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IL CASO “IMPREGILO” E LA NUOVA DEFINIZIONE DI VULNUS ACCETTABILE

La prova dell’idoneità del modello di organizzazione e gestione

3. IL CASO “IMPREGILO” E LA NUOVA DEFINIZIONE DI VULNUS ACCETTABILE

Dall’emanazione del d. lgs. 231\2001 gli enti e gli operatori del diritto hanno cercato la formula esatta del compliance program in grado di resistere alle verifiche operate in sede processuale dal giudice; ciò ha spinto la giurisprudenza ad adottare dei criteri in grado non tanto di eliminare, ma sicuramente di frenare gli effetti della presunzione di responsabilità gravante sulle società. Il concetto di idoneità è sicuramente, da un punto di vista sostanziale, il vero

257 Trib. Lucca, sent. n. 222/17, p. 1008: «Il rischio deragliamento dei treni merci

trasportanti merci pericolose, la potenziale dispersione del liquido infiammabile e l’esplosione, certamente, non costituivano – come si è dimostrato in precedenza – eventi imprevedibili o abnormi e, pertanto, dovevano essere oggetto di particolare attenzione e specifica valutazione, finalizzata all’adozione di adeguate misure preventive e/o protettive, anche all’interno del modello 231.

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traguardo da raggiungere sia per i giudici che per gli interpreti del diritto; ed in questo percorso un ruolo di svolta è stato sicuramente costituito dalla c.d. “sentenza Impregilo”258.

La Procura Generale aveva fatto un ricorso, poi accolto dalla Cassazione, in cui si chiedeva l’annullamento con rinvio della sentenza di proscioglimento ex art. 6 del decreto 231, pronunciata dalla Corte di Appello di Milano e relativa all’illecito amministrativo dipendente dai reati di cui agli artt. 25 ter lett. A) e r), 5 e 44 del decreto, nei confronti della Società Impregilo S.p.A. (oggi Salini Impregilo).

Le due sentenze di merito che precedevano tale richiesta, poi cassate, ritenevano che i vertici dovessero essere comunque considerati responsabili del reato di aggiotaggio; non per questo l’ente doveva essere punito a seguito di illecito amministrativo, in quanto la stessa società aveva adottato un modello di organizzazione e gestione ritenuto idoneo ai fini della prevenzione dei reati sopra menzionati259.

258 A. BERNASCONI, «Razionalità» e «irrazionalità» della cassazione in tema di

idoneità dei modelli organizzativi, in Diritto penale e processo, 2014, p. 1438

259L. SANTANGELO, La Corte d’Appello di Milano assolve un ente imputato ex d. lgs.

n. 231\2001 in ragione dell’adeguatezza del modello, in www.penalecontemporaneo.it: « In primo luogo, la Corte rileva che l'ente aveva tempestivamente adottato ed efficacemente attuato un adeguato modello di organizzazione e gestione, in quanto rispondente ai requisiti di cui all'art. 6 del D.lgs. n. 231/01.

Esso prevedeva infatti:

a) un sistema di controllo interno coerente con i principi del codice di autodisciplina promosso da Borsa Italiana s.p.a. e costruito attraverso una puntuale individuazione delle aree a rischio;

b) un organo di vigilanza regolato in conformità con le linee guida emesse da Confindustria - posizione ricoperta, nel caso in questione, dal responsabile della Funzione internal auditing, il quale rispondeva direttamente al presidente del consiglio di amministrazione - ;

c) procedure atte a regolamentare i flussi informativi verso l'organismo di vigilanza, con la previsione di specifici obblighi di informazione;

d) un sistema disciplinare calibrato sulla violazione delle regole previste dal modello di organizzazione;

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La Corte di Milano, dettando i propri criteri di valutazione, individua innanzitutto l’inapplicabilità del sinallagma tra reato perpetrato e inidoneità, evidenziando che «la valutazione di idoneità del modello non deve e non può essere rapportata semplicemente al fatto che, se esso fosse stato osservato, allora il reato non si sarebbe verificato; indubbiamente il fatto che venga commesso un reato rilevante, come l’aggiotaggio, nonostante l’esistenza di una specifica misura di prevenzione può avere un alto valore semantico rispetto all’efficacia del modello. (…) Quindi in presenza della commissione di un reato rilevante non può automaticamente essere giudicato inefficace il modello di organizzazione della società, ma occorre verificare la causa della elusione che ha agevolato la consumazione dei reati»260.

La Corte si concentra dunque sull’elusione fraudolenta, consistita nel non aver usato i dati interni, manipolandoli a proprio piacimento261.

e) controlli annuali volti a vagliare la validità delle procedure di controllo e protocolli diretti ad assicurare l'adeguata formazione del personale.

Con riguardo, poi, allo specifico rischio di realizzazione del delitto di aggiotaggio, la procedura interna prevedeva la partecipazione di almeno due soggetti per il compimento di attività a rischio, con la nomina di un responsabile dell'operazione. Più in dettaglio, essa articolava un complesso iter formativo delle notizie destinate al pubblico, con la predisposizione di una prima bozza ad opera della funzione aziendale coinvolta ed il coinvolgimento dell'ufficio relazioni esterne; l'approvazione del comunicato era quindi riservata alle più alte figure aziendali, e cioè il presidente del consiglio di amministrazione e l'amministratore delegato della società.»

