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LA DIRETTIVA SUL PERMESSO UNICO: VERSO UNA RIDUZIONE DELLA “PLURALITA STATUTARIA DISORGANIZZATA” ?

STRANIERI E DIRITTI SOCIALI NELLE FONTI SOVRANAZIONALI

3. IMMIGRAZIONE E CITTADINANZA SOCIALE EUROPEA: UN BINOMIO POSSIBILE?

3.1. I DIVERSI LIVELLI DI TUTELA DEI CITTADINI DI PAESI TERZI NEL DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA FRA MOLTIPLICAZIONE DEGLI STATUS E

3.1.5. LA DIRETTIVA SUL PERMESSO UNICO: VERSO UNA RIDUZIONE DELLA “PLURALITA STATUTARIA DISORGANIZZATA” ?

Uno status meno favorevole per quanto riguarda la parità di accesso ai diritti sociali è quello della fascia (ampia) di cittadini di Paesi terzi che non appartengono a nessuna delle categorie finora prese in esame. Per loro, la normativa UE prevede un più debole riferimento al concetto di “equo trattamento” (art. 79 TFUE).

Occorre segnalare tuttavia una tendenza alla progressiva estensione dell’ambito di applicazione della parità di trattamento in materia di diritti sociali quali la sicurezza e l’assistenza sociale anche in favore dei cittadini di Paesi terzi non protetti dal diritto dell’Unione.

Il regolamento 859/2003/CE (sostituito dal regolamento 1231/2010/UE) estende l'ambito di applicazione del regolamento 1408/1971/CE (divenuto poi regolamento 883/2004/CE) relativo al coordinamento dei regimi di sicurezza sociale per i lavoratori subordinati UE e i loro familiari che si spostano all'interno dell’Unione289 includendo nel novero dei beneficiari anche i cittadini di Paesi terzi regolarmente residenti ed i loro familiari, che godono quindi della parità di trattamento di cui all'art. 3 del medesimo regolamento (divenuto poi art. 4 regolamento 883/2004/CE).

E’ opportuno, tuttavia, ricordare che la protezione offerta dal regolamento – strumento avente efficacia diretta nell'ordinamento interno – soffre di un forte limite, che ne preclude l'applicazione

288 A. Beduschi Ortiz, Les droits sociaux des ressortissants des pays tiers, cit., p. 480. In dottrina anche S. Giubboni, G. Orlandini, La libertà di circolazione dei lavoratori nell'Unione europea, cit., p. 183.

289 Regolamento (CE) 859/2003 del Consiglio del 14.05.2003, che estende le disposizioni del regolamento (CEE) 1408/71 e del regolamento (CEE) 574/72 ai cittadini di Paesi terzi cui tali disposizioni non siano già applicabili unicamente a causa della nazionalità. Si badi che, nella nozione di sicurezza sociale ai sensi di detti regolamenti, rientrano le “prestazioni familiari” ovvero quelle “prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari“, le prestazioni speciali a carattere non contributivo, definite ora prestazioni “miste” (art. 70 Regolamento 883/2004/CE), incluse quelle destinate alla tutela specifica delle persone con disabilità. Per quanto concerne l‘Italia, l’allegato X al regolamento menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità.

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generalizzata. Esso vale, infatti, solo per i cittadini UE ed extra UE che abbiano circolato all'interno del territorio dell'Unione. Ne consegue che non risultano protette le situazioni puramente interne290. In proposito, è stato osservato come tale limitazione circoscriva l’effettiva estensione della parità di trattamento dei cittadini di Paesi terzi in materia di sicurezza sociale, ove si consideri che questi, nella maggioranza dei casi, non presentano situazioni tali da interessare più di uno Stato membro291.

Verso l’estensione dell’ambito di applicazione della parità di trattamento in materia di diritti sociali in favore delle categorie di cittadini di Paesi terzi non protetti dal diritto dell’Unione muove anche la Carta di Nizza. Infatti, la competenza dell’Unione nel definire lo status di tali soggetti, sancita dall’art. 79 TFUE, ha portato all’inserimento nella Carta di norme per la promozione dei diritti dei migranti extra UE292. Così, l’art. 15 par. 3 conferisce ai cittadini di Paesi terzi autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri il «diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell’Unione», benché sia stato rilevato che «si cette disposition garantit un droit

bienvenu à l'équivalence des conditions de travail, son articulation avec les competences communautaires est en revanche malaisée»293.

L’art. 34 par. 2 della Carta stabilisce che «ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai vantaggi sociali, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali». L'utilizzo della generalissima nozione di “persona” in luogo dell'espressione “ogni cittadino dell’Unione” - comunemente utilizzata nel Titolo V dedicato alla Cittadinanza dell’Unione - porta a propendere per un’ interpretazione del diritto alla sicurezza ed assistenza sociale garantito a tutti gli individui, anche ai cittadini di Paesi terzi294, muovendo quindi verso una declinazione della cittadinanza sociale europea più inclusiva e meno legata all’appartenenza nazionale.

