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Il valore storico dell’ordinamento intersindacale

Nel documento Legge o contrattazione? (pagine 63-66)

Esiste ancora un ordinamento intersindacale? *

2. Il valore storico dell’ordinamento intersindacale

La vicenda dell’ordinamento intersindacale porta con sé un tema correlato in modo inestricabile, il raccordo fra diritto comune ed esperienza sindacale20; se il primo è la sede regolativa della seconda, almeno nel diritto dello Stato, ci si deve domandare come abbia luogo tale disciplina e, a fronte di una valutazione della stessa esperienza, quale diritto privato debba essere invocato. La risposta può sorprendere; come l’ordinamento intersindacale è stato caratterizzato da una profonda e prolungata modificazione strutturale21, che ha portato alla sua scomparsa, così il rinvio al diritto civile è cambiato e il termine di riferimento è mutato, nonostante … in larga parte le disposizioni dedicate ai contratti in generale siano rimaste le stesse. Però, a fronte delle medesime indicazioni te-stuali, non si può dire uguale il diritto e, cioè, non solo le norme, ma il sistema complessivo.

Nel contesto nel quale è stata pensata la teoria dell’ordinamento intersindacale non ha qualificato l’esercizio della libertà, ma (seppure nei confini positivisti-ci) ha ricomposto l’aspirazione dei soggetti collettivi a essere i motori esclusi-vi del loro destino negoziale, con la connessa rinuncia al modello di contratto costituzionale. Finché l’ordinamento intersindacale è stato riconoscibile, esso ha avuto come ispirazione centrale la devoluzione all’accordo della sua stessa ragione di essere. Non a caso, a proposito dell’intesa collettiva, si è osservato che, nell’ordinamento intersindacale, essa è «norma giuridica fondata, struttu-rata e garantita nelle forme specifiche di questo»22, mentre per lo Stato, non

17 Si veda L.GIUGNI, op. cit., 182 ss.

18 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 154 ss. Infatti, «la valutazione del tipo di rapporto che può intercorrere tra un ordinamento e un altro è, e può essere solo, una valutazione storica: essa è insomma un dato che va rilevato in un certo momento, e non può essere considerato assoluto».

19 In epoca passata, sulla loro pretesa insufficienza a spiegare il fenomeno sindacale, si veda T.

TREU, op. cit., 181 ss.

20 Si veda R.FLAMMIA, Contributo all’analisi dei sindacati di fatto, Giuffrè, 1963, 51 ss.

21 Si veda A.ORSI BATTAGLINI, op. cit., 235 ss.

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può se non «rilevare come contratto, e nei limiti soggettivi propri di questo», poiché «la postulata illimitata sovranità dell’ordinamento statuale nella valuta-zione dei fatti (normativi) di un altro ordinamento comporta come corollario il possibile verificarsi di una “bivalenza normativa”, onde talune norme signifi-cano un certo istituto in un ordinamento e un altro in uno diverso»23. Anzi, so-no stati citati «casi patenti di clausole nulle nei contratti collettivi, ma che vengono applicate dalle parti, perché le stesse riconoscono prevalente l’interesse a seguire la logica compromissoria della contrattazione piuttosto che assoggettarsi alle conseguenze, a volte sconvolgenti dal punto di vista con-trattuale, causate dall’accertamento di nullità»24.

Proprio per questa diversa valutazione degli stessi fatti da parte degli ordina-menti, la loro pluralità non implica alcuna deviazione da logiche di diritto po-sitivo, né alcuna abdicazione rispetto alla convinzione sulla centralità dello Stato; essa si può coniugare con la constatazione dell’avvenuta creazione di un compiuto modello di regolazione a fronte di un principio fondativo di matrice consensualistica. Per un verso, l’identificazione di tale ordinamento qualifica la libertà dei suoi protagonisti, per altro verso gli atti possono essere oggetto dell’attività normativa statale25. Ciò è sempre accaduto con i contratti collettivi e il loro essere frutto non di una episodica manifestazione di volontà, ma di uno strutturato e regolato sistema relazionale non influisce sul fatto che, ai fini dell’ordinamento dello Stato, debbano essere interpretati, qualificati ed esegui-ti sulla scorta del diritto privato.

