• Non ci sono risultati.

L'ESPERIENZA DELL'ITALIA: PREMESSA STORICO-COMPARATIVA

1. “STRANIERO” E COSTITUZIONE

3. CONCEZIONE FORMALE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DEL CITTADINO NELLA COSTITUZIONE FRANCESE E NELLA COSTITUZIONE ITALIANA

3.2. L'ESPERIENZA DELL'ITALIA: PREMESSA STORICO-COMPARATIVA

La tematizzazione del nesso tra cittadinanza e diritti in Italia risente profondamente delle vicende d’oltralpe. L’affermarsi della valenza egualitaria e partecipativa della citoyenneté in età rivoluzionaria, sganciata dall’idea dell’appartenenza a una nazione, è valorizzata nelle Carte costituzionali di quel periodo. In tale contesto, lo straniero può acquisire capacità politica se in possesso di beni o a seguito di un determinato periodo di permanenza sul territorio443 ed il paradigma inclusione/esclusione si articola essenzialmente a partire dal censo. Diversamente, nell’ambito del costituzionalismo liberale ottocentesco non trova posto la disciplina della cittadinanza, “neutralizzata” dalla sovrapposizione dell’idea di nationalité e considerata alla stregua di uno degli elementi personali dell’individuo444. Le leggi civili del 1819 ne regolamentano l'accesso secondo un'impostazione molto simile a quella del Code civil del 1804 (recepito nel regno d'Italia napoleonico e nel regno delle Due Sicilie nel 1806), e la cui circolazione, a motivo del suo prestigio, è stata diffuso oggetto di studio dei comparatisti445. Per altro verso, si deve evidenziare come altri modelli di codificazione degli Stati preunitari italiani non collimino con il modello napoleonico e seguano vie che porteranno poi al Codice civile dell'Italia unificata del 1865, che riconosce allo straniero il godimento dei diritti civili attribuiti ai cittadini, operando una tendenziale assimilazione tra le due categorie di soggetti in ordine ai diritti di libertà e differenziandosi così dal modello di matrice napoleonica che si basava sulla condizione di reciprocità446.

Come messo in evidenza in dottrina, nei casi di trapianto legale difficilmente il modello recepito resterà puro poiché si permea del contesto sociale, culturale ed economico del Paese in cui è trapiantato; in questo caso la non recezione della clausola di reciprocità del Codice Napoleone,

442 Propende per la prima ipotesi T. Dubut, La nature juridique des dispositions sociales du Prèambule de la

Constitution du 27 octobre 1946 dans la jurisprudence financière du Conseil constitutionnel français. Retour sur une

controverse doctrinale, cit., 155 ss. Secondo Mathieu, invece, il diritto alla salute si qualifica come objectif de valeur

constitutionnelle. E’ piuttosto la tutela della dignità dell'uomo, a incarnare un diritto soggettivo, ovvero quello di ottenere mezzi appropriati per la propria vita o, quantomeno, per la propria sopravvivenza. Cfr. B. Mathieu, La

protection du droit à la santé par le juge constitutionnel, cit.

443 Cfr. E. Grosso, Le vie della cittadinanza, cit., p. 253 ss. Su questi profili anche G. Bascherini, Immigrazione e diritti

fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, cit., p. 31 ss. In prospettiva generale è poi naturale il rinvio a P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, cit.

444 Fa eccezione la Costituzione della Repubblica Romana del 1849. Cfr. G. Bascherini, Immigrazione e diritti

fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, cit., p. 54 ss. Sulla neutralizzazione della cittadinanza, E. Grosso, Le vie della cittadinanza, cit., pp. 35 ss e 228 ss.

445 Cfr. R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 148. L’A. individua due ragioni che rendono possibile l’imitazione: l’imposizione ed il prestigio. Sul punto anche K. Zweigert, H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 120 ss.; A. Watson, Legal transplants an approach to comparative law, cit.