L’art. 79 par. 4 prevede, inoltre, alcune novità in materia di integrazione. Fondamentale prerequisito e, allo stesso tempo, obiettivo cui tende l'esercizio dei diritti sociali dei cittadini di Paesi terzi residenti nell'UE è la facoltà, per il Parlamento europeo e il Consiglio, di stabilire,

290 Sul punto si rinvia a W. Chiaromonte, Le prestazioni di assistenza sociale per i cittadini non comunitari ed il

principio di non discriminazione. Una rassegna critica della giurisprudenza nazionale ed europea, cit., p. 116. Per la definizione di situazione puramente interna si veda il considerando 12 che chiarisce l’ambito di applicazione stabilendo che «Le disposizioni del regolamento (CEE) n. 1408/71 e del regolamento (CEE) n. 574/72 non si applicano ad una situazione i cui elementi si collochino tutti all'interno di un solo Stato membro. Ciò vale in particolare quando la situazione di un cittadino di un paese terzo presenta unicamente legami con un paese terzo e un solo Stato membro». La nozione in parola in riferimento al regolamento 1408/1971 è stata dapprima elaborata dalla CGE nella sentenza Khalil (supra, nota 248). Più recentemente su questi temi, M. Morsa, Sécurité sociale, libre circulation et citoyenneté

européennes, Limal, 2012.

291 S.Giubboni, G. Orlandini, La libertà di circolazione dei lavoratori nell'Unione europea, cit., pp. 185-186.

292 B. De Witte, The trajectory of fundamental social rights in the European Union, cit., p. 165.

293 Y. Pascouau, La politique migratoire de l'Union européenne, cit., p. 173.

294 R. Bifulco, M. Cartabia, A. Celotto, L'Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione

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utilizzando la procedura legislativa ordinaria, «misure volte a incentivare e sostenere l'azione degli Stati membri al fine di favorire l'integrazione dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio». La medesima disposizione esclude, tuttavia, che ciò possa condurre «ad una qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri», avendo l’Unione solo una competenza complementare in materia295.

Nel percorso di progressiva estensione della parità di trattamento in materia di diritti sociali tra cittadini di Paesi terzi e cittadini UE merita alcune considerazioni la Direttiva 2011/98/UE sul procedimento unico per il rilascio di un permesso di soggiorno di lavoro ai cittadini di Paesi terzi che risiedono e lavorano nel territorio di uno Stato membro296.

Preso atto che «In mancanza di una normativa orizzontale a livello di Unione, i cittadini dei Paesi terzi hanno diritti diversi a seconda dello Stato membro in cui lavorano e della loro cittadinanza»297, la direttiva è stata adottata, invero a seguito di un iter reso lungo e complesso dalla resistenza di alcuni Stati298, con lo scopo di «sviluppare ulteriormente una politica di immigrazione coerente, di ridurre la disparità di diritti tra i cittadini dell’Unione e i cittadini di Paesi terzi che lavorano regolarmente in uno Stato membro e di integrare l’acquis esistente in materia di immigrazione […]»299. Per il perseguimento di tale obiettivo la direttiva si muove su due linee distinte: una procedurale e una sostanziale300. In primis, è definita una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico. Ciò consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare a fini lavorativi nel territorio di uno Stato membro. In secondo luogo è previsto un insieme comune di diritti per tutti i cittadini di Paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati membri e per i loro familiari301.

Tali misure intendono realizzare gli obiettivi, sanciti all’art. 79 TFUE, dell’ «equo trattamento dei cittadini di Paesi terzi» (per la verità, superandolo giacché la direttiva prevede la parità di trattamento in alcuni settori), della maggiore integrazione attraverso l'equiparazione nei diritti302, ma anche, come stabilito dal considerando 19, della creazione di «condizioni di concorrenza

295 Sulla competenza dell'Unione in riferimento ad azioni di sostegno, coordinamento o completamento si veda l'art. 6 TFUE.

296 La direttiva 2011/98/UE deve essere recepita dagli Stati membri entro il 25.12. 2013.

297 Considerando 19, direttiva 2011/98/UE.

298 Vi era la volontà di restringere la portata del principio di parità di trattamento. Ad esempio, in materia di assegnazione di alloggi di edilizia pubblica si riteneva che i cittadini dei Paesi terzi potessero accedervi solo se titolari di uno status più permanente nell'UE, quale, ad esempio, lo status di soggiornanti di lungo periodo.

