“comparativamente più rappresentativa”
Il primo a prender atto che la nozione di “maggiormente rappresentativa” era strettamente legata alla lett. a dell’art. 19 Stat. lav., tanto da vivere e morire con essa, sarà proprio il Parlamento, il quale la verrà sostituendo con quella di
“comparativamente più rappresentativa”, nella legislazione successiva.
Il fatto è che la nozione di “maggior rappresentatività” era declinata con ri-guardo alle Confederazioni, che la possedevano in via originaria e la trasmet-tevano alle Federazioni aderenti in via derivata. Sicché, per quanto tale nozio-ne fosse stata dilatata dalla giurisprudenza, conservava pur sempre una notevo-le capacità senotevo-lettiva, idonea a giustificare l’attribuzione ad esse e alnotevo-le loro Fe-derazioni di una delega ad integrare, derogare, disciplinare pro parte od in toto la normativa statale. Una volta espulsa quella nozione dallo Statuto a seguito di una consultazione referendaria che la trovava verticistica e burocratica, non era politicamente più spendibile con riguardo alla c.d. contrattazione delegata destinata ad espandersi enormemente proprio nella stagione post-referendaria.
Alice non abita più qui (a proposito e a sproposito del “nostro” diritto sindacale) XXIII
Stagione, questa, aperta al termine dell’ultimo decennio del secolo precedente e proseguita nel corso del primo decennio dell’attuale, tutta all’insegna di una flessibilità attuata secondo una ricetta volta a volta diversa nel quantum di duzione della precedente dote garantista, operato direttamente dalla legge e ri-spettivamente affidato alla negoziazione.
Il legislatore non troverà di meglio che far ricorso alla nozione di “comparati-vamente più rappresentativa”, declinata con rispetto ad associazioni sindacali nazionali e/o territoriali, che la conseguivano in via originaria. Già fin dalla stessa denominazione la nozione non solo si distaccava, ma si contrapponeva a quella precedente, perché comportava una valutazione comparativa che la Cor-te aveva assolutamenCor-te escluso poCor-ter venire in rilevanza con riguardo all’art.
19, lett. a, Stat. lav.
Nel vuoto creato dalla cancellazione della lett. a, la nozione in parola non do-veva servire ad includere “i soliti noti”, che si consideravano interessati ad uti-lizzare il potere concesso dalla legge in modo coerente rispetto ad un sistema di cui erano coprotagonisti; ma ad escludere “gli insoliti ignoti”, che si teme-vano disposti ad usare tale potere in modo destabilizzante riguardo ad un ordi-ne contrattuale del quale non erano partecipi.
Ma così la rappresentatività risultava generica, perché, una volta declinata a favore di associazioni sindacali nazionali o territoriali, rimaneva priva della se-rie di indici presuntivi elaborata a misura delle Confederazioni con riguardo alla lett. a, senza che ne venisse fornita alcuna altra condivisa. E, al di là di qualsiasi intenzione, riusciva a-selettiva, perché, una volta tradotta in termini di comparazione, poteva dar vita solo ad una graduatoria di più e di meno, senza che ne derivasse di per sé alcuna regola circa la soglia di ammissio-ne/esclusione.
Eppure sarà proprio questa nozione di “comparativamente più rappresentativa”
ad accompagnare la crescita accelerata della c.d. contrattazione delegata, pe-raltro senza alcuna sistematicità o coerenza, tanto da dar luogo ad un’autentica giungla degli ambiti territoriali in cui calcolarla, dei livelli contrattuali rispetto a cui considerarla rilevante, degli effetti riguardo a cui ritenerla fonte produtti-va.
Senza alcuna pretesa che non sia quella di offrire una tipologia approssimata, quale resa possibile da questa panoramica succinta, sembra possibile individu-are una triplice variante, distinta e graduata in ragione della ampiezza ed inci-sività della delega legislativa effettuata a favore della contrattazione collettiva.
La prima che costituisce la regola – tanto da ritrovarla nel pacchetto Treu, nel-la legge Biagi, nelnel-la legge Fornero, dal 1997 al 2011 – è definibile come soft, per essere la delega limitata a casi specifici e ad interventi limitati con
riguar-XXIV Franco Carinci
do ai regimi di singoli contratti, rapporti, istituti. La seconda, che vuole appari-re come un’eccezione giustificata dal particolaappari-re caratteappari-re del suo oggetto, cioè di un apprendistato professionalizzante convertito ormai in uno strumento oc-cupazionale col momento formativo rimesso di diritto e di fatto nelle mani del datore di lavoro, è individuabile come hard, per essere la stessa delega estesa a’ sensi del TU n. 167 del 2011 all’intera disciplina generale, se pur nell’osservanza di principi e criteri fissati dalla legge.