446 Su questi temi L. Melica, Lo straniero extracomunitario, cit., p. 124; G. Bascherini, Immigrazione e diritti

113

lungi dall'essere ispirata a concezioni cosmopolitiche, era motivata da ragioni di carattere economico legate al contesto italiano, giacchè finalizzata ad attrarre capitali stranieri nell'epoca dell'industrializzazione447. Tale apertura è stata rimessa in discussione con l'ascesa dell'ideologia nazionalista alla fine del XIX° secolo che, come gia affermato, sotto il profilo del nesso cittadinanza –diritti implica una chiusura verso chi cittadino non è.

Non a caso, in questo periodo prende forma la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri come appannaggio delle leggi di pubblica sicurezza e dei codici penali, sviluppando anche in Italia quella “polizia degli stranieri” che ancora oggi segna in modo incisivo le politiche dell'immigrazione. Ad esempio, le leggi in materia di pubblica sicurezza (in particolare il r.d. 30.06.1889 n. 6144) introducono la dichiarazione di soggiorno, iniziando così a dare forma al concetto di ‟regolarità del soggiorno”, e annoverano tra i soggetti socialmente pericolosi gli stranieri che turbano l’ordine pubblico o incapaci di fornire informazioni relative alla propria identità o sprovvisti di mezzi di sussistenza448, sostanziando, a tale ultimo riguardo, la dimensione “nazionale” della solidarietà. Come evidenziato: «Stato nazione e stato sociale sono due aspetti strettamente irrelati della forma stato che si configura a partire dalla fine dell'Ottocento»449.

Non a caso si colloca in questi anni il dibattito dottrinario sulla natura civilistica o politica del diritto d'incolato (ossia sul diritto di ingresso e soggiorno dello straniero sul territorio nazionale).

Tra le posizioni dottrinarie prevarrà quella a supporto del non riconoscimento di tale diritto alla stregua di diritto civile dello straniero, «finendo per avallare la compressione di quegli stessi diritti, senza dubbio “civili”, pur astrattamente riconosciuti agli stranieri»450 e rimettendo alla discrezionalità dell'amministrazione le prerogative in tema di espulsione.

Risponde alla medesima logica l'elaborazione normativa del periodo fascista, intrisa di tendenze nazionaliste e xenofobe, che reintroduce la condizione di reciprocità nel Codice civile del 1942 (tesa altresì a garantire i diritti degli emigrati all'estero) e, più in generale, prevede un irrigidimento della disciplina della condizione dello straniero ad opera del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) del 1931 (r.d. 18.06.1931, n. 773). Tuttavia, è stato rilevato che tale

447 C. Corsi, Lo Stato e lo straniero, cit., p. 39.

448 La concezione del pauperismo come pericolo per l'ordine pubblico promana dalla dimensione autoritaria dell'assistenza, tipica del XIX° secolo e finalizzata al mantenimento dell'ordine sociale. Giova ricordare che alla fine del XIX° sec. in Italia si conta una presenza straniera pari all’1-2 per mille, composta prevalentemente da rifugiati, professionisti, proprietari, membri del clero e lavoratori quali braccianti marinai e lavoratrici domestiche. Cfr. A. Colombo, G. Sciortino, Gli immigrati in Italia, Bologna, 2004, p. 24. Per un'analisi diacronica dell'espulsione dello straniero, cfr. I. Gjergji, Il trattenimento dello straniero in attesa di espulsione: una ‟terra di nessuno” tra ordine

giuridico e fatto politico, in www.costituzionalismo.it, 7.11.2006.

449 G. Bascherini, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive

europee, cit., p. 63.

450 Cfr. V. Raparelli, voce Straniero (condizione giuridica dello), in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, XXX, agg., 2008, p. 3. In particolare, nel dibattito dottrinario la costruzione di P.S. Mancini del diritto di incolato come diritto naturale non ha prevalso sulle posizioni vicine alle teorie statualistiche di origine tedesca. Sul profilo cfr. E. Grosso, Le

114

regolamentazione non era finalizzata primariamente al controllo dell'ingresso di lavoratori stranieri, quanto a proteggere lo Stato e la società da rischi politici e comportamenti immorali451.

