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LA PRESUNZIONE DI INNOCENZA COME REGOLA DI GIUDIZIO NEL PROCESSO PENALE

Natura della responsabilità e onus

3. LA PRESUNZIONE DI INNOCENZA COME REGOLA DI GIUDIZIO NEL PROCESSO PENALE

Una volta visto come si declina il principio dell’onere della prova nel processo civile ed amministrativo, occorre adesso chiedersi

101 L. BERTONAZZI, L’istruttoria nel processo amministrativo di legittimità: norme e

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se le medesime soluzioni adottate in tali contesti possano risultare idonei anche all’interno del processo penale.

A ben vedere, non pare possibile recuperare tale principio in sede penale senza tenere in considerazione il fatto che, così facendo, l’organo dell’accusa potrebbe benissimo limitarsi a dar prova degli elementi costitutivi del reato, restando a carico dell’imputato l’onere di dover provare gli elementi negativi: se nei processi civile ed amministrativo la locuzione stessa di “onere” è corretta in quanto corrispondente alla situazione soggettiva in capo alla parte102, non può essere detto altrettanto nel processo penale. In questo, infatti, la regola di giudizio discende direttamente dal dettato costituzionale, in particolare dal secondo comma dell’art. 27, che così recita: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Nell’ambito del diritto penale, sin dal codice toscano di Pietro Leopoldo, è stabilita la presunzione di non colpevolezza, che prevede come diretta conseguenza l’onere della prova della responsabilità gravante sull’accusa103; un tale principio è, nelle dottrine e nelle prassi

già ottocentesche, prima di tutto una “verità assoluta” che consacra la supremazia conoscitiva del giudice penale rispetto all’accertamento che si raggiunge in sede civile; autorevole dottrina si esprime in questi termini, evidenziando come «dalla tensione dell’accertamento penale verso il vero scaturisce il dovere di iniziativa officiosa del giudice nella

102 In un processo avviato su iniziativa di parte, il convenuto si troverà ab initio in

una situazione di vantaggio, poiché in mancanza di prove la domanda dovrà essere respinta; se invece l’attore è riuscito a provare il fatto costitutivo, sarà il convenuto a dover fornire la prova contraria per evitare di soccombere, o nella veste di controprova sui fatti costitutivi, o come prova dell’eccezione. In questo caso si parla di onere che “passa” dall’attore al convenuto secondo quanto teorizzato dalla dottrina anglosassone. Per tutti J.D. HEYDON, Cases and Materials on Evidence, Londra, 1984, pp. 29 e ss.

103 G. M. FLICK, Dalla leopolda alla leopoldina. Un passo indietro o un ritorno al

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acquisizione della prova, al punto che l'obiettivo della verità materiale riflette una concezione monistica che non dà spazio ad una divisione della conoscenza tra le parti. Persino l'onere della prova viene inteso come ostacolo all'accertamento del fatto»104.

Questa concezione può essere considerata innanzitutto un principio logico proprio della procedura penale, che discende, prima che da norme scritte, da mere esigenze di coerenza dell’ordinamento; a ciò si aggiunge il rinforzo operato dalla norma costituzionale, la quale detta appunto la presunzione di innocenza “fino a prova contraria”105.

Appare dunque di importanza fondamentale evitare di dare applicazione automatica ai criteri civilistici di ripartizione dell’onere della prova in sede penale: anche laddove si consideri il processo penale un processo “di parti”, non deve essere dimenticata la regola di giudizio che vuole l’adesione del processo stesso al principio costituzionale espresso nell’art. 27 comma II, ossia un’accusa gravata dal rischio dell’incertezza.

La stessa presunzione può essere poi letta in due modi differenti: in primis la regola di ripartizione dell’onere probatorio, in secundis la regola di decisione sul fatto incerto. Proprio per questo nell’articolo sopra menzionato può leggersi una regola del processo in grado di “proiettarsi a ritroso”, fungendo sia da criterio per la soluzione di un fatto oscuro, sia da “principio gnoseologico organizzativo dell’attività probatoria, condizionando il metodo di “costruzione” della prova”106.

