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La criticabile “ignavia” del legislatore e l’ingrato compito sostitutivo della Corte costituzionale

Nel documento Legge o contrattazione? (pagine 136-141)

Rappresentanza e rappresentatività sindacale dopo la sentenza

4. La criticabile “ignavia” del legislatore e l’ingrato compito sostitutivo della Corte costituzionale

Conclusa questa riflessione, permettetemi però di sviluppare qualche ulteriore considerazioni in merito all’ingrato compito che ancora una volta un legislato-re ignavo ha scaricato sulla Corte. A me palegislato-re evidente che la Corte non avesse

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alternative e che la soluzione adottata, per quanto lasci tra le mani degli opera-tori una disposizione la cui interpretazione ed applicazione sarà suscettibile di dar vita ad ulteriori faticose controversie – lo si intuisce già a prima vista: basti pensare la difficoltà di dare contenuto al concetto di partecipazione alle tratta-tive –, fosse inevitabile, onde non lasciare il sistema della rappresentanza in azienda e della titolarità dei diritti sindacali privo di qualsivoglia regolazione.

Il famoso horror vacui che ha caratterizzato da sempre la giurisprudenza della Corte in questa materia, la ha indotta, insomma, comprensibilmente, a non di-chiarare l’incostituzionalità totale, inventandosi questa soluzione compromis-soria.

D’altro canto, l’altra soluzione possibile, quella cioè di utilizzare nuovamente una sentenza interpretativa di rigetto, era di fatto preclusa dalla precedente sentenza del 1996, la quale, lo sottolineo, non aveva detto che era sufficiente la sola partecipazione alle trattative, in quanto aveva confermato la necessità della sottoscrizione di un contratto (normativo per giunta). Non dimentichia-moci, inoltre, e questo è un ulteriore aspetto di particolare interesse, che nella successiva ordinanza n. 345/1996 la Corte, posta di fronte al caso di un sinda-cato che, avendo partecipato alla trattativa, non aveva sottoscritto poi il con-tratto collettivo, ed era così stato escluso dall’accesso ai diritti sindacali, aveva affermato: «la tutela costituzionale dell’autonomia collettiva garantisce la li-bertà di decisione del sindacato in ordine alla stipulazione di un contratto col-lettivo con un certo contenuto, e dunque garantisce il sindacato contro com-portamenti dell’altra parte o di terzi, in particolare del potere politico, diretti a interferire nel processo di formazione della sua volontà, turbandone la libera esplicazione. Non di questo tipo è l’incidenza che sulle scelte del sindacato può avere la considerazione dell’effetto legale, esterno al contenuto del rego-lamento negoziale, collegato dall’art. 19 alla sottoscrizione [c.d.r.] di un con-tratto collettivo applicato nell’unità produttiva: l’alternativa […] può bensì in qualche misura condizionare il sindacato, ma non viziandone la determinazio-ne volitiva, bensì come fattore del calcolo costi-bedeterminazio-nefici che esso, come ogni contraente, deve compiere per valutare la convenienza di stipulare o no il con-tratto a quelle condizioni».

Confesso di essere rimasto molto meravigliato nel leggere questa ordinanza, perché siffatte categorie economicistiche possono senz’altro essere utilizzate quando si parla di rapporti negoziali tra semplici privati; nel caso della contrat-tazione collettiva operata dalle associazioni sindacali si è invece in presenza di un’attività che costituisce esercizio diretto ed immediato della libertà sindaca-le. Ciò significa che per un sindacato la decisione di non stipulare, dopo una trattativa spesso defatigante, un contratto che sia stato sottoscritto, per ipotesi,

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da altri sindacati, costituisce semplicemente una specifica modalità di eserci-zio della propria libertà sindacale.

L’evidenza di questa lettura a me è subito apparsa tale che, all’epoca, quella ordinanza della Corte mi sembrò davvero incomprensibile. Certo è che la sua assurdità è stata comprovata dalla sentenza n. 231/2013, la quale ha dovuto fa-re i conti anche con essa. Di qui l’ulteriofa-re conferma della sua “ineluttabilità”.

5. Le preoccupanti incertezze interpretative che affliggono il testo dell’art. 19 dopo la sentenza n. 231/2013

Lo stato attuale dell’arte, dunque, impone all’interprete, al fine di applicare l’art. 19, di verificare se un sindacato, indipendentemente dalla sottoscrizione di un contratto, abbia partecipato alle trattative per la sua stipulazione. A que-sto riguardo, tuttavia, mi pare che – come già emerso dalla discussione svilup-patasi nella tavola rotonda che ha preceduto la mia relazione – la soluzione da-ta dalla sentenza n. 231/2013 ai problemi di interpreda-tazione che si ponevano dopo la sentenza del 1996 non sia stata affatto definitiva. A parte il problema di individuare il parametro sul quale misurare l’effettività della forza contrat-tuale che consente ad un sindacato di accedere alla trattativa (profilo il quale ripropone la tematica del sindacato di comodo di cui all’art. 17 Stat. lav.), mi pare che sia non meno complessa la questione di cosa debba intendersi per partecipazione alle trattative per la stipulazione di un contratto collettivo.

