Esiste ancora un ordinamento intersindacale? *
1. La teoria dell’ordinamento intersindacale e il suo valore fondamenta- fondamenta-le nella costruzione del diritto sindacafondamenta-le post costituzionafondamenta-le
Nell’evoluzione del nostro diritto, la teoria dell’ordinamento intersindacale ha avuto uno spazio decisivo1, non solo per la sua forza ricostruttiva, ma perché meglio di ogni altra ha spiegato il passaggio dalla mancata attuazione dell’art.
39, commi 2, 3 e 4, Cost. all’accettazione piena del contratto di diritto comu-ne, frutto della decisione concorde dei principali protagonisti delle relazioni industriali dell’epoca di rinunciare al modello di accordo prefigurato dalla Co-stituzione2. In questo deve essere ritrovato uno dei principali meriti storici del dialogo sociale degli anni cinquanta e sessanta, poiché «la privatizzazione del diritto sindacale degli anni cinquanta è figlia della primaria esigenza della sua depubblicizzazione, e risponde quindi essenzialmente all’obbiettivo di fare piazza pulita delle scorie corporative ancora fortemente presenti nella dottrina giussindacalista di quegli anni»3.
L’idea della creazione di un ordinamento a fini particolari da parte dei prota-gonisti delle relazioni sindacali è stato il coronamento teorico del rifiuto della cosiddetta legge sindacale e, cioè, di una disciplina specifica fondata sull’art.
39, commi 2, 3 e 4, Cost.4, poiché si è data «dignità giuridica allo studio del
“diritto vivente”, a quella complessa ma organica attività di
* Il contributo è destinato agli Studi in memoria di Mario Giovanni Garofalo.
1 Si veda G.GIUGNI, Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Giuffrè, 1960, 20 ss.
2 Si veda G.VARDARO, Contrattazione collettiva e sistema giuridico. Il diritto sindacale tra contratto e istituzione, Jovene, 1984, 135 ss.
3 Si veda U.CARABELLI, Libertà e immunità del sindacato, Jovene, 1986, 35 ss.
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zione del conflitto industriale che si era di fatto sviluppata in Italia nella situa-zione di “carenza” legislativa derivata dalla mancata attuasitua-zione dell’art. 39 cost.»5. In generale, esistono «fenomeni di carattere organizzatorio di cui è molto difficile dare una chiave di costruzione con le categorie concettuali con le quali lavora il diritto privato: il sindacato, non tanto in quanto associazione, ma soprattutto come parte di un sistema di rapporti contrattuali con un altro centro di potere organizzato»6.
Tale felice frase ha messo in luce i due profili correlati dell’idea dell’ordinamento intersindacale, da un lato volta a cogliere il passaggio dalla Costituzione al diritto privato e, dall’altro, a «porre le basi per una nuova me-todologia di studio del fenomeno sindacale», «suscettibile di utilizzazione in-dipendentemente dal dato storico e contingente»7. Tuttavia, il riconoscimento della pluralità degli ordinamenti originari e l’accettazione piena di tale artico-lazione del fenomeno giuridico8 propongono un quadro teorico che, perché il tema possa avere rilevanza, implica il suo concretizzarsi nella storia, con il sorgere di un ordinamento, a seguito dei comportamenti dei suoi protagonisti;
del resto, il positivismo e la teoria del pluralismo degli ordinamenti non sono per nulla incompatibili9. Anzi, questo è stato un tratto caratterizzante dell’evoluzione del nostro pensiero, il quale, pure riconoscendo un ordinamen-to intersindacale, non ha mai abbandonaordinamen-to un criterio panpositivistico di anali-si e, soprattutto, ha visto il destino e l’attività dei soggetti di tale ordinamento in proiezione di quello statale.