Occorre allora e di nuovo distinguere due species di “onere”: un primo onere di introdurre la prova, ed un secondo onere di

104E.AMODIO, Dalla Intime conviction alla legalità della prova, in Rivista italiana

di diritto e procedura penale, fasc.1, 2012, pag. 19.

105P. TONINI, Iniziativa d'ufficio del giudice e onere della prova tra principio di

imparzialità e funzione cognitiva del processo penale, Cassazione penale, 2011, § 1,

p. 2010.

106 P.P. PAULESU, Presunzione di non colpevolezza, in Digesto penale, IX, 1995, p.

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convincere il giudice. La medesima situazione soggettiva presenta in tal senso due declinazioni, due “facce della stessa medaglia”107, che

possono essere chiamate “onere della prova in senso oggettivo” (objective Beweislast), ossia quell’onere distribuito tra le parti in relazione al tipo di fatto di cui si richiede la prova, indicherà chi è destinato a soccombere nel caso che non vengano introdotte prove; ed “onere della prova in senso soggettivo” (subjektive Beweislast)108,

connesso al quantum di prova necessario a convincere il giudice. Nel processo accusatorio, la presunzione di non colpevolezza opera sull’onere della prova in senso soggettivo, essendo non l’accusato, ma l’accusatore a dover fornire la prova della responsabilità penale del primo e, laddove tale prova non sia venuta alla luce durante il processo, il giudice non potrà fare altro che prosciogliere l’imputato109.

Oltre a ciò, la regola enucleata nell’art. 2697 c.c. e riprodotta all’interno del codice del processo amministrativo non è riproducibile all’interno del contesto penale anche per un’altra serie di ragioni, assai più rilevanti sul piano pratico rispetto al piano nomologico.

La regola di giudizio per cui affermanti incumbit probatio risulta essere in linea con l’esigenza propria e strutturale del processo civile di considerare gli interessi delle parti come interessi equivalenti, secondo quello che vuole l’art. 3 della Costituzione; nel processo penale una tale equivalenza non trova spazio, in quanto una maggior tutela è riservata all’imputato. Alla luce di ciò, un semplice bilanciamento del rischio della mancata prova è assolutamente impraticabile in questa sede, poiché ivi non si ha meramente una parità di “interessi” come in sede civile.

107 P.P. PAULESU, Presunzione di non colpevolezza, op. cit.

108 la stessa distinzione è teorizzata nel processo civile; si veda a tal proposito G.

BAUMGÄRTEL, Beweislastpraxis in Privatrecht, Köln-Berlin-Bonn-München, 1996, p. 27

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Potendo sintetizzare quanto espresso finora, l’art. 27 comma 2 Cost. fa convergere sulla pubblica accusa l’onere di provare il contrario di quanto presunto dalla legge (“fino a prova contraria”), dispensando l’imputato dal dimostrare la propria innocenza, e confermando la posizione privilegiata ad esso riservata nel processo penale.

Si consideri come non sia trascurabile nemmeno (nell’ottica di favor) il diritto per l’imputato di rispondere alle accuse (provate) apportate in giudizio dal Pubblico Ministero; si badi bene, in tale caso la situazione soggettiva che viene innanzi agli occhi è quella di un “diritto”, non un onere né tantomeno un obbligo: in sostanza, l’imputato non è mai obbligato a difendersi; potrà comunque farlo (e dovrà dunque essergli concesso) nel caso in cui vi abbia interesse. La prova della colpevolezza può dirsi raggiunta pertanto solo a patto che anche l’imputato sia stato posto in condizione di prospettare validamente la propria posizione, facendo assumere e valutare gli elementi e le fonti di prova che ritenga utili per potersi difendere.