Nell’analisi ricostruttiva dell’esperienza italiana non è possibile tralasciare la considerazione del fenomeno dell’emigrazione, che ha orientato in modo significativo l'articolazione diacronica del nesso cittadinanza – diritti coniugandosi con un’accesso alla cittadinanza basato sullo ius sanguinis, così da consentire agli emigranti ed ai loro discendenti di mantenere più a lungo possibile la cittadinanza italiana sebbene lontani dalla madrepatria. Tale criterio risulta prevalente già nella disciplina della cittadinanza nel Codice civile del 1865 e si afferma ulteriormente nella legge sulla cittadinanza del 1912452.

Con particolare riferimento al profilo sociale, la lettura storico-comparativa mostra che la sua integrazione nel binomio cittadinanza-diritti è stata tardiva, a causa del ritardo nell'indutrializzazione e del conservatorismo socio-culturale generato dalla presenza della Chiesa cattolica, rimasta a lungo l'unico attore dell'assistenziale sociale453.

Dalla gestione del settore era invece praticamente assente lo Stato, fino alla laicizzazione delle “opere pie” e l'istituzione di un sistema pubblico di assistenza sociale (l. 6972/1890), resasi necessaria a fronte dei crescenti squilibri tra diverse aree geografiche del Paese e tra contesti urbani e rurali454. Richiamando quanto detto supra in riferimento all’impegno dell’Italia nella tutela dei propri cittadini emigrati all’estero attraverso la sottoscrizioni di accordi bilaterali tesi a garantire parità di diritti, sembra interessante notare come, sul piano del diritto interno, invece, «la materia dell'assistenza non è stata oggetto, nel periodo liberale e in quello autoritario, di un vero monopolio pubblico»455 e si è rivelata a lungo insufficiente nell'assorbire le istanze prodotte dalle rapide trasformazioni sociali del primo Novecento, lasciando irrisolte quelle inquietudini che il nazionalismo interventista ebbe buon gioco ad utilizzare. Nemmeno la legislazione sociale del Ventennio fascista, finalizzata all'acquisizione del consenso popolare al regime, ha prodotto risultati significativi sotto il profilo dell’effettiva integrazione sociale, essendosi risolta in interventi privi di sistematicità456.

451 A. Colombo, G. Sciortino, Gli immigrati in Italia, cit., p. 50.

452 Sebbene vada ricordato che lo straniero residente in Italia da cinque anni, o nato e cresciuto in Italia o coniugato con un cittadino italiano, poteva richiedere la cittadinanza italiana.

453 F. Rimoli, voce Stato sociale, cit., 3. L’A. illustra la visione illuminista del pauperismo, che introduce il concetto di solidarietà alla base dell'interventismo statale in Francia e Prussia, e la contrapposta concezione religiosa che imperniava l'intervento assistenziale sull'idea della redenzione.

454 Su questi profili, C. Cardia, voce Assistenza e beneficenza, cit., p. 1; G. Bascherini, Immigrazione e diritti

fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, cit., p. 82.

455 C. Cardia, voce Assistenza e beneficenza, cit., p. 3. Una prospettiva diversa da quella britannica, dove già fin dal 1601 con le poor laws (ed in seguito con il Gilbert's Act del 1782, la Speenhamland law del 1795 e la c.d. New poor law del 1834) si mirava ad intervenire a sostegno degli indigenti, specie a seguito dei bisogni indotti dall'industrializzazione. Cfr. F. Girotti, Welfare state. Storia, modelli e critica, Roma, 1998, p. 93 ss.

