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LA “NORMALIZZAZIONE” DELL’ONERE DELLA PROVA PER I SOGGETTI SOTTOPOSTI ALL’ALTRUI DIREZIONE

L’onere della prova nel processo agli ent

4. LA “NORMALIZZAZIONE” DELL’ONERE DELLA PROVA PER I SOGGETTI SOTTOPOSTI ALL’ALTRUI DIREZIONE

Se l’art. 6 del Decreto 231 guarda al criterio soggettivo della commissione dei reati-presupposto da parte di soggetti “apicali” all’interno dell’organigramma societario, l’art. 7 invece si occupa dei casi in cui a compiere i reati-presupposto sia stato un soggetto subordinato, “sottoposto all’altrui direzione”214.

213 Art. 17 d. lgs. 231\2001 – Riparazione delle conseguenze del reato: «Ferma l'applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:

a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

214Art. 7 d. lgs. 231\2001 - Soggetti sottoposti all'altrui direzione e modelli di organizzazione dell'ente: «1. Nel caso previsto dall'articolo 5, comma 1, lettera b), l'ente è responsabile se la commissione del reato e' stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.

2. In ogni caso, è esclusa l'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

3. Il modello prevede, in relazione alla natura e alla dimensione dell'organizzazione nonché al tipo di attivita' svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attivita'

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Tale norma inverte l’onere della prova previsto dall’art. 6, che in tale ambito grava sull’organo dell’accusa: le regole proprie del processo penale (inclusa la norma prevista dall’art. 27 comma II Cost.) paiono valere all’interno del processo agli enti almeno per i sottoposti215.

Leggendo insieme gli artt. 6 e 7 del Decreto 231, agli occhi dell’interprete si pongono due regole di giudizio opposte in merito all’onus probandi: una prima regola, che riprende in toto le regole di giudizio vigenti in ambito civilistico ed amministrativo, e che opera quale norma eccezionale, derogante al principio affirmanti (rectius accusanti) incumbit probatio; ed una seconda regola, che replica i principi vigenti all’interno del processo penale, in particolare la presunzione di non colpevolezza dell’imputato, con onere probatorio gravante sull’accusa. Il dato che più colpisce è quello per cui la suddetta inversione non è determinata dal mutamento della natura della responsabilità dell’ente nell’uno e nell’altro caso, bensì dal soggetto che compie il reato-presupposto alla base della responsabilità “amministrativa” dell’ente.

nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio.

4. L'efficace attuazione del modello richiede:

a) una verifica periodica e l'eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività;

b) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.»

215 C. FIORIO, Presunzione di non colpevolezza e onere della prova, op. cit., p. 164:

«In tale ipotesi, a differenza di quanto avviene per i reati commessi dagli apici, l’onere probatorio ricade sull’accusa, secondo le coordinate tipiche del codice di rito. In tale prospettiva, l’affermazione della colpevolezza della societas richiederà non solamente la dimostrazione dell’imputazione oggettiva (reato commesso nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica), ma altresì quella soggettiva, cioè a dire l’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza.»

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Una tale divaricazione in base ai criteri soggettivi previsti dal Decreto 231 ha riflessi su quelle che possono essere situazioni di dubbio per il giudice, il quale si troverà a dover emanare due tipi di sentenze differenti a seconda dell’autore del reato-presupposto commesso: se questo è un apicale, l’organo decidente avrà l’obbligo di emanare una sentenza di condanna in capo all’ente, vista la “presunzione di colpevolezza” determinata dall’art. 6; al contrario, se l’autore è un soggetto sottoposto, egli sarà legittimato ad emanare una sentenza di esclusione della responsabilità216.

In sintesi, l’art. 7 opera una sorta di “normalizzazione” del regime riguardante l’onere della prova all’interno della responsabilità degli enti, la quale rende ancor più dubbia la legittimità del primo comma dell’art. 6 e della dicitura “l’ente non risponde se prova che”. La Relazione al Decreto riconosce tale situazione, motivandola sulla base della “gravità delle conseguenze suscettibili di prodursi in capo all’ente sul piano sanzionatorio”217; a ben vedere, tuttavia, se una

gravità sanzionatoria è presente, come è, all’interno del “microcodice”, essa si rivela presente per entrambe i criteri soggettivi di imputazione, e non soltanto laddove a compiere reati-presupposti siano stati i sottoposti all’altrui vigilanza.

216 C. FIORIO, L’onere della prova nel processo agli enti, op. cit., p. 164: «A

differenza di quanto avviene in riferimento ai reati commessi dagli apici, le situazioni di dubbio legittimeranno, ai sensi dell’art. 66 del Decreto, una sentenza di esclusione della responsabilità dell’ente per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova dell’illecito amministrativo.»

217 Relazione al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, p. 10-11: « Infine, è opportuno

sottolineare come, a differenza che nel caso di reato commesso da persona in ruolo apicale, qui l'onere di provare la mancata adozione ovvero la mancata attuazione del modello da parte dell'ente gravi sull'accusa. La ragione è chiara (nulla poena sine culpa) e - lo si ribadisce - discende dalla gravità delle conseguenze suscettibili di prodursi in capo all'ente sul piano sanzionatorio. La puntualizzazione riveste peraltro un'importanza non secondaria anche nei casi in cui la misura sia applicata in fase cautelare, mettendo così al riparo dall'eventualità di un eccesso nel ricorso a misure cautelari potenzialmente assai invasive.»

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Per il resto, l’art. 7 richiama in maniera “semplificata” i canoni dell’art. 6, con riferimento specifico al modello di organizzazione e gestione (previsto comunque anche in questo caso al comma II quale esimente)218. In particolare, il criterio dell’ “efficace attuazione” appare limitato dalla verifica periodica e dall’eventuale modifica

quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell'organizzazione o nell'attività (lettera a) del comma IV); si deve aggiungere poi la creazione di un sistema disciplinare specifico per i soggetti subordinati, idoneo a sanzionare la violazione delle misure indicate nel modello.

218 A. BERNASCONI, voce Responsabilità amministrativa degli enti (profili sostanziali

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