STRANIERI E DIRITTI SOCIALI NELLE FONTI SOVRANAZIONALI
4. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Nei paragrafi precedenti si è cercato di delineare brevemente un quadro dei diritti sociali dei cittadini di Paesi terzi nella cornice del diritto internazionale e dell'Unione europea. In particolare, partendo dalla declinazione sociale dell'antinomia tra diritti universali e diritti di cittadinanza, legati all'appartenenza nazionale, si è analizzato il sistema di tutela dei diritti sociali degli stranieri in seno al Consiglio d'Europa. In tale ambito, l’accesso al pur ricco catalogo di diritti sociali proclamati dalla Carta sociale europea per i non cittadini, è soggetto a elementi di forte condizionalità, che rendono difficile il ripensamento della cittadinanza sociale in termini più inclusivi e vicini all’idea di cittadinanza cosmopolitica/universale. Non di meno, si è constatato come verso tale direzione
307 Art. 12, par. 2, lett. d) i) direttiva 2011/98/UE.
308 Art. 12, par. 2, lett. d) ii) direttiva 2011/98/UE.
309 A. Farahat, ‟We want you! But...” Recruiting migrants and encouraging transnational migration through progressive
inclusion, cit., p. 715.
310 A supporto di tale considerazione giova ricordare altre nuove categorie che compongono il mosaico di status nell’ambito del diritto UE: quattro direttive (alcune già approvate, altre in fase di adozione) disciplinano le condizioni di ingresso e di soggiorno di casi particolari di lavoratori. Oltre ai ricercatori ed ai lavoratori altamente qualificati di cui si è già detto, si pensi ai lavoratori stagionali, i lavoratori qualificati di Paesi terzi nell’ambito di trasferimenti temporanei all’interno di società multinazionali ed i lavoratori qualificati come remunerated trainees. Cfr. W. Citti, Le categorie di
cittadini di paesi terzi non membri dell’UE protetti dal principio di parità di trattamento di cui al diritto dell’Unione europea (familiari di cittadini UE, lungo soggiornanti, accordi di associazione euro-mediterranei), cit., p. 2.
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muova la giurisprudenza del Comitato europeo per i diritti sociali e, ancor di più, quella della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di diritti sociali.
Si è poi cercato di individuare concretamente i confini dello status di titolare della cittadinanza sociale europea, e di comprendere se, ed in quale misura, i suoi effetti coinvolgono anche la condizione giuridica dei cittadini extra UE311.
La cittadinanza dell’Unione, ed i free movement rights ad essa correlati, generano una situazione in cui l’esercizio e la protezione dei diritti - espressione della cittadinanza - non segue il paradigma classico della residenza prolungata in un determinato territorio con un'identità nazionale condivisa, l'esercizio dei diritti politici e la soggezione a una comune giurisdizione amministrativa312. Così, i cittadini dell’Unione possono attraversare i confini nazionali e soggiornare in un altro Stato membro «more nearly as political and legal equals within the host
society»313.
Allo stesso tempo, però, il concetto di cittadinanza dell’Unione non può essere sganciato da quello della cittadinanza nazionale di uno degli Stati membri, ricollegandosi quindi al binomio cittadinanza – appartenenza e distinguendo la condizione giuridica dei cittadini di Paesi terzi314 non riuscendo, per ora, ad oltrepassarlo.
Verso la riduzione della distanza tra le due categorie di soggetti operano le direttive ed i regolamenti dell’Unione che concorrono all’instaurazione di una politica comune in materia di immigrazione e asilo, così come sancito dagli artt. 78 e 79 TFUE.
Il percorso verso tale obiettivo si è contraddistinto per la creazione di un mosaico di statuti giuridici differenziati dei cittadini di Paesi terzi caratterizzato da profonde asimmetrie in ordine al pari godimento dei diritti.
Questo contesto di “pluralità statutaria disorganizzata”315 include condizioni giuridiche assimilabili (ma non coincidenti) con quelle dei cittadini UE, che potremmo definire “denizenship”316, in ragione di fattori quali il legame di parentela con i cittadini UE, la nazionalità (cittadini di Paesi terzi con cui l'UE ha sottoscritto accordi di associazione) e la prolungata residenza sul territorio (soggiornanti di lungo periodo), ma anche, ove questi fattori non sussistano,
311 Si veda, supra Par. 3, e relativi sottoparagrafi, di questo Capitolo.
312 S. Benhabib, I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini, cit., p. 117.
313 M.A. Becker, Managing Diversity in the European Union: Inclusive European Citizenship and Third-Country
Nationals in Yale human rights and development law journal, January 7/2004, p. 132.
