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Trieste capitale imperiale della musica e del cinema

6. Il favore del pubblico triestino verso autori e soggetti italiani: l’irredentismo nelle pieghe del divertimento pieghe del divertimento

6.1 Inni e canzoni popolari

A Trieste con il 1910 si restrinsero i controlli sulle società, in particolare sportive, e si intensificò lo spionaggio austriaco: quando, ad esempio, alcuni rappresentanti della Società Operaia Triestina e dell’Associazione Giovanile Triestina parteciparono alle manifestazioni milanesi, al motto di «Viva Oberdan» il capo di polizia Alfredo Manussi di Montesole chiese la soppressione delle società, ma le accuse penali, non suffragate da sufficienti prove, si sgonfiarono e gli accusati furono prosciolti. Come Guglielmo Oberdan, anche Giuseppe Garibaldi incarnava quel mito di libertà in nome del quale nel 1907 si scatenò a Capodistria una dimostrazione, per il centenario della nascita (4 luglio) in cui, secondo la testimonianza del Comandante del Presidio militare di Capodistra (tenente Heller) almeno 500 uomini inneggiavano all’ «Italia irredenta»;371 lo stesso podestà, Piero de Manzini (poi volontario di guerra) aveva invitato il maestro di musica Mariotti a scrivere una marcia da fanfara in cui le parti del basso riproducessero l’Inno di Garibaldi. Chiosava la stampa che «il Manzini, chiamato a rispondere dall’i.r. autorità, se la cavò con la scusa di un lutto famigliare, ben sapendo che, ove lo si colpisse come presidente della “Libertas” [club organizzatore dell’evento], il club stesso sarebbe stato disciolto. Il club se la cavò a sua volta con poche decine di corone di multa».372 Episodi, questi, che lasciano trapelare le reticenze degli uffici governativi locali a colpire duramente le contestazioni, anche perché, probabilmente, i provvedimenti non dovevano interferire troppo con la ragion di Stato, alla base del mantenimento dei buoni rapporti tra i due regni della Triplice. 373

La lista degli spettacoli di chiara propaganda irredentista sarebbe troppo lunga; mi limito, pertanto, a fare solo un accenno ai concorsi delle canzonette popolari triestine che si tenevano al

370 Alla delusione trasversale, avvertita tanto dagli intellettuali quanto da tutti gli schieramenti fino a diventare una forma mentis, richiamata da Alceo Riosa, Adriatico irredento. Italiani e slavi sotto la lente francese (1793-1918), Alfredo Guida, Napoli 2009, pp. 13 sgg.

371 «Il popolo di Trieste», 10 agosto 1927. Il patriottismo di Capodistria in un documento inedito.

372 Ibid. Il musicista Mariotti potrebbe essere il cantante Annio Mariotti, operante anche a Trieste negli anni di guerra. 373 Almerigo Apollonio, La “belle époque” cit., I, pp. 338-339.

politeama Rossetti.374 Nel gennaio del 1913 «una marea di popolo» accorse al Politeama per assistere al concorso delle canzonette popolari «pro Ricreatorio», organizzato della Lega Nazionale. Partecipavano all’esecuzione il coro del maestro Francesco Sinico e la banda del ricreatorio della Lega Nazionale diretta dal maestro Pietro Sabba. La giuria, composta da delegati di associazioni filoirredentiste quali l’Associazione operaia, il Circolo artistico, la Società dei Filarmonici e le già citate Società Filarmonico-drammatica e Società Ginnastica, elesse vincitrice la celebre (ancor oggi) canzone triestina La vien o no la vien?, su versi di Arturo Bellotti e musica di Michele Chiesa, nel cui verso finale del ritornello si faceva chiara allusione alla scottante questione dell’Università italiana a Trieste, insistentemente richiesta e mai concessa dal governo austriaco.375 Su tale questione era stato il socialista onorevole Edoardo Gasser che, alla Camera dei Deputati di Vienna, a nome di tutti i deputati italiani al Parlamento, aveva rivolto al Governo, proprio in quello stesso gennaio, ancora una volta, un’interrogazione sull’Università italiana a Trieste: desiderio, dunque, non ancora sopito. Il secondo premio andò a Vita triestina, versi del musicista triestino Carlo De Dolcetti,376 che pagò con l’internamento la sua diserzione, e musica ancora di Chiesa, nella quale si esprimevano i versi: «…e ‘l tuo mar disi tropo:-Vegni!/Ma sento che ‘l mio cor me disi:-Spera!».377