Si potrebbe leggere nel diritto alla prova una sorta di “corrispettivo” dell’onere spettante all’organo accusante: entrambe appaiono vere e proprie proiezioni soggettive della presunzione d’innocenza nei riguardi delle parti110.

Occorre adesso vedere come il concetto di onere viene inserito all’interno del contesto processuale penale; la prima norma che salta agli occhi al riguardo è l’articolo 50 del codice di procedura penale, il quale mette in risalto la posizione di supremazia ricoperta dall’accusa attraverso il principio cardine dell’obbligatorietà dell’azione penale in capo al pubblico ministero. I termini entro cui esso si muove sono tuttavia termini ben precisi, e gli spazi di discrezionalità che tale figura assume nel processo penale in quanto rappresentante di interessi pubblici sono delimitati da stringenti parametri costituzionali; l’onere

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allora appare come un “vincolo connesso al potere”111, un potere che si manifesta laddove il suo titolare (appunto il PM) si uniformi al vincolo stesso: il soggetto passivo in tal caso ne subirà le conseguenze. Laddove invece non vi sia una tale uniformità tra vincolo e titolare del potere, lo stesso potere non potrà essere in grado di produrre il risultato conseguentemente proprio, vale a dire l’accertamento della colpevolezza del soggetto imputato112.

L’onere della parte che si difende riguarda la prova degli elementi “negativi”; essa è meno stringente in quanto non è richiesta la prova dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” ex art. 533 c.p.p., ed inoltre non vi è la necessità di superare alcuna presunzione costituzionale113; a differenza invece della pubblica accusa, la quale può ben dirsi onerata poiché una sua inerzia può condurre ad un colpevole non punito secundum legem114.

Per chiarire i rapporti che intercorrono fra libero convincimento del giudice, regole di valutazione della prova e regole della decisione, occorre in primis ricordare come un discorso in materia di regole di giudizio per la soluzione del fatto incerto non avrebbe alcun senso in un sistema in cui fa da padrona l’irrazionale intuizione del giudice, la sua intime conviction, il suo arbitrio115. I criteri valutativi delle prove, preordinati a suggerire e ad indicare un metodo di deduzione e mai a sostituirsi ad un giudice nella sua attività di scelta, appaiono ben

111 O. T. SCOZZAFAVA, “Onere (nozione)”, in Enciclopedia del diritto, XXII, Milano,

1958, p. 99

112 E. ESPOSITO, Onere della prova, in Enciclopedia del diritto, XXII, Milano, 1958,

p. 747 e ss.

113 P.P. PAULESU, Presunzione di non colpevolezza, in Digesto delle discipline

penalistiche, IX, Torino, 1995, p. 690

114 F. STELLA, Giustizia e modernità. La protezione della vittima e la tutela

dell’innocente, III° ed., Milano, 2003, p 79: «la sua non completa attività (del PM) produce effetti a lui sfavorevoli, mentre non è onerato l’imputato, perché la sua inerzia non produce, di per sé, conseguenze sfavorevoli»

115 P.PAULESU, La presunzione di non colpevolezza dell’imputato, Torino, 2009, p.

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lontani dal regime (non del metodo legale delle prove116, ma) delle prove legali: queste ultime in particolare hanno la caratteristica fondamentale di imbrigliare qualsiasi attività valutativa, impedendo quindi il formarsi, per il giudice, di qualsiasi libero convincimento.

Le regole con cui il giudice adopera il proprio libero convincimento sono fondamentalmente due: regole da cui risulta vincolato in quanto di origine razionale (leggi del pensiero, leggi scientifiche e tecniche, massime esperienziali) poiché «la legge pretende appunto giudizi razionali sulle prove, ne prescrive l’esplicitazione nella motivazione, ne predispone il controllo con i mezzi di impugnazione e conferisce al giudice dell’impugnazione il potere-dovere di espungere dal processo la decisione non corretta»; e regole dettate dalla legge per particolari situazioni probatorie, le quali determinano, non già il valore di un risultato probatorio (che varrebbe quanto statuire una vera e propria regola legale “positiva” vincolante il valore da attribuire ad un dato risultato di prova), ma i criteri per ragionamenti inferenziali (ad esempio art. 192 commi 2, 3 e 4 c.p.p.): «con ciò il libero convincimento è disciplinato entro la legalità probatoria, senza annullarne l’esercizio e anzi valorizzandone la dimensione razionale»117.

