• Non ci sono risultati.

L’onere della prova nel processo agli ent

3. I FATTI DA PROVARE PER REATI COMMESSI DA SOGGETTI EX ART 5 LETT A)

3.2. IL MODELLO ELUSO “FRAUDOLENTEMENTE” DAGLI APIC

La probatio posta sulle spalle della persona giuridica diviene davvero diabolica all’art. 6 comma I lettera c) del Decreto 231, laddove si prevede l’onere di provare che gli apici dell’ente hanno eluso “fraudolentemente” il modello di organizzazione e gestione.201

Sarà appunto la societas a dover fornire la dimostrazione di quelli che sono stati gli inganni ed i raggiri posti in essere dai soggetti apicali per arrivare a commettere un reato-presupposto nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso: si tratta di un capovolgimento pressoché totale delle regole logiche (prima che giuridiche) poste alla base del regime probatorio e del regime di colpevolezza della persona giuridica, poiché in tale momento la società (non l’organo di accusa) deve dimostrare la rottura della presunzione fondante il principio di immedesimazione tra vertici dell’ente ed ente stesso. Proprio per questo, autorevole dottrina parla del “passaggio più impervio”202 della probatio diabolica onerante il soggetto collettivo, del “banco di prova per eccellenza nell’ipotesi di illecito amministrativo commesso dalle persone in posizione apicale”203.

In merito al significato proprio dell’avverbio “fraudolentemente”, si è cercato di eliminare il senso comune del mero

201 Art. 6 comma I lettera c): «Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che: (…) c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione»

202 A. BERNASCONI, voce Responsabilità amministrativa degli enti (profili sostanziali

e processuali), in Enciclopedia del diritto, Annali, II, 2, Milano, 2008, p.972

203 D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti,

97

«aggiramento volontario delle regole aziendali», non esaurendosi l’elusione fraudolenta in questo, quanto piuttosto «in un aggiramento volontario delle regole aziendali; essa presuppone la messa in opera di un artificio, di una forzatura precipuamente ed artatamente volta all’elusione del precetto» 204 . La fraudolenza non replica un

comportamento penalmente rilevante del soggetto attivo del reato rispetto ai protocolli operativi (elusione fraudolenta e volontarietà non coincidono); e ciò lo si ricava da due ordini di ragioni: non vi sarebbe stata coerenza nel richiedere in primis l’adozione di un modello organizzativo idoneo ed efficiente, e, in secundis, nell’affidare all’incolpato un impegno probatorio che si sostanziasse nella mera allegazione della volontaria violazione delle regole aziendali da parte del soggetto attivo del reato, sostenendo appunto che l’apicale non ha voluto osservare i precetti contenuti nel modello di organizzazione205.

La costruzione di un sistema che funga da “catena” vincolante l’ente ai comportamenti legali dovrebbe essere «condizione necessaria e sufficiente per ritenere ingiustificato ogni rimprovero in caso di commissione di un reato presupposto»206; per un esonero da qualsiasi responsabilità, all’ente dovrebbe essere richiesto soltanto un monitoraggio ed un controllo sul sistema, senza doverne inferire, una volta commesso il reato, la inidoneità o inefficienza derivante dalla commissione del reato stesso.

204 Ciò è avvenuto soprattutto nei settori specifici, ove hanno avuto un ruolo primario

le “linee-guida”; si veda per tutti ABI, Linee Guida dell’Associazione Bancaria Italiana per l’adozione dei modelli organizzativi sulla responsabilità amministrativa delle banche, febbraio, 2004, p. 17

205 D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti,

op. cit., p. 263-264: «l’ente dovrebbe sostenere che l’apice ha agito in modo indisturbato perché quelle regole cautelari non hanno avuto alcuna forza preventiva. Una tesi non propriamente difensiva, che, anzi, lambisce la confessione dell’illecito amministrativo perché si sostanzia nel rilievo della mancanza di procedure volte ad evitare l’elusione»

206 D. CIMADOMO, Prova e giudizio di fatto nel processo penale a carico degli enti,

98

Si deve poi sottolineare anche l’incompatibilità che vi è tra il meccanismo della elusione fraudolenta e l’inserimento, all’interno del catalogo dei reati-presupposto, di reati colposi di evento: autorevole dottrina sostiene che «l’elusione fraudolenta è (…) incompatibile con una dimensione della colpevolezza caratterizzata dall’assenza di volontà dell’evento, ma è assolutamente compatibile con una dimensione della colpevolezza connotata dalla presenza di volontà di azione»207.

In un caso, la giurisprudenza di merito aveva limitato l’onere probatorio della persona giuridica alla sola “intenzionalità/conscietà” dell’elusione di un modello organizzativo valido da parte del reo208; la

giurisprudenza di legittimità ha poi affermato, in seconda battuta, che la condotta dell’autore del reato-presupposto deve necessariamente qualificarsi quale una condotta “ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola”209, escludendo comunque la necessaria identità tra l’elusione

fraudolenta di cui all’art. 6 comma I lettera d) del decreto 231 e l’art. 640 c.p. (truffa).

207 C. E. PALIERO, Responsabilità degli enti e principio di colpevolezza al vaglio

della Cassazione: occasione mancata o definitivo “de profundis?”, in Le Società, 2014, p. 469

208 G.i.p. Trib. Milano, 17 novembre 2009, e App. Milano, 21 marzo 2012

209 Cass. Sez. V, 30 gennaio 2014, n. 4677: «Ebbene, lo stesso concetto di frode (…)

non deve necessariamente coincidere con gli artifici e i raggiri di cui all’art. 640 c.p., non può non consistere in una condotta ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola. La fraus legi facta di romanistica memoria, ad es., comportava la strumentalizzazione di un negozio formalmente lecito, allo scopo di eludere un divieto di legge.

Si tratta insomma, di una condotta di “aggiramento” di una norma imperativa, non di una semplice e “frontale” violazione della stessa.» Ancora su questa sentenza, L. SANTANGELO, Prevenzione del rischio di commissione di aggiotaggio ed “elusione fraudolenta” del modello organizzativo ai sensi del d. lgs. n. 231\01: un’interessante pronuncia della Corte di Cassazione, in

99

In conclusione, «le Sezioni Unite della Corte di Cassazione delineano un impegno probatorio “ciclopico”»210, dovendosi provare,

nel caso di reato commesso dai vertici, il fatto che il reo abbia posto in essere comportamenti diversi dalla condotta tipica, orientati con specificità all’elusione del modello organizzativo; in aggiunta a ciò, oggetto di prova è anche il nesso di causalità tra la condotta elusiva e la neutralizzazione del presidio cautelare211.