L’idea, ad esempio che il sindacato debba restare incollato alla sedia del tavolo negoziale fino ad un momento prima della stipula, per poi potersene andare senza firmare, mi fa sorridere. Non c’è giuslavorista che si rispetti che non sappia quanto sottili e complessi siano i giochi negoziali nei confronti non sol-tanto della controparte, ma anche degli altri sindacati, e quanto essi siano stret-tamente intrecciati con i generali problemi di tenuta delle relazioni intersinda-cali; e l’alzarsi dal tavolo anche subito dopo l’inizio delle trattative sbattendo la porta rappresenta una legittima strategia negoziale. Così come analoga valu-tazione deve farsi rispetto all’eventuale rifiuto di riaprire, in una determinata contingenza, gli incontri per il rinnovo o l’integrazione di un contratto colletti-vo. Possibile sia tanto difficile comprendere che tutto ciò è senza alcun dubbio parimenti riconducibile al principio di libertà sindacale?

Dunque, se proprio la vogliamo dire tutta, io ritengo che, quantunque la sen-tenza n. 231/2013 rappresenti probabilmente il massimo sforzo che la Corte potesse fare la luce del dato normativo emerso dal referendum del 1995 (e dal-la propria precedente giurisprudenza…), essa risulti tuttavia del tutto

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guata a segnare una strada sicura e certa per la soluzione dei problemi della rappresentanza sindacale in azienda: la conflittualità giudiziaria che, ne sono sicuro, nei prossimi mesi esploderà nuovamente sugli aspetti appena eviden-ziati, ce ne darà presto conferma.

D’altro canto, e con queste considerazioni mi avvio verso la conclusione, un problema aggiuntivo rispetto alla questione della partecipazione alle trattative, è rappresentato senza dubbio dal richiamo che la stessa Corte, in un passaggio della sentenza n. 231, ha effettuato all’art. 28 Stat. lav. Sul punto credo sia do-veroso segnalare che questa apertura a un indirizzo interpretativo talora affio-rato in giurisprudenza confligge, secondo molti, con una razionale e sistemati-ca interpretazione del principio di libertà sindasistemati-cale di cui all’art. 39, comma 1, Cost. Al di fuori dei casi in cui la costituzione del tavolo contrattuale debba avvenire per vincolo derivante da precedente accordo (ipotesi in cui si può parlare di obbligo a negoziare di derivazione contrattuale), si è, infatti, nor-malmente esclusa la presenza di un generale obbligo giuridico gravante in ca-po al datore di lavoro (o alle associazioni datoriali) di contrattare con la con-troparte sindacale, proprio in virtù del principio di libertà sindacale di cui go-drebbe non solo quest’ultima, ma anche il primo. Principio che consente ai soggetti della negoziazione collettiva di “scegliersi” come interlocutori reci-proci sulla base di valutazioni totalmente incoercibili. Ammettere dunque, in caso di rifiuto datoriale a contrattare, la possibilità per uno specifico sindacato di ricorre all’azione per comportamento antisindacale significa alterare questo equilibrio.

Soltanto per tuziorismo mi sia consentito ancora segnalare che, da un punto di vista puramente teorico, la questione avrebbe potuto trovare soluzione al di fuori di un intervento sull’art. 39 Cost. solo qualora la libertà sindacale dei da-tori di lavoro e delle loro associazioni fosse stata ricondotta non a questa di-sposizione costituzionale, ma all’art. 41 Cost.; operazione interpretativa fino ad oggi sviluppata esclusivamente da una piccola parte della dottrina (me compreso), ma implicitamente non condivisa nemmeno dalla Corte costituzio-nale, che più volte ha ricondotto anche la libertà sindacale dei datori di lavoro all’art. 39, comma 1, Cost. Anche in tale caso, peraltro, al fine addossare a tali soggetti un siffatto obbligo, sarebbe stata necessaria una specifica previsione di legge.

Concludendo, si deve pur convenire che, a voler leggere, ancora una volta, la questione con gli occhiali della metodologia pluriordinamentale, un sindacato che abbia bisogno dell’art. 28 per uscire dall’angolo dell’esclusione dal tavolo delle trattative, nei fatti sta denunciando la propria debolezza nell’ambito dell’ordinamento intersindacale, in quanto fondato su base meramente

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taristica. E poi, si noti che, anche ad ammettere l’utilizzo dell’art. 28 in situa-zioni del rifiuto datoriale di accettare al tavolo della trattativa un determinato sindacato, l’azione per comportamento antisindacale non potrà essere utilizza-ta da tutti. Se è vero che l’art. 19 Sutilizza-tat. lav. fa riferimento a situazioni che si sviluppano a livello aziendale, è pur vero che l’art. 28 potrebbe essere utilizza-to solo se c’è un sindacautilizza-to nazionale che vi abbia interesse. In mancanza, l’associazione sindacale non ammessa al tavolo non potrà certo godere della protezione apprestata dalla norma statutaria.

La conclusione è che dopo la sentenza n. 231/2013 tutto e nulla è cambiato, e i problemi sul tappeto sono forse ancora più complessi di prima. Ritengo, dun-que, che sia opportuno, ed anzi inevitabile, rimboccarsi le maniche e preparar-si ad una ormai ineludibile riforma della rappresentanza e della contrattazione collettiva.

Prime osservazioni sulla sentenza n. 231/2013

Nel documento Legge o contrattazione? (pagine 136-141)

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