STRANIERI E DIRITTI SOCIALI NELLE FONTI SOVRANAZIONALI
3. IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA SOCIALE EUROPEA: UN BINOMIO POSSIBILE?
3.1. I DIVERSI LIVELLI DI TUTELA DEI CITTADINI DI PAESI TERZI NEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA FRA MOLTIPLICAZIONE DEGLI STATUS E
3.1.1. ACCESSO AI DIRITTI SOCIALI IN RAGIONE DEI LEGAMI DI PARENTELA: LA CONDIZIONE GIURIDICA DEI FAMILIARI DI CITTADINI UE
Una delle categorie protette dal principio di parità di trattamento nell’ambito del diritto comunitario è quella dei familiari dei cittadini UE256, siano essi a loro volta cittadini UE o cittadini
(COM (2010) 379) e Proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi nell'ambito dei trasferimenti intrasocietari (COM (2010) 378).
255 V. Direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27.01.2003, sulle norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri; Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29.04.2004, sulle norme minime relative all’attribuzione dei cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta; direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1.12.2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Giova ricordare che le direttive in parola sono state successivamente oggetto di rifusione (v. infra Par. 3.1.3).
256 Sulla nozione di familiare ai sensi del diritto dell’Unione europea e sulla lettura estensiva di tale nozione da parte della Corte di giustizia si veda, su tutti, B. Nascimbene, F. Rossi dal Pozzo, Diritti di cittadinanza e libertà di
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di Paesi terzi257. L’art. 24 della direttiva 2004/38/CE stabilisce che «Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente».
Giova ricordare che, con riferimento all'oggetto di questa analisi, i familiari di cittadini UE, di qualunque nazionalità, rientrano nelle categorie cui si applica il regolamento 1408/71/CE – oggi regolamento 883/2004/CE – in materia di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale258.
La ratio alla base della parità di trattamento è rinvenibile nel considerando 5 della direttiva, secondo cui «Il diritto di ciascun cittadino dell'Unione di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza». Ne consegue che, il diritto di circolazione e soggiorno in favore dei familiari di cittadini UE è qualificato come diritto o garanzia “derivata” dal legame imprescindibile con il familiare cittadino UE259. Tuttavia, con la direttiva 2004/38/CE tale logica si affievolisce in diverse ipotesi disciplinate dal diritto di famiglia o dalle norme in materia di stato civile, quali il divorzio, l’annullamento del matrimonio, lo scioglimento dell’unione o il decesso del cittadino UE260. La direttiva 2004/38/CE ha recepito la lettura estensiva dell’art. 12 del regolamento 1612/1968/CEE (ora regolamento 492/2011/UE) operata dalla Corte di giustizia prevedendo, all’art. 12 par. 3, che «La partenza del cittadino dell'Unione dallo Stato membro ospitante o il suo decesso non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei figli o del genitore che ne ha l'effettivo affidamento,
257 Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 3 par. 1 della direttiva, essa si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che «si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari». Di conseguenza, detta direttiva non si applica nel caso di situazioni puramente interne. Per i familiari del cittadino UE non aventi la cittadinanza dell’Unione, in caso di soggiorno superiore a tre mesi, è previsto l’ottenimento di una carta di soggiorno valida per cinque anni (art. 10 par. 2). La titolarità del diritto di soggiorno permanente nell’UE è sancita dal rilascio di una carta di soggiorno permanente rinnovabile di diritto ogni dieci anni (art. 20).
258 Si deve qui ricordare che alcuni regolamenti successivi (segnatamente nel 2009 e nel 2010) hanno modificato ed esteso l’ambito di applicazione del regolamento 883/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29.04.2004 relativo al coordinamento dei sistemi sicurezza sociale.
259 In tal senso si è espressa la Corte di Lussemburgo a partire dalla sentenza CGE Singh, sent. 7.07.1992, c-370/90, Racc., I-4265. Peraltro, tale garanzia in favore dei familiari dei cittadini UE è resa necessaria dal rispetto della vita privata e familiare, come affermato in CGE Carpenter, sent. 11.07.2002, c-60/00, Racc., I-6279 e CGE, MRAX, sent. 25.07.2002, c-459/99, Racc., I-6591.