Per gli autori delle altre cinquantacinque canzonette non premiate l’impresa del «teatro popolare» di San Giacomo, il rione operaio della città, indisse un referendum fra il pubblico, che designò quale vincitrice la canzonetta Alabarda, simbolo di Trieste, su parole di Vittorio Cuttin e musica di Emilio Safred.378 Nel mese seguente nella Sala Fenice i coristi del teatro comunale G. Verdi, accompagnati dall’orchestra del maestro Müller (stabile del teatro Fenice) incisero i dischi delle canzonette premiate al concorso, che andarono vendute a beneficio dell’istituzione promotrice, la

374 Si veda di Pier Paolo Sancin, Fulvio Marion, Trieste mia. 100 anni di concorsi di canzonette a Trieste, Udine, Pizzicato, 1992; id., Canzoni d'autore e brani vincitori dei festival della canzone triestina, Udine-Trieste, Editoriale FVG, 2007.

375 «Il 1913 a Trieste e nel mondo» Raccolta di notizie cit., prima puntata, numero unico, gennaio 1913. Nel novembre del 1904 si verificarono a Innsbruck gravi scontri tra tedeschi e studenti italiani della locale Facoltà giuridica italiana, annessa all’Università del Tirolo, che rivendicavano una propria Università. I fatti erano rimbalzati nel Trentino, nel Litorale e nel Regno d’Italia, dando luogo a manifestazioni universitarie di protesta in segno di solidarietà. Il governo viennese avrebbe deciso di rimediare alle tensioni spostando la Facoltà italiana in un sobborgo di Innsbruck: in Almerigo Apollonio, La “belle époque” e il tramonto dell’impero asburgico cit., I, p. 104.

376 Carlo De Dolcetti, in arte Amulio, noto compositore di canzoni popolari triestine, fondatore del giornale satirico «Marameo» a autore della raccolta Trieste nelle sue canzoni (Trieste, Cappelli 1951), di professione impiegato comunale, fu arrestato il 18 febbraio 1916 e deportato a Mittergraben: BCTs, Schedario dell’irredentismo. Lista dei deportati 1914-1918, schede dattiloscritte RP MISC 245/31.

377 Ibid. L’irredentista Marcello Depaul ricorda nella sua Autobiografia che «le canzonette popolari premiate erano sempre quelle esultanti alla nostra italianità o contenenti qualche satira mordace contro il Governo»: Autobiografia cit.,, p. 17.

378 Vittorio Cuttin editava il foglio umoristico locale di chiara ispirazione italiana «La coda del diavolo», che fu soppresso nell’agosto del 1914, mese in cui anche «L’Indipendente» sospese, volontariamente, le sue pubblicazioni dopo l’emanazione delle misure eccezionali: Gianni Pinguentini, Il ribaltone dell’Austria Absburgica: 1915-1918. (Ricordanze d’un triestino), Trieste, Libreria Internazionale Cappelli Editrice 1968, p. 126.

Lega Nazionale: 379 dunque, esisteva una solida rete istituzionale nella cultura musicale associativa a servizio della causa irredentista.

Il 1914 fu l’ultimo anno in cui il pubblico triestino assistette alle premiazioni del Concorso delle canzoni triestine. Dopo un comizio di giovani al Politeama Rossetti, tenutosi domenica 10 maggio, i partecipanti, come avveniva frequentemente, scesero per la via Acquedotto inneggiando all’auspicata Trieste italiana. 380