Ulteriore differenziazione attiene alla valutazione del singolo risultato probatorio rispetto alla decisione finale: se la prima non

116 F. M. IACOVIELLO, La testimonianza auditiva posta a base di una condanna

all’ergastolo. Breve saggio all’interno della struttura della motivazione e della logica di un processo di parti, in Cassazione penale, 1992, p. 2168: «il principio del libero convincimento del giudice confligge con ogni forma di prova legale, ma non con la prescrizione legale di un metodo di prova, cioè una successione logicamente ordinata di operazioni mentali. Del resto, dove c’è obbligo di motivazione, c’è obbligo di metodo: v’è una struttura legale di motivazione (v. art. 192 comma 1 c.p.p.) che riflette un modello legale di metodo di prova»

117 O. DOMINIONI, voce Prova scientifica (diritto processuale penale), in

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presenta regole di sorta per determinare un livello quantitativo di libero convincimento, sebbene vi siano comunque regole di valutazione che indichino una particolare prudenza, la fase della decisione necessita di regole che tutelino “politicamente” la persona rispetto all’autorità118; la

valutazione tra vero e falso, pro reum o contra reum ha lo sguardo rivolto alla pronuncia da rendere. In tale momento la libertà del giudice non può che venire in qualche modo soppressa, non potendo più egli apprezzare il risultato probatorio secondo parametri discrezionali, intuizioni, emozioni o sentimenti. Al giudice spetterà il compito di constatare se l’accusa sia riuscita a giungere a quello standard probatorio che permetta di dimostrare la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio119.

Per far sì che il libero convincimento del giudice non divenga un libero arbitrio, diviene fondamentale il ruolo della motivazione data ex art. 192 c.p.p.: in essa l’organo decidente dovrà dar conto dell’iter logico che lo ha condotto alla scelta, ivi comprendendo anche i motivi per cui alcuni fatti siano stati ritenuti provati o meno, ed al contrario non siano state ritenute attendibili eventuali prove contrarie, ex art. 546 comma I lettera e) c.p.p.120.

Tutto ciò giustifica le scelte che hanno condotto alla soluzione finale, fondata e radicata su parametri razionali e non su “slanci emotivi”, costituendo il limite formale al libero convincimento121. Il

limite sostanziale al contrario si perviene nella regola dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” (beyond any reasonable doubt, o BARD), un

118 O. DOMINIONI, La prova penale scientifica, Milano, 2005, p. 351

119 N. IRTI, Dubbio e decisione, in Rivista di diritto e procedura penale., 2001, p. 68 120 Art. 546 – Requisiti della sentenza: «la sentenza contiene (…) la concisa

esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie.»

121 E. ZAPPALÀ, Intervento, in AA.VV., Il libero convincimento del giudice penale.

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criterio di giudizio inserito nel nostro ordinamento dall’art. 5 della legge del 20 febbraio 2006, n. 46, e che trova la sua radice nell’ordinamento inglese, in particolare nella storica pronuncia della House of Lords “ Woolmington v. DPP” (Director of Public

Prosecutions)” del 1935122. Nei primi anni 2000 tale criterio fu

utilizzato soprattutto in tema di nesso di causalità, fino alla storica sentenza Franzese123; in questo contesto infatti viene affermato che

