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La dura sopravvivenza dei cinematografi istriani

Trieste capitale imperiale della musica e del cinema

7. Da Trieste al Litorale e oltre: chi ha paura dell’Ernani? Percorsi di un ‘irredentismo musicale’ musicale’

7.1 La dura sopravvivenza dei cinematografi istriani

Le casse dei cinematografi durante gli anni del conflitto furono messe a dura prova nelle località istriane, svuotate e improduttive, colpite tra l’altro dall’evacuazione forzata, a differenza della vigorosa realtà triestina, dove la densità urbana dell’anteguerra aveva garantito la tenuta demografica negli anni successivi. Come a Trieste, tuttavia, anche in Istria si cercava di estendere la licenza dell’impresa cinematografica al varietà per attrarre il pubblico e far fronte alle spese. Parenzo, dove la numerosa presenza di «forestieri» allentava la morsa della miseria economica e alimentare, rappresenta, proprio per questo motivo, un caso erga omnes. Già nel maggio del 1913 Martino Blasevich, Giacomo Privileggi e Vittorio Coana si erano rivolti al Capitanato Distrettuale per ottenere la licenza, finalizzata all’apertura di un secondo salone di varietà con annesso cinematografo. Il continuo aumento degli stranieri, spiegavano gli impresari, costituiva il motivo della loro istanza, il cui accoglimento avrebbe offerto un «ambiente signorile di buona rappresentazione cinematografica ed un decente programma di musica e varietà», proprio nelle vicinanze del ben già avviato Hotel Riviera [riferendosi probabilmente al concorrente cinematografo di Michele Cuzzi] mettendo a disposizione posti distinti «ciò che non si faceva nel

466 Ibid.

locale preesistente».468 La mancanza di posti distinti, argomentavano gli impresari «reca disagio, lamentato non solo dai forestieri ma anche dalla numerosa classe civile di Parenzo la quale, abituata agli spettacoli di Trieste, con impazienza attende che gli si offra un locale moderno ed igienico in cui possono gustare delle rappresentazioni buone e veramente istruttive».469 (trad. dal ted.) Ancora una volta, dunque, viene evidenziato lo stretto collegamento tra le due città, anche per quanto riguarda il consumo collettivo del divertimento, di cui Trieste era ritenuta, evidentemente, la vera capitale.

La reazione della concorrenza non si fece ovviamente attendere. Nel mese successivo Michele Cuzzi inoltrò le proprie rimostranze alla Luogotenenza di Trieste contro l’eventuale concessione al sig. Martino Blasevich & Co. di poter erigere il secondo cinematografo-varietà a Parenzo. Le motivazioni avanzate dal ricorrente additavano a tendenziose finalità nella richiesta di Cuzzi, il cui nuovo cinematografo verrebbe aperto «in un sito posto in diretta comunicazione con una trattoria dello stesso proprietario Martino Blasevich, contrariamente a quanto disposto dal’Ordinanza Ministeriale del 1912 sui cinematografi» (articolo che, se fosse stato applicato a Trieste, avrebbe prodotto la chiusura di moltissimi cinematografi!).470 La cittadina, che contava 4500 abitanti, non avrebbe potuto, sosteneva il ricorrente, garantire la sussistenza economica di due cinematografi e il «contado non possiede quella prontezza d’intelligenza e di conoscenza richiesta per il godimento di una produzione cinematografica».471 Inoltre il ricorrente aveva intenzione, in seguito a concessione già ottenuta, di costruire nel teatro comunale una cabina di proiezione. La successiva nota della Luogotenenza respinse la richiesta di Cuzzi, con la consueta formula di diniego usata dalle autorità, sulla base dell’art. 5 dell’O.M. del 1912, secondo cui «il bisogno locale era già ampiamente coperto».472 Ma il caparbio impresario non si arrese e inoltrò ricorso al Ministero degli Interni, nel quale specificava che la sua richiesta non era di un cinematografo, ma di un varietà con un cinematografo annesso; per cui, concludeva, «la mancanza di un bisogno locale è del tutto ingiustificata, trattandosi invece di richiesta per concessione della licenza d’apertura di un teatro di varietà, che a Parenzo, divenuto luogo di cura climatica e balneare, manca, specie al numeroso ceto civile e alla colonia ognor più fiorente di villeggianti, desiderata anche dai circoli della popolazione […]».473 Parenzo contava allora 5000 abitanti, mentre il suo comune oltre 12.000; era