Anche le istanze del socialismo triestino, nella sua variante austromarxista, ebbero un ruolo importante nelle occasioni celebrativo-politiche: nella miriade di circoli vicini al movimento socialista, e i più numerosi erano quelli di mutuo soccorso, si organizzavano attività, in particolare corali e danzanti, fenomeno che si verificava pure in altri paesi con movimenti operai ben organizzati, come la Francia.381 Vi prendevano parte anche autorevoli compositori quali Luigi Ricci,382 Francesco Sinico (quest’ultimo aveva diretto la sezione musicale della Società Filarmonico-Drammatica)383 e Giuseppe Rota,384 il quale aveva fondato la Società filarmonica di mutuo soccorso e aveva scritto per la Società operaia triestina l’inno Il maglio.385 Valga per tutti l’esempio del ballo al Rossetti, riportato dalle fonti a stampa, tenutosi domenica 12 gennaio 1913 e organizzato dall’Associazione Operaia Socialista, la cui sede in via Madonnina 15 era a stretto contatto con i cinematografi e i teatri del quartiere di Barriera Vecchia. Il teatro era straboccante di soci, familiari e invitati, ed erano presenti anche il podestà Alfonso Valerio, l’assessore comunale Attilio Hortis e i socialisti Edmondo Gasser e Giorgio Pitacco, deputati di Trieste alla Camera di

379 «Trieste 1913». Cronache dell’anno precedente la prima guerra mondiale cit, gennaio 1913. Nell’edizione del 1914 furono premiate Me devo maridar, parole di De Dolcettie musica di Michele Chiesa; El refolo (II premio), parole di Umberto Corradini (giornalista del Popolo di Fiume) e musica di Ermanno Leban; El mio amor (III premio) parole di De Dolcetti e musica del maestro Ugo Urbanis: «L’Indipendente», 20 gennaio 1914.

380 Tra gli artisti premiati vi sono ancora quelli dell’anno precedente: Carlo De Dolcetti, Michele Chiesa, Umberto Corradini direttore del «Popolo di Fiume» e Ugo Urbanis: ibid.

381 Scrive Stefano Crise che i circoli socialisti triestini, come quello «Femminile socialista» o il «Circolo corale socialista», avevano la molteplice funzione di compattare gli aderenti e di formare la coscienza di classe e che l’interesse socialista per il canto era debitore nei confronti della socialdemocrazia europea, soprattutto verso quella tedesca, che del canto corale aveva fatto il proprio fiore all’occhiello: Stefano Crise, La divina ispirazione cit., pp. 138-139.

382 Operista napoletano di successo, a Trieste Luigi Ricci, di cui Rota fu allievo, ricoprì gli incarichi di maestro concertatore nell’allora Teatro Grande e fu maestro di cappella presso la Cattedrale di San Giusto, fino al 1859, incarico poi ricoperto da Rota: Carlo Schmidl, Dizionario cit., ad vocem, p. 415.

383 Il musicista Francesco Sinico, il primo ad introdurre a metà Ottocento il canto nelle scuole civiche cittadine, scrisse un Metodo di canto popolare; il figlio Giuseppe fu lo scrittore dell’opera Marinella, da cui ebbe origine la circolazione autonoma dell’Inno a San Giusto: si veda Carlo Schmidl, Dizionario cit., ad vocem, pp. 462-463. Su Luigi e Francesco Ricci, e la Civica scuola di canto fondata da Francesco a Trieste, cfr. anche il sempre utilissimo volume di Giuseppe Radole, Ricerche sulla vita musicale a Trieste (1750-1950), Trieste, Italo Svevo 1988, rispettivamente pp, 110-114 e 135-136.

384 Carlo Schmidl, Dizionario cit., pp. 434-435.

385 L’inno Il maglio fu composto da Giuseppe Rota, noto compositore triestino, direttore della Cappella Civica e maestro concertatore al teatro Verdi; venne eseguito la prima volta nel 1894 al XXV anniversario della Società Operaia Triestina. al Rossetti: Giuseppe Radole, Ricerche sulla vita musicale cit., pp. 115-119.