La terza variante introdotta da quell’art. 8, l. n. 148/2011, costituisce un’improvvida forzatura da parte del legislatore dell’accordo interconfederale del giugno 2011, tanto da essere esorcizzato formalmente dalle stesse Confe-derazioni, con l’aggiunta di una postilla al testo definitivo del settembre dello stesso anno; e da essere passato sotto silenzio dal legislatore successivo, ecce-zion fatta per un tentativo di restituirgli un minimo di visibilità compiuto dal d.l. n. 76/2013, subito respinto al mittente in sede di conversione.
Quell’articolo rimane non solo scritto nell’ordinamento, ma, a quanto si dice, viene anche utilizzato, specie nel meridione, se pur in modo non esplicito, tando sul complice consenso di quanti ne traggono comunque beneficio, con-trabbandando un peggioramento, peraltro non di rado solo formale, del loro trattamento normativo ex lege ed ex contractu con il mantenimento del posto di lavoro.
A dire il vero più che introdurre una terza variante, quell’art. 8 testimonia un tentativo, politicamente rozzo e tecnicamente approssimativo, di conservare una capacità di proposta ad associazioni legittimate da una rappresentatività extra-aziendale presuntiva, con la conferma “democratica” aziendale rimessa nelle mani delle rappresentanze sindacali costituite da quelle stesse associa-zioni.
Da un lato, si continua nel ricorso alla nozione generica ed aselettiva di «asso-ciazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazio-nale e territoriale» per attribuire a queste la facoltà di concludere contratti ter-ritoriali e aziendali contenenti intese derogatorie a tutto campo alla disciplina collettiva di categoria e alla stessa normativa di legge; dall’altro si fa riferi-mento a «loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della nor-mativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011» che, peraltro, «loro» non possono essere di per se stesse, ma solo se ed in quanto realizzino la condizione di cui all’art.
19, lett. b, cioè di poter già contare, ieri, sulla partecipazione attiva più la sot-toscrizione, oggi, sulla sola partecipazione attiva alla conclusione di un con-tratto collettivo applicabile nell’unità produttiva di riferimento.
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A quanto è dato intendere, le intese derogatorie se sottoscritte da quelle stesse rappresentanze sindacali «sulla base di un criterio maggioritario» hanno «effi-cacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati». Ma, una volta dato per scontato che si debba far riferimento alle rappresentanze sindacali aziendali dell’art. 19, lett. b, Stat. lav., risulta poco comprensibile il riferimento all’accordo interconfederale del giugno 2011, che privilegia le rappresentanze sindacali unitarie, se pur senza escludere quelle aziendali; ma soprattutto non è affatto chiaro quale debba essere e come debba operare un siffatto criterio de-mocratico, per poter legittimare, anche politicamente, un’efficacia derogatoria erga omnes potenzialmente estendibile a gran parte della normativa assistita fino a ieri da una ferrea inderogabilità.
Tutto questo a prescindere da un duplice annoso problema ben lungi dall’essere risolto se si tiene fermo l’indirizzo interpretativo formulato dal Giudice delle leggi. In primis, è tutto da vedere se l’art. 39, commi 2 ss., Cost.
valga solo per la contrattazione di categoria, essendone la ratio totalmente e-stendibile a quella territoriale o aziendale, senza trovare ostacolo in una lettera formulata in assenza della stessa idea di una contrattazione decentrata. E, poi, è tutto da verificare se il patrimonio garantista costruito a misura del rapporto di lavoro subordinato possa essere smobilitato con la solo generica salvaguar-dia costituita dalla formula anodina «Fermo restando il rispetto della Costitu-zione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle conven-zioni internazionali del lavoro» senza esporsi al rischio di alterarne lo stesso tipo costituzionalmente eletto a fondamento privilegiato del sistema costitu-zionale; e ancor di più, se tale patrimonio possa essere compromesso tramite un meccanismo privatistico, poco affidabile nel suo svolgimento, perché sog-getto al rischio di un negoziato condotto “sotto ricatto” e molto preoccupante nel suo risultato, perché esposto al pericolo di un diritto del lavoro “spezzati-no”.
9. La vicenda tragi-comica della incentivazione delle voci retributive