468 ASTs, LGT AG, busta 2420, fasc. 803, 25 maggio 1913 469 Ibid.

470 Ordinanza del 1912 cit., art. 6.: «Non è permesso l’esercizio in immediata vicinanza di chiese, scuole, istituti di educazione, giardini infantili, ospedali e sim. Come nemmeno l’esercizio in congiunzione coll’industria di osteria e della vendita di bevande al minuto».

471 ASTs, LGT AG, busta 2420, fasc. 803, 14 giugno 1913. 472 Ivi, nota del 4 luglio 2013 della Luogotenenza di Trieste.

473 Ivi, 30 luglio 1913, Ricorso al Ministro degli Interni: «Parenzo è ormai divenuta stazione di cura climatica e balneare in cui convengono ancora più numerosi i forestieri e le colonie di questi, che provengono da classi evolute e ciò non può non influire sui reali bisogni locali».

capitale della provincia e sede della Giunta, degli uffici provinciali, del Consiglio agrario provinciale e di un Giudizio Distrettuale, oltre ad altri Dicasteri minori. Quel «ceto civile», richiamato da Cuzzi, implicava una pregiudizio sociale da parte della popolazione attiva, che discriminava un popolo urbano «progredito, di maggiori bisogni ed esigenze» da un «contado» arretrato e incapace di apprezzare la produzione cinematografica. Nonostante i sacrifici economici sostenuti dal Comune per rispondere al bisogno di intrattenimento dei turisti, lamentava ancora Cuzzi, l’attuale cinematografo, «se poteva bastare ai bisogni di dieci anni prima, ora è insufficiente. Parenzo deve offrire più imprese possibili e questo è il suo vero bisogno locale, dove il varietà ancora non esiste. E se ciò corrisponde al vero, lo conferma la Federazione per il promovimento del concorso di forestieri a Trieste e nell’Istria, con sede a Trieste, che proponiamo venga interpellata».474

L’introduzione di spettacoli di varietà nei cinematografi era oggetto di altre analoghe richieste, come quella di Martin Nikolaus, proprietario e gestore del cinematografo di via Carrara 16 a Pola, che nel marzo del 1915 tentava, con tale istanza, di far fronte al pignoramento per debiti del suo locale Cine Ideal; anche lui, come Adrian Fragiacomo, cederà poi l’attività alla moglie Maria «in qualità di conduttrice dell’azienda, in quanto chiamato a prestare servizio nell’esercito comune, essendo l’unica attività che garantisce il sostentamento miei sei figli».475

A Pisino la cinematografia, oltretutto circoscritta ad una programmazione rigidamente controllata, costituiva l’unico genere di intrattenimento durante il conflitto. Nel 1912 erano stati costruiti un nuovo teatro (il Teatro Sociale) e, nello stesso edificio, un nuovo Casino di Società, al cui direttivo participava, fra gli altri, il padre del noto compositore Luigi Dallapiccola, allora direttore del Liceo italiano di Pisino, che venne internato a Graz durante la guerra insieme alla famiglia.476 La moglie patrocinava spesso le feste che si tenevano a teatro, come quelle della locale Lega Nazionale. Non mancarono nel 1913 le celebrazioni del centenario verdiano, per iniziativa della locale Società Filarmonica, nonché i primi spettacoli cinematografici.477 Anche a Pisino, con l’inizio del conflitto, le stagioni liriche furono praticamente sospese. Meta dei conterranei fuggiaschi, soprattutto dalle evacuate Rovigno e Pola, subì le medesime pesanti restrizioni politico-culturali del resto del Litorale; anche a Pisino, come a Trieste, nel luglio 1916 le autorità austriache coagularono le manifestazioni musicali sotto il presidio della Croce Rossa e il «Giornaletto di Pola», soppresso, venne sostituito dal filogovernativo «Il Gazzettino di Pola».478 La direzione del teatro, in mano ad Anna Lukovic, moglie del Capitano Distrettuale, e ad altre signore, riaprì in