Vienna.386 Le autorità vennero salutate al loro ingresso dall’Inno a San Giusto, leit motiv patriottico delle serate triestine dalla fine del secolo fino agli anni bellici. Durante la festa l’orchestra suonò anche l’inno Il maglio e l’inno della Lega Nazionale, composto da Ruggero Leoncavallo.387

È doveroso richiamare, avendolo citato, la portata municipalistica dell’Inno a San Giusto. Nel luglio del 1914, in occasione del grande concerto organizzato dal Comitato feste del Circolo rionale di Città vecchia, alle note dell’Inno a San Giusto «il pubblico proruppe in acclamazioni entusiastiche».388 Il brano appartiene al Prologo dell’opera Marinella, del compositore triestino Giuseppe Sinico.389 Nel 1893, per festeggiare il decimo anniversario dell’inaugurazione della bandiera sociale dell’Unione Ginnastica Triestina, Sinico pensò di variare l’inno dando l’incarico ad Ario Tribel di modificarne il testo, attenuandone la carica rivoltosa contro l’oppressore (in origine i veneziani).390 Ma i versi vennero successivamente storpiati svariate volte e nell’archivio di Attilio Gentile, conservato presso l’Archivio di Stato di Trieste, si conserva un articolo a stampa che spiega le ragioni delle manipolazioni, finalizzate ad esaltare il municipalismo antiaustriaco della città. Il valore patriottico di questo coro, infatti, assunse una sua legittimità postuma, riconosciuta dalle fazioni irredentiste ma anche dalla cittadinanza quale vessillo identitario di italianità; per questo verrà intonato anche durante all’inizio di molti spettacoli nel corso della guerra. Così ne parla il filogovernativo «Il Cittadino di Trieste» del 1916:

[La Marinella] Fu data per la prima volta al Teatro Mauroner nel 1854. Il significato politico le fu attribuito in un secondo momento. L’azione si svolge nel 1508, all’epoca dell’odio contro la Serenissima e dell’adesione alla politica absburgica. “Venuta al potere la camorra [cioè i regnicoli; anche il Commissario Imperiale userà nel 1916 questo termine, circolante in quegli anni: nda] questa si studiò tosto di mistificare il più possibile i fatti storici, inerenti il passato glorioso di Trieste; e una delle questioni che più si mistificarono fu appunto questa della Marinella e più che altro dell’Inno a San Giusto, perché il testo venne manomesso. Il termine spregiativo di “regnicolo” viene associato all’odiato dominio veneziano. L’Inno a San Giusto divenne il grido di guerra contro i Veneziani. Ridata nel 1907 al Rossetti, la Marinella del Sinico non aveva più quello spirante amor patrio ma all’opera musicale che intuona la fanfara della rivoluzione irredentistica, per bocca di cento moretti che in quel giorno, anziché cantare, come lo è nell’opera originale del Sinico “Forse che l’armi venete/Duino han soggiogato” cantavano “Forse che l’armi estere” come lo vediamo stampato nel programma di quell’epoca che abbiamo qui tra le mani. Per fortuna il partito che si peritava di fare tali mistificazioni è sparito: i Triestini però sappiano ora

386 Giorgio Pitacco può essere considerato l’ultimo grande irredentista triestino; con lui si chiude quel periodo storico che, affidato in gran parte alla cospirazione massonica, sfocerà nell’intervento bellico; verrà eletto sindaco di Trieste dopo la guerra, nel 1922: Silvio Gratton, Trieste segreta, cit., pp. 33-34.

387 «Trieste 1913». Cronache dell’anno precedente la prima guerra mondiale cit.; Vito Levi, Guido Botteri, Ireneo Bremini, Il Comunale di Trieste, Udine, Del Bianco, 1962, p. 268

388 «Trieste 1914. Un anno mezzo di pace e mezzo di guerra» cit., seconda puntata. L’inno di guerra chiudeva il prologo Squillan le trombe e, mutato il testo di Ario Tribel in Viva San Giusto, divenne l’inno della città. Qualche anno più tardi (1862) l’opera fu revisionata dall’autore: Giuseppe Radole, Ricerche sulla vita musicale cit., p. 137.

