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Processi di identificazione della donna: moda e modellizzazione cinematografica

Trieste capitale imperiale della musica e del cinema

7. Da Trieste al Litorale e oltre: chi ha paura dell’Ernani? Percorsi di un ‘irredentismo musicale’ musicale’

8.1 Processi di identificazione della donna: moda e modellizzazione cinematografica

Tra le mitologie della guerra, Jay Winter analizza i prodotti artistici dell’industria religiosa popolare, ovvero l’oggettistica di guerra destinata a sollecitare il pietismo soprattutto delle donne, forma di propaganda che aveva lo scopo di alimentare l’adesione patriottica femminile al conflitto, ma anche il giro d’affari nel settore.516 Non dissimili sono i presupposti interpretativi del mercato cinematografico rivolto, durante la guerra, prevalentemente alle donne che affollavano i tavolini dei varietà e le platee dei cinematografi, diventando i nuovi giudici di una nuova arte; ed è con questo tipo di pubblico che le grandi dive del cinema dovevano confrontarsi, se volevano mantenere quel successo che le roboanti réclame delle case di lancio attribuivano loro. Scrive il critico Tito Alacci nel 1919 che la grande réclame, fatta dalle case editrici e dai proprietari delle sale, era pensata proprio per le donne, e mai per gli uomini: «Basta che l’attrice abbia un grande nome perché tutto il pubblico femminile la contempli e l’adori come una divinità. Per noi uomini occorrono le belle attrici; per le donne, le grandi e le celebri. Da ciò la necessità – purtroppo deplorevole - di fabbricare delle celebrità femminili in cinematografia. È un’umiliazione per l’arte, ma è una risorsa per la cassetta»;517 per cui certe attrici, continua il critico, dovevano la loro fama più «al plauso delle donne che a quello degli uomini: alla donna piace l’attrice che posa e piange, all’uomo quella che ride. La donna si lascia impressionare dalle toilettes delle attrici, l’uomo ne rimane indifferente».518 Secondo Alacci «il biglietto delle sale di proiezione è diventato un genere di prima necessità per un immenso numero di persone […] Conosco della gente che va al cinematografo come ad un quotidiano appuntamento amoroso […]. La cinematografia è un mondo nuovo: è anzi il mondo ringiovanito e messo alla portata di tutti».519

Tale posizione critica di Alacci risulta quanto mai lungimirante, in anni in cui l’artisticità del nuovo mezzo comunicativo era ben lontana dal suo riconoscimento ufficiale.520 La formula di «arte delle assurdità», da lui coniata, calzava bene lo sperone bellico: «assurda è la guerra, la morale: l’assurdità cioé di maledire una cosa ma allo stesso tempo di praticarla».521 Per Alacci,

515 «Il Lavoratore», 28 gennaio 1918 La donna e le sue nuove occupazioni. Non è identificato lo pseudonimo utilizzato dall’estensore dell’articolo (Nita).

516 Jay Winter, Il lutto e la memoria. La grande guerra nella storia culturale europea, Bologna, Il Mulino 1998, pp. 169 sgg.

517 BNCN, Tito Alacci (Alacevich), Le nostre attrici cinematografiche studiate sullo schermo, Bemporad&Figlio, Firenze 1919, pp. 44-45.

518 Ivi, pp. 142-143. 519 Ivi, pp. 7-8.

520 Massimo Cardillo, Tra le quinte del cinematografo cit., p. 13.

biografo delle dive del muto, il cinematografo ha una «geniale assurdità: che non ha bisogno di letterati».522 Ed, infatti, coglieva bene quanto avveniva realmente: gli attori cinematografici dell’epoca del muto non provenivano da una scuola ma, nel migliore dei casi, dal varietà o dal caffè-concerto, e non erano istruiti; gli scenari (odierne sceneggiature) potevano essere «spropositi di grammatica»; i soggetti non avevano bisogno di letteratura, anche se la moda assegnava l’alloro a quelli mutuati dal teatro lirico e di prosa; le stesse didascalie, infine, erano spesso per il pubblico una perdita di tempo perché non le capiva, come nel caso della rappresentazione romana, al Costanzi, di Cabiria che, come è ben noto, offriva didascalie di lusso, quelle di D’ Annunzio.523