474 Ibid.

475 ASTs LGT AP, fasc. 377, 1915. Bizirkshauptmannschaft in Pola, Polizeiabteilung 476 Nerina Feresini, Il teatro di Pisino, Trento, Manfrini 1986, pp . 71 e 84

477 Ivi, pp. 78-81. 478 Ivi, p. 85.

quell’anno il Teatro Sociale per adibirlo, però, soltanto a cinematografo. «Il Gazzettino di Pola», per giustificare tale decisione, sottolineava il valore istruttivo e socializzante dei film proposti (che si può ipotizzare fossero gli stessi proposti dalla propaganda austriaca proiettata a Trieste).479

Più volte, dunque, le fonti testimoniano quanto Trieste rappresentasse per l’Istria un modello culturale indiscutibile e di solidale appoggio alla lotta per i comuni diritti identitari, civili e professionali. Il cinematografo e il teatro diventavano, dunque, il filo conduttore di persone, strategie e politiche tra città e provincie del Litorale militarizzato.

8. La mobilitazione delle «donne moderne» sul fronte interno: il «pubblico di guerra» nei Theater-Kino-Varieté.

Gli anni di guerra furono un periodo di transizione nella storia dell’emancipazione femminili, sul quale la recente storiografia italiana ha prodotto numerosi contributi.480 Le donne in Austria, che si emanciparono formalmente nel novembre 1918 (anche se l’esercizio di una vera cittadinanza richiese tempi molto più lunghi) conquistarono in questi anni nuove modalità relazionali con la società e con lo Stato. Perché è proprio sulla categoria di «Stato», come ha chiaramente spiegato Maureen Healy, che bisogna basare le riflessioni, in modo più ampio, su un ‘discorso pubblico’ e sui parametri della quotidianità vissuti negli anni bellici: lavoro, cibo, malattia, lutto, intrattenimento erano, infatti, diventati ‘affari di Stato’, e non di una ‘nazione’, come accadeva in Germania, in Francia o in Inghilterra, ma di uno Stato, quello asburgico, al quale si doveva rimanere fedeli, anche se non necessariamente appartenere, vista la multinazionalità di cui si componeva.481

Trieste rispondeva all’appello lanciato dagli organi di stampa ufficiali per raccogliere quella solidarietà femminile al servizio della guerra che annullava ogni differenza sociale.482 Come a Vienna, dove la Frauenhilfsaktion, fondata all’inizio di agosto 1914, comprendeva i maggiori Comitati femminili cittadini, così a Trieste si costituì nel settembre del 1914 un Comitato di signore dell’aristocrazia, perlopiù mogli degli alti funzionari imperiali, presieduto dalla moglie del luogotenente Hohenlohe, dal vicepresidente di Luogotenenza il conte Enrico Attems e dalla moglie del podestà Nina Valerio in qualità di vicepresidente. Lo scopo era di raccogliere offerte per i soldati al fronte.483

479 Ivi, p. 86.

480 Cito a tal proposito «Genesis», XV, 1, n. 2016, e Stefania Bartoloni, La grande guerra delle italiane cit.

481 Scrive Healy: «Within Austria, there were many nationalities, but it was on behalf of the multi-national state that the front and home-front populations were expected to labor and sacrifice in war. An exhaustive literature exists on the conflicts between nationalities and state in Austria, but we know very little about women’s roles in these conflicts»: Maureen Healy, Vienna and the Fall of the Habsburg Empire cit., p.. 165.