L’identificazione dell’ordinamento intersindacale non è stata la fondazione di spazio di separatezza fra il fenomeno sindacale e l’azione pubblica, poiché il primo «non è un sistema chiuso né una struttura di immunità, bensì opera in un gioco di interrelazioni con l’ordinamento generale (statuale) e agisce pertanto anche come fattore di rinnovamento di questo ultimo, e in particolare del
5 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 37 ss., ed anche T.TREU, Corporazione e circolazione dei modelli nel diritto del lavoro italiano, in DLRI, 1979, 167 ss. In senso critico su questo per-corso del sistema sindacale, si veda G.VARDARO, Il mutamento della funzione del contratto collettivo, ivi, 1983, 719 ss., eG.VARDARO, Ordinamento intersindacale e teoria dei sistemi, ivi, 1984, 1 ss.
6 Si veda L.GIUGNI, Il diritto del lavoro, in P. BISCARETTI DI RUFFIA (a cura di), Le dottrine giuridiche di oggi e l’insegnamento di Santi Romano, Giuffrè, 1977, 182 ss.
7 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 38 ss.
8 Si veda A.ORSI BATTAGLINI, Gli accordi sindacali nel pubblico impiego. Pluralismo giuri-dico, separazione degli ordinamenti e forme di comunicazione, Giuffrè, 1982, 57 ss.
9 Si veda N.BOBBIO, Teoria dell’ordinamento giuridico, Giappichelli, 1960, 186 ss., e N.
BOBBIO, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Edizioni di Comunità, 1977, 174 ss.
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to civile, cui propone in primo luogo il tema della rilevanza e degli effetti dei comportamenti collettivi»10. Non a caso, l’esplorazione della pluralità degli ordinamenti è stato il prodromo dell’apertura a una visione neocorporativa e alla mediazione fra le istanze sociali e quelle pubbliche, con l’idea dell’accordo trilaterale che ha visto quale perno la regolazione delle funzioni e delle obbligazioni pubbliche.
In nessun modo la centralità dell’ordinamento intersindacale smentisce la pro-pensione panpositivistica della dottrina e l’accettazione della stringente colla-borazione con lo Stato. Non a caso, quando già la stagione neocorporativa si era manifestata e questa evoluzione era apparsa, si è commentato che il giuri-sta «non deve chiudersi nel guscio monolitico e dogmatico del diritto giuri-statuale, ma consapevole della complessa fenomenologia sociale (che presenta gruppi organizzati di interesse in conflitto tra loro, ma in grado altresì di risolverlo autonomamente e dinamicamente con propri strumenti) deve affrontare lo stu-dio di questa realtà, in qualità di operatore giuridico dell’ordinamento statuale, dotandosi però di un valido mezzo per interpretarla adeguatamente»11.
Questa frase è profetica sulle sorti non della teoria (che resta fondamentale), ma dell’ordinamento intersindacale, come fenomeno in sé, nel suo evolvere e nel suo perire. Proprio perché esso è sempre stato concepito ed è stato vissuto dai suoi protagonisti (e, quindi, dalle associazioni e dai loro vertici) non in una logica di contrapposizione, ma in una di collaborazione con lo Stato, esso è sopravvissuto alla stagione neocorporativa. Al contrario, è giunto alla sua e-stinzione nel momento nel quale non si riscontrano più nell’agire quotidiano
«gruppi organizzati di interesse in conflitto tra loro, ma in grado altresì di ri-solverlo autonomamente e dinamicamente con propri strumenti»12. La prima avvisaglia della crisi è stata data dal prorompere dei conflitti sull’interpretazione delle clausole oscure, con le ovvie conseguenze sulla cen-tralità del giudice nel definire l’impatto sulle pattuizioni individuali. Tuttavia, nota da molti decenni in Italia, tale situazione non avrebbe di per sé messo in discussione il sistema relazionale fra i soggetti collettivi se, per fattori storici discutibili (e, nel complesso, estranei a una valutazione critica di ordine giuri-dico), essi non avessero smarrito l’idea della priorità della composizione con-venzionale dei contrasti.