Le considerazioni di Alacci accennano ad un altro tema, caro al mondo femminile, sollecitato dalle visioni cinematografiche dei sontuosi vestiti indossati dalle grandi dive del muto, quello della moda. In molte proiezioni cittadine il centro di interesse e della campagna pubblicitaria era la mise delle dive del muto. Al cinema Galileo una serata di gala veniva veniva aperta con il film Il grande Salone di mode Lori & C., interpretato dai «sublimi e innamoratissimi soci Lotte Neumann e Bruno Kastner. Questo magnifico lavoro in 4 atti, unico nel suo genere e nella sua originalità, desterà nelle nostre eleganti signore il massimo interesse. Oltre alla sfarzosa esposizione di lussuose e variate toilettes moderne, si ammireranno dei quadri viventi, posati dai suaccennati artisti, tra cui Una notte a Siviglia, Un bicchierino, ecc.».524 Attori e attrici diventavano dunque anche modelli, per la posa dei nuovi capi della moda, soprattutto berlinese, che in tal modo utilizzava il medium cinematografico come una preziosa forma pubblicitaria. Sulle tracce di Alain Vaillant, per il quale il testo letterario appare un insieme coerente di rappresentazioni intrecciate tra loro e materializzate nei diversi «testi» (come giornali, lettere, libri ed altri, nella loro funzione prima di tutto comunicativa) risulta appropriato trattare il teatro-cinema nella sua pluri-dimensionalità: rappresentativa, comunicativa e artistica, ma anche la moda ne fa parte, in quanto efficace punto di vista per cercare di capire gli animi provati di quelle folle femminili, che animavano non solo le piazze, ma anche le platee e le barcacce delle sale cittadine.525

Nel corso della trattazione verranno citati diversi esempi al riguardo, tra i quali si citano qui due eventi di rilievo: al Theater-Kino-Varieté Eden venne proiettato lo «straordinario programma La regina della notte, grandioso capolavoro in 4 lunghi atti, grande sfarzo di toilettes della nuova moda di Berlino, ricchissima messa in scena»;526 e al teatro Cine Ideal, oltre al film Il gioiello dell’amore, interpretato da Asta Nielsen «si ammirerà la meravigliosa film Eva nella quale Erna Morena indosserà oltre 100 moderne toilettes. Concessionaria Triestefilms». Il successo fu tale che

522 Ivi, p. 5. 523 Ivi, p. 9.

524 «Il Lavoratore», 30 maggio 1918.

525 Alain Vaillant, Histoire culturelle et communication littéraire, in «Romantisme», 2009/1 (n° 143), pp. 101-107. 526 «Il Lavoratore», 30 ottobre 1916.

«si dovettero rimandare centinaia di persone della migliore società, e si dovette replicare a grande richiesta».527 Al Cinema Excelsior, infine, Lyane Haid intepretava Le onde della vita, con «toilettes sfarzose della moda recente e ricca messa in scena».528

Tali proposte erano sicuramente rifugi momentanei per il corpo e per la mente, ma erano anche evidenti segnali di una moda che stava modificando profondamente i suoi canoni estetici sulla strada di un’eleganza più semplice e lineare, dovuta sicuramente alle ristrettezze incombenti anche in questo settore, ma anche a trasformazioni del gusto. L’abito femminile si faceva più misurato, meno disposto ad un lusso che appariva quanto mai stonato con la tragicità degli eventi. Ė ancora la stampa a confermare tale cambiamento, acceleratosi in quei cinque anni, avvenuto nel più ampio contesto del consumo collettivo dello svago:

