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DÉGUISÉES DE PRÉFERENCE NATIONALE”

4. SVILUPPI DELL’ANALISI COMPARATIVA

L’analisi comparata svolta nel presente Capitolo ha indagato i diritti sociali degli stranieri nell’esperienza italiana e francese sul piano legislativo, per comprendere se l’universalità – tratto qualificante dei diritti di cittadinanza sociale a livello costituzionale – ispira anche la loro attuazione legislativa o se, invece, esistono discrasie nella corrispondenza tra principi e regole operazionali in materia, la cui individuazione è parte essenziale del lavoro del comparatista. Anche in questo caso, per poter operare un’effettiva comparazione è parso opportuno seguire la regola metodologica “delle tre C” di J.-L. Constantinesco – affrontando dapprima la fase della conoscenza e poi della comprensione – attraverso la ricostruzione del quadro normativo in riferimento all’oggetto di indagine in Italia e in Francia.

La disamina è stata condotta seguendo un doppio binario ed ha coniugato la disciplina giuridica del soggiorno degli stranieri extraUE sul territorio nazionale e la relativa attribuzione dei diritti sociali, con la finalità di individuare i criteri stabiliti dal legislatore (e le dinamiche ad essi soggiacenti) per attivare il meccanismo della solidarietà verso l’“Altro”, tenendo doverosamente conto del fatto che le scelte giuridiche di entrambi i Paesi sono sempre più influenzate dal diritto dell’Unione europea775.

Del resto, come avvertito da tempo dalla dottrina comparatistica, al fine di «offrire un’immagine esatta della funzione del termine da comparare», occorre «comprendere nell’analisi l’esame di tutti gli istituti, affini o complementari, che sono teleologicamente imparentati e che esercitano su di esso un’influenza diretta o riflessa»776. In questo senso, dunque, l’indagine sui diritti sociali degli stranieri non può essere sganciata dal diritto dell’immigrazione giacché, per poter esercitare tali diritti, in via preliminare lo straniero deve essere ammesso all’ingresso ed al soggiorno nel territorio nazionale.

Dopo aver affrontato le prime due fasi del procedimento comparativo, attraverso le quali è stato possibile mettere in luce gli snodi in riferimento ai quali la declinazione legislativa del rapporto straniero-diritti sociali genera maggiori contraddizioni e conflitti, si può operare un raffronto tra l’esperienze italiana e francese evidenziando analogie e differenze.

Nonostante il fenomeno migratorio sia nato in epoche e modi diversi nei due Paesi, ci sembra che l’analisi comparativa metta in luce alcune similitudini. Se, in entrambi i casi, le Carte

775 V. supra Cap. 2.

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costituzionali connotano i diritti sociali in chiave universalista, svincolandoli da qualsiasi logica di appartenenza nazionale o territoriale, sul piano della traduzione legislativa alcuni elementi di criticità incidono in modo negativo sulla loro effettività.

Sotto un primo profilo, occorre considerare la discrasia tra l’inquadramento costituzionale dei diritti sociali come diritti fondamentali e la condizionalità finanziaria che incide sulla loro attuazione – specialmente alla luce della crisi economica che aggrava la già avviata fase di indebolimento del welfare state –, e mette in discussione la capacità dello Stato di garantire la realizzazione di quelle “obligations positives” che rendono effettiva la garanzia dei diritti fondamentali. Tale contesto accomuna i due Paesi oggetto d’indagine che, a seguito della ratifica del c.d. Fiscal compact, hanno istituzionalizzato, seppur con strumenti giuridici diversi, il principio del pareggio di bilancio.

Così, un elemento metagiuridico (la crisi economico-finanziaria) entra in modo dirompente nello schema comparativo per la sua capacità di “spostare l'asse” della traduzione legislativa dei diritti, in particolare quelli sociali, verso il polo esclusivo dell'appartenenza piuttosto che verso quello inclusivo dell'universalità. Del resto, è stato da tempo evidenziato come non si possa più mettere in discussione «l’importanza del fattore economico nell’elaborazione e nell’evoluzione del diritto». Nell’ambito di un’analisi comparativa, «la comprensione di una norma straniera, quindi, postula la conoscenza degli elementi economici che hanno contribuito a formarla»777.