115

Per quanto riguarda il settore della previdenza sociale, i primi interventi statali si registrano a partire dalla fine del XIX° sec.457, a seguito dell'istituzione del primo sistema legislativo al mondo di tutela dei lavoratori contro la malattia, gli infortuni, l'invalidità e la vecchiaia nella Germania di Bismarck. Si tratta di un passaggio epocale nell'evoluzione dello Stato sociale che ha avuto il merito di svincolare «la funzione assistenziale dai risvolti moralistici propri dell'assistenza religiosa da un lato, e dagli intenti di sfruttamento tipici di quella privata imprenditoriale dall'altro», trasformando l'assistenza in un diritto sociale di tipo nuovo458. Su questa concezione dell'assistenza e, più in generale, dei diritti di prestazione, si impernia lo sviluppo dello Stato sociale, i cui caratteri si affermano, sul piano normativo, nella cornice del processo di costituzionalizzazione realizzatosi in Europa dopo il Secondo conflitto mondiale. Anche in Italia, reduce dalla tragedia bellica e dall'esperienza del totalitarismo, i diritti sociali sono l'architrave del neonato edificio costituzionale – fondato sull'anteriorità della persona umana rispetto allo Stato – e, correlativamente, sulla «necessaria socialità di tutte le persone» anche nello Stato459. La centralità della “persona” nella Costituzione del 1947 produrrà profonde trasformazioni nel nesso cittadinanza-diritti, che coinvolgeranno anche la condizione giuridica dello straniero.

3.2.1. LO STATUTO COSTITUZIONALE DEL NON CITTADINO

La Costituzione italiana definisce lo statuto costituzionale dello straniero attraverso l’art. 10, comma 2, secondo cui «la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali», prevedendo quindi una riserva di legge rinforzata ed un trattamento non meno favorevole di quello previsto dalle norme internazionali460.

Parallelamente, al fine di tratteggiare lo statuto costituzionale del non cittadino, rileva l'art. 2 Cost., che assicura la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo e introduce nella Carta fondamentale

457 Si veda la l. 17.3.1898 n. 80 che istituisce un'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni degli operai dell'industria e la l. 17.7.1898 n. 350 che crea la cassa nazionale di prevenzione per l'invalidità e la vecchiaia degli operai.

458 F. Rimoli, voce Stato sociale, cit., p. 4. L’A. rileva altresì che, come spesso accade, l'obiettivo del governo prussiano era essenzialmente quello di preservare l'ordine esistente dinanzi all'avvento sociale delle nuove masse industrializzate e al pauperismo montante che ne derivava, e forse potrebbe dirsi che la legislazione sociale è nata in modo analogo a quello di molte costituzioni coeve, ossia come concessione coatta di un potere che si avvertiva sempre più esposto a rischi di rivolgimenti politico-istituzionali.

459 Così recita il famoso ordine del giorno Dossetti formulato il 9.09.1946. Su questi profili, U. Allegretti, Costituzione e

diritto cosmopolitici, in G. Gozzi (a cura di), Democrazia, diritti, costituzione, Bologna, 1997, p. 106.

460 Oltre alle norme pattizie derivanti da trattati e convenzioni internazionali, nel novero delle norme internazionali rientrano le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (Corte cost., sent. 323/1989). L’ordinamento italiano si conforma dunque alle norme internazionali, che restano soggette però ai limiti derivanti dall’ordinamento costituzionale (Corte cost., sent. 48/1979) incluso il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili e fondamentali. Cfr. D’orazio, Lo straniero nela Costituzione italiana, cit., p. 132 ss. Sull’art. 10, co. 2 Cost. si veda, su tutti, A. Cassese, Art. 10, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, artt. 1-12, Bologna-Roma, 1975, p. 485 ss.

116

il principio personalista, alla luce del quale si limita la sovranità dello Stato su tali diritti e se ne garantisce il godimento a tutti gli individui in quanto tali, prescindendo dal possesso della cittadinanza italiana461.In tale prospettiva, la nozione di diritti inviolabili indica «i valori originari, assolutamente primari e perciò intangibili nel loro nucleo assiologico sia da parte di qualsiasi soggetto privato – (incluso il titolare) sia da parte di qualsiai potere costituito (pubblico o privato), compreso quello di revisione costituzionale»462.