389 L’opera, tratta dal romanzo di Adalberto Thiergen e messa in versi dal poeta dilettante Pietro Welponer, fu rappresentata il 26 agosto 1854 al teatro Mauroner, poi Fenice: Carlo Schmidl, Dizionario cit., ad vocem, p. 463. 390 Ario Tribel, Prose musicali, Trieste, Libreria Editrice Trani 1922, p. 182 sgg. Tale lavoro di critica musicale venne scritto nel 1912.

valutare il vero significato “patriottico”, sia del romanzo che del melodramma, ad anche dell’Inno a San Giusto.391

Il passo riportato, in cui termini e significati traslatano per assumere la semantica politica delle diverse parti (veneziana prima e austriaca poi) in conflitto con Trieste, induce a sollevare una questione rilevante di una pratica già consolidata. L’inno a San Giusto riveste lo stesso significato politico del coro Si ridesti il Leon di Castiglia, dell’ Ernani di Verdi: Borut Klabian, riprendendo la tesi di Roger Parker, reputa a tal riguardo che la figura di Verdi, come ‘padre del popolo’, sia stata creata artificialmente, quale mito politico a scopo di nazionalizzazione; e a Trieste questo mito doveva avere il ‘suo’ Verdi. Scrive Klabian che l'obiettivo della élite liberal-nazionale italiana era, infatti, quello di ottenere l'appoggio delle classi inferiori e la musica di Verdi, in particolare il Va’ pensiero, era lo slogan nazionalistico che aveva a tale scopo i migliori requisiti. In un’analoga prospettiva, l’Inno a San Giusto diventava lo strumento per creare un proprio un codice specifico di una «rappresentazione nazionale», ma con una più precisa accezione sul municipalismo triestino.392 Parafrasando Roger Parker, nella sua analisi sulle prime composizioni di Verdi avulse da un significato rivoluzionario concreto, anche L’inno a San Giusto appare, dunque, ‘invischiato’ nel connubio fra opera e politica, procrastinando alla ‘prima guerra d’indipendenza’ per Trieste quella che era stata la chiamata alle armi per il popolo italiano alle guerre d’indipendenza risorgimentali.393

Durante il concerto all’Arena di Verona, diretto da Toscanini nel luglio del 1915, furono gli Inni, oltre ai celebri cori verdiani, ad essere cantati anche dalla folla esultante e commossa, diretta dalla bacchetta del maestro: l’ Inno di Garibaldi, l’ Inno delle Nazioni, il God save the king, la Marsigliese, l’ Inno di Mameli.394 La pratica dunque dei riusi, dello sradicamento di questi cori dal loro contesto operistico, le varie edizioni ‘rivedute e corrette’ erano fattori genealogici della loro diffusione politica e della loro ri-semantizzazione, che non risparmiò neanche i cafè-chantant e i

391ASTs, Archivio Attilio Gentile, b.XVIII, fasc. 865, «Il cittadino di Trieste», 12 marzo 1916. Significato patriottico della Marinella. L’opera Marinella, musicata da Giuseppe Sinico, è tratta dal romanzo di Thiergen, su libretto di Pietro Welponer, data per la prima volta con gran successo al Teatro Mauroner il 26 agosto 1854. Al «Cittadino di Trieste», pubblicato dal 1915 fino all’aprile del 1916, che raccoglieva «gli anti-italiani di sempre e i servi del momento», farà seguito «La Gazzetta di Trieste»:cfr. Cesare Pagnini, I giornali di Trieste cit., pp. 277-279.

392 Sulle questioni riguardanti l'affermazione dell'idea nazionale nel contesto multinazionale della Trieste asburgica e sul ruolo del monumento di Verdi come uno dei punti cardine delle liturgie pubbliche del movimento nazionale italiano e non solo a Trieste cfr. Borut Klabjan: Nacionalizacija kulturne krajine severnega Jadrana na začetku 20. stoletja: primer Verdijevega spomenika v Trstu (La nazionalizzazione del paesaggio culturale dell'Adriatico settentrionale agli inizi del XX secolo: il caso del monumento a Verdi a Trieste), in «Acta Histriae», 23, Zgodovinško društvo za Primorsko Koper (Società storica del Litorale Capodistria), n. 1, 2015, pp.113-130: 116-117.