[…] Il cambiamento della riunione ha comportato anche il cambiamento del vestito. Le toilettes di gran lusso sono sparite, spodestate dal semplice vestito da sera, Lo hanno creato la maggiore frequentazione dei teatri, riunioni serali e passatempi simili, conformandolo al carattere più moderno e intimo. Così in questo tipo si è raggiunta davvero una grande semplicità, specialmente in confronto alle corrispondenti toilettes di pace, ma non per questo meno eleganti. E si può perfino affermare che in questo la guerra ha cambiato i gusti. La serietà dell’epoca ci ha indotto a considerare attentamente il concetto di semplicità, ed è stato un vero vantaggio. Nelle gonne ridivenute strette e negli abiti di due stoffe ha saputo trovare la nuova linea elegante. Nita.529

Le signore, comprese quelle dell’alta società, si erano, dunque, convertite alla semplicità della moda per dare «l’esempio di abnegazione e sacrificio».530 Il «lusso» della moda «serve a dar vita ai saloni, a far guadagnare direttrici, sarte, minichini, garzoni, un esercito di impiegate, cassiere, venditrici al banco, fattorini, forze amministrative come i fondaci di stoffe, panni e tessuti»; bisognava, al contrario, venire incontro «alla eleganza e la semplicità delle massaie» e alla necessità di nuove «comodità della vita», che niente più hanno a che fare con la categoria del lusso: infatti «l’illuminazione e la calefazione elettrica non si può certo definire lusso, in confronto alle lampade a petrolio e del carbone che affumicavano».531 Il lusso ‘moderno’ della civiltà elettrica e della salubrità era legato alla produzione, ai risultati di chi lavorava e alla civiltà borghese industriale in via di affermazione.

527 «Il Lavoratore», 2 novembre 1916. Dalla commedia di Liebelei di Arthur Schnitzler al vecchio romanzo borghese Eva di Richard Voss, ben poche celebri opere letterarie tedesche sfuggirono allo schermo, operazione severamente condannata come immorale da ogni sorta di Vereine culturali: Siegfried Kracauer, Cinema tedesco, dal «Gabinetto del dottor Caligari» a Hitler (From Caligari to Hitler. A Psychological Feature German Film,, 1947), Milano, Mondadori 1954, pp.18-19.

528 «Il Lavoratore», 24 ottobre 1917.

529 «Il Lavoratore», 21 gennaio 1918. Edizione serale.

530 «La Gazzetta di Trieste», 6 febbraio 1917. Varietà: la pagina delle signore. 531 Ivi.

Se ogni visione della realtà, come argomenta la studiosa statunitense Martha Nussbaum, coinvolge anche la sfera delle emozioni come criterio valutativo e cognitivo, che si traduce in pratiche sociali e pubbliche, non può non essere considerata in un’analisi storica la vita civile durante la Grande guerra dal punto di vista delle pratiche artistico-musicali destinate per molte ore ad intrattenere la cittadinanza sofferente.532 Il pubblico di guerra aveva rinunciato all’eroe per abbracciare il reale, non però quello del naturalismo di Dumas, Zola o Balzac, ma quello di un umanesimo individualistico, che riflettesse la concreta e quotidiana esistenza di quegli anni. L’aveva ben capito un’attrice e ballerina tedesca, Fern Andra, che decise di diventare anche regista (una delle primissime forse della storia teatrale e cinematografica) e produttrice dei suoi stessi film, i quali, inoltre, erano da lei stessa interpretati e di cui scriveva pure il soggetto. A Trieste diventò la «beniamina del pubblico» con il film L’anima di dì una donna, «grandioso romanzo in 4 atti», una serie di 4 rulli, ognuno dei quali (come era solita fare l’autrice) recava un titolo:

I Ricca e sposa felice II Madre abbandonata III Gran divette nei cabaret

IV L’anima spezzata di una donna533

Non disponiamo della trama di questo «film teatrale», ma è evidente che l’autrice intendesse delineare la parabola sentimentale di una realistica vita femminile. Infatti il film venne presentato nelle sale triestine come «dramma psicologico» o tratto dalla «vita reale».534 Altro suo «capolavoro di attualità» era il film Sperduto cuor di madre, diviso in tre atti:

