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4. LA REGOLAZIONE IN ITALIA

4.1. LE FONTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE E COMUNITARIO

53 F. GANDINI, Brevi cenni sulla responsabilità delle persona giuridiche in

Germania, in La Responsabilita amministrativa delle societa e degli enti, n. 4, 2008, p. 31 ss

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L’introduzione di una responsabilità per le persone giuridiche in Italia si è fatta attendere a lungo, dimostrandosi il nostro ordinamento uno dei più restii ad inserire una forma di sanzione che andasse a colpire la criminalità d’impresa, introdotta in un certo qual modo soltanto con il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, intitolato “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”54.

Senza tornare sugli aspetti teorici e sostanzialistici già affrontati, occorre a questo punto vedere quali sono stati gli impulsi (anche normativi) che hanno portato all’elaborazione del testo di legge qui oggetto di trattazione, vero e proprio “microcodice”55 sulla

responsabilità degli enti.

Oltre agli aspetti connessi all’esperienza comparatistica ed alla politica criminale d’impresa, si pongono in rilievo le spinte provenienti dalla comunità internazionale, e soprattutto dal contesto comunitario; con la legge 29 settembre 2000, n. 300, il Parlamento ha delegato al Governo il compito di recepire vari atti internazionali che l’Italia si era obbligata a seguire; si fa riferimento a

1) Convenzione sulla tutela finanziaria delle comunità europee (meglio nota come Convenzione P.I.F.) siglata a Bruxelles il 26 luglio 1995

2) Primo protocollo riguardante l’interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, della Convenzione P.I.F. (siglato a Dublino il 29 novembre 1996)

3) Convenzione sulla lotta contro la corruzione dove siano coinvolti funzionari delle Comunità Europee o degli stati membri dell’Unione Europea (Bruxelles 26 maggio 1997)

54 AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato,

Padova, 2002, p. 410

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4) Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (Parigi 17 dicembre 1997).

Partendo proprio dalla Convenzione OCSE, essa non prescrive espressamente una responsabilità penale per le persone giuridiche; tale atto costituisce comunque un unicum, in quanto è l’unico a contemplare una responsabilità diretta, richiedendo che ogni parte stipulante la Convenzione adotti “le misure necessarie” per stabilire la responsabilità degli enti collettivi nei reati di corruzione nei confronti di pubblici ufficiali stranieri56 ; oltre a ciò, si richiede anche l’inserimento di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, includendo fra queste le sanzioni pecuniarie. La conclusione è che, seppure agli Stati sia lasciato un ampio margine di adattamento (in merito agli elementi costitutivi del reato, alla definizione dei soggetti in grado di impegnarne la responsabilità ed al concorso tra la responsabilità della persona fisica e quella della persona giuridica), è chiaro come sia prevista in tale atto una responsabilità giuridica dell’ente.

Allo stesso modo, una responsabilità simile a questa è espressamente prevista all’interno del Secondo Protocollo alla Convenzione P.I.F. adottato a Bruxelles il 19 giugno 1997, il quale tuttavia non è stato oggetto di ratifica da parte della legge n. 300\2000; detto protocollo prevede al suo interno un elenco di reati (tra cui frode, riciclaggio, corruzione commessi a beneficio dell’ente collettivo) per i quali si prevedono sanzioni caratterizzate, ancora una volta, dalla effettività, proporzionalità e dissuasione57.

56 Art 2, Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri

nelle operazioni economiche internazionali: «Ciascuna Parte deve adottare le misure necessarie, secondo i propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche in caso di corruzione di un pubblico ufficiale straniero».

57 AA.VV., Diritto penale sostanziale e processuale dell’Unione Europea, Volume

II°, Padova, 2012: «In linea con quanto già detto a proposito del Primo Protocollo sulla corruzione, anche il Secondo protocollo alla Convenzione PIF, sempre redatto

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Le condotte criminose degli enti hanno interessato molto anche gli organi comunitari, già a partire dagli anni ’70; tra gli interventi si ricordano:

1) Risoluzione n. (77)28 riguardante la tutela ambientale: si manifesta in essa l’opportunità per gli stati membri di introdurre una responsabilità penale delle persone giuridiche che abbiano posto in essere o concorso a porre in essere reati contro l’ambiente. In tale atto si tiene conto altresì di come sia sempre più difficile identificare i fautori del reato di impresa, date le strutture organizzative, e per questo si consiglia agli Stati di adottare una responsabilità (penale o meno) nei confronti degli enti collettivi58.

2)Raccomandazioni n. R(81)12 e R(82)15: il Consiglio d’Europa torna sul tema della responsabilità degli enti, e sollecita gli Stati membri a garantire una risposta efficace ai crimini economici,

sulla base dell'art. K3 del Trattato di Maastricht, deriva dalla constatazione che, oltre alla frode, sono anche altre le condotte che possono rappresentare una minaccia per

gli interessi finanziari delle Comunità Europee.

