Esiste ancora un ordinamento intersindacale? *
7. Può ritornare l’ordinamento intersindacale?
Non vi sono realistici segnali sul ritorno a breve dell’ordinamento intersinda-cale, quale spontanea costruzione di una esperienza comunitaria. Non si vuole sottovalutare l’importanza degli accordi interconfederali degli ultimi anni e si può sperare che, nel consolidarsi della prassi applicativa, essi possano contri-buire a dare uno svolgimento più preciso e pacato alle relazioni industriali, in particolare con l’esclusione del ricorso alle decisioni giudiziali. Tuttavia, per il modo nel quale sono concepiti, tali testi non sono l’indice del manifestarsi di un ordinamento a fini particolari, ma sono iscritti per intero e senza eccezioni nel diritto dello Stato, al quale rinviano in modo consapevole ed esclusivo.
Non caso, con riguardo a tali accordi, il problema fondamentale e di difficile soluzione è di distinguere le clausole obbligatorie da quelle normative, al fine di stabilire quali pattuizioni incidano sui rapporti individuali e, comunque, creino posizioni soggettive in capo a soggetti diversi dagli stipulanti. Nella sua stagione, l’ordinamento intersindacale non solo non ha avuto bisogno di intese
44 Enrico Gragnoli
che riassumessero i canoni fondamentali delle relazioni industriali, ma ha rap-presentato una alternativa rispetto a esse, perché i modelli di comportamento non sono stati identificati con atti formali, ma sono scaturiti dalla capacità di produzione regolativa della comunità, fondata su basi paritarie e, al tempo stesso, in grado di dare una disciplina avvertita dai suoi componenti come co-gente.
I contratti interconfederali sullo svolgersi delle trattative e sull’identificazione dei loro protagonisti sono l’antitesi dell’ordinamento e sono stati conclusi pro-prio perché è palese il venire meno delle condizioni culturali e sociali perché si possa dare una applicazione della teoria pluralista. Ora, domina incontrastato il solo diritto civile, nella sua forma originaria e priva di condizionamenti e cur-vature, e a esso spetta discriminare il legittimo dall’illecito, con la sostanziale equiparazione delle associazioni a qualunque soggetto voglia avviare un nego-ziato, nei più vari settori della nostra civiltà. Proprio per l’inconfigurabilità di un diverso ordinamento e di una regolazione che, seppure fondata su un diritto differente da quello dello Stato, lo ha influenzato e ne ha condizionato l’attuazione, è diventata impellente una decisione consensuale e formale su quanto è consentito. In carenza di tali tentativi negoziali, il sistema civilistico ha reso inevitabile un intervento troppo frequente e profondo del giudice, su materie le quali non lo tollerano.
Se mai avranno successo, gli accordi interconfederali saranno una alternativa sia alla giurisdizionalizzazione progressiva delle relazioni industriali, sia al tramonto dell’ordinamento intersindacale e, se non solo una soluzione frutto di una esperienza comunitaria e dalla sua capacità di regolazione informale, essi utilizzano la categoria del contratto in una chiave di generale impostazione di modelli di comportamento riconosciuti. Occorre attendere qualche anno per stabilire se, sul piano del funzionamento, questa strategia pattizia potrà ottene-re risultati accettabili e, sebbene essa sia iscritta per intero nel diritto dello Sta-to, non si può escludere una elevata effettività, in specie se l’incombere della crisi e il suo grave manifestarsi indurranno le associazioni a maggiore tempe-ranza e alla ricerca di una più leale collaborazione. In ordine agli esiti finali, si impone il massimo di prudenza, perché il passaggio a una simile specificazio-ne preventiva e consapevole di taluni meccanismi procedurali può contribuire alla chiarezza e contenere le tensioni, con una predeterminazione di quanto ciascuna organizzazione deve garantire e, per converso, si può attendere.
Proprio per la dichiarata stipulazione di un contratto che rinvia al solo diritto privato, senza alcun retroterra culturale condiviso, il superamento dell’ordinamento intersindacale può essere ritenuto definitivo, almeno nel me-dio periodo. Nulla lascia presagire il ricrearsi di condizioni analoghe a quelle
Esiste ancora un ordinamento intersindacale? 45
degli anni cinquanta e sessanta e, se mai, fermo il fatto che la teoria pluralista e non è stata in contraddizione con il positivismo, questi mesi vedono il ritorno a una logica monolitica di statalismo, con il contratto interconfederale chiama-to a garantire la pacifica stipulazione delle intese di categoria e con l’esaltazione non solo dell’autonomia, ma di una sua lettura che rimanda a qualunque possibile sviluppo coerente con il codice civile, senza condiziona-menti o forme di autolimitazione. Nel loro essere sempre più private, le orga-nizzazioni scoprono di essere anche quanto mai sole, nel fronteggiare in un clima di contrapposizione la sfida della crisi e quella apportata dai loro inter-locutori.
Con l’elaborazione consolidata, ma informale di regole del gioco frutto della pacifica e persino inconsapevole accettazione di una dimensione comunitaria, per un certo periodo il nostro sindacato ha tentato di allontanarsi da quello iso-lamento proprio della società moderna, per riproporre, nel rispetto reciproco, una cooperazione che fosse all’insegna della libertà, ma anche di una duratura, stabile e convinta convivenza. Forse, questo scenario ha facilitato forme di immoralità e una deriva consociativa. Tuttavia, a un simile tentativo, oggi fal-lito, non si può omettere di guardare con una certa nostalgia, poiché esso e-sprimeva la convinzione per cui, di fronte ai problemi economici, il dialogo non dovesse essere sempre imposto dall’interesse, ma potesse anche essere suggerito dalla convinzione.
Ora, di fronte al diritto privato e ai suoi accordi interconfederali, rimangono sole le ragioni contrapposte, nella brutale urgenza economica. Il contratto non è più espressione di una visione comunitaria, ma è funzionale a una precaria composizione delle aspettative, con l’imporsi delle aspirazioni di ciascun gruppo, secondo criteri di urgenza e di unilaterale prospettazione di un punto di vista specifico. Eppure, se la nostra civiltà continua a rinserrarsi nel contra-sto fra le esigenze in confronto dialettico, vi è da disperare che la sintesi possa essere conforme alle sfide. Se l’interesse collettivo non può essere confuso con quello pubblico, era consolatorio pensare che la sua scoperta e la sua identifi-cazione al momento della stipulazione del contratto non avesse alle spalle solo conflitti, ma la loro composizione in una visione ordinamentale del dialogo sociale. Era una accezione temperata e ragionevole dell’esercizio della libertà.
Vi è da chiedersi se, nell’infuriare di troppi scontri giudiziali, le associazioni di oggi guardino al passato come a una stagione di stucchevole romanticismo o non rimpiangano un mondo nel quale, almeno, l’accreditamento negoziale era scontato e la logica pattizia non aveva bisogno di essere oggetto di specifi-che clausole. Per chi non ha eccessiva fiducia nel diritto dello Stato, se la teo-ria pluriordinamentale non era una fuga dal positivismo, almeno era una forma
46 Enrico Gragnoli
di contenimento del ruolo insoddisfacente del nostro Stato persona nel gover-no dei processi ecogover-nomici. Quanto di liberale esprimeva l’ordinamento inter-sindacale viene a mancare in un momento nel quale simili risorse sarebbero indispensabili, per cementare una precaria coesione civile. In fondo, con la sua scomparsa, l’ordinamento intersindacale ha chiuso una pagina importante nella traiettoria della stessa nostra cittadinanza.