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L’“accordo”… anzi il “disaccordo” fra l’ordinamento intersindacale e l’ordinamento statale

Nel documento Legge o contrattazione? (pagine 33-37)

Si è parlato di una scommessa ambiziosa, peraltro ancora affidata ad accordi interconfederali limitati ai soli settori industriali e anche rispetto a questi biso-gnosi di essere implementati dai necessari regolamenti categoriali. Ma essa ri-sulta già tale da prospettarsi come auto-sufficiente perché omni-inclusiva: non bisognosa di alcuna legge per giustificare quell’efficacia generalizzata della contrattazione cui aspira in termini di effettività proprio perché aperta ed ac-cessibile a livello di categoria a chi raggiunga la soglia del 5% richiesta per garantirgli una partecipazione alla “delegazione trattante” e a livello di azienda a chi consegua la cifra elettorale necessaria ad assicurargli una presenza nella RSU.

Solo che le parti costituenti – garanti, prime e maggiori beneficiarie – sono e restano le grandi Confederazioni dei lavoratori, cioè Cgil, Cisl, Uil, sì che la tenuta di una tale costruzione dipende da una condizione quale quella della lo-ro unità largamente rimessa alla congiuntura politico sindacale; e la non

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tenziale ma effettiva estensione della stessa dipende dalla disponibilità ad en-trarvi in una posizione minoritaria delle altre organizzazioni sindacali.

Ma una scommessa è tale perché consegnata all’incertezza di un futuro qui di-pendente in larga misura dagli stessi giocatori. Solo che la spinta inclusiva sembra tale da mettere a rischio la stessa funzionalità di quel sistema articolato su un doppio livello che si intende conservare: la richiesta della sottoscrizione del contratto di categoria da parte di almeno il 50% + 1 rischia di mettere di fronte all’alternativa di una situazione di stallo o di una uscita dal sistema; la previsione della firma del contratto aziendale da parte della maggioranza di una RSU eletta proporzionalmente rischia di far saltare qualsiasi raccordo

“soggettivo” (in termini di soggetti stipulanti) con un contratto di categoria an-cora costruito tutto su un raccordo “oggettivo” (in termini di materie delegate).

Nella prospettiva qui privilegiata interessa in particolare l’impatto con l’ordinamento in cui tale sistema deve collocarsi, cioè il nostro diritto sindaca-le quasindaca-le scritto nei codici e interpretato dai giudici. A dar per scontato anche per il futuro prossimo venturo l’indirizzo consolidato del Giudice delle leggi, pare del tutto sbarrata la via ad una ricezione legislativa della procedura pre-scritta per conferire alla contrattazione di categoria efficacia erga omnes; men-tre pomen-trebbe restare perlomeno semi-aperta quella di una traduzione legislativa prevista per attribuire alla contrattazione aziendale efficacia generalizzata, se correlata ad una riscrittura dell’art. 19, lett. b, in conseguenza di C. cost. n.

231/2013. Certo quella giurisprudenza ordinaria già incline a riconoscere alla contrattazione aziendale tale efficacia, potrebbe trovare proprio nell’osservanza della procedura in parola un’argomentazione ulteriore a favore della sua tesi.

Un problema non da poco è costituito dal raccordo con la c.d. contrattazione delegata, che lo stesso accordo interconfederale del giugno 2011 inserisce a pieno titolo nel sistema, laddove, come ricordato, al punto 2, parla di una con-trattazione collettiva aziendale che «si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte dal contratto nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”». Non v’è dubbio alcuno che la nozione di “comparativamente più rappresentativa”

di cui alla legislazione in materia, comunque la si definisca rimanga legata ad indici presuntivi e costruita in termini comparativi da verificare ai previsti li-velli non solo nazionali ma anche territoriali ; mentre la nozione di “rappresen-tatività” di cui all’accordo sia correlata a criteri effettivi e configurata in ter-mini assoluti da accertare ai soli livelli categoriali. C’è, però, da chiedersi, se la giurisprudenza ordinaria non sarà tentata di leggere la nozione presuntiva legislativa alla luce di quella effettiva contrattuale, almeno laddove la ricaduta

Alice non abita più qui (a proposito e a sproposito del “nostro” diritto sindacale) XXXV

di una siffatta sostituzione non sia chiaramente contrastante con la ratio della norma.

Comunque è del tutto evidente e percepibile l’effetto destabilizzante esercitato su un sistema di contrattazione articolato, che bon gré mal gré vede il contrat-to di categoria come cardine su cui ruota quello aziendale, di un flusso legisla-tivo cresciuto ormai fino a divenire imponente il quale investe autonomamente lo stesso contratto aziendale di competenze integrative, derogatorie, suppletive rispetto alla normativa in vigore. Ciò con una duplice aggravante, che le asso-ciazioni di volta in volta qualificabili come comparativamente più rappresenta-tive non è per nulla detto siano al tempo stesso firmatarie del relativo contratto di categoria e, comunque, procedano di comune accordo con riguardo al con-tratto aziendale; e che le materie delegate ex lege non è per nulla scritto non siano già state considerate e disciplinate diversamente dal relativo contratto di categoria.

Tutto questo è esemplificato al limite dell’assurdo proprio dall’art. 8 della l. n.

148/2011, su cui è d’obbligo rinviare a quanto già osservato in precedenza.

Giunto a questo punto, il paziente lettore, per quanto affaticato, sentirà affiora-re al suo labbro quella che è la domanda coraffiora-rente: “E ora, dopo C. cost. n.

231/2013?”. Avendone scritto ad abundantiam altrove mi limiterò a segnalare come ad applicare alla disciplina interconfederale qui considerata questa sen-tenza presa alla lettera, cioè come tale da ritenere sufficiente la partecipazione attiva a’ sensi dell’art. 19, lett. b, Stat. lav., ne dovrebbe seguire che tutte le organizzazioni di categoria ammesse alla conclusione di un contratto di cate-goria applicato nell’unità produttiva di riferimento, per avere raggiunto la fati-dica soglia del 5%, avrebbero titolo ex lege a costituire proprie RSA. Solo che, poi, nulla impedirebbe loro, di chiamarsi fuori dall’obbligo ex contractu circa la rinuncia alle proprie RSA a favore delle RSU.

Meno semplice si presenta la problematica relativa alla disciplina interconfe-derale dettata per la contrattazione aziendale, perché qui la legittimazione a negoziare è attribuita in via preferenziale dall’accordo interconfederale del giugno 2011, punto 4, alle RSU «elette secondo le regole interconfederali vi-genti», cioè a regime, «con voto proporzionale» come recita il protocollo d’intesa del maggio 2013, sub Misurazione della rappresentatività, punto 6.

Ora le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo di categoria, pur se prive di una qualsiasi presenza nella RSU potranno sempre far valere ex lege il diritto di costituire RSA, mentre quelle non firmatarie, se pur presenti o addirittura maggioritarie nelle stesse RSU, non lo potranno far valere mai.

Chi scrive si sente di adattare alla bisogna il celebre grido che Anton Cechov strappa alle “Tre sorelle”: “Alla legge! Alla legge! Alla legge!”, con l’auspicio

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che non rimanga un appello senza eco. Ma quale debba essere questa legge è altra storia, che mi piacerebbe raccontare in compagnia di qualche collega.

Parte I

ORDINAMENTO SINDACALE

Nel documento Legge o contrattazione? (pagine 33-37)

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