Esaminate frode e corruzione, il presente atto si concentra invece sul riciclaggio e, nuovamente, su atti compiuti per conto di persone giuridiche. Il protocollo, pertanto, si propone di adattare, ove necessario, le legislazioni nazionali per prevedere la responsabilità degli enti nei casi di frode, corruzione attiva e riciclaggio compiuti per un loro beneficio (…), solo nei limiti in cui tali atti abbiano

recato un danno alle finanze comunitarie.

Il riciclaggio, in particolare, è percepito quale atto assai pericoloso in quanto impedisce il recupero di quanto oggetto di frode o corruzione ai danni della UE e, per questo motivo, il protocollo tende a volere introdurre più efficaci misure (…) nei singoli Stati membri».

58 F. GANDINI, La responsabilità degli enti negli strumenti internazionali

multilaterali, gli strumenti del Consiglio d’Europa, in www.rivista231.it, visitata il 13 giugno 2017: « Già con la risoluzione (77) 28 , sul contributo del diritto penale alla protezione dell'ambiente, il Comitato dei ministri raccomandava agli stati membri del Consiglio d'Europa di riesaminare i principi fondanti la responsabilità penale nei rispettivi sistemi giuridici, al fine della possibile introduzione, in certi casi, della responsabilità di "corporate bodies, public or private"».

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auspicando ancora l’introduzione di una responsabilità penale per le persone giuridiche in materia economica e di tutela del consumatore59. Il Consiglio d’Europa ha già ben chiara la situazione de facto in quegli anni: in ambiti importantissimi per la comunità, quali l’ambiente e l’economia, in cui i crimini rischiano di assumere proporzioni enormi, lo strumento societario gioca un ruolo cruciale: è contro di esso e contro i suoi interessi che gli Stati devono intervenire, soprattutto nell’ottica preventiva generale e speciale, con strumenti sanzionatori preferibilmente di natura penale60.

Di fondamentale importanza sarà poi la Raccomandazione n. R(88)18: Il Comitato dei Ministri, svincolandosi dall'approccio settoriale fino a quel momento seguito affronta la materia in prospettiva più ampia, delegando i lavori ad un Comitato Ristretto di esperti che, il 20 ottobre 1988, riuscirà a dar vita ad un atto

59 F. GANDINI, La responsabilità degli enti negli strumenti internazionali

multilaterali, gli strumenti del Consiglio d’Europa, op. cit: « Tale impostazione veniva sostanzialmente ripresa dalla successiva raccomandazione R (81) 12 , sulla criminalità economica. Il Comitato dei ministri, al fine di assicurare una rapida ed efficace azione di contrasto alla criminalità economica, raccomandava agli stati membri di esaminare la possibilità di adottare "the concept of criminal liability of corporations", o almeno di introdurre non meglio precisati "other arrangements" per le stesse finalità . Rispetto alla precedente risoluzione (77) 28, si poteva apprezzare una prima apertura al principio di equivalenza tra i modelli di responsabilità delle corporations. Ferma restando la decisa preferenza verso la responsabilità penale, gli stati membri potevano adottare modelli di responsabilità aventi natura diversa, purchè idonei ad assicurare lo stesso risultato di efficienza nella repressione della criminalità economica. Nello stesso senso andava anche la raccomandazione R (82) 15 , sul ruolo del diritto penale nella protezione dei consumatori. »

60 F. GANDINI, La responsabilità degli enti negli strumenti internazionali

multilaterali, gli strumenti del Consiglio d’Europa, op. cit: « I primi atti, seppure di soft law, del Consiglio d'Europa si caratterizzavano quindi per un approccio settoriale, e non generale, alla materia, limitando la responsabilità degli enti a categorie di reati volta a volta individuati; per la decisa preferenza verso modelli di responsabilità penale degli enti; per la limitazione della responsabilità ai soli enti, pubblici o privati, caratterizzati dalla finalità lucrativa.»

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straordinariamente avanzato per la sua “categoria”. Con esso si afferma la necessità di adottare misure che responsabilizzino l’ente per eventuali danni derivanti da reati commessi nell’esercizio della sua attività, anche laddove l’offesa non collimi in alcun modo con gli scopi propri dell’impresa. La responsabilità della persona giuridica dovrà allora avere due caratteristiche fondamentali: 1) essere concepita come una responsabilità da illecito penale 2) concorrere con quella della persona fisica autrice del reato, e deve essere presente anche nel caso in cui quest'ultima non sia stata identificata61. Si può a ragione affermare dunque che, pur essendo uno strumento di soft law, l'atto in questione ha avuto un ruolo pionieristico in materia per la sua raffinata e dettagliata elaborazione.