393 Roger Parker, Carolyn Abbate, Storia dell’opera (A History of Opera. The Last Four Hundred Years, 2012), Torino EDT 2014, p. 229. Il coro Va’ pensiero, ad esempio, fu trasformato, tra i vari rimaneggiamenti, nel rivoluzionario Inno del primo maggio da Pietro Gori: si veda la disamina di Emilio Franzina, Inni e canzoni, in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria. cit., pp.117-162: 124

394 La critica al concerto di Toscanini è riportata nel «Corriere della Sera», 27 luglio 1915. Il trionfale concerto dell’Arena. Magnifica esplosione di patriottismo.L’immensa folla canta gli inni nazionali.

varietà, dove nacque, ad esempio, La leggenda del Piave. Infatti, In una sera della tarda estate del 1918, nel piccolo teatro Rossini di Napoli, all’interno di un programma di varietà, il brano venne cantato dalla soubrette Gina de Chamery. Il potere di commozione suscitato dalle parole zittì il pubblico, che alla fine esplose con applausi scroscianti. In meno di un mese La leggenda del Piave, grazie a dive e melodisti, varcò i confini del Volturno, del Tevere, dell’Arno, del Po e giunse sulle rive del Piave, fino a Trieste e a Trento, cantata da interi eserciti.395 Per spiegare meglio tale fenomeno riporto le parole di Emilio Franzina: «Café chantant, operetta e varietà sono, non a caso, levatrici di canzoni double face, abilitate a fungere in simultanea da punti di riferimento della memoria collettiva e da contrassegni di una incipiente politicizzazione nazional-popolare attraverso la musica».396

Un’ultima considerazione riguarda la «venezianità» dei sentimenti dei triestini. Venezia fungeva da simbolo italiano, secondo una tradizione anche culturale, promossa ad esempio dalle pagine della rivista «La Favilla».397 A Venezia, tra il 1914 e il 1918, si era costituito un Comitato di fuoriusciti; fino al 1915 la società di navigazione D. Tripcovich & C. effettuava corse con l’espresso Trieste-Venezia (e viceversa). Con la complicità del podestà Alfonso Valerio erano partiti per Venezia, nell’agosto del 1914, con il piroscafo Tripoli, molti patrioti della divisa grigio-verde, come il citato socialista Giorgio Pitacco, che lì ritrovò gli amici Ruggero Fauro Timeus, 398 l’on. Salvatore Barzilai (deputato al Parlamento italiano, di cui si ricordano gli appassionati discorsi in difesa dell’italianità del confine orientale), l’on Piero Foscari ed Enrico Corradini.399 Nel

395 La canzone era stata composta dal compositore napoletano di canzonette E.A. Mario (nome d’arte di Giovanni Gaeta), che in poco tempo venne lanciato da casa Ricordi. Addetto al servizio di corrispondenza sulle tradotte militari che raggiungevano le prime linee, visse con i soldati i tragici giorni di Caporetto La composizione risaliva al 29 giugno 1918 quando, subito dopo la vittoriosa offensiva italiana, in un angolo di un treno militare, E.A. Mario compose la famosa canzone: Mario Mangini, Il Café Chantant, Ludovico Greco editore, Napoli 1967, pp. 149-155:150.

396 Emilio Franzina, Inni e canzoni cit., in Mario Isnenghi, Simboli e miti cit., pp. 145-146.

397 «La Favilla. Giornale di Scienze, Lettere, Arti, Varietà e Teatri», (1836-1846 e 1863-1864), finanziato dalla borghesia cosmopolitica triestina, diretto dal giornalista e drammaturgo veneto (di Oderzo) Francesco Dall’Ongaro, i cui redattori erano pure di origine veneta e alcuni di essi militanti a fianco di Manin e Tommaseo nei moti insurrezionali del 1848: cfr. Alceo Riosa, Adriatico irredento. Italiani e slavi sotto la lente francese (1793-1918), Napoli, Guida 2009, p. 36 e Cesare Pagnini, I giornali di Trieste cit., pp. 65 sgg.

398 Morto nel 1915, Ruggero Fauro Timeus interpretava l’idea irredentista come continuazione del Risorgimento, idealizzando la città adriatica come fulcro di un’affermazione imperialista italiana fra le grandi potenze europee: Diego Redivo, Un pensiero imperialista per Trieste cit., in Fabio Todero (a cura di), L’irredentismo armato cit., pp. 303-323, 318 sgg.

399 Nel 1913 Corradini e Luigi Federzoni, quest’ultimo deputato alla Camera, dirigevano la rivista «Cultura Nazionalista»; nel dicembre 1913 Barzilai definiva l’irredentismo «un programma di politica avventuriera, non