299 Considerando 19, direttiva 2011/98/UE

300 Cfr. V. Maccioni, Direttiva sul permesso unico di soggiorno e lavoro, in www.forumcostituzionale.it, 24.01.2012.

301 La direttiva riguarda i cittadini di Paesi terzi che non siano titolari di status di cui ai precedenti paragrafi. Essa lascia impregiudicato lo status più favorevole previsto per lavoratori “distaccati” nell’ambito della prestazione dei servizi, lavoratori di Paesi terzi lungo soggiornanti e lavoratori di Paesi con cui l’UE ha sottoscritto accordi di associazione.

302 L'idea di una politica d'integrazione che si sostanzi nel conferimento, ai cittadini extraUE, di diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini UE è stata affermata al Consiglio di Tampere ed a quello di Stoccolma.

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uniformi minime nell’Unione», e della riduzione della «concorrenza sleale tra i cittadini di uno Stato membro e i cittadini di Paesi terzi derivante dall’eventuale sfruttamento di questi ultimi», muovendo, così, dalla consapevolezza che «i cittadini di paesi terzi contribuiscono all’economia dell’Unione con il loro lavoro e i loro versamenti di imposte».

Gli ambiti per i quali è prevista l’equiparazione tra cittadini UE e cittadini di Paesi terzi sono a) le condizioni di lavoro

b) la libertà sindacale

c) l’istruzione e la formazione professionale,

d) il riconoscimento di diplomi e titoli professionali e) la sicurezza sociale

f) le agevolazioni fiscali

g) l’accesso ai beni e servizi offerti al pubblico, incluse le procedure per l’ottenimento di un alloggio

h) servizi di consulenza forniti dai centri per l’impiego303.

L'effettività del principio della parità di trattamento negli ambiti summenzionati, e la conseguente convergenza verso gli altri status di cittadini di Paesi terzi, cui è già assicurata tale parità ai sensi delle norme UE, dipenderà in larga misura dalle restrizioni che gli Stati applicheranno alla portata di tale principio a livello nazionale.

La direttiva contempla infatti ampiamente questa possibilità304: l’art. 12 par. 2 prevede la possibilità per gli Stati membri di derogare o restringere l’estensione dell' equiparazione nei settori di cui alle lettere c), e), f) e g)305.

Preme poi evidenziare alcuni aspetti in riferimento agli ambiti della sicurezza sociale e dell’accesso all’alloggio. Per quanto riguarda il primo aspetto agli Stati membri è consentito di limitare l’accesso alla sicurezza sociale per i lavoratori di Paesi terzi che lavorano o hanno lavorato nello Stato membro ospitante per un periodo inferiore a sei mesi e sono registrati come disoccupati. Gli Stati membri possono inoltre escludere dall’accesso ai sussidi familiari determinate categorie di cittadini di Paesi terzi, quali i lavoratori extra UE autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore a sei mesi ed i titolari di un’autorizzazione al soggiorno per motivi di studio306.

Per quanto concerne il pari accesso ai beni e servizi offerti al pubblico, questo può essere

303 Art. 12 par. 1 direttiva 2011/98/UE.

304 Preme inoltre ribadire la clausola di opt out, valida anche in questo caso, prevista per Danimarca, Regno Unito e Irlanda, che non sono quindi soggetti alla sua applicazione.

305 Art. 12 par. 2, lett. a) direttiva 2011/98/UE.

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limitata ai cittadini di Paesi terzi che svolgono un’attività lavorativa307; è prevista, ulteriormente, la facoltà di limitare l’accesso all’alloggio308.

La direttiva in parola segna una tappa cruciale: «being in an intra UE cross-border situation is

no longer necessary for granting social rights of migrants». Essa permette inoltre «an immediate

legal inclusion of TCNs into the socio-economic order of the host state, thereby stressing the idea of inclusion through granting rights» 309. Pur tuttavia non si può trascurare il fatto che, se da un lato essa opera verso un'omogeneità della tutela dei cittadini di Paesi terzi finora non protetti dal principio di parità di trattamento, dall'altro, rischia di generare nuove diseguaglianze nella compagine sociale escludendo alcune categorie di migranti dal suo ambito di applicazione e introducendo nuovi criteri distintivi all'interno della categoria dei lavoratori extra UE, (si pensi all'inedita distinzione tra lavoratori extra UE che lavorano da più o meno di sei mesi di cui all'art 12). Così, se l'obiettivo proclamato e apprezzabile è quello dell'armonizzazione ai fini di una maggiore tutela, il rischio, che gli Stati dovrebbero fugare recependo la direttiva, è quello di una ulteriore stratificazione e differenziazione della categoria di cittadini di Paesi terzi, senz'altro motivata dall'attenzione verso le specificità di ciascuna categoria ma che può avere ricadute negative sull'uniformità della protezione del pari accesso ed esercizio dei diritti sociali310.

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