Questi atti internazionali hanno reso sempre più chiara l’esigenza, da parte degli Stati comunitari (e non solo), di una armonizzazione dei vari ordinamenti giuridici su questo tema; ma c’è anche chi si è spinto oltre, arrivando a ipotizzare una possibile e futura unificazione degli stessi62. Un esempio di tale processo è stato quello che ha visto molti studiosi di vari paesi europei elaborare un progetto composto da trentacinque articoli di natura penale processuale e sostanziale, basato sull'analisi comparata dei sistemi nazionali, nella prospettiva dell'adozione di un “codice penale europeo”. Anche se il corpus di norme è riferibile (allo stato solo potenziale) limitatamente alla materia della tutela penale degli interessi finanziari comunitari, questo può a ragione considerarsi un prototipo di “codice penale europeo”, il quale cerca di supplire alle regole nazionali63; ed in tema

di organizzazione e criminalità, il corpus juris prevede espressamente

61 F. GANDINI, La responsabilità degli enti negli strumenti internazionali

multilaterali, gli strumenti del Consiglio d’Europa, op. cit.

62 G. GRASSO, N. BARTONE, Diritto penale europeo. Spazio giuridico e rete

giudiziaria, Padova, 2001, p. 19

63 G. GRASSO, R. SICURELLA, Il Corpus Juris del 2000, Un modello di tutela penale

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all’art. 13 una responsabilità penale delle imprese (criminal liability of organisations).

Tale articolo mostra una elaborazione dei concetti ancora più avanzata rispetto agli atti internazionali visti in precedenza: esso guarda a enti dotati di personalità giuridica, ma anche e soprattutto a “soggetti di diritto e titolari di un patrimonio autonomo”; inoltre, si nota un allargamento dei soggetti individuali da cui promana la responsabilità collettiva, aggiungendosi agli organi rappresentanti “qualunque persona che abbia agito in nome dell’ente o che abbia un potere di decisione, sia di diritto che di fatto”, ed eliminando in tal modo l’annosa questione su chi rivesta effettivamente o formalmente la qualifica64.

Concludendo, la responsabilità “per rimbalzo” (par ricochet) di stampo francese fa da modello base per l’art. 13 del corpus juris, essendo la sanzionabilità dell’ente collettivo un mero riflesso dell’imputabilità dell’autore del reato persona fisica. Tale atto, pur attirandosi per questo le critiche che già erano proprie del còde penal, ha avuto anche un notevole merito: alimentare, se non accelerare di molto, il processo d’integrazione europea sul piano penale.

4.2) LA LEGGE DELEGA N. 300\2000 ED IL DECRETO LEGISLATIVO 231\2001

Tornando alla legge di delega n. 300\2000, legge che ha ratificato molti atti internazionali che vincolavano l’Italia, il

64 Art. 13 – Criminal liability of organisations: «1.The offences defined above in

Articles 1 to 8 may be committed by corporations, and also by other organizations which are recognized by law as competent to hold property in their own name, provided that the offence is committed for the benefit of the organization by some organ or representative of the organization, or by any person acting in its name and having power, whether by law or merely in fact, to make decisions.

2.Where it arises, the criminal liability of an organization does not exclude that of any natural person as main offender, inciter or accomplice to the same offence.»

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Parlamento ebbe modo di confrontarsi su un altro disegno di legge (n. C5491\1998) che prevedeva al suo interno una responsabilità penale delle persone giuridiche; tuttavia tale d.d.l. fu reputato inadatto sul terreno dei “profili costituzionali”.65

La legge delega, al suo art. 11, concede l’incarico al Governo di emanare un decreto legislativo che disciplini la “responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale”66; tale responsabilità sarebbe dovuta discendere

dalla commissione di reati contro la Pubblica Amministrazione, reati relativi alla tutela dell’incolumità pubblica, in materia di tutela dell’ambiente, del territorio, di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Insieme a questi, molte altre problematiche sarebbero state affrontate dal legislatore: la natura della responsabilità, i destinatari della normativa, i criteri d’imputazione per l’ente, le sanzioni, il sistema processuale, ed altre ancora.

Il frutto della delega è stato, come già detto, il d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231, una sorta di “microcosmo”67 normativo ad hoc per gli enti collettivi; il corpo normativo si presenta diviso in tre parti fondamentali:

1) una parte generale, dedicata ai principi, ai criteri di attribuzione della responsabilità ed alle sanzioni (artt. 1-23 e 26-33)

2) una parte speciale, costituita dall’elenco tassativo dei reati- presupposto, arricchito da nuovi casi con straordinaria frequenza (artt. 24-25 duodecies)

3) una parte processuale, che trasla la struttura dinamica del codice di rito all’interno del microsistema (artt. 34-85).