La ridotta capacità degli Stati (cui, anche nell’era della globalizzazione, resta in capo l’onere di attuazione dei diritti) di rispondere a bisogni sociali sempre più ampi e diversificati si traduce nella previsione di vari requisiti per l’accesso a servizi e prestazioni di tipo sociale che sembrano premiare l’appartenenza, sia nella forma della cittadinanza nazionale o europea sia, più recentemente e più spesso, della permanenza prolungata sul territorio.

L’analisi storico-comparativa del diritto dell’immigrazione in Italia e Francia mette in luce che in entrambi i Paesi esso si caratterizza essenzialmente secondo due profili, la cui combinazione nelle diverse fasi storiche ha modellato progressivamente la condizione giuridica dello straniero: da una parte il controllo dei flussi migratori ed il contrasto all’immigrazione irregolare, dall’altra la regolamentazione del regime dei titoli di soggiorno.

Sotto il primo profilo, la “frenesia normativa” degli ultimi decenni, dettata dai diversi indirizzi politici succedutisi nel tempo e dall’incidenza del diritto dell’Unione europea, ha agito inasprendo le misure contro l’immigrazione irregolare. Sotto il secondo profilo, i numerosi interventi legislativi hanno sviluppato una progressiva proliferazione delle tipologie di permessi di soggiorno, riproponendo quella “pluralità statutaria disorganizzata” osservata a livello dell’Unione europea e

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muovendo verso una crescente frammentazione e precarizzazione dello statuto giuridico del non cittadino regolarmente soggiornante (a tale riguardo si può richiamare l’esempio dell’evoluzione della disciplina della carte de résident in Francia e dell’istituto del contratto di soggiorno in Italia).

Ciò si riflette poi in modo diretto sull’accesso ai diritti sociali, articolato secondo vari gradi di attribuzione che si è proposto di classificare secondo un criterio di condizionalità crescente, seguendo le diverse combinazioni tra titoli di soggiorno e relativa spettanza di diritti778. Così, ad esempio, il diritto alla salute – diritto fondamentale strettamente connesso alla tutela della dignità umana e della vita stessa – assicurato a ogni individuo seppur nella sua veste minima di noyau dur, rischia di essere svuotato di effettività per gli stranieri irregolari alla luce della logica securitaria che caratterizza in modo decisivo le leggi sull’immigrazione (si pensi all’inasprimento della regolamentazione del soggiorno degli étrangers malades operato dalla loi Besson francese ed ai profili afflittivi introdotti in Italia con la l. 94/2009).

Uno degli aspetti in riferimento al quale risulta più evidente lo scollamento tra diritti costituzionali e legislazione ordinaria (ma anche tra tutela della dignità umana e condizionalità finanziaria, tra universalismo e logiche di appartenenza) è la regolamentazione dell’accesso alle prestazioni sociali, condizionato nei due Paesi al possesso di una combinazione di vari (e mutevoli) requisiti e dunque, ci sembra, paradigmatica della continua (e problematica) rideterminazione dei contenuti e dei beneficiari dei diritti di cittadinanza sociale. Se il criterio della cittadinanza nazionale (o europea) è stata giudicato contrario al principio eguaglianza sia dalla Corte costituzionale italiana che dal Conseil constitutionnel francese, attualmente il diritto alle prestazioni sociali è subordinato ad altri (progressivamente più severi) requisiti quali il possesso di una determinata tipologia di permesso di soggiorno e/o della residenza qualificata, derogando sempre più spesso all’equiparazione tra straniero regolarmente soggiornante e cittadino779. Pur nella necessità di introdurre criteri in base ai quali individuare i beneficiari dei diritti di cittadinanza sociale, specialmente in una fase di forte contenimento della spesa pubblica, la combinazione di tali criteri rischia di riproporre forme implicite di “préference nationale” soprattutto perchè la residenza qualificata si configura sempre più come un requisito aggiuntivo richiesto soltanto a talune categorie di cittadini di Paesi terzi 780 (si pensi alle prestazioni di minima sociaux RSA, ASPA e ASI

778 Su questi profili si veda L. Ronchetti che nota come, in molti ordinamenti, è «proprio sulle forme giuridiche del soggiorno che si stanno mettendo in atto dispositivi particolarmente insidiosi che finiscono per limitare, da un lato, il reale godimento dei diritti che compongono la cittadinanza sostanziale, dall’altro, (…) l’acquisto della cittadinanza de

jure», in ID., La cittadinanza sostanziale tra Costituzione e residenza: immigrati nelle Regioni, cit.

