la grande influenza che le derivava dal suo numeroso personale, dai suoi stabilimenti economici e dalle forniture che vi erano congiunte e da una politica edilizia ispirata a una politica partigiana».121 Il sistema scolastico, la redazione del «Piccolo» e gli sconfinamenti, aperti o segreti, erano tutte forze «ben organizzate e concordi» di fronte, invece, ai «mezzi insufficienti dei patrioti austriaci». Questa tensione crebbe all’inizio del conflitto, quando «gli sforzi dei circoli irredentisti di seminare malcontento e irrequietudini nella popolazione apparvero erano sempre più manifesti. Le dimostrazioni che ebbero luogo a Trieste dal 20 al 22 aprile 1915 [i moti del pane descritti da Silvio Benco: NdA] e nei giorni

118 Ovviamente reso pubblico solo nel dopoguerra. ASTs, Fondo Gentile, b. IV, fasc. 857, «Il Piccolo della Sera», 2 febbraio 1926. L’articolo riporta solo alcune parti delle 158 pagine originali.

119 Ibid. 120 Ibid. 121 Ibid.

successivi in alcune altre città del Litorale, derivavano indubbiamente da tali agitazioni; già in anticipo alcuni giornali del Regno avevano dato ragguaglio degli avvenimenti su accennati».122 Il progressivo peggioramento delle relazioni in maggio tra Austria e Italia ebbe come conseguenza anche l’esodo dei regnicoli dimoranti a Trieste (circa 35.000 dei 50.000 residenti), a cui si aggiunse un numero considerevole di «sudditi austriaci atti alle armi di sentimenti irredentisti che colle astuzie più svariate, travestimenti e passaporti falsi, e per lo più coi piroscafi italiani che ancora transitavano, cercavano di raggiungere l’Italia, aiutati dal console generale d’Italia a Trieste, il cui ufficio era centro di ogni spionaggio e di ogni manovra ostile all’Austria».123 Anche una parte della popolazione residente a Trieste si riversò all’interno della monarchia nei giorni precedenti alla dichiarazione di guerra. Durante il 23 maggio si ebbero grandi dimostrazioni patriottiche davanti il Consolato d’Italia, che degenerarono nelle devastazioni alla sede del «Piccolo» e di alcuni ritrovi del partito irredentista. Gli eventi successivi, descritti dal Luogotenente, come il temuto sbarco degli Alleati via mare, imposero una serie di provvedimenti repressivi, già ben noti.124 Giuliano Gaeta precisa che, per poter trattare con l’Italia, tra il 1914 e il 1915 l’Austria chiudeva gli occhi su tante cose: sugli irredentisti che varcavano il confine, sugli importatori di giornali del Regno e, si può tanto più ipotizzare allora, sui film che avevano odore di italianità.125

A quel punto perché la Luogotenenza continuò a funzionare? Sostanzialmente, spiegava il luogotenente, per mantenere la calma e l’ordine e per tutelare importanti interessi politici; rimasero in città anche gli impiegati del Presidio luogotenenziale e le loro funzioni, gli organi della polizia di Stato, l’I.r. Consiglierato di Luogotenenza quale capo dell’autorità politica di prima istanza e i singoli funzionari del Governo marittimo e delle direzioni di Finanza e delle Poste, che continuarono a gestire gli affari (pur in misura limitata), mentre la maggior parte delle altre autorità, in previsione di un eventuale attacco italiano dal mare, furono trasferite a Postumia, Volosca (Abbazia), Lubiana e Graz; il capitanato distrettuale di Gradisca e Monfalcone, e una parte dei funzionari del capitanato di Gorizia, rimasero in città fino alla sua caduta in mano italiana e all’evacuazione nell’agosto del 1916.126

Si capisce, in conclusione, perché la Luogotenenza si era vista limitare il suo potere contrattuale nei confronti della popolazione, verso la quale doveve tenere un atteggiamento fermo ma attento a non innescare la miccia di latenti insofferenze, di cui doveva comunque rispondere al

122 Ibid.

123 Ibid. Proprio sul ruolo del console generale d’Italia il barone Nicola Squitti di Palermiti a Guarna, che a Filadelfia si era adoperato per gli italiani in America, si veda Marina Silvestri, Lassù nella Trieste asburgica cit., pp. 194 sgg.