65 C PIERGALLINI, Progetti di Riforma, in Rivista trimestrale di diritto penale

dell’economia, 2000, p. 276

66 Art. 11 legge 29 settembre 2000 n. 300 67 F. CORDERO, Procedura Penale, op. cit.

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L’assetto che viene fuori dalla lettura del testo normativo può essere in breve descritto come segue. Innanzitutto, il decreto è applicato nei confronti di:

1) enti con personalità giuridica 2) società

3) associazioni anche prive di personalità giuridica; non si applica, invece, nei confronti di:

1) Stato

2) enti pubblici territoriali 3) enti pubblici non economici

3) enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

L’elemento oggettivo della responsabilità sussiste se l’autore del reato è uno di quelli indicati nell’art. 5, e se il reato è stato commesso (anche) “nell’interesse o a vantaggio” dell’ente. Quanto all’elemento soggettivo, occorre che sia addebitabile all’ente la c.d. colpa di organizzazione, che è presunta; tale presunzione è superata se l’ente dimostra che:

1) sono stati adottati ed attuati tutti i modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi; 2) la vigilanza sul funzionamento e l’osservanza di detti modelli è stata affidata ad un organismo ad hoc dotato di poteri autonomi e idonei;

3) che il reato non dipende dall’omessa o insufficiente vigilanza; 4) che l’autore del reato abbia eluso fraudolentemente i modelli di organizzazione e gestione.

L’art 3 prevede le seguenti sanzioni, a carico dell’ente: 1) sanzione pecuniaria;

2) sanzioni interdittive (es. divieto di contrattare con la P.A., o interdizione dall’esercizio dell’attività);

3) confisca;

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Per ciò che attiene al procedimento, la responsabilità è accertata dal giudice penale competente per il reato presupposto, che applica le regole del decreto e quelle del codice di procedura penale, in quanto compatibili (art. 36); l’accertamento della responsabilità dell’ente viene dunque riunito a quello per l’accertamento del reato presupposto, e la persona giuridica è obbligata a farsi assistere da un difensore, di fiducia o d’ufficio (art. 40); il giudice penale può applicare le sanzioni interdittive a titolo di misura cautelare, nonché disporre il sequestro preventivo delle cose confiscabili e quello conservativo di beni di proprietà dell’ente; alle indagini preliminari si applica il codice di rito.

Il ricorso ai riti speciali è ammesso con alcune particolarità: precisamente, le riduzioni di pena operano sulla durata della sanzione interdittiva e sull’ammontare della sanzione pecuniaria (art. 62); il patteggiamento è ammesso se lo è anche per il reato presupposto nonché se all’illecito amministrativo si applica la sola sanzione pecuniaria (art. 63).

Particolarità del processo agli enti è quella per cui non è ammessa la costituzione di parte civile direttamente nei confronti dell’ente, non essendovi nessuna menzione nel decreto di disposizioni al riguardo68.

Il giudizio può essere sospeso se l’ente, prima dell’apertura del dibattimento in primo grado, chiede di provvedere alle attività riparatorie di cui all’art. 17 e purchè dimostri di essere stato

68 Cass. 2251\2011, confermata da Corte di Giustizia UE 12 luglio 2012 in causa C-

79/11. Su di essa si veda anche L. PISTORELLI, Esclusa la costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti ex d. lgs. 231\2001, in

www.penalecontemporaneo.it , visitato il 15 giugno 2017: « la mancata disciplina dell’istituto nell’ambito del d.lgs. n. 231 del 2001 non costituisce una lacuna, bensì la conseguenza di una consapevole e legittima scelta operata dal legislatore in ragione del fatto che la persona giuridica è chiamata a rispondere non del reato, bensì di un autonomo illecito, inidoneo a fondare una pretesa risarcitoria altrettanto autonoma».

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impossibilitato a procedervi prima (art. 65); l’esito del giudizio può essere una sentenza di esclusione della responsabilità, non doversi procedere, oppure di condanna.

Nel sistema del d. lgs. 231\2001 sono previste anche le impugnazioni (art. 71): in particolare, contro la sentenza che applica sanzioni amministrative non interdittive l’ente può proporre impugnazioni nei casi e modi previsti per l’imputato del reato presupposto; contro la sentenza che applica sanzioni interdittive l’ente può sempre proporre appello, anche quando per l’imputato del reato presupposto non è consentito; contro la sentenza il PM può proporre le stesse impugnazioni consentite per il reato presupposto69.

69 per una trattazione organica, si veda G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS, Compendio

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