779 Cfr. F. Biondi dal Monte, Lo Stato sociale di fronte alle migrazioni. Diritti sociali, appartenenza e dignità della

persona, cit., p. 40 ss.

780Sul tema F. Scuto, Le Regioni e l’accesso ai servizi sociali degli stranieri regolarmente soggiornanti e dei cittadini

dell’Unione, cit., p. 56 ss.; A. Guazzarotti, Lo straniero, i diritti, l’eguaglianza, in Questione Giustizia, 1/2009, p. 87 ss.; V. Donier, Les ambivalences du critère de la résidence dans le cadre de Revenu de solidarité active, cit., p. 68; A.

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francesi e alle legislazioni della Provincia autonoma di Bolzano, della Regione autonoma Trentino Alto Adige e della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia). Non vi è dubbio che tale requisito costituisca «one of the few realistic ways of determining the obligations of individuals and public

authorities to each other»781. Ciononostante il vincolo della residenza qualificata risulta ambivalente perché, di fatto, discrimina indirettamente i non cittadini (UE ed extraUE) che più difficilmente potranno soddisfarlo e, se declinato secondo modalità spropositate, rischia di generare nuove linee di frattura sociali e nuove diseguaglianze782.

L’effetto paradossale dell’applicazione di tali vincoli (descritto con l’immagine del “corto circuito normativo”783) è quello di favorire l’erogazione di prestazioni sociali legate al sostentamento della persona agli stranieri che hanno già effettuato un percorso di integrazione socio-economica, (ad esempio i soggiornanti di lungo periodo) mentre si rendono difficilmente praticabili le condizioni di accesso per i soggetti maggiormente precari e vulnerabili, che più difficilmente avranno maturato l’anzianità di residenza necessaria per poter usufruire delle provvidenze assistenziali784. Se al quadro finora delineato si annettono le considerazioni svolte

supra con riferimento alla pluralità statutaria disorganizzata emerge la valenza escludente di tali requisiti e più generale la constatazione che , in entrambi i Paesi oggetto di indagine, il discorso della sostenibilità economica dei droits créances alimenta la tensione tra universalisme e

nationalisme.

Se si volge lo sguardo alle differenze tra i due Paesi, va senz’altro considerato un aspetto importante – già evidenziato nell’Introduzione – ossia l’impatto del diverso tipo di decentramento territoriale sull’intersezione tra immigrazione e solidarietà. Sebbene «le paysage de l’aide sociale

Math, Minima sociaux: nouvelle préference nationale?, cit., p. 32 ss. Sulla residenza qualificata come preferenza nazionale sotto mentite spoglie cfr. L. Ronchetti, La cittadinanza sostanziale tra Costituzione e residenza: immigrati

nelle regioni, cit.

781 G. Davies, “Any Place I Hang My Hat?” or: Residence is the New Nationality, cit., p. 43. Sulle ambivalenze del requisite della residenza cfr. V. Donier, Les ambivalences du critère de la résidence dans le cadre de Revenu de

solidarité active, cit., p. 63 ss.; F. Biondi dal Monte, Lo Stato sociale di fronte alle migrazioni. Diritti sociali,

appartenenza e dignità della persona, cit., p. 40 ss.

782 Sui profili controversi del criterio della residenza regionale in Italia, ancorché applicata sia ai cittadini che agli stranieri, Gorlani nota che, se diventa «un elemento preferenziale o addirittura esclusivo per la selezione dei destinatari delle politiche regionali, rischia di essere intaccato quel principio di unità e indivisibilità dell’ordinamento che la Costituzione ha inserito tra i principi fondamentali proprio per metterlo al riparo dalle tentazioni autonomistiche più estremiste. È infatti proprio dietro queste politiche preferenziali o escludenti che si celano le più insidiose minacce alla tenuta unitaria dell’ordinamento, perché si creano barriere, rivalità e campanilismi tra enti territoriali, spesso addirittura all’interno della stessa Regione o della stessa Provincia». Cfr. M. Gorlani, Accesso al welfare state e libertà di

circolazione: quanto pesa la residenza regionale?, in Le Regioni, 2-3/2006, p. 361. In questo senso anche F. Corvaja,

Cittadinanza e residenza qualificata nell’accesso al welfare regionale, cit., p. 1257 ss.