A fronte del rifiuto del modello dell’art. 39 Cost., quello emerso sul piano sto-rico è stato il prodotto di una sistemazione stabile dei rapporti sociali26; essa rileva per la sua intrinseca importanza, anche in una logica alternativa rispetto alle inattuate impostazioni costituzionali. Ciò nulla toglie al fatto che i contrat-ti siano regolacontrat-ti dalla legge, perché il riconoscimento da parte dello Stato

23 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 153 ss.

24 Si veda L.GIUGNI, op. cit., 184 ss.

25 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 168 ss., per cui «la individuazione della possibilità di “cana-li” di comunicazione tra ordinamento statuale e ordinamenti particolari sembrerebbe così dare risposta al problema che ci si era posti originariamente: in aree di libertà dell’ordinamento sta-tuale possono formarsi ordinamenti particolari originari non avversati dal primo, e questa si-tuazione di indifferenze rispetto al loro sorgere non necessariamente deve ripercuotersi sui lo-ro plo-rodotti normativi, che possono rimanere irrilevanti per l’ordinamento statuale, ma posso-no, al contrario, sia pure in quanto ricreati dall’ordinamento statuale, essere suscettivi di pro-durre qualche effetto giuridico all’interno di questo ultimo. Ed è questa l’ipotesi di assorbi-mento».

26 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 41 ss., per cui «il giurista positivo […] non deve chiudersi nel guscio monolitico e dogmatico del diritto statuale».

Esiste ancora un ordinamento intersindacale? 29

«produce, ipso facto, il passaggio da una condizione iure proprio a una conce-zione giuridica nuova che può investire in parte o totalmente la vita dell’istituzione, può conferire a essa margini più o meno vasti di autonomia, ma non è più la condizione originaria»27.

Possono esistere sistemi anche complessi di relazioni industriali, frutto co-munque della libertà, i quali non costituiscono un ordinamento, perché non si pongono come fenomeno particolare, fondativo di una regolazione costruita dai protagonisti in una logica separata rispetto a quella dello Stato, seppure vi siano canali di comunicazione. Questo oggi accade in Italia. Lo scambio con-tinuo fra i soggetti collettivi a livello nazionale non è più espressione di un or-dinamento e, cioè, di una istanza giuridica strutturata creata dalle stesse asso-ciazioni, con l’identificazione di regole frutto dei loro comportamenti, nell’ambito dello spazio concesso dallo Stato e sulla scorta di un principio fondativo consensualistico. La riflessione sulla pluralità degli ordinamenti ri-mane di attualità sul piano teorico, ma essa non aiuta più a spiegare le condotte delle organizzazioni, prima di tutto perché queste guardano non alle loro ela-borazioni regolative, ma allo Stato quale luogo di composizione del conflitto, non solo nelle più aspre contrapposizioni aziendali, ma persino nei contrasti di carattere nazionale. Se il primo segnale del sussistere di un ordinamento è il suo porsi come garante della risoluzione delle controversie, sulla base dei principi del suo stesso venire a esistenza, la continua relazione fra i soggetti collettivi non si combina più con questa volontà di uniformare i rapporti a norme definite da loro stessi, poiché guardano ai giudici dello Stato quali arbi-tri della contrapposizione. Né può sfuggire come essa non sia solo più aspra per la gravità delle difficoltà economiche, ma provocata dalla deliberata volon-tà di tutti gli interlocutori di esercitare fino in fondo, da meri cittadini dello Stato, i poteri loro concessi dal diritto privato.

In questo sta la principale deviazione della situazione odierna da quella di qualche decennio fa, nel venire meno di comportamenti indicativi dell’appartenenza delle associazioni non solo a una comunità, ma a un sistema regolativo accettato in modo libero e non coincidente con quello dello Stato, poiché espressione degli stessi protagonisti e di loro radicata percorsi regolati-vi. Vi può essere qualche esagerazione nel riferire queste convinzioni a situa-zioni pregresse, da chi non è stato testimone di quella stagione; se vi sono ec-cessi nel difendere in tali termini il passato, si vorrà perdonare chi non lo ha vissuto. Però, interessa poco se e in quale misura si debbano lodare i predeces-sori. In discussione è l’impossibilità di ragionare del sistema attuale come di

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un ordinamento, a prescindere dal modo nel quale si voglia disegnare quanto è accaduto prima. Vi è da chiedersi quali siano le ragioni della trasformazione.

Nel documento Legge o contrattazione? (pagine 63-66)

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