«l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza probatoria, quindi il plausibile e ragionevole dubbio, fondato su specifici elementi che in base all’evidenza disponibile lo avvalorino nel caso concreto, [...] non può che comportare la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio stabilito dall’art. 530 comma 2 c.p.p., secondo il canone di garanzia “in dubio pro reo”». La presenza di un ragionevole dubbio può attestare due cose: o la scarsa qualità e persuasività dei criteri inferenziali adottati, dando così luogo a una situazione di insufficienza della prova, ovvero la possibilità che sul materiale probatorio acquisito, o più spesso su una parte di esso, possa fondarsi una diversa inferenza, più o meno solida, ma comunque logicamente plausibile, a sostegno della conclusione alternativa a quella di colpevolezza, integrando così il fenomeno della contraddittorietà della prova124.

122 F. STELLA, Giustizia e modernità. La protezione della vittima e la tutela

dell’innocente, op. cit., p. 116; in realtà, un tale concetto era già stato enucleato da autori come Carnelutti e Saraceno, maestri del pensiero giuridico liberale dell’Ottocento e inizio Novecento; la “Bozza Carnelutti” in particolare si apriva con: « il giudice non può statuire una pena, né una misura di sicurezza se non in quanto possa escludere ogni ragionevole dubbio intorno alla esistenza di un fatto previsto e punito dalla legge penale […] »

123 V. Cass., sez. un., 10 luglio 2002, Franzese, in Rivista. italiana di diritto e

procedura penale, 2002, p. 1133.

124 O. MAZZA, Il ragionevole dubbio nella teoria della decisione, in Criminalia,

66 4. PRIME CONCLUSIONI INIZIALI

Volendo pervenire ad alcune conclusioni preliminari, risulta ben chiaro come la scelta sulla natura della responsabilità dell’ente si rifletta in concreto sul regime dell’onere probatorio.

In particolare, dovendo optare (come indicato in tutto il decreto 231\2001 e nella Relazione introduttiva) per una responsabilità amministrativa, si scorge per il legislatore la possibilità di invertire l’onere della prova, spostandolo dal danneggiato al danneggiante, attraverso una lex specialis che deroghi al principio generale dell’art. 2697 c.c.. Una tale inversione è possibile, come visto nei paragrafi che precedono, poiché il principio dell’onere probatorio nelle sedi civilistica ed amministrativa ha mero rango legislativo, e risponde alla logica degli interessi, propria del diritto privato.

Nel caso contrario in cui si dovesse aderire alla tesi che rintraccia nel decreto legislativo 231 del 2001 una responsabilità di tipo penale della persona giuridica, il criterio dell’affirmanti incumbit probatio diviene inutilizzabile, in quanto il principio di rango superiore enucleato nell’art. 27 comma II della Costituzione e consistente nella presunzione di non colpevolezza (in quanto regola di giudizio) vieta espressamente la trasmigrazione dell’onere probatorio dall’organo dell’accusa all’imputato: nella sede del processo penale infatti il brocardo latino sopra menzionato viene correttamente convertito in accusanti incumbit probatio. Tale regola di giudizio non potrebbe in alcun modo essere convertita mediante un’eccezione legislativa, per due ordini di motivi: la superiorità gerarchica del principio espresso, in quanto contenuto in una norma costituzionale; e la deriva inquisitoria che si avrebbe nell’ordinamento penale odierno, il quale diverrebbe paragonabile al sistema processuale di stampo medievale che riconosceva la presunta colpevolezza dell’imputato.

Per quanto riguarda la terza tesi, ovvero la natura di tertium genus della responsabilità delle persone giuridiche, non risulta di facile

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soluzione la questione sull’onere della prova, dovendo capire comunque se, all’interno della disciplina, prevalgano le caratteristiche dell’illecito amministrativo o le garanzie del processo penale; così facendo è chiaro che si perviene ancora e di nuovo alla domanda iniziale. L’interprete si troverebbe dunque, accettando la terza teoria, in un circolo vizioso e labirintico, nel quale, una volta smarritosi, rischierebbe di tornare infinite volte al punto di partenza.

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