Esiste ancora un ordinamento intersindacale? *
5. Il significato della centralità del diritto civile e la libertà di azione del- del-le associazioni sindacali
Nella società contemporanea, di fronte al venire meno dell’ordinamento inter-sindacale e della convinzione dei soggetti di dovere rispettare criteri
52 Si veda V.SPEZIALE, op. cit., 363 ss.
53 Si veda M.G.GAROFALO, Per una teoria giuridica del contratto collettivo. Qualche
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ti, frutto delle loro decisioni, sulla loro attività e sul comporsi dei loro compor-tamenti, resta una sola risorsa regolativa, il diritto comune, che rimane l’unico sul campo e al quale è inevitabile chiedere la disciplina del negoziato e dei suoi prodotti, non solo a livello di categoria. Questo ritorno all’art. 39, comma 1, Cost. e alle disposizioni sui contratti in generale non è più mediato da un ordinamento a fini particolari, con il rinvio alle leggi dello Stato e ai suoi giu-dici e con la loro capacità di incidere sulle azioni collettive, con una intensità mai presente in passato. Sono venute meno (e non esistono più, oltre a non a-vere affatto carattere giuridico) quelle “regole del gioco” (se si consente una simile espressione colloquiale) prima centrali nell’impostazione del “farsi”
dell’accordo e del dialogo a esso precedente e conseguente.
A conferma del fatto che, seppure sul piano metodologico e per illustrare il di-ritto dello Stato, la teoria della pluralità degli ordinamenti aveva colto nel se-gno, si può aggiungere che il diritto privato di oggi non è quello dell’immediato dopoguerra e, comunque, degli anni cinquanta e sessanta. Si era detto (e tali parole acquistano ora un significato diverso da quello origina-rio) che «Giugni pensa al diritto civile, quale regolamentazione statuale dei rapporti privati, perché privati erano all’epoca i soggetti del rapporto colletti-vo. Ciò non toglie che la teoria dell’ordinamento intersindacale possa, in una mutata composizione delle parti del rapporto, ricomprendere, cioè, anche lo Stato, fungere da fattore di rinnovamento di altre discipline e dell’intero ordi-namento giuridico statuale»54. Oggi, la regolazione privatistica dell’attività sindacale non ha la mediazione di un altro ordinamento e le condotte dei sog-getti collettivi esplorano fino in fondo (senza alcuna autolimitazione) i poteri e i diritti loro conferiti dal sistema civilistico, al punto che qualunque domanda, compresa quella di risarcimento del danno, è stata proposta o può essere avan-zata in giudizio.
Anche per l’osservatore collocato all’interno dell’ordinamento dello Stato, era impossibile negare (e in questo stava uno dei fattori di vitalità, forse neppure il maggiore, della teoria pluralista) come i criteri del negoziato fossero caratte-rizzati da un approccio regolativo espresso dalle associazioni e in grado di condizionare non solo le loro condotte, ma la loro percezione di quanto era le-gittimo e di ciò che era consentito o, addirittura, possibile. Infatti, «l’ipotesi metodologica del pluralismo ordinamentale vede nel pluralismo un fenomeno attinente alla società nel suo complesso, non allo Stato ordinamento giuridi-co»55, e «la misura pluralistica non è dosabile nella Costituzione, che è mani-festazione normativa dello Stato, ma fuori di essa», così che «una società
54 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 48 ss.
55 Ivi, 47 ss.
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ralista discende dall’autolimitazione dello Stato, che può anche estrinsecarsi nell’ordine impartito agli organi di non interferire nelle sfere di “libertà” di soggetti o di collettività»56.
Se desse oggi un simile ordine, lo Stato mancherebbe a un suo obbiettivo fon-damentale e lascerebbe… senza arbitro una area cruciale dell’esperienza con-temporanea, perché, venuta meno la spontanea disciplina della comunità e, forse, scomparsa essa stessa, se non altro per la carenza delle finalità concordi, i soggetti sarebbero come gregge sempre pastore; lo trovano nei giudici, ai quali si rivolgono con frequenza. Però, lo stesso diritto comune (almeno nella sua accezione di law in action) è differente da quello che era, poiché, ora, nul-la le associazioni di categoria si auto-precludono, nelnul-la ricerca delnul-la migliore tutela delle posizioni delle imprese e dei prestatori di opere. In fondo, l’ordinamento intersindacale era anche questo, almeno da un punto di vista in-terno a quello statale, una definizione di canoni di condotta condivisi e con un impatto significativo sulla selezione dei comportamenti accettati.