I Lascito paterno II Angoscia e dolore

III La gloria, l’amore e la pace 535

Diverse appaiono invece le fisionomie femminili delle coeve attrici cinematografiche italiane: nel film della casa Celio Una donna, presentato a Trieste dalla critica nel 1915 come «capolavoro d’arte fotografica della casa Celio, con viraggi» e interpretato da Fulvia Perini e Angelo Gallina, 536

la protagonista era una donna distruttrice di anime, Fulvia, giovane artista nomade adottata; il film raccolse in Italia una critica poco lusinghiera, .data la banalità dell’intreccio e la mancanza di uno

532 Martha Craven Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni (Upheavals of Thought: The Intelligence of Emotions. Cambridge University Press, 2001), Bologna: Il Mulino, 2009, pp. 25 sgg.

533 «Il Lavoratore», 3 giugno 1916, proiettato al cine-varietà Fenice ma anche in altri cinema triestini.

534 Con la medesima locuzione venne presentato nel 1916 un altro film da lei interpretato, di grande successo a Trieste, ovvero Catene infrante: «Il Lavoratore», 30 ottobre 1916.

535 Ideato, scritto ed interpretato da Fern Andra, al Teatro Cine Ideal, proiezioni successive dalle 3 alle 10 pomeridiane, una ogni ora, per un totale, dunque, di ben otto rappresentazioni giornaliere, vero record al tempo: «Il Lavoratore», 27 giugno 1917.

scavo psicologico. 537 Il mese dopo la censura di Trieste ne vietò la proiezione (titolo tedesco Das Weib) e il film riapparirà sugli schermi solo nell’aprile del 1918: parabola, questa, destinata a molti altri film censurati nel 1915.538 La vicenda era divisa in tre parti, che sintetizzavano tre periodi della vita della capricciosa protagonista, ciascuno dei quali caratterizzati dalla presenza di tre amanti diversi; la critica evidenziava come il soggetto si fosse allontanato da ogni introspezione psicologica e da ogni indagine del carattere della giovane e volubile artista.

Quello che mi sembra innovativo nel film di Fern Andra, rispetto alle altre due coeve pellicole italiane, è l’approccio al soggetto cinematografico adottato dalla regista tedesca: quella condizione di «esilio» (come Pirandello la definiva) degli attori/attrici, che allo schermo consegnavano la loro immagine perdendo la loro «aura» teatrale (secondo la definizione di Walter Benjamin), cioé l’azione e il corpo vitale, sembra venir annullata nei drammi psicologici di Fern Andra, che tentano invece di ri-umanizzare i corpi, in particolare femminili, attraverso la loro narrazione interiore.539

Tale realismo richiamava sicuramente quello della letteratura d’appendice, a cui altre illustri protagoniste della produzione cinematografica si ispiravano per produrre i loro lavori. Vorrei citare a tal proposito il caso di Matilde Serao, che ebbe a Trieste un successo enorme, sia nella letteratura d’appendice che nelle riduzioni cinematografiche. Alla fine del gennaio 1915 l’impresa del cine-teatro Fenice, che in quel mese era tenuta dall’irredentista Attilio Depaul, annunciava sulla stampa di essersi «accaparrata il lavoro di Matilde Serao intitolato O Giovannino o la morte, adattato dall’autrice stessa per il cinema», edito dalla più importante casa musicale di operette, la milanese Musical-Film di Renzo Sonzogno, e accompagnato da uno speciale commento musicale del compositore Yvan Darclée (raro esempio di musica per film appositamente scritta), che suscitò molta impressione e commozione. La critica del tempo ne elogiò la versione cinematografica, mettendo in evidenza la tragicità dell’omonima novella del 1912, come anche l’interpretazione di Franz Sala (Giovannino) e di Pina Cicogna (Chiarina).540 Il pubblico, come era consueto nella prassi

537 Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, prima parte cit., p. 163.