482 Ivi pp. 163 sgg.

Ma non erano questi personaggi ufficiali a sollecitare l’interesse del cinematografo verso l’universo femminile. Queste «nostre donne moderne», come recita il titolo di un film della casa danese Nordisk, che circolava nei cinematografi a Trieste nel 1916, 484 non erano le donne dei comitati di beneficenza, che per filantropia si prodigavano per raccogliere offerte per i soldati o per il fondo a sostegno delle vedove e ldegli orfani di guerra.485 E non erano neanche le donne con seriche gonne e intensi profumi che avevano affollato fino al 1914 i palchetti nei teatri cittadini dell’opera lirica accanto ai mariti alto-borghesi. Non erano ‘le signore dalle camelie’ che, dopo aver a lungo appassionato le platee teatrali, erano diventate il ruolo tragico prediletto dalle celebri stars cinematografiche, in concorrenza tra loro. E non erano, nemmeno, le crocerossine. Erano piuttosto le impiegate nell’amministrazione militare e civile, le «operatrici triestine al lavoro come spazzine nel Corso, prima mèta dei celebri listòn […], o i fattorini in gonnella, mentre nelle vetrine si espongono paia di scarpe per 100 corone, vestiti per trenta e cappellini per sessanta».486

Donne rassegnate? Tutt’altro. Erano le donne dalla generosa liberalità con cui lanciavano agli artisti sul palcoscenico mazzi di fiori «mentre Marte lanciava le sue baionette a pochi chilometri».487 E, ancora, erano le stesse in fila nelle code notturne davanti ai punti di approvvigionamento, come davanti alle porte dei cine-teatri, vestite con uno scialletto nero e con le cedole rosse in mano; magari tra queste c’erano anche quelle che, meno nobilmente, avevano denunciato i propri mariti, inglesi ad esempio, per alto tradimento al solo scopo di disfarsene; 488 quello delle donne impiegate nell’attività di spionaggio era un fenomeno diffuso, specialmente sui vagoni ferroviari dove, agghindate in abiti eleganti, adescavano i soldati per carpirne le informazioni militari.489 Alla ‘donna nuova’ venivano attribuite nuove abilità sociali: umanitarismo, pacifismo, attitudini educative e assistenziali. Se per le donne delle classi medio-alte la guerra era

484 Vor Tïds Dame, di Eduard Schnedler-Sǿrensen: Marguerite Engberg, I titoli italiani del catalogo Nordisk (1907-1912), in Paolo Cherchi Usai (a cura di), Schiave bianche allo specchio. Le origini del cinema in Scandinavia (1896-1918), Pordenone, Studio Tesi 1986, pp. 327-346: 342.

485 «Il Lavoratore», 29 maggio e 6 giugno 1916, Le nostre donne moderne, al Salone Edison, romanzo d’amore della Nordisk, con Clara Wieth e Waldemaro Psylander.

486 «La Gazzetta di Trieste», 21 aprile 1916, Gazzetta locale. Trieste d’oggi. Cfr anche «La gazzetta di Trieste», 4 maggio 1917, Cronaca cittadina. Le donne al servizio dell’amministrazione dell’esercito: «L’amministrazione annuncia l’imminente assunzione di forze ausiliari femminili per la durata della guerra, negli istituti sanitari militari, nelle cancellerie (stenografe, dattilografe, stenotipiste), cuoche e per i servizi domestici. Sono indispensabili la sudditanza austriaca, ungherese o bosno-erzegovese, vita irreprensibile e attestazione di buona condotta. Godono della preferenza le vedove e le orfane di militari». Nel 1916, a tal proposito, le scarpe raddoppiarono di prezzo rispetto al 1914, nel 1917 lo triplicarono. La ‘moda di guerra’ impose le scarpe di tela e di pezza: Aurelia Reina Cesari, Trieste, la guerra, cit, pp. 92-93.

487 «La Gazzetta di Trieste»,19 giugno 1917, Gazzetta locale.

488 Fatto accaduto, a titolo esemplificativo, a Breslavia, dove una moglie tedesca denunciò il marito inglese di aver mandato a giornali inglesi informazioni sulla mobilitazione in Germania, ma in realtà per disfarsene. Il marito venne, invece, assolto, perché i suoi articoli erano antecedenti alla dichiarazione di guerra anglo-germanica: riportato in «Il Lavoratore», 6 settembre 1914.

un’occasione di esposizione e di impegno nella vita pubblica, anche alle lavoratrici dei livelli sociali più bassi il lavoro conferiva comunque un potere inedito di iniziativa. 490