314 Ibidem.
315 Sul punto si rinvia altresì alle considerazioni di M. Gautier, Le droit communautaire, vecteur d’une segmentation du
droit, cit., p. 39.
316 Lo status di denizen può essere definito come uno status che si avvicina a quello del cittadino ma che non coincide con esso. Sul profilo, T. Hammar, Democracy and the Nation State, Aldershot, 1990. Per l’applicazione del concetto di
denizenship ai lungo soggiornanti, M. A. Becker, Managing Diversity in the European Union: Inclusive European
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condizioni giuridiche meno favorevoli, perché non protette dal principio di parità di trattamento. A tale ultimo riguardo, la direttiva sul permesso unico del 2011 costituisce una tappa importante per la riconduzione ad omogeneità del mosaico di statuti giuridici dei cittadini di Paesi terzi.
Nondimeno, con riferimento all'oggetto d’indagine, nemmeno la direttiva in parola sembra arrestare quella che potremmo definire una categorizzazione incessante ed esponenziale dei cittadini di Paesi terzi. Infatti, se da un lato l'obiettivo proclamato è quello della maggiore loro integrazione negli Stati membri attraverso l'equiparazione nei diritti, di fatto i nuovi criteri distintivi contemplati dalla direttiva, sulla cui ratio sarebbe opportuno interrogarsi, conferiscono un margine di discrezionalità sempre più ampio agli Stati, rischiando di lasciare impregiudicata, se non di aumentare, la frammentarietà e le diseguaglianze nella tutela dei diritti sociali.
In altre parole, ci sembra che più si approntano strumenti giuridici che operano verso un'assimilazione dei cittadini di Paesi terzi ai cittadini UE nel godimento di diritti sociali, più, dall'altra parte, aumentano i criteri distintivi che generano nuove suddivisioni nella categoria dei cittadini di Paesi terzi e susseguenti nuove deroghe all’equiparazione dei diritti di cui gli Stati nazionali possono avvalersi (come accade, ad esempio, nella direttiva sul permesso unico, per i cittadini di Paesi terzi che lavorano da più o meno di sei mesi).
In tal senso, è innegabile che «la “geometria variabile” della politica comunitaria della immigrazione si riflette dunque negativamente sull’efficacia territoriale del coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale in favore dei lavoratori dei Paesi terzi»317.
In riferimento ai cittadini di Paesi terzi, salvo eccezioni (rifugiati, apolidi e familiari di cittadini UE), l’elemento discriminante per il pari accesso ai diritti sociali tende ad essere quello dell’autosufficienza economica che conferisce il diritto al soggiorno318.
Se l'obiettivo della cittadinanza sociale è quello di dissolvere le ineguaglianze sociali e costruire una società più equa superando il divario tra cittadini lavoratori e cittadini non attivi319, la clausola dell'autosufficienza economica, unita all’aumento della “pluralità statutaria
317 S.Giubboni, G. Orlandini, La libertà di circolazione dei lavoratori nell'Unione europea, cit., p.183.
318 Per autorevole dottrina la medesima considerazione può valere per i cittadini UE. Si veda supra Par. 2.1.1. In questo senso i confini della netta tassonomia cittadino UE-cittadino extraUE sembrano parzialmente sfumare in favore di un altro elemento discriminante cioè quello dei cittadini attivi ed inattivi. Si badi tuttavia che esistono situazioni in cui la condizione di lavoratore non dà affatto accesso ai diritti sociali: si pensi ai cittadini di Paesi terzi che svolgono attività di lavoro domestico. Recentemente il Parlamento europeo, preso atto che «il principale settore di occupazione per le migranti sono i servizi domestici e l'assistenza alla persona, a prescindere dall'istruzione e dalle esperienze professionali conseguite; denuncia il fatto che la netta maggioranza delle migranti lavora senza contratto con salari molto bassi e senza diritti sociali di alcun tipo», in Parlamento europeo, Proposta di risoluzione sull’integrazione dei migranti, gli
effetti sul mercato del lavoro e la dimensione esterna del coordinamento in materia di sicurezza sociale,
(2012/2131(INI)), 14.02.2013, § 69, p. 19.
319 Come rileva A. Beduschi Ortiz, «la citoyenneté sociale conférerait théoriquement un statut social à tous ceux qui
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disorganizzata”320 nell’ambito del diritto dell’Unione e delle asimmetrie/diseguaglianze nei diritti, rende difficile parlare di una piena cittadinanza sociale europea per la generalità dei cittadini di Paesi terzi.
320 Analogamente, in riferimento ai diritti sociali dei cittadini di Paesi terzi si è affermato che «the legislative
developments are more recent and more tentative». Così. B. De Witte, The trajectory of fundamental social rights in the
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