Per la ricostruzione del quadro di diritti e doveri costituzionali dello straniero, l'analisi non può esaurirsi nella considerazione del dato letterale poiché esso non è univoco: accanto alla generalissima nozione di “persona” dell'art. 2, il dettato costituzionale prosegue con l'enunciazione del principio di eguaglianza formale (art. 3, comma 1) e sostanziale (art. 3, comma 2)riferendolo espressamente ai “cittadini”463. All’idea di una differenza costituzionale tra cittadino e non cittadino si ricollega anche la Parte prima della Costituzione intitolata “Diritti e doveri dei cittadini”.

L'art. 16 sancisce la libertà di circolazione e soggiorno in qualsiasi parte del territorio nazionale ed il diritto di emigrazione per ogni “cittadino”, così come gli artt. 17 e 18 in materia di diritto di riunione ed associazione e l'art. 26 che vieta l’estradizione per reati politici464. Sono infine espressamente riferiti ai cittadini i diritti propri dello status activae civitatis sanciti dal Titolo IV

Rapporti politici465.

Per altro verso sussistono, in linea con il principio personalista, numerosi riferimenti generalissimi che implicano una titolarità dei diritti oltre l’appartenenza nazionale: si pensi a formule universaliste quali “tutti”466 e “nessuno” (artt. 22 e 25) per alcuni diritti civili sanciti nel Titolo I Rapporti civili, a categorie come i “non abbienti” (art. 24, comma 3) e a termini quali

461 In dottrina, A. Barbera, Art. 2, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, cit., p. 50 ss. Sull'affinità tra il principio di tutela della dignità umana ex art. 1 del Grundgesetz ed il principio personalista dell'art. 2 della Costituzione italiana si veda C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1976, p. 1130 ss.

462 A. Baldassarre, voce Diritti inviolabili, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1989, XI, p. 29.

463 E’ stato osservato come la proclamazione del principio costituzionale di eguaglianza tra persone, in luogo dei cittadini, sarebbe stata ammissibile «solo in una logica giusnaturalistica, esplicitamente rifiutata dai Costituenti». Così A. Pace, Dai diritti del cittadino ai diritti fondamentali dell’uomo, in www.rivistaaic.it, 2.07.2010, pp. 1 e 4, con riferimento a C. Esposito, Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della Costituzione, in ID, La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, p. 17 ss. La letteratura in tema di principio costituzionale di eguaglianza è vastissima. Si segnala L. Paladin, Il principio costituzionale di eguaglianza, Milano, 1965; C. Esposito, Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della

Costituzione, cit.; A. Pizzorusso, Che cos’è l’uguaglianza, Roma, 1983; A. Cerri, voce Uguaglianza (principio

costituzionale di), in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 2005, XXXII.

464 Anche nella legge basica della Repubblica federale tedesca, il diritto al libero sviluppo della propria personalità (art. 2 co. 1) e quello all’espressione delle proprie opinioni (art. 5 co. 1), sono proclamati in qualità di diritti di ogni persona (il termine utilizzato in lingua tedesca è jeder ossia ognuno) ma, all’art. 8, co. 1 si prevede esplicitamente la libertà di associazione solo per Alle Deustchen (tutti i tedeschi). Giova inoltre ricordare che, in modo speculare rispetto all’art. 26, l’art. 10, co. 4 Cost. vieta l’estradizione dello straniero per reati politici.

465 Su questo tema si veda l’ampia analisi di M. Cuniberti, La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino

nella Costituzione italiana, cit., p. 127 ss. L’A. osserva come l’intitolazione della parte prima della Costituzione italiana ai cittadini sia un dato diffuso già nelle Costituzioni ottocentesche. Anche allora, spesso dietro un dato testuale apparentemente restrittivo, si celavano diritti e doveri valevoli anche per i non cittadini.

117

“figli” e “genitori” (art. 30) nel Titolo II Rapporti etico-sociali.