Queste «donne volitive», come le ha definite la storica Marina Rossi, non mostravano tentennamenti nell’attuare anche forme di lotta violenta, difficilmente controllabili dagli stessi funzionari di governo, come racconta lo scrittore e giornalista Silvio Benco.491 Egli dipinge con efficacia quell’«acqua sotterranea» che scorreva nell’animo del proletariato cittadino.492 Necessita a tal proposito ricordare il noto episodio descritto da Benco, per capire come in quest’«acqua sotterranea» nuotassero anche quegli impresari cinematografici che riuscivano, ancora fino al 1915, a far affiorare le loro simpatie per l’irredentismo di marca italiana. Nella «sommossa d’aprile» del 1915, quell’acqua sotterranea emerse prorompente per la mancanza di pane in città, quando una moltitudine di donne del quartiere di San Giacomo (il quartiere operaio della città) «scese dal colle, attorniata da un corteo di fanciulli, ingrossando le fila durante la loro discesa» e si radunò sotto le finestre della Luogotenenza (l’autorità, dunque, militare) inneggiando ad una «desiderata tregua, o peggio, arresa».493 Non solo dunque, un atto sociale, ma anche politico, di protesta, tutta al femminile, che ricalcava i tanti movimenti femminili italiani del tempo per il pane, il lavoro, la terra e la pace, che furono animati da donne nelle città e nelle campagne come forme di opposizione sociale alla guerra.494 Una carica di guardie cercò di spingere le manifestanti sotto il Municipio (l’autorità civile cittadina) ma, commenta Benco, «i popolani, per istinto, sapevano quel che facevano, sapevano che non dal Municipio erano venute la guerra e la fame».495 Infatti, quando arrivò il podestà Valerio, fu «acclamato dalla folla».496 A sera anche i disoccupati e gli operai si erano uniti alle donne, ma queste, analizza ancora l’attento giornalista, «li cacciarono, convinte che non avrebbero osato mandare in prigione madri cariche di figlioli». Ma il tumulto crebbe, specialmente quando la folla passò davanti al caffè del Palace Hotel, da dove uscivano le note dei valzer viennesi, che provocarono «la rabbia incontenibile delle donne affamate contro le vetrate del locale affollato dalle mogli degli ufficiali». In serata, mentre le donne rincasavano, gli uomini continuarono l’azione distruttrice che continuò anche nei giorni seguenti. Fino a quando il

490 Catia Papa, Lettere alla regina madre: voci di italiane nella Grande Guerra, in Donne “comuni” nell’Europa della Grande guerra, «Genesis», XV, 1, n. 2016, pp. 15-37: 17. Cfr. Antonio Gibelli, La grande guerra. Storie di gente comune, 1914-1919, Roma-Bari, Laterza 2013, pp. 104-105,

491 Marina Rossi, «Donne volitive» cit., pp. 19-56. L’autrice riporta a p. 46 l’episodio dell’aprile del 1915 narrato da Benco. Sul protagonismo femminile nelle proteste annonarie e per il pane dell’aprile 1915, anche in Friuli, si veda Matteo Ermacora, La guerra prima della guerra. Rientro degli emigranti, proteste e spirito pubblico nella provincia di Udine (1914-1915), in Matteo Ermacora (a cura di), Neutralità e guerra cit., pp. 37-58: 49 sgg.

492 Cfr. Silvio Benco, Gli ultimi anni della dominazione austriaca cit, I, pp. 185 sgg

493 Su Silvio Benco si veda il profilo tracciato dalla contemporanea Haydée (pseudonimo byroniano usato dalla scrittrice triestina Ida Finzi) in Vita triestina avanti e durante la Guerra, Treves, Milano 1916, p. 55 sgg.

494 Roberto Bianchi, Quelle che protestavano, 1914-1918, in Stefania Bartoloni (a cura di), La Grande Guerra delle italiane cit., pp. 189-209: 194.