Ormai, tutto è possibile, nel senso del venire meno di una preordinata e stabile limitazione delle condotte concesse, non dal diritto, ma dalla sua applicazione alla stregua dell’esperienza sociale. L’area di autonomia del codice civile può essere esplorata senza vincoli, e lo è stata, con domande di risarcimento del danno, strumentali azioni di repressione della condotta antisindacale volte a mettere in difficoltà le associazioni dei datori di lavoro nei confronti dei loro iscritti, la contemporanea stipulazione di due contratti per la stessa categoria, l’allontanamento incentivato e quasi coatto di un soggetto dalle trattative, la creazione di regolamenti unilaterali sostitutivi dell’accordo in pendenza del negoziato, la sistematica proposizione di controversie avanti ai giudici, e così via, con una varietà invero allettante per il mondo forense.
L’esito non è solo una giurisdizionalizzazione del conflitto industriale (e ci si può chiedere se essa giovi alle imprese e ai lavoratori), ma l’accettazione sen-za riserve e sensen-za una sorta di diaframma (tradizionale e, in fondo, utile) di quanto il diritto privato esprime, in ordine alle più radicate forme di contrap-posizione. Il confronto sindacale è una di queste e non propone né anticorpi, né regole frutto delle dinamiche sociali, perché è venuta meno la comunità che avrebbe potuto creare tali norme, e le ha prodotte per lungo tempo. I poteri e i diritti del sistema civilistico si offrono senza alcun condizionamento, in uno scontro non così aspro in tutti i settori produttivi, ma certo carente di una ori-ginaria disciplina.
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Vi è da chiedersi la ragione di questa trasformazione e se essa debba essere guardata con favore o con preoccupazione. In contrasto con un sentimento dif-fuso nella nostra civiltà (e in modo non sempre comprensibile), una visione li-berale dei fenomeni sociali non deve affatto coincidere con l’aspirazione a crude contrapposizioni, a uno sfruttamento estremo delle risorse per l’affermazione di un punto di vista. Questo superamento diffuso dell’ordinamento intersindacale non è solo il frutto della crisi del sistema poli-tico, ma della convinzione estesa per cui, di fronte alla riduzione dei profitti e alle capillari difficoltà aziendali, la ricerca di canoni pattizi stabili di composi-zione delle iniziative di rappresentanza apparterrebbe al passato, a una stagio-ne stagio-nella quale i contrasti erano meno aspri e intensi. In sostanza, stagio-nella società della competizione internazionale, l’ordinamento intersindacale esprimerebbe una sorta di superata istanza di pacatezza e di predeterminazione delle condot-te negoziali accettacondot-te, un buon costume accantonato dinanzi a contrasti radica-li, nella loro durezza e per gli interessi drammatici odierni, di fronte alla preca-ria sopravvivenza delle imprese e al perdersi continuo di occasioni di ricollo-cazione professionale dei dipendenti.
Questo punto di vista spiega perché, come è nato, l’ordinamento intersindacale ha poi smarrito la sua ragione di essere. Tuttavia, tale convinzione nasconde un evidente errore, per quanto esso sia comune nella nostra civiltà brutale e o-rientata alla radicale visione del conflitto. La sopravvenuta incapacità di auto-regolazione informale da parte dei soggetti sindacali nazionali non è indice della loro forza, ma di una debolezza, quella di comprendere che la rappresen-tanza degli interessi è fruttuosa se è inserita in un pacato e ragionevole quadro di accettazione dell’interlocutore, se il metodo consensuale pervade la quoti-diana attività, senza concernere solo l’accordo finale. Senza uno scambio fra le organizzazioni e un confronto guidato da regole accettate in modo generale, il contratto di categoria corre il rischio di essere una occasionale manifestazione di volontà, non più il frutto di un dialogo. E, se questo manca, ci si può do-mandare come possano trovare difesa interessi sempre più sfuggenti nelle loro connotazioni frutto di mediazioni sofisticate, all’interno di ciascun gruppo e nel negoziato con gli altri.
L’ordinamento intersindacale non era la negazione del conflitto, ma solo l’accettazione della sua esistenza quale condizione delle relazioni industriali, con la comprensione della necessità di una regola. Essa era definita dai prota-gonisti, nell’alveo del diritto privato, ma con la costituzione di un sistema frut-to delle opzioni sociali, così che lo stesso panorama civilistico subiva una ine-vitabile curvatura, anche a volere rimanere nel perimetro del diritto dello Sta-to. Cessate le ragioni di tale rivisitazione degli istituti privatistici, essi e il
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flitto sottostante si manifestano ora nella loro esasperata durezza, non come materia sottoposta a una elaborazione comunitaria, ma a essa sottratta e rimes-sa per intero al codice civile, quindi alla stesrimes-sa disciplina dell’attività econo-mica, cioè del contratto dell’impresa capitalistica.
6. La crisi dei soggetti sindacali nazionali e la conservata centralità del