L'utilizzo del termine “cittadino” in Costituzione non sembra agilmente riconducibile ad una

ratio coerente; specialmente se si procede ad esaminare le singole disposizioni, si nota come la questione del rapporto tra “cittadino” e “straniero” sia stata affrontata dai padri costituenti generalmente in modo sfuggente. Non è chiaro quanto le lacune e le contraddizioni in tal senso siano da ascrivere a incertezze dei costituenti o a loro scelte più o meno consapevoli467. Certamente, occorre considerare che all’epoca dell’elaborazione della Carta fondamentale, l’Italia non aveva conosciuto ancora il fenomeno migratorio e si connotava piuttosto per la forte emigrazione di italiani all'estero. Non è un caso, quindi, che nell'enunciazione dei singoli diritti, salvo per l'ovvio caso del diritto d'asilo, la Costituzione non faccia alcun riferimento al non cittadino, annoverando, invece, tra i diritti sociali, il diritto all'emigrazione di cui all'art. 35, comma 4468.

3.2.1.1. I DIRITTI SOCIALI

Benchè difetti di una vera e propria nozione di diritti sociali, la Costituzione italiana esprime il carattere sociale dello Stato attraverso un catalogo nutrito e articolato di posizioni giuridiche soggettive a contenuto sociale469, rientrando così nel terzo modello cui si è già fatto riferimento470.

I diritti sociali come valore dell'individuo considerato nella sua effettiva esistenza sociale si concretizzano, per vero, già nella parte della Costituzione dedicata ai principi fondanti la democrazia pluralistica: il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona (art. 2), la pari dignità sociale di ogni individuo e il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2) alla luce del quale incombe allo Stato il dovere di rimuovere «gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»471.

La Carta costituzionale compone una gamma di diritti entro la quale si conferisce lo stesso livello di garanzia ai diritti sociali ed ai diritti di libertà, sciogliendo così la contraddizione che

467Su questi profili, M. Cuniberti, La cittadinanza. Libertà dell’uomo e libertà del cittadino nella Costituzione italiana, cit., p. 132.

468 Sul diritto all'emigrazione di cui all'art. 35 co. 4 come diritto sociale vedasi D. Bifulco, Art. 35, in R. Bifulco, Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Milano, 2006, p. 733.

469 Si vedano gli artt. 4, 31, 32, 35- 39, 40, 41, 45, 46 Cost. Su questi profili, M. Fiorillo, voce Diritti sociali, in M. Ainis (a cura di), Dizionario costituzionale, cit., p. 153

470 V. supra Par. 2.

471 Cfr. M. Fiorillo, voce Diritti sociali, cit., p. 153 e F. Politi, Diritti sociali e dignità umana nella Costituzione

118

dividerebbe le due categorie, superando l’idea della “minorità” dei diritti sociali472 e positivizzando l’idea della “libertà eguale”.

La tutela della dignità della persona è richiamata implicitamente laddove si proclamano i diritti inviolabili (art. 2), il principio di eguaglianza (art. 3) e, in forma più esplicita, nell’ambito di disposizioni a tutela dei lavoratori, delle lavoratrici e in tema di iniziativa economica privata (artt. 36, 37 e 41 Cost.)473. Alla salvaguardia della dignità umana si legano i diritti sociali e la tutela di situazioni giuridiche di categorie deboli – di cui al Titolo II Rapporti etico-sociali e Titolo III

Rapporti economici – per i quali si utilizzano espressioni universaliste, garantendone dunque il

godimento indipendentemente dallo status civitatis474. A conferma di questa considerazione si può ricordare che l’art. 32 tutela la salute dell’ “individuo”, gli artt. 29-31 si riferiscono alla “famiglia” e l’art. 34 stabilisce il diritto all’istruzione per “tutti”.

La ricostruzione del quadro normativo può prendere avvio proprio dal diritto alla salute, unico diritto testualmente qualificato dalla Costituzione come «fondamentale diritto dell’individuo», da garantire anche agli “indigenti” (art. 32, comma 1), nel rispetto della “persona umana” (art. 32, comma 3). Per la prima volta, tra le Costituzioni del secondo dopoguerra, il diritto alla salute è disciplinato in modo compiuto e tenendo conto della sua multidimensionalità, nella consapevolezza della sua relazione con la libertà e l'eguaglianza e della sua valenza di «moltiplicatore delle libertà

Outline

Documenti correlati