495 Silvio Benco, Gli ultimi anni della dominazione austriaca cit., I, pp. 167 sgg. 496 Ibid.

Luogotenente, il barone Fries-Skene, fece divulgare un manifesto in cui annunciava la distribuzione a prezzi più miti di una quantità sufficiente di farina da polenta e patate. 497

Queste stesse donne erano dunque «il pubblico di guerra», così definito da Silvio Benco, che era all’inizio del conflitto «un pubblico da cinematografi»; 498 non era più, aggiunge Benco «quello del banditore alla porta, degli squilli di campanello e degli organetti meccanici […]; ora esso convocava la sua folla in silenzio, sotto il rigido occhio della baionetta inastata, e brune e taciturne sfilavano le colonne degli spettatori dentro alla sala buia. […]».499 La mestizia rilevata, però, rifletteva probabilmente il pensiero di un uomo che, nel 1919, era estremamente provato dal confino a Linz, scontato dal 1916. In realtà questo «nuovo pubblico», come lo definiva, vivacizzava la vita serale che, dopo la chiusura dei negozi, «si animava di una folla femminea: frotte di fanciulle lasciavano frinire e trillare irresistibilmente i loro vent’anni. I vent’anni dei giovani, ohimè, non rispondevano, in guarnigioni lontane, in trincee lontane […]».500

Questo «pubblico da cinematografi» era, dunque, composto da donne, prevalentemente di media cultura che, a differenza di larghe sacche italiane con un alto tasso di analfabetismo, leggevano, dopo aver varcato la soglia di un cinema, le brochure predisposte all’ingresso delle sale, contenenti le descrizioni del film, anche molto lunghe nel caso di riduzioni dai romanzi letterari: come, ad esempio, la descrizione del capolavoro Les misérables, lungometraggio in più rulli tratto dal romanzo di Victor Hugo e proiettato in più serate a Trieste per la prima volta nel 1914.501

Quest’ultimo dato ci induce a chiamare in causa il sistema educativo femminile triestino, molto avanzato rispetto allo scenario scolastico del Regno, dove l’educazione delle ragazze era affidata (con scarsa frequenza) alle scuole normali (un settore primario), o ai collegi e convitti femminili, molti dei quali religiosi. 502 Per quanto riguarda invece la scuola triestina, tema sul quale si sono sviluppati recentissimi studi, esisteva dal 1872 un civico istituto magistrale, considerato però privato dallo Stato, e al suo posto, dal 1881, un liceo femminile, di sei anni, con corsi per la

497 Ivi, p. 177. 498 Ivi, II. p 153. 499 Ivi, pp. 155-156. 500 Ivi, p. 142.

501 I miserabili, al teatro Eden in via Acquedotto 35 dal 5 al 10 maggio 1914: «Grandiosa epopea drammatica di 4 epoche e 9 parti (4000 metri) tratta dal celebre romanzo di Victor Hugo. Seralmente completeranno lo spettacolo G. Fanara, comico italiano, e D. Borelli, la fine cantante italiana. E’ permesso fumare. Orchestra del teatro diretta dal maestro Giuseppe Müller. Prezzi: I posti adulti cent. 50, fanciulli cent. 30, II posti adulti cent. 30, fanciulli cent. 20, posti nei palchi cor. 1. Biglietti validi per il solo giorno in cui vengono acquistati. Interpreti: Henri Krauss del Teatro Sarah Bernhardt, Giovanni Valjean […], attori francesi dei teatri di varietà e di commedia (Ambigue, Odeon, Comédie-Française). Questo meraviglioso film verrà diviso in 9 parti nel modo seguente: 1000 m. in due giornate diverse, dalle 5 alle 11 del pom (per 4, quante sono le epoche). Azione si svolge nel 1821-1832. Ė una storia d’amore mentre a Parigi scoppia la rivoluzione per la fame […]. L’adattazione cinematografica dei “Miserabili” riprende fedelmente l’insieme commovente e grandioso dell’immortale romanzo, nel suo intreccio di fatti eroici o dolorosi che agitano le più recondite fibre dell’anima»: CMTTs «Carlo Schmidl», Indice generale dei programmi cit., busta Teatro Eden, programma di sala. 502 Si veda Eleonora Guglielman, Dalla “scuola per signorine” alla “scuola delle padrone”: il Liceo femminile della