783 B. Pezzini, Lo statuto costituzionale del non cittadino: i diritti sociali, cit., p. 19.

784 Se, a seguito delle pronunce della Consulta, in Italia vi sono stati alcuni interventi che sembrano in parte modificare tale tendenza (si pensi, ad esempio, alla riformulazione in senso inclusivo dei criteri di accesso al welfare regionale in Friuli Venezia Giulia ed alla circolare INPS che prevede l’estensione del novero dei beneficiari delle prestazioni assistenziali di invalidità civile), il quadro normativo francese non ha invece subito modifiche in tal senso.

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en France se caractérise par une multitude d’intervenants»785, l’esercizio delle loro funzioni amministrative è subordinato alla decisione legislativa statale e comporta una maggiore omogeneità giuridica786.

Nel caso italiano, per un verso, la molteplicità dei livelli di intervento nella disciplina legislativa della materia dell’assistenza sociale declina la tensione tra universalisme e nationalisme secondo criteri locali espressione di sistemi di welfare regionali disomogenei a causa delle diverse capacità fiscali dei singoli enti territoriali (spesso a detrimento di una uniforme garanzia dei diritti sociali di cittadini e stranieri)787. Per altro verso, si può qui proporre di considerare che la regolamentazione dei diversi profili dell’immigrazione condivisa tra Stato e Regioni (oltre al settore dell’assistenza sociale, si pensi alla salute, all’istruzione, all’abitazione) veicola una molteplicità di “visioni” della figura del non cittadino. Seppure spesso in collisione (si pensi al contraddittorio Stato-Regioni in materia di leggi regionali dedicate all’integrazione degli immigrati) tali diversi sguardi mantengono “fluido” e “aperto” il concetto di straniero, evitando (forse) che esso si cristallizzi irrimediabilmente nella logica securitaria delle lois de polices o nell’idea della sua equiparazione a fardello per il Welfare state, declinata funzionalmente al quadro di forte crisi economica, e che invera la considerazione secondo cui non di rado gli istituti e le regole «rispondono a un preciso bisogno avvertito sul piano economico o politico, in una data epoca e situazione»788.

Pertanto, «per comprendere il termine da comparare, lo studioso è obbligato a esaminare questi fattori metagiuridici, i quali ne giustificano la nascita o la funzione»789. In altri termini, per dirla con Pfersmann, «le droit comparé naît du travail de reconstitution des contextes»790. A tale proposito si può qui richiamare anche il concetto di comparative legal corporealogy introdotto da Wigmore – che lo identifica con lo studio dei fondamenti sociali e politici dei diversi ordinamenti – incluso nel più ampio ambito di applicazione della comparazione giuridica intesa come nomogenetica (Nomogenetics), finalizzato all’analisi degli istituti giuridici in prospettiva diacronica e

785 Cfr. N. Catalyud, Les conditions d’accès des étrangers aux aides locales en France, in O. Lecucq, H. Alcaraz (dir.),

Collectivités territoriales et integration des étrangers, Paris, 2013, pp. 59 e 58. Su questi profili si veda supra Par. 2.3.

786 Su questi profili cfr. E. Grosso, Francia,cit., p. 181. Si vedano tuttavia i già menzionati profili di differenziazione territoriale in alcune collectivités d’outre mer riguardo ai requisiti di accesso a prestazioni di minima sociaux (ad esempio RSA) per alcune categorie di stranieri. Sull’applicazione territorialmente differenziata del dispositivo RSA, cfr. V. Donier, Les ambivalences du critère de la résidence dans le cadre de Revenu de solidarité active, cit., p. 63 ss.

787 Sulle potenzialità ed i rischi del sistema delle “cittadinanze locali” per i non cittadini cfr. F. Biondi dal Monte, Lo

Stato sociale di fronte alle migrazioni. Diritti sociali, appartenenza e dignità della persona, cit., p. 29 ss.

788 J.-L. Constantinesco, Il metodo comparativo, cit., p. 189.

789 Ibidem.

790 O. Pfersmann, Le droit comparé comme interprétation et comme théorie du droit, cit., p. 285 e 287. L’A. sottolinea tuttavia che se, a livello nazionale, «les solutions nationales sont issues de débats politiques et de contextes

extrajuridiques spécifiques qui se prolongent dans les conceptions juridiques nationales», questi «disparaissent dans

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