538 ÖFMW, Paimann’s Filmlisten, 1914, Das Weib e ASTs, LGT AG, b. 2425, fasc. 70, Verbotene kinematographische Aufführungen, film censurati nella settimana 7-13 febbraio 1915. «Il Lavoratore», 18 aprile 1918. La versione italiana con Fulvia Perini è tutta diversa dall’originale, in quanto la tragedia si svolge tra una artista di teatro e un violinista: Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit.,1914, prima parte, p. 163. La «Franz Painmann’s Filmliste» era una rivista cinematografica austriaca fondata da Franz Paimann, che riportava tutti i film pubblicati in Austria tra il 1916 e il 1965. Include tutti i lungometraggi distribuiti in Austria, inclusi quelli esteri e i non-fictional. Contiene le sinossi e le classificazioni dei film. .

539 Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi 1966, pp. 20-21 Riporto per intero il passo di Pirandello: «Gli attori, per non languire, si vedono costretti a picchiare alle porte delle Case cinematografiche […]Si sentono strappati dalla comunione diretta con il pubblico, da cui prima traevano il miglior compenso e la miglior soddisfazione, quella di vedere una moltitudine intenta e sospesa seguire la loro azione viva, commuoversi, fremere, ridere, accendersi, prorompere in applausi. Qua si sentono come in esilio, In esilio non soltanto dal palcoscenico, ma quasi anche da se stessi […]», Luigi Pirandello, Si gira…,Milano, Treves 1916, pp. 93-94. 540 «Il Piccolo», 30 e 31 gennaio 1915.

artistico-mediatica del tempo, aveva ben presente questo lavoro in prosa, che narrava del suicidio per amore di una donna semplice e popolana, in quanto il tema era stato rappresentato anni prima sulle scene di prosa del politeama triestino Rossetti dalla compagnia italiana Magnetti: anzi, commenta la critica, il film, che incarna «la nuova arte», riavvicinava di più il testo alla vita reale rendendolo «più plastico e più vivo».541 Negli anni successivi la vicenda della giovane eroina Chiarina, figlia del popolo, fece di questo film un successo europeo.542

L’importanza storica di tale proiezione nelle sale triestine trova ulteriore conferma dalla sua immediata ricezione. Vittorio Martinelli indica che la prima visione italiana del film risaliva al febbraio 1915: pertanto è plausibile ipotizzare che Trieste fosse una delle prime città ‘italiane’ ad averlo proiettato sugli schermi il 30 e 31 gennaio del 1915 (Martinelli non era evidentemente a conoscenza della rappresentazione triestina).543 E questo avvalora il prestigioso ruolo che Trieste rivestiva nel mercato culturale italiano, nonché lo specifico tributo della città alla celebre scrittrice napoletana. Di Matilde Serao all’inizio del 1918 «La Gazzetta di Trieste» iniziava la pubblicazione di Addio, Amore!544 e il giornale socialista «Il Lavoratore» non poteva che simpatizzare con i drammi dell’onesta miseria del proletariato urbano, quando nel 1915 pubblicò il suo Il paese di cuccagna.545

Il film La mia vita per la tua! arrivò sugli schermi triestini nel 1917 con «incantevoli scene dal vero, solo per adulti» e fu accompagnato da una «scelta orchestrina».546 Uscito nel dicembre del 1914, dalla Monopol Film di Roma con la regia di Emilio Ghione, fu lanciato a Trieste come «tentativo di romanzo cinematografico» di Matilde Serao, interpretato da Maria Carmi (nella parte della protagonista Elena, l’avventuriera) e da Tullio Carminati. La critica del tempo però, pur riconoscendo nella Serao una «maestra di arte dello scrivere, maestra di giornalismo»,547 attribuì a

