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La prova dell’idoneità del modello di organizzazione e gestione

4. L’ “ADEGUATO” MODELLO POST FACTUM

Da un’analisi della dottrina, si capisce meglio come il modello a cui si è fatto riferimento finora non è un concetto da rappresentare in singulis: alla concezione monistica del modello infatti, si accompagnano anche le concezioni dualistica e triale.

La prima concezione sostiene che la nozione di “modello” sia una ed unica; la teoria dualistica, al contrario, ravvisa una differenziazione (basata forse sulla differenza di onere probatorio, presente tra gli artt. 6 e 7) del modello per reati commessi dagli apicali e reati commessi dai sottoposti; l’ideologia “triale” del modello afferma altresì l’esistenza di un ulteriore tipo di modello, di tipo misto, che presenta le proprie basi normative nell’art. 25 ter del decreto 231

265 G. AMATO, Il modello di organizzazione nel sistema di esonero della

responsabilità: le ragioni di una scelta prudenziale, in Responsabilità amministrativa delle società, 2015, p. 55

266 M. PAONE, L’”idoneità” e l’”efficace attuazione” del modello di organizzazione,

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(reati societari previsti dal codice civile), accomunante apicali e sottoposti insieme267.

L’unica reale diversificazione tra modelli che il Decreto 231 fa propria è quella tra modelli ante factum, posti in essere prima della realizzazione del reato, e modelli post factum, posti in essere dopo la realizzazione del reato; come già visto precedentemente, ciò che rende rilevante tale dicotomia è la logica premiale che vi sta dietro, e che conferisce una certa virtù all’ente che decida di adempiere agli oneri organizzativi anche dopo la verificazione del reato-presupposto.

In particolare, gli effetti che comporta l’adozione di un modello post factum sono quelli disposti negli artt. 11 (il giudice, nel valutare la sanzione da applicare, dovrà tener conto dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire ulteriori reati) 12, comma II, lettera b (la sanzione è ridotta da un terzo alla metà), 17 (il quale irretisce l’applicazione di sanzioni interdittive); inoltre, è da ricordarsi il fatto che, tramite il combinato disposto degli artt. 17, 46 e 50 del decreto 231, l’adozione di un modello ex post esclude che misure cautelari possano essere disposte nei confronti dell’ente268.

Una volta effettuate le considerazioni preliminari, rimane da capire se sussistano differenze tra i modelli adottati ex ante od ex post in punto di apprezzamento del giudice in merito all’idoneità. Si ricordi innanzitutto lo “statuto minimo” dell’idoneità, disposto dall’art. 6 del decreto 231, il quale funge da macroinsieme dei parametri di base sia per il primo che per il secondo modello; ma oltre a questa prima identità, le differenze che sussistono sono varie e vaste, e riguardano vari profili dell’idoneità.

267 F. CERQUA, Art. 6, in A. CADOPPI – G. GARUTI – P. VENEZIANI (a cura di), Enti e

responsabilità da reato, Torino, 2010, p. 122

268 Cass. Sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32627, a margine della quale A. BITONTI, Sulla

emissione di misure interdittive in via cautelare ontro gli enti, in Giurisprudenza italiana, 2008, p. 467

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Il modello post factum deve essere innanzitutto sottoposto ad un vaglio molto rigido per quel che riguarda l’esclusione della recidiva: la logica penalistica della causalità adeguata non può essere in tale sede di giudizio utilizzata, ma, al contrario, occorre un esame attento e rigoroso, non effettuato in termini generici, ma indirizzato alle specificità concrete del caso269; per questo, la condotta che ha permesso la perpetrazione del reato-presupposto all’interno della specifica area dell’azienda, deve essere utilizzata quale cartina al tornasole270 per l’idoneità del modello stesso.

Oltre a ciò, l’organo giurisdizionale valuterà altresì la struttura l’indipendenza e la composizione dell’organismo di vigilanza (compliance officer): esso dovrà essere valutato in merito alla sua efficacia di controllore nei confronti dei vari protocolli, efficacia che, laddove presente, permetterà di azzerare il rischio di recidiva. La giurisprudenza di legittimità, all’interno del noto “caso ThyssenKrupp”271 si è espressa in tal senso, ritenendo inadeguato ai

sensi dell’art. 12 del Decreto 231 il modello che prevede che, all’organismo di vigilanza, prenda parte in veste di componente il Responsabile dell’area ecologica, ambiente e sicurezza: in particolare, le Sezioni Unite affermano che «le verifiche avrebbero riguardato l’operato di un dirigente chiamato ad essere il giudice di sé stesso e dotato di poteri disciplinari», rendendo palese un modello che configura «un organo di controllo in termini burocratici e di facciata e

269 Trib. Roma, 4 aprile 2003, in Foro italiano, II, c. 317

270 M. PAONE, L’”idoneità e l’”efficace attuazione“ del modello di organizzazione,

gestione e controllo, op. cit., p. 70: «Come ricordato, l’art. 17 del decreto richiede che l’ente abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Ne deriva che il modello postumo può essere ritenuto idoneo solo quando risulti tale da avere azzerato tutte le situazioni di rischio che hanno determinato la commissione dell’illecito.»

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non di effettiva prevenzione dei reati», in tal senso, si rileva l’incapacità di azzeramento del rischio di recidiva.

Alla luce di quanto enucleato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le caratteristiche che il modello postumo deve presentare sono essenzialmente tre272: in primis, vi è l’efficacia,

intendendosi con essa l’«idoneità in concreto ad elaborare meccanismi di decisione e di controllo tali da eliminare o ridurre significativamente l’area del rischio di responsabilità, ed ovviamente l’efficacia è da collegarsi all’efficienza degli strumenti idonei non solo a sanzionare eventuali illeciti, ma anche ad identificare le “aree di rischio” nell’attività della società»273; in secundis, la specificità, ovvero la

necessità, nella costruzione del modello, di tenere presente la «storia dell’ente (le sue vicende, anche giudiziarie, passate) e delle caratteristiche degli altri soggetti operanti nel medesimo settore274; in tertiis, la dinamicità o “liquidità”, ovvero la capacità di potersi modificare (rimanendo “sartoriale”) in concomitanza con le immancabili modificazioni dell’ente, anche con particolari procedure in grado di visionare e revisionare una sopraggiunta inidoneità del compliance officer; con le parole della giurisprudenza, essa è la necessità di evitare che nel modello «per quanto concerne i sistemi di controllo e di monitoraggio del funzionamento e dell’aggiornamento del modello, non sono previste sistematiche procedure di ricerca ed identificazione dei rischi quando sussistano circostanze particolari (es. emersione di precedenti violazioni, elevato turn-over del personale)

272 M. PAONE, L’”idoneità e l’”efficace attuazione“ del modello di organizzazione,

gestione e controllo, op. cit., p. 71

273Ordinanza del Trib. Milano, 28 ottobre 2004; nello stesso senso G.i.p. Trib. Bari,

18 aprile 2005, in www.rivista231.it

274 G.i.p. Trib. Napoli, 26 giugno 2007; ordinanza del G.i.p. trib. Milano, 20

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così come non sono previsti controlli di routine e controlli a sorpresa – comunque periodici – nei confronti delle attività aziendali sensibili»275.

5. L’”EFFICACE ATTUAZIONE” DEL MODELLO, TRA RUOLO