260 Corte d’App. Milano, 21 marzo 2012, n. 1824

261 L. SANTANGELO, La Corte d’Appello di Milano assolve un ente imputato ex d. lgs.

n. 231\2001 in ragione dell’adeguatezza del modello, op. cit.: « Accertata l'esistenza di un modello 'sulla carta' adeguato, il collegio si sofferma poi sulla prova dell'avvenuta elusione fraudolenta del sistema di regole approntato dalla società. Per comprendere se di elusione fraudolenta si è trattato (e non, piuttosto, di inadeguatezza del modello), occorre, ad avviso della Corte, individuare la causa del mancato funzionamento del sistema di regole approntato dalla società;

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I responsabili della società avevano in concreto operato un’elusione del modello, non seguendo correttamente l’iter di formazione dei comunicati stampa, emessi in rappresentazione di dati falsi e manipolati rispetto ai dati elaborati dagli “addetti ai lavori”.

La Cassazione valuta il percorso argomentativo della Corte d’Appello, iniziando dalla natura del reato-presupposto, ovvero un “delitto di comunicazione”262: l’attività strumentale che l’ente avrebbe

dovuto inserire all’interno dei compliance programs tramite protocolli specifici, è un’attività di comunicazione verso l’esterno; la stessa attività veniva svolta dagli apicali senza che nessun soggetto potesse

diversamente opinando, osserva ancora il collegio, l'esimente prevista dall'articolo 6 del d.lgs. non verrebbe pressoché mai applicata.

A tal riguardo, merita di essere notata la prospettiva proposta dalla Corte d'appello per valutare l'esistenza o meno del criterio di fraudolenza.

Secondo i giudici, "la frode cui si fa riferimento nell'art. 6 [..] deve riguardare [..] gli altri protagonisti della procedura, in quanto la frode deve avere funzione strumentale rispetto all'elusione del modello di organizzazione e delle sue procedure": la 'frode' deve pertanto avere di mira gli altri soggetti che - in un sistema di controllo efficiente, laddove le operazioni “a rischio” vedono il coinvolgimento di più persone -sono chiamati a partecipare alla realizzazione dell'atto che ha determinato la realizzazione del reato.

"Nel caso di specie - osserva il collegio - v'è stata manipolazione dei dati forniti dagli uffici competenti della società", in ciò concretandosi la frode messa in atto dai due apicali nei confronti degli altri attori coinvolti nell'iter di formazione dei comunicati, e cioè le funzioni interne che avevano correttamente elaborato la bozza dei comunicati manipolati da ultimo dal presidente del CdA e dall'amministratore delegato.

La valutazione positiva di entrambi gli snodi probatori - e dunque provata tanto la tempestiva adozione e l'efficace attuazione del modello di organizzazione e gestione, quanto l'elusione fraudolenta del medesimo ad opera degli autori del reato - vale a ritenere integrata l'esimente prevista all'art. 6 del decreto legislativo , posto che - osserva conclusivamente la Corte - "il comportamento fraudolento non può essere impedito da nessun modello organizzativo […] nemmeno dal più diligente organismo di vigilanza".

262 M. PAONE, L’”idoneità” e l’”efficace attuazione” del modello di organizzazione,

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controllarne in maniera effettiva il contenuto: una mera bozza (da trasmettere agli apicali) era quanto dettato dalla procedura.

Importante è anche il ruolo che la Corte ha individuato in capo all’organismo di vigilanza, al quale non veniva neppure concesso di dissentire sul comunicato; per tali ragioni il modello non poteva considerarsi idoneo a nessuna attività di prevenzione dei reati- presupposto, e si ridurrebbe a «un mero simulacro, in quanto esso si eserciterebbe sul comunicato in fieri, ma non sulla sua versione definitiva (quella destinata alla diffusione). Così stando le cose, se all’organo di controllo non fosse nemmeno concesso di esprimere una dissenting opinion sul “prodotto finito” (rendendo in tal modo, almeno, manifesta la sua contrarietà al contenuto della comunicazione, in modo da mettere in allarme i destinatari), è evidente che il modello organizzativo non possa ritenersi atto a impedire la consumazione di un tipico reato di comunicazione».263

Infine, si tenga presente l’interpretazione che la Cassazione dà del concetto di elusione fraudolenta e di vulnus accettabile: essa ritiene la mera violazione del protocollo un semplice abuso, ossia un uso distorto del potere conferito; l’aggiramento richiede al contrario una condotta ingannevole diretta al protocollo, ma soprattutto alla propria organizzazione aziendale264.

La conclusione non può che essere tempestata di punti interrogativi e perplessità, soprattutto in merito all’elusione fraudolenta per i reati-presupposto di natura colposa: l’evidenza di una probatio diabolica in tal genere di reati appare all’interprete ictu oculi: «si tratta, infatti, di un requisito implicitamente incompatibile con i casi di responsabilità per reato colposo, giacchè, diversamente opinando, l’onere allegativo sull’assenza di responsabilità sarebbe di impossibile soddisfazione, evocando la dimostrazione di una condotta dell’agente incompatibile con la «colpa» richiesta per la commissione del reato

263 Cass, Sez. V, 18 dicembre 2013, n. 4677, cit. 264 Cass, Sez. V, 18 dicembre 2013, n. 4677, cit.

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presupposto. Deve quindi ritenersi, secondo una interpretazione adeguatrice, costituzionalmente orientata, della disciplina sanzionatoria de qua, che il parametro valutativo di cui all’art. 6 comma I, lett. c) sia inapplicabile quando si discuta di responsabilità per fatto colposo. (…) Ragionando diversamente non potrebbe dubitarsi della violazione dei principi costituzionali relativi all’esercizio del diritto di difesa, per l’imposizione di un onere liberatorio di concettualmente impossibile soddisfazione»265.

Come scrive autorevole dottrina, l’interprete appare ancora oggi «un novello Ulisse, (…) costretto tuttora a navigare a vista»266, in

quanto la sentenza sopra illustrata non appare un approdo sicuro, ma soltanto un’altra tappa nel percorso decennale verso la ricerca gnoseologica dell’idoneità.