Su questo canone è stato non tanto identificato, ma edificato l’ordinamento in-tersindacale13, e il venire meno della diffusa accettazione del patto quale forma
10 Si veda G.GIUGNI, Il diritto sindacale e i suoi interlocutori, cit., 391 ss.
11 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 41 ss.
12 Ibidem.
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obbligata e fondamentale di regolazione dei contrasti ha avuto una ricaduta sul destino dell’ordinamento stesso. Non è un problema di revisione delle teorie, ma di impossibilità della loro perdurante applicazione a una realtà modificata.
Si è detto che l’impostazione sul sussistere dell’ordinamento intersindacale ha presupposto l’intento di studiare il fenomeno «dall’interno dell’ordinamento statuale», anche se si voleva che tale prospettiva non fosse falsata «da apriori-smi concettuali (quali la necessaria statualità del diritto), ovvero da tecniche stantie che impediscono di percepire nella sua interezza l’originalità, gli ele-menti di novità insiti nel dinamico mondo delle relazioni industriali»14. Tali profili sono stati presenti in questo “dinamico mondo” in una fase storica, che si è esaurita quando non è stata più riconoscibile la categoria fondativa dell’ordinamento, cioè la fondamentale regola pattizia.
Non tanto il prorompere di numerosi conflitti, quanto la dichiarata impossibili-tà di una loro soluzione in una prospettiva consensuale hanno messo in discus-sione la persistenza dell’ordinamento intersindacale, proprio per il venire me-no del suo came-none fondativo, l’identificazione nell’accordo della regola di riso-luzione della contrapposizione. Le ultime vicende, a cominciare dalla stipula-zione di contratti separati in varie categorie e, in primo luogo, il frequente, se non abituale ricorso al procedimento dell’art. 28 Stat. lav., hanno incrinato il riconoscimento da parte delle associazioni nazionali della costituzione di un ordinamento, per la devoluzione al giudice e non al contratto della mediazione.
Se la teoria pluralistica voleva «sollecitare la dottrina giussindacale ad abban-donare il processo logico interpretativo impiegato sino ad allora, consistente nella sovrapposizione alla realtà sindacale delle astratte categorie del diritto civile, deformate artificialmente, per giungere, invertendo la prospettiva, e par-tendo dalla rilevazione del dato sociale, a un rinnovamento dello stesso diritto civile»15, tale tentativo è stato coronato da successo per un lungo periodo.
La fuga dall’art. 39, commi 1, 2 e 3, Cost. è solo la premessa per l’applicazione dei principi privatistici, ma ciò è avvenuto in forza di una con-sapevole e concorde opzione, in nome di un sistema di continuativi collega-menti dialettici e reciproci16. Senza la comprensione di questo aspetto, la man-cata attuazione dell’art. 39 Cost. non potrebbe essere vista, come è, quale
14 Si veda U.CARABELLI, op. cit., 44 ss.
15 Ivi, 48 ss. Si consideri che, con esatta osservazione, «per il giurista positivo che voglia ope-rare all’interno dell’ordinamento statuale […], la prospettiva pluriordinamentale non potrà va-lere che come ipotesi metodologica, idonea a fargli comprendere meglio i fenomeni di orga-nizzazione sociale: essa potrà essere insomma solo una utile chiave di lettura della realtà nor-mativa dello stesso ordinamento statuale» (ivi, 153).
16 Si veda M.G. GAROFALO, Interessi collettivi e comportamento antisindacale dell’imprenditore, Jovene, 1976, 22 ss.
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mento propulsivo dell’esperienza sindacale17. A distanza di quasi settanta anni, la situazione è molto più complessa; è ancora applicabile a questa fase storica la teoria della pluralità degli ordinamenti ed esiste oggi quello intersindaca-le18? O il riferimento al diritto comune non trova più la mediazione dei percor-si creativi dell’esperienza collettiva e, di conseguenza, percor-si deve avere riguardo alle sole logiche privatistiche19?