541 Produzione Musical-Film (Milano 1914). Messa in scena di Gino Rossetti. Soggetto dalla novella omonima di Matilde Serao, pubblicata nella raccolta All’erta sentinella (1889), sceneggiatura dalla riduzione teatrale di Ernesto Murolo (1912). Musica di Jvan Hartulari Darclée. Interpreti: Pina Cicogna (Chiarina), Franz Sala (Giovannino) Sig. Braccony (Donna Gabriella). La storia: In un palazzo della vecchia Napoli, Chiarina, figliastra di Donna Gabriella, dedita al prestito a usura, è da lei contrastata nel suo amore per Giovannino, un coinquilino. Il giovane riesce finalmente a presentarsi in casa della matrigna, ma col passare del tempo si rivela più interessato agli affari di Donna Gabriella, che all’amore di Chiarina. Dopo aver scoperto Giovannino che bacia teneramente sulle labbra Donna Gabriela, Chiarina si suicida gettandosi nel pozzo del cortile. «Riduzione cinematografica del dramma omonimo dovuto al genio dell’esimia autrice Matilde Serao; ometto quindi la recensione del soggetto, dirò solo che il lavoro, nella riduzione cinematografica, nulla perde della sua tragicità, anzi, questa acquista maggiore evidenza. L’interpretazione è superiore ad ogni elogio, come pure buona (però potrebbe essere migliore) la parte fotografica. La musica appositamente scritta dal M° Ivan Darclée accompagna l’azione mirabilmente. Due motivi principali accennano alla comparsa sullo schermo di Chiarina e Giovannino, della matrigna e della domestica e si fondono poi armoniosamente nelle scene nelle quali prendono parte tutti e quattro gli anzidetti personaggi, raggiungendo un’intensità indiscutibilmente drammatica al finale.» (Film, marzo 1915): Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano cit., 1914, prima parte, p. 83.

542 ACMVe, «Cinemagraf», n. 4, 1916.

543 La réclame compare sul «Lavoratore« del 30 gennaio 1915. 544«La Gazzetta di Trieste», 1 gennaio 1918

545«Il Lavoratore», 8 ottobre 1915.

546 Rappresentato all’Edison, fornito dalla Triestefilms, pubblicizzato sul «Lavoratore», 15 marzo 1917. 547 Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano, cit., 1914, prima parte, pp. 34-36.

tale tentativo, molto convenzionale, una parodia del romanzo di Eugène Sue L’ebreo errante, non riabilitato nemmeno dall’interpretazione della Carmi, che indulgeva troppo a quel convenzionalismo mimico tipico del ‘borellismo’, probabilmente troppo manierato per il tipo di soggetto. 548

Non sempre, dunque, il cinema, o meglio gli artisti cinematografici, erano idonei a consegnare al pubblico i nuovi modelli del realismo narrativo pensato dagli autori/autrici della letteratura di consumo. Ma al di là dei giudizi artistici della critica, quello che ritengo un valore aggiunto di questi film è il loro intento didascalico verso il pubblico. Oltre a proporre modelli realisticamente possibili di identificazione o edificazione morale, mediante il monito trasmesso dalle narrazioni di vite femminili dissipate, o al contrario redente, lo scopo era quello porre un argine alla corruzione civile dilagante negli anni di guerra, che costituiva sicuramente per il governo una forte preoccupazione. Ammoniva la stampa: «I governi cercano di aiutare le donne e la popolazione rimasta a casa con sussidi di sostentamento, istituendo fondi di soccorso, cucine economiche, case di beneficenza, comitati di consiglio e di sorveglianza, ecc. Ma tutto è stato poco. L’immensa fiumana delle famiglie, lasciate a se stesse, ha rotto gli argini di ogni legge e di ogni moralità. La moglie onesta che diventa amante e procrea, le fidanzate che si danno al primo capitato, donne che si procurano lussuosi abiti con mezzi segreti, pubblici funzionari abusare della propria posizione per arricchirsi, masse di negozianti con i depositi pieni dove nascondono la merce, anche per vendere a prezzi da spavento, commerci clandestini di viveri avuti illecitamente, immorali