260 Le condizioni che devono sussistere perché non sia pregiudicato il diritto di soggiorno dei familiari dei cittadini UE sono stabilite dall’art. 12 par. 2 e dall’art. 13 par. 2 della direttiva 2004/38/CE. Tale aspetto si rafforza nel caso in cui il familiare del cittadino UE sia titolare del diritto di soggiorno permanente: l’art. 18 stabilisce che, analogamente a quanto accade per i familiari di cittadini UE aventi la cittadinanza dell’Unione, i familiari di cittadini UE aventi la cittadinanza di un Paese terzo acquisiscono il diritto di soggiorno permanente «dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante». Una volta acquisito, esso «si perde soltanto a seguito di assenze dallo Stato membro ospitante di durata superiore a due anni consecutivi», anche in caso di cessazione della relazione familiare (art. 16 par. 4).
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indipendentemente dalla sua cittadinanza, se essi risiedono nello Stato membro ospitante e sono iscritti in un istituto scolastico per seguirvi gli studi, finché non terminano gli studi stessi». Così, il genitore, anche cittadino di paese terzo, di un minore cittadino UE in età scolare, è autorizzato a soggiornare sul territorio dell’Unione anche se privo di risorse sufficienti e di assicurazione sanitaria, dovendosi dare valore preminente al diritto all’istruzione del figlio minore261.
Come già evidenziato supra, in questa direzione muove anche la sentenza Zambrano della Corte di Lussemburgo262, la cui portata innovativa è stata però ridimensionata dalle sentenze successive (casi Mc Carthy, Dereci, Iida, Ymeraga e Alopka) 263.
La parità di trattamento sancita dall’art. 24 della direttiva si concreta nel diritto dei familiari di cittadini UE, di qualunque nazionalità, di svolgere un’attività lavorativa subordinata o autonoma (art. 23), di accedere all’istruzione e alla formazione professionale e di avere accesso ai vantaggi sociali alle stesse condizioni dei cittadini UE. Tuttavia, nel caso in cui il cittadino UE sia residente da non più di tre mesi o sia in cerca di occupazione «lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni di assistenza sociale» (art. 24). Analogamente, per il cittadino UE inattivo e per i propri familiari non è prevista l’erogazione di sussidi per il mantenimento agli studi, quali borse di studio o prestiti per studenti, se non nel caso di titolarità di diritto di soggiorno permanente. Tali disposizioni si legano alla già menzionata nozione di “onere eccessivo” (art. 14 par. 1), pertanto le considerazioni già formulate circa il rapporto tra status di cittadino europeo e l'accesso ai diritti sociali, in particolare alle prestazioni sociali, valgono anche per i familiari di cittadini UE.
Anche per tali soggetti, il principio di parità di trattamento non sembra valere per l'accesso alle prestazioni sociali tanto quanto per la libertà di circolazione264. In tal senso si configura, quindi, un limite all’inclusione dei diritti della categoria dei familiari di cittadini UE nell’alveo dei diritti connessi alla cittadinanza sociale europea.
261 V. CGE, Ibrahim, sent. 23.02.2010, 310/08, Racc., I-1065, in cui è richiamata CGE, Teixeira, sent. 23.02.2010, c-480/08, Racc., I-1107.
262 Si veda anche CGE, Zhu e Chen, sent. 19.10.2004, c-200/02, Racc., I-9925.
263 V. supra Par. 2.1. Su questi profili cfr. A. Vettorel, L’incidenza del judicial activism della Corte europea dei diritti
dell’uomo e della Corte di giustizia sugli ordinamenti statali: i nuovi diritti delle famiglie migranti, in
www.forumcostituzionale.it, 6.05.2013, p. 6 ss.
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3.1.2. ACCESSO AI DIRITTI SOCIALI IN